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Volume XII
(1874-1888).
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FIRENZE,
TIPOGRAFIA BARBÈRA
ALPANI E VENTURI PROPRIETARI
1904.
Proprietà letteraria
746.
AL LETTORE.
Nel compilare il presente volume ci siamo trovati non
poco perplessi nello scegliere e ordinare i molti e vari ma-
teriali che a noi sembravano importanti e meritevoli di pub-
blicazione. — Abbiamo pertanto stimato opportuno dividere
la materia in tre Parti distinte.
La prima contiene (seguendo l'ordine cronologico) ri-
sposte ad indirizzi, lettere e discorsi, tutti intesi a mora-
lizzare — educando — l'animo dei giovani, e segnatamente
della classe che lavora e soifre. Tale è lo scopo precipuo
della Conferenza da Lui tenuta a Faenza nel 1877: — tale
la parte attiva e importante da Lui presa associandosi* al-
l'opera della Federazione Britannica Continentale nella santa
crociata contro leggi inique e turpi: — tale la Sua parola
inalzata nei Congressi per la Pace, ec. ec.
Nella seconda Parte si trova raccolto il Suo lavoro nella
Università di Bologna, cominciando dalle Letture su Albe-
rigo Gentili — per le quali gli venne conferito da quel
Municipio r onore della cittadinanza : — quindi le Prolusioni
ai vari corsi da Lui assunti nel periodo di dieci anni sino alla
fine del viver Suo. Avremmo voluto unire a ciascuna Prolu-
sione le relative Lezioni in cui Egli veniva autorevolmente
esplicando il suo argomento : ma esaminando accuratamente
Vm AL LETTOEE.
tutte le Sue carte, abbiamo dovuto convincerci che Egli non
le aveva ordinate e preparate per la stampa: bensì pren-
deva rigorosi appunti per V esattezza di dati e fatti — e pel
resto Egli coloriva e vivificava man mano il quadro con la
spontanea eloquenza della parola e il convincimento del-
l' onesta coscienza. — Abbiamo quindi dovuto contentarci di
pubblicare — dopo le Prolusioni — (quasi in Appendice) i sunti
da Lui fatti degli argomenti svolti in ciascun corso. —
Da ultimo abbiamo raccolto i documenti che si riferiscono
alla Sua missione in Edimburgo come rappresentante del-
l'Ateneo Bolognese nella solenne ricorrenza del Tercentenario
dello Studio Scozzese.
Nella terza Parte finalmente si trova il Proemio al XII vo-
lume delle Opere di Mazzini, tenuto indietro finora perchè
non collegato in ordine cronologico con gli altri Proemi.
Aprile 1904.
I Compilatori.
Parte Prima.
SCRITTI POLITICO-MORALI EDUCATIVI.
^»^r ■*■•'
A' CIRCOLI PATRIOTICI DI CARRARA.
Forlì, d maggio 1874.
Cittadini,
Ebbi il fraterno saluto da voi diretto, pel 30 aprile, a
Maurizio Quadrio, a Federico Campanella ed a me, e parte-
cipo con tutto l'animo al generoso voto che il Popolo ita-
liano < possa rendersi degno > — come dite voi — < di ram-
mentare e celebrare le gesta compiute a Roma sotto la
bandiera della libertà. > Un Popolo, che sente ed onora i
magnanimi fatti della propria Storia, dimostra di custodire
in sé medesimo il seme delle virtù che li produssero; e
v' hanno pur tuttavia in Italia, malgrado le tristi condizioni
presenti, molti nobili cuori che a que' ricordi s' ispirano. Né
io dispero che — dove i tempi arrechino l'occasione e il do-
vere delle nobili prove — gV inviolabili principi del diritto e
dell' onor nazionale, le sante rivendicazioni della vera libertà
e della comune giustizia, l' integrità della Patria e il compi-
mento de' suoi destini, non' siano per trovare nell' intera
Nazione quella potenza di sacrificio e di difesa, di cui pochi
eletti precursori fecero — pur cadendo — egregio esperimento
contro le domestiche trame e le straniere invasioni del '49.
Quanto al merito di que' fatti, voi dovete recarlo — come
lo recherà la Storia — alla ingenita virtù della tradizione
popolare italiana, riscossa e provocata a que' giorni in Roma
dall'insulto straniero; alla fede patria di Giuseppe Mazzini,
che indovinò il cuore del Popolo e ne fu sommo interprete
nel governo della Repubblica; alla invitta ispirazione di Giu-
seppe Garibaldi, seguito, sulla via sacra del risorgimento na-
zionale, dal più bel fiore della gioventù italiana.
4 A' CIRCOLI PATRIOTICI DI CARRARA.
A noi — - umile parte di quella grande prova — non s' ap-
partiene la lode de' fatti compiuti, ma il debito di conservarne
intemerata la memoria, ad esempio de' presenti e degli av-
venire.
Vostro
A. Saffi.
AD UNA SOCIETÀ GIOVANILE.
Maggio 1874.
Miei Giovani Fratelli,
Vi ringrazio di cuore delle affettuose parole che m'indi-
rizzaste, annoverandomi fra i vostri soci onorari.
In voi. Giovani, sono riposte le speranze dell'avvenire — in
voi le forze che, educate a nobil fine, rifaranno libera, giusta
e grande la Patria nostra. L' Italia ha anzitutto bisogno di
rifarsi morale e devota, non a falsi riti e forme di vecchie
superstizioni, ma al vivo culto del Vero e del Bene — alla
perenne religione de' grandi principi ne' quali armonizzano
tutte le sante cose di quaggiù sotto una stessa legge di pro-
gresso: famiglia, città. Patria, associazione delle genti nel-
l'opera della comune umanità.
Solo que' Popoli e quelle età che informarono la idea della
vita civile aUa nozione del Dovere — considerandola come
ufficio diretto al comun bene — e proseguirono nella loro
storia un fine superiore alle sodisfazioni dell' egoismo privato,
lasciarono dopo sé ricordi e monumenti di genio e di virtù
dinanzi ai quali s' inchina riverente la coscienza de' posteri.
Solo in quelle età V Uomo, perchè credente e virtuoso, fu
libero e grande. Questo concetto ferve nell'intimo senso di
tutto ciò che Mazzini scrisse e operò ; anima il pensiero e la
vita dei più virtuosi fra i suoi seguaci; ed oggi ispira a
missione di popolare apostolato uno dei migliori fra i nostri,
per sapere e virtù — Quirico Filopanti; l'opera del quale,
mentre segna uno de' più profondi bisogni del tempo, merita
— anche da quelli che possono nelle idee o nel modo dissen-
tire da lui — attenzione e rispetto.
Le Nazioni sorgono o cadono, secondo che una favilla di
fede le anima, o che nel loro pensiero si spegne la luce delle
eteme idee. La terra che ci diede la vita ci avverte di ciò
in ogni pietra dei suoi sepolcri.
L'Italia, nel XVI secolo, periva moralmente, vittima del-
l' impostura da un lato, e impotente a rigenerarsi, dall'altro,
a nuova e miglior fede ; mentre altri Popoli, ritemprando
6 AD UNA SOCIETÀ GIOVANILE.
r anima a nuovi raggi di verità, iniziavano l'opera dell'inci-
vilimento moderno. L'Italia periva moralmente fra l'ipocrisia
e lo scherno d' ogni credenza ; e lo straniero passeggiava
immune, per tre secoli, sulla pietra del suo sepolcro.
Ed oggi che la pietra fu sollevata, e la Patria si riscosse
a un fremito di vita, risorga per virtù vostra, o Giovani,
dalla tomba del passato l'anima di una Nazione vivente —
non lo scheletro di una gente disfatta. — Abbiate fede in Dio,
neir Umanità, nella Patria, nella virtù, nel dovere — in tutte
le belle e nobili cose della vita: e alla fede dell'anime vo-
stre, all'alto intemerato pensiero delle vostre menti, serba-
tevi, incorrotti d'egoismo, fedeli in tutta l'opera della vita.
— Così r Italia ritornerà, per voi, degna della passata gran-
dezza e delle nuove sorti che gli eventi le apersero nelle vie
della sua storia futura.
ALLA FRATELLANZA ARTIGIANA DI CHIARAVALLE.
Forlì, 6 luglio 1875.
Caro Paolini,
Non argomentate dall'indugio di questa mia ch'io abbia
dimenticato voi e i vostri bravi amici di cotesta benemerita
Società Operaia. Sono avaro di lettere, ma per manco di
tempo, non di riconoscenza ai buoni che mi confortano del
loro affetto. — Io m'onoro d'essere ascritto alla Fratellanza
degli Artigiani di Chiaravalle, come a centro d' industria ope-
rosa, di sobrio costume, di virtù cittadina e patria. — Fedeli
come siete alle dottrine del nostro Maestro, voi non potete
fallire a veri e nobili incrementi di virtù cittadina e di mi-
glioramento sociale.
Quelle dottrine — guardando gli operai italiani dagli er-
rori economici e dalle passioni egoiste che travolsero gli
operai d'altre Nazioni, ed educandoli a principi di Patria e
d' Umanità, di libera associazione e cooperazione ne' lenti ma
continui e fecondi progressi del lavoro, del risparmio e dei
mezzi produttivi -— sono per essi una salvaguardia ed una
guid^ sicura a migliori destini ; a destini degni di quell'av-
venire che promettono all'Italia i ricordi di ciò che fu e i
segni di ciò che dev'essere.
È distintivo principale delle dottrine di G. Mazzini l'ar-
monia fra l'ideale e il reale — fra l'intento del progresso e le
condizioni pratiche di raggiungerne gli effetti. Egli non vi
chiama a un benessere improvviso, impossibile, ristretto alla
sodisfazione della vita materiale soltanto. — Fine dell'Uomo,
per Lui, non è l'egoismo ma la virttì, il perfezionamento della
sua natura morale; applicazione progressiva del vincolo di
fratellanza e d'amore che insieme ci lega alla famiglia, alla
Patria, alle relazioni fra un ceto e l'altro, nel senso di questa
— all'ordinamento civile delle Nazioni fra loro, nel seno della
comune Umanità. — Mazzini intende, anzitutto, ad edificare
in voi r Uomo morale nella piena coscienza de' suoi uffici e
de' suoi doveri sociali. — Ma con ciò appunto egli vi addita
la via — la vera via — del progresso in tutt'altre cose.
8 ALLA FRATELLANZA ARTIGIANA DI CHIARA VALLE.
Non si consegue alcun bene quaggiù senza lavoro e senza
sacrificio. Dio volle che ogni miglioramento delle umane con-
dizioni fosse il frutto di lunga assidua fatica, di ben portati
patimenti e d'ardue prove. Ma in ciò appunto è riposto il
segreto della nostra destinazione a ciò che è grande, nobile
e buono. — Se fosse facile la via alla felicità, e se questa
fosse, per sé sola, il fine della vita, noi saremmo poco da più
delle bestie. — Il lavoro, la virtù e V associazione sono le tré
fciville che guidano la marcia delle Nazioni verso la mèta a
cui Dio le destina.
Santifichiamo adunque, non distruggiamo i vincoli del So-
ciale Consorzio — la famiglia, la città, la Nazione. — Inten-
diamo a migliorare non a disperdere gli strumenti dell'opera
nostra sopra la terra; procuriamo di renderli accessibili a
tutti ; non usurpando l'altrui proprietà, ma combattendo gì- in-
giusti privilegi e i monopoli che ne restringono in pochi i be-
nefici. — Camminiamo virilmente nelle vie del progresso che
conduce a libertà — non in quelle dell'anarchia che conduce
alla decadenza e alla servitù.
Queste ed altre consimili verità scendono dalla dottrina
del grande Educatore : ed è dottrina di, vita e di sicurtà ci-
vile pei Popoli che la seguono. Possa il Popolo italiano — al
quale più particolarmente Egli consacrò pensieri, affetti ed
opere — intenderla quant'altri, e più ; e procedere sull'orme
Sue verso nobile fine !
Intanto, ogni Sodalizio d'Operai che s'informi al Vero e
al Giusto da que' principi, è elemento di virtù nazionale : ed
io mi rallegro con voi, mio caro Paolini, e coi vostri compagni....
SUL MATRIMONIO RELIGIOSO.
LETTERA A GIOVANNI CORTESI DI RAADNNA.
San Varano presso Forlì, 6 ottobre 1876.
Egregio Signore,
Ho d'uopo di tutta l'indulgenza di Lei e dell'amico suo
pel lungo silenzio frapposto a rispondere alla sua del 14 set-
tembre scorso. Ma la mia assenza da Forlì per quasi un mezzo
mese, a cagione del Congresso Operaio tenutosi ultimamente
in Genova, mi scusi dell' involontario' ritardo nel sodisfare al
desiderio ch'Ella mi esprime.
Mazzini non avrebbe certo approvato, in chi professa prin-
cipi religiosi e morali superiori alle vecchie credenze, un atto
di adesione esplicita a queste ultime in contradizione coi con-
vincimenti dell'animo. — Mentire, per umani riguardi, alla pro-
pria coscienza, è e sarà sempre ipocrisia ed immoralità. — Ma
da una positiva confessione di fede cóntro coscienza, al non
rifiutarsi di attendere — senza aderirvi — a forme religiose
sinceramente seguite dall'altrui fede, corre un radicale di-
vario : — e vi sono gravi, oneste e sante ragioni che possono,
in sì fatti casi, consigliare — anzi ingiungere — come dovere,
di non fare violenza, per le proprie, alle altrui opinioni; e
il caso dell'amico suo è appunto uno di questi. — Non si ri-
formano i pregiudizi della educazione passata d'intere gene-
razioni affrontandoli col disprezzo o combattendoli con la
forza ; — ma sì bene illuminando le anime, sulle vie del pro-
gresso intellettuale e morale, con la virtù del Vero, del Buono,
con l'apostolato amorevole di credenze migliori, con la tol-
leranza, col rispetto del sentimento religioso che dura pe-
renne nella coscienza dell'Umanità, sotto il velo delle forme
che passano.
Tale tolleranza, tale rispetto per le credenze altrui erano
da Mazzini profondamente sentiti ; né certo Egli avrebbe bia-
simato un mero contatto esterno con le forme tradizionali di
quelle credenze, se imposto dal dovere morale e sociale di
XII. 2
10 SUL MATRIMONIO RELIGIOSO.
non provocare dissidi o profonde amarezze fra persone legate
fra loro dai sacri vincoli della comunione domestica.
Per queste ragioni ch'io credo giuste ed oneste — e che
indussero me pure a non respingere, nel caso mio, i riti pre-
scritti dal costume inglese al legame nuziale — io non con-
siglierò di certo l'amico suo d'imitare i fanatici delle^ vecchie
religioni, rifiutando, in nome della religione dell'avvenire,
la propria presenza materiale ad una cerimonia discorde dal
suo sentire, ma degna di rispetto dinanzi ai convincimenti
altrui.
E senza più ec.
11
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
Maggio 1877.
Mi è grato trovarmi fra voi, bravi operai e cari concit-
tadini, al riaprirsi di questa vostra Scuola, in questa città,
che fu sempre una delle più industri e laboriose città di Ro-
magna, e nutrice ad un tempo di arditi e devoti patrioti, che
pagarono, in tempi difficili, largo tributo di sacrifici alla Causa
della Patria comune.
Piacque al vostro Municipio ed a voi, or ha qualche anno,
di onorarmi del titolo di vostro cittadino. Che posso io ren-
dervi in contraccambio, nella presente opportunità, se non una
parola d'affetto, di conforto, di fede operosa nelle sorti del-
l'Italia nostra, e nelle attitudini del suo popolo a proseguirle
mercè i sussidi di una generosa coltura?
Ora, queste scuole popolari possono e devono essere, ri-
spetto a tale coltura, ciò che i semenzai dell'agricoltore sono
alla coltura del campo.
Spetta alla scuola, informata ad una vera e santa idea
della missione della vita, e intesa ad applicarla, di grado in
grado, ai compiti dell'umano consorzio nella famiglia, nella
città, nella comunanza nazionale, il formare uomini e citta-
dini atti al lavoro di una feconda civiltà.
La prima radice del progresso delle Nazioni è riposta nel-
l'indole e nelle capacità degl'individui che le compongono. Le
buone leggi rimovono gli ostacoli che s'attraversano allo svol-
gimento delle loro facoltà; ma non le creano, né bastano,
sole, a farle operare.
la generale, il concetto che governa, nella età nostra, i
modi dell'insegnamento è difettivo ed inefficace. Si cura la
istruzione della mente più che la educazione del cuore;
si pretende di preparare la intelligenza agli uffici della ci-
viltà, affaticandola precocemente di mal digesto cognizioni
scientifiche e tecniche, e non si studia di destare la potenza
morale degli animi, dalla quale la intelligenza trae lena e
12 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
calore; e, tanto nell' istruire che nell' educare, la pedanteria
de' metodi inaridisce le fonti del pensiero e della volontà, so-
stituendo le morte formole de' libri scolastici alle vive mani-
festazioni del libro della natura, e i precetti introdotti ma-
terialmente ne'cervelli degli alunni, all'amorevole ed assidua
disciplina di quegli abiti di virtù che naturalmente germo-
gliano nella vergine fanciullezza.
La importanza di una buona e forte educazione, diretta
a nutrire il vitale accordo delle facoltà intellettive con le fa-
coltà morali, è nondimeno sentita in Italia, forse più che al-
trove, pel genio nativo e per le tradizioni storiche della nostra
stirpe: e questo senso va operando, malgrado gli avversi
auspici e gli scarsi incoraggiamenti, anche nelle scuole offi-
ciali, mercè la virtù di parecchi fra i nostri maestri. Le scuole
del popolo, e quelle in particolare che si ispirano ai principi
del suo grande Educatore — Giuseppe Mazzini — possono e de-
vono promovere e perfezionare il vero concetto della pubblica
istruzione.
Lo Stato— -il giorno in cui lo Stato diventi ciò ch'esser
. dovrebbe, un ministerio elettivo, e progressivamente soggetto
a riforma, del pensiero, de' bisogni e degli uffici universali
della Nazione — risponderà vieppiù sempre ai principi che
guideranno, per opera della scuola, la ragione e la coscienza
comune del popolo: vale a dire, che la scuola, svolgendo di
cerchio in cerchio la sua azione educatrice nella società, s'in-
tegrerà nello Stato, vivificandolo in tutte le sue relazioni in-
terne ed esterne; perchè nella scuola, cioè nell'insieme de-
gl'influssi intellettuali e morali che danno lume e indirizzo
all'anima di un popolo, vive, si move e si perfeziona la sua
personalità civile.
Ma lo Stato, per sé solo, non può, anche con la migliore
delle costituzioni, se non apparecchiare il campo alla coltura
e all'opera della vita: il vigore della vita stessa dipende dalla
intrinseca disposizione degli uomini ; né giovano gl'istituti del
buon governo, se il senno, la vigilanza, il concorso volonte-
roso de' più, non contribuiscono attivamente a farli fruttare.
Io voglio fare una ipotesi, che potrebbe, quando che sia,
divenire una realtà; e che, per ciò appunto ci suggerisce Pob-
bligo di chiedere a noi stessi, se siamo preparati o potremo,
in processo di tempo, prepararci ai doveri che tale realtà
c'imporrebbe.
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 13
Immaginate che l'Italia, un giorno, stanca del malessere
che la travaglia, cerchi rimedio alle sue infermità in una
forma più larga e più equa di reggimento. Immaginate che,
valendosi de' più alti concetti della scienza politica, riesca a
fondare una costituzione esemplare. Poniamo adunque che il
nuovo Patto nazionale, e le leggi che ne discendono, aflferraino
la libertà in tutte le sue attinenze con l'azione individuale e
con l'azione collettiva de'cittadini: che la libertà personale,
la libertà del pensiero, della coscienza, della parola e della
stampa ; il diritto di riunione e di associazione ; tutto quel-
l'insieme di funzioni, insomma, che servono all'organismo della
vita sociale, come la respirazione serve all'organismo della
vita animale, siano dichiarate immuni per natura da ogni
arbitrio di restrizioni legislative e ministeriali.
Poniamo che, con gli ordini della libertà, armonizzino quelli
della eguaglianza politica di tutti i cittadini ; che il voto e la
eleggibilità ai pubblici uffici siano aperti a tutti indistinta-
mente ; che tutti siano chiamati alle armi, come custodi del
comune Diritto e della integrità della Patria; e che il si-
stema giudiziario e penale circondi tutti questi beni delle più
compiute guarentigie che la esperienza e la ragion giuridica
abbiano escogitate sinora contro gli abusi del potere da un
lato, e la violenza privata dall'altro; sì che il vivere civile
possa accostarsi ognor più al suo quasi divino equilibrio,
mercè la vitale armonia della libertà con l'ordine pubblico.
Supponete inoltre, che i postulati della scienza economica,
concordandosi coi criteri della giustizia e col rispetto della
umana dignità ne' contratti fra capitale e lavoro, instaurino,
per quanto dipende dalla legislazione, le condizioni più favo-
revoli allo sviluppo delle operosità produttive nelle officine
e ne' campi, e" all'equa partecipazione di tutti i fattori della
produzione ne' profitti della medesima; che sia bandito ogni
monopolio, dato libero spazio allo spirito di associazione e
di cooperazione, diffuso il credito a tutte le classi, sgombra
ogni via alle intraprese industriali, agricole, commerciali , e
che infine, ridotte le imposte ne' limiti strettamente rispon-
denti alle necessità della pubblica amministrazione, rispet-
tato ne'contribuenti poveri il bisognevole della vita, e inte-
grato il servizio militare nelle funzioni comuni del cittadino,
tornino di tal guisa ad incremento della prosperità del Paese i
capitali che di presente si consumano nel soverchio delle spese
14 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
improduttive dello Stato, e le forze vive che oggi rimangono
sequestrate, durante il miglior fiore della loro gioventù, dalla
coscrizione e dalla caserma.
Immaginate, dico, tutto questo : poniamo che la ipotesi di-
venti un fatto. Or bene: i nuovi ordini, le giuste teggi, la
provvida economia, vi forniranno le condizioni esterne, l'atmo-
sfera respirabile, l'ambiente idoneo allo svolgimento della
vita, non la essenza e la forza iniziatrice del moto vitale.
La vita è in voi: le sorgenti delle sue manifestazioni sono
riposte nel fondo delle anime vostre, i suoi procedimenti, i
suoi progressi, dipendono dal vostro pensiero, dalla vostra
volontà, dal vostro lavoro.
Le istituzioni fioriranno,, se nutrite e sostenute dai vostri
costumi : scadranno, se ne' vostri costumi non sia sostanza di
bene: e la virtù de' costumi sorge dalla strenuità degli animi,
e dagl'istinti di una ingenita probità nell'intimo essere di
una Nazione.
IL
Ho detto ch'io intendo recarvi una parola di conforto e
di fede. Ciò che sto per dire non move quindi da poca fidu-
cia nelle attitudini della nostra razza, nelle nostre attitu-
dini a rifar prospera e bella, con la libertà e con la giustizia,
la terra de' nostri padri. Io ho una gran fede nella libertà,
ed una fede ancora più grande nella nativa capacità del Po-
polo italiano a rialzarsi dalle sue cadute, a vestire di nuova
gioventù l'opera della sua Storia, guasta dalle ingiurie degli
uomini e della fortuna. Ma l'esame di ciò che è contrario al
nobile intento, anche se i difetti che si passano in rasségna
non sono in tutto nostri difetti, ci aiuta a guardarcene e ad
addestrarci alle corrispondenti virtù.
Insisto adunque su questo, che le buone e libere istitu-
zioni tanto valgono, quanto il Popolo che le possiede sa farle
valere; e che non basta, essendone privi, desiderarle: bisogna
sapere e voler farsene capaci e degni.
Infatti, se alle condizioni della libertà, della eguaglianza,
e della buona economia sociale, non rispondono le inclina-
zioni, le usanze, e la volontà del maggior numero: — < Se, >
come dice saviamente un insigne filosofo inglese, Stuart Mill,
/c per indolenza, per ignavia, o per difetto di spirito pubblico.
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 15
i più sono inetti agli sforzi necessari alla conservazione di un
Governo libero; se non sorgono a difenderlo quando sia ag-
gredito; se si lasciano ingannare dalle arti che insidiano la
loro libertà ; se per un momentaneo scoramento o timor pa-
nico, mossi da cieco impulso d'entusiasmo per un individuo,
essi corrono a deporre i loro diritti a' piedi di un uomo — né
monta ch'egli sia grande; — o s'inducono ad affidargli poteri,
che lo abilitino a sovvertire le loro istituzioni; essi si mo-
strano, in tutti questi casi, più o meno incapaci di libertà.... >
Ancora : < se per impeto di passioni, od eccesso di orgoglio
personale, non sanno astenersi, ne' loro contrasti, dal venire
a privati conflitti, invece di lasciare alle leggi e ai magistrati
il far giustizia de' loro torti.... se, d'altra parte, non sono di-
sposti a cooperare attivamente alia esecuzione delle leggi
stesse nella ricerca e nella repressione de' malfattori; se. come
gl'Indiani, giureranno falso per coprire il malandrino che li
ha derubati, piuttosto che esporsi ai fastidì di una procedura
giudiziaria o alla vendetta dell'aggressore; se, come avviene
in alcune contrade d'Europa, > dice il Mill, < i cittadini, ve-
dendo un uomo dar di coltello a un altr'uomo nella pubblica
strada, passano tranquillamente dall'altro lato, perchè, al
veder loro, è ispezione della polizia brigarsi del caso, e per-
chè reputano prudente non mescolarsi di ciò che non li con-
cerne, > — è grandemente da temere, che dove sì fatte disposi-
zioni prevalgono, le migliori leggi del mondo facciano poco
frutto. « Quale efficacia, > soggiunge egli, < potrebbero avere
le migliori regole di procedura, gli ordini giudiziari più ac-
conci ad assicurare la giustizia, dove, per mancanza di senso
morale, i testimoni ordinariamente mentissero, e i giudici si
lasciassero corrompere dalle sportule de' litiganti o de' preve-
nuti? Che sarebbe da sperare dal mero prestigio delle isti-
tuzioni rispetto ad una buona amministrazione del Comune
0 dello Stato, se gli onesti e capaci si tenessero in disparte,
e gli uffici pubblici cadessero in mano di coloro che li am-
biscono per utile privato? A che gioverebbe il più largo si-
stema elettorale e rappresentativo^, se gli elettori non cu-
rassero di eleggere i migliori, ma vendessero i loro voti al
maggior offerente? Che costrutto si caverebbe, infine, da
un'Assemblea, composta di deputati venali, o turbolenti e
incapaci di pubblica disciplina e di freno di educazione pri-
vata sulle proprie passioni ? >
16 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
Stuart Mill dice il vero: e voi potete, miei cari amici,
trovare riscontro a questa legge naturale, che fa dipendere
gli utili effetti e la durata delle buone istituzioni dal valore
morale degli uomini che devono servirsene, non solo nelle
grandi e generali relazioni della vita politica, ma in ogni
grado di organismi sociali a voi più vicini e più familiari.
Così, per esempio, se in una Società di mùtuo-soccorso accada
che i soci trascurino di pagare il tributo mensile e di ve-
gliare alla buona amministrazione del sodalizio; se non si
mostrino solerti, benevoli, disposti a confortarsi nelle infer-
mità e nella sventura, a darsi la mano per istruirsi e farsi
migliori; ma siano, invece, malcostumati, invidi, propensi
ai parteggiamenti e alle risse; la Società finirà col fallire e
dissolversi. Dite il medesimo di una Società cooperativa di
produzione o di consumo; di una compagnia industriale o
commerciale, di una Banca popolare di credito, e somiglianti.
Gl'istituti più vantaggiosi all'incremento del benessere sociale
verranno meno al loro fine, se chi deve valersene non sappia
o non voglia farne buon uso : la mala prova, generando dif-
fidenza e sfiducia, distruggerà il credito, spegnerà lo spirito
di associazione; e la classe che più dovea profittare di questi
beni, invece di prosperare e progredire, ricadrà nell'inerzia,
nell'isolamento, e nella miseria.
Voglio chiudere il novero di questi esempi con un'ultima
osservazione. Intento economico e civile di un buon sistema
amministrativo e tributario, che sopprima le spese superflue
dello Stato, e riduca le tasse alla misura strettamente richie-
sta dalla pubblica utilità, ripartendone il carico in equa pro-
porzione ai mezzi de' contribuenti, si è quello, voi mi direte,
di nutrire le sorgenti della prosperità generale, e conseguen-
temente della coltura intellettuale e morale di tutte le classi
de' cittadini, rendendo possibile a tutti una maggior somma
di risparmi da applicare al lavoro produttivo, all'istruzione
e alla educazione pubblica. Ma, se i risparmi concessi dalla
diminuzione delle imposte, invece d'essere impiegati in utili
operosità, sono sprecati, dal ricco, in improvvide e disone-
ste speculazioni, in turpi sollazzi, nel giuoco, nel lusso, nella
crapula, sconsacrando la ricchezza d'ogni santa rispondenza
a' suoi fini sociali: dal povero, in volgari baldorie, consu-
mando, di giorno in giorno, all'osteria ciò che, provvidamente
accumulato, gli fornirebbe a suo tempo il piccolo capitale ne-
PAEOLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 17
cessarlo ad intraprendere una modesta industria, a parteci-
pare ad una società cooperativa, ad inalzare sé stesso e la sua
famiglia alla dignità dell'onesto lavoro, all'intelletto de' gen-
tili e santi affetti della vita, all'amore della sua patria, e al
buono orgoglio di sentirsi libero ed utile cittadino nella mede-
sima; è chiaro che la riforma amministrativa e tributaria non
darà il frutto sperato. Dove all'economia dello Stato e alla
riduzione delle tasse non corrisponde un aumento progressivo
della potenza produttiva, materiale e morale della Nazione ;
dove abbienti e non abbienti abbiano l'ozio per compagno
della vita, e non adorino altro Iddio che il piacere; ivi il
vizio e l'egoismo faranno effetti non meno funesti di quelli
dell'esorbitante numero de' pubblici funzionari e della sover-
chia gravezza delle imposte : perchè povero e misero irrepa-
rabilmente è, più di un Popolo che paga troppo, un Popolo
che non fa niente, che non si aiuta, che non si associa, che
non consacra all'incremento della propria virtù il frutto delle
proprie fatiche.
Che voglio io dire con ciò? Quello che ho detto da prin-
cipio: che, cioè, il buon ordinamento politico, giudiziario ed
economico dello Stato apparecchia le condizioni esteriori del
progresso delle Nazioni; ma che la fonte vera del moto civile
ha origine ed alimento dalla virtualità morale del Popolo,
che deve usare a buon fine de' propri istituti ; dalle sue qua-
lità d'animo e d'intelletto, dalle idee che lo guidano, dai
sentimenti che lo movono a volere e a fare; e che quindi il
primo, il grande problema, dal quale dipendono tutti gli altri
problemi politici e sociali, è, come inculcava Mazzini, pro-
blema di EDUCAZIONE.
Io so l'obbiezione che suol farsi a questi argomenti. In
vero, osserverà taluno, ciò che voi dite è chiaro ed elemen-
tare, sì che ciascuno può intenderlo assai facilmente. Certo,
la più perfetta delle Repubbliche non potrebbe risanare su-
bitamente, come per miracolo, una società corrotta, elevare
d'un tratto un Popolo ignorante ed inerte alle più alte ca-
pacità della vita politica. Ma, come sperare che queste capa-
cità possano svolgersi e fiorire in uno stato di cose in gran
parte contrario al loro sviluppo? Come educarsi alle usanze
della libertà dove regge il privilegio, al rispetto delle leggi
dove governa l'arbitrio, a veracità e moralità dove la fer-
mezza de'convincimenti e la verecondia de'costumi sono merce
18 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
scaduta? — Dico che, malgrado tutto questo, malgrado l'an-
gusto spazio, in cui sono ridotte le forze riparatrici della vita
civile dai cattivi ordini dello Stato, l'azione di tali forze non
è però impossibile né di poco momento : — che la trasforma-
zione di quegli ordini e l'adattamento dell'ambiente politico
al pieno e spontaneo incedere del progresso di un Popolo,
dipendono da circostanze generali, su cui poco o nulla può
la volontà immediata de' singoli cittadini e delle parti poli-
tiche, sino a tanto che i bisogni, i principi e le forze morali,
che tendono al mutamento, non commovano tutta la mole
del Paese, o tanta e sì autorevol parte di questo, da rendere
la trasformazione irresistibile, come decreto della ragione e
della volontà dell'universale: — ma che, di qua da quel ter-
mine, resta pur tuttavia un egregio lavoro da compiere.
Darsi ad intendere che, per cooperare al progresso, sia
indispensabile aspettar prima la pienezza di quelle condizioni
che, senza progredire almeno in parte, non è dato raggiun-
gere, è uno scoraggiante sofisma, il quale tende a chiudere
in un circolo vizioso quella fede e quella virtù che dovreb-
bero spendersi a promovere le generose ed utili operosità,
onde un Popolo si fa strada a sorti migliori. Dico, che nessun
arbitrio e nessuna seduzione possono corrompere, avvilire, ar-
restare nel cammino del bene, chi non si lascia arrestare,
avvilire e corrompere : — che, per nostra ventura, sono nella
moderna società, sotto il viluppo delle sue viete forme, istinti,
idee e principi, incarnati nella sua coscienza, che vincono
ogni attentato arbitrario ed ogni influsso corrompitore. E per
fermo, se ciò non fosse, la civiltà europea si sarebbe da
tempo affondata in una irrimediabile decadenza, come av-
venne della civiltà pagana; mentre è successo il contrario.
Malgrado la conquista, malgrado l'alleanza del pastorale e
della spada, malgrado papi, imperatori e re, l'Europa ha pro-
gredito e progredisce tuttodì sulle vie della libertà e della
vita. Se fosse vero che, sotto Governi oppressori o privilegiati,
le grandi idee e le grandi virtù non allignano, la indipen-
denza e la unità d'Italia non sarebbero un fatto; né sarebbe
stato possibile, segnatamente per la Patria nostra,- il portento
dei suoi reiterati risorgimenti : da quello che la riscosse, nel
medio-evo, dalla rozza barbarie de' vincitori di Roma, a quello
che l'ha riscossa, a'dì nostri, dalla barbarie decorata.del Pa-
pato e dell'Impero.
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 19
• Non qì sconforti una breve giornata di sosta, pel disin-
^ ganno che arreca ai voti e alle speranze della nostra vita
individuale. Il proporsi, come condizione di attività nel breve
k compito dell'opera nostra, l'adempimento intero del nostro
pensiero ideale, è vanità od egoismo. Questo pensiero non è
mstro, ma delle generazioni che si succedono sulla via sacra
della vita della Nazione, trasmettendosene dall' una all'altra
la face immortale. Lavoriamo, secondo la misura delle forze
e del tempo assegnato a ciascuno di noi, alla edificazione
della Patria che Dio ci ha data : portiamo, con animo devoto
e mani incontaminate, la nostra pietra al Tempio dell'avve-
nire, senza chiedere la mercede dell'opera, come per fatica
venale. E se i fati ci contendono di veder sorgere, ne' giorni
a noi prescritti, l'edifizio della nuova vita all'altezza deside-
rata, non allentiamoci per questo nella fede e nel Javoro.
E, sopratutto, non guastiamo, non contristiamo, con incon-
' sulti conati e lotte insane, il grande, legittimo e santo conato
della continua e costante progressione delle forze e delle ar-
monie sociali verso il termine a cui le indirizza e conduce
il pensiero dei tempi.
i E c'incuori a perdurare l'esempio de' padri.
III.
L'Italia è la terra de'grandi risorgimenti.
Lasciamo stare l'antica grandezza: la sabina, l'etrusca,
la romana virtù: il concetto della civile università delle genti,
portato dall'aquile delle italiche legioni agli estremi confini
del mondo pagana: lasciamo stare la missione unificatrice
di Roma cristiana nell'età media: i barbari domati, ingen-
tiliti dal prestigio delle sue memorie, dalla maestà del suo
nome. — Guardiamo al popolò de' vinti: alle vittorie riportate
dal lavoro delle loro braccia e dalla potenza del loro ingegno
sulle forze selvaggie della natura e sulla ferità degl' invasori.
La storia de' nostri padri, in que' secoli, è la storia di ciò
che possono il pensiero e il lavoro di un Popolo che si desta
a generosi ricordi e a presentimenti magnanimi. E quella sto-
ria, co' suoi nobili esempì e co' suoi errori, vi dovrebbe essere
raccontata con senno ed amore in queste scuole: dovrebbe
esser fatta quasi maestra e scorta del vostro vivere civile.
20 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA,
perchè è la nostra storia: la storia del Popolo d'Italia, che
il Popolo d'Italia, risorto oggi a possibilità di vita propria,
deve continuare, evitandone i falli e le colpe, ampliandone
le illustri tradizioni e le forti e benefiche operosità.
Que' nostri antichi di nove secoli addietro, e quelli che,
per tre o quattro cento anni, succedettero ad essi, erano
uomini che non conoscevano sgomento o stanchezza nella bat-
taglia della vita. I barbari aveano tolto ogni cosa ai loro ante-
nati; — le terre, le case, le leggi, la Patria: aveano distrutto
parecchie delle loro città, dispersi gli avanzi della sapienza
e dell'arte antica. I più fortunati fra quelli erano riusciti a
rifugiarsi nelle città marittime, fra gli scogli delle coste na-
poletane e liguri, nelle maremme dell'Arno e del Po, nelle
lagune dell'Adriatico — in Amalfi, a Pisa, a Genova, a Ra-
venna, a Venezia. I rimasti nelle antiche sedi, ridotti alla
condizione di tributari e di servi, erano addetti al lavoro
de'campi intorno ai castelli de' nuovi Signori, o ai mestieri
manuali ne' borghi e nelle città. E lunghi annidi schiavitù,
di miseria e di obblio, passarono su quel volgo innominato: e
venne un giorno nel quale, tra quelle tenebre, la vita parve
non aver più fede in sé stessa, e invalse negli animi una cieca
idea della imminente fine del mondo. Era il mille: e quel-
l'anni, secondo oscure profezie, dovea chiudere per sempre
la vicenda delle cose mortali. Il primo dì del mille e uno,
dovette essere davvero uno stupendo e lieto e grande capo
d'anno per la generazione che si riaflfacciò con esso alla vita.
Il sole apparve, come al solito, sull'orizzonte, rianimando
co' suoi raggi la derelitta natura e le semispente speranze
umane. I Signori aveano forse attinto al pensiero della morte
sentimenti più miti: i lavoratori della terra e gli artigiani
dovettero rimettersi all'opera con l'animo di chi risorge, come
affrancato, alla fiducia nella Provvidenza e nell'avvenire. Fu,
s'io ben discerno, la prima rivoluzione de' tempi nuovi, gra-
vida del germe di una intera civiltà. In fatti, a breve andare,
i soggetti alzarono il capo. Il vincolo della fraternità cristiana
li avea, da tempo, accomunati spiritualmente ai dominatori :
la necessità della comune difesa contro altri barbari avea
congiunto conquistati e conquistatori in una stessa milizia. Gli
uni e gli altri si ritempravano per mutui influssi di novelle
energie. A poco a poco, la religione e il costume più civile
convertivano, ne' latifondi delle Chiese e ne' Feudi, i servi della
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 21
gleba in franchi affittaiuoli e mezzadri: le plebi urbane in
compagnie di liberi artigiani. La terra era, in gran parte,
selvaggia e paludosa: il lavoro degli affrancati diede indirizzo
al corso dell'acque, arginando fiumi e scavando canaii; pro-
sciugò i paduli; tramutò in fiorenti campagne le valli de-
serte e malsane; le città furono riedificate.
Già, sino dai tempi del dominio longobardo, e sotto i fran-
chi, e sotto i primi imperatori tedeschi, i maestri comadni —
così si chiamavano dalla loro origine comasca o lombarda,
associati in vasta confraternita, gli architetti e i capi-mastri
di quella età — e, insieme con essi, i lavoratori in mosaico,
gli scultori, gl'intagliatori in legno, aveano, nelle cattedrali,
nei cenobi, e nelle magioni dei grandi, dato inizio all'impero
dell'arte sulla rozzezza dei barbari. E quant'altre umili lavo-
rerie servivano agli usi domestici e guerrieri di questi ultimi,
crebbero in arti prosperevoli, traendo a sé, di mano in mano,
parte delle usurpate dovizie di quella oziosa e superba no-
biltà militare. -E un'antica consuetudine, non sopraffatta dalla
conquista, univa fra loro gli operai d'ogni arte in iscmle;
che così erano dette, sino dai tempi del Romano Impero, le
Società degli artigiani, de' militi, e dei cultori delle varie pro-
fessioni: ed ogni scuola, o tutte insieme nelle risorte città,
aveano loro consoli o giudici, serbando, fra gli abbattimenti
della conquista, la incerta immagine e l'occulto istinto della
vetusta grandezza. E quelle plebi — eredi del nome romano —
ricrearono il nuovo Comune, e la nuova ricchezza, e l'arte
nuova. Le città marittime rinnovellarono, prime, la vita civile
d'Italia. < Il mare, il commercio, l'attività, > dice un dotto
cultore delle storie nostre,* «aveano rigenerato gl'Italiani.
Nel mare si ribattezzò la nostra virtù, e veleggiammo a com-
merci insino allora intentati, e penetrammo in terre dove
non avea messo piede il legionario romano. Il tipo del mer-
cante, nelle fitte tenebre della barbarie, non fu tra noi il
povero israelita, taglieggiato e schernito, ma il Veneziano e
l'Amalfitano col suo berretto rosso, la sua spada aguzza, il
suo indomito coraggio e il suo pronto ingegno. E da que' na-
viganti, da quelle plebi urbane, surse, figlia del lavoro e delle
avventurose peregrinazioni, la potenza economica e civile delle
nostre città ; e i ricordi della romana virtù, scolpiti nei muti
' Filippo Perfetti, Spirito della Storia d* Italia, Discorso II, p. 48.
22 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA,
avanzi di un mondo sepolto, scaldarono gl'ingegni di quegl' in-
faticabili lavoratori, fecondando i germi di una civiltà, le cui
propaggini doveano dall'Italia distendersi per tutta Europa.
€ Incaluere animi > — s'accesero gli animi ; — è questo il
motto, che il padre degli studi della Storia patria, Lodovico
Antonio Muratori, premette ai Volumi sacri delle sue Anti-
chità italiche.
S'accesero gli animi : e l'amalfitano Flavio Gioia inventa
la bussola; il veneziano Marco Polo viaggia, nella seconda
metà del secolo XIII, per le interne regioni dell'Asia, non
esplorate, prima di lui, da uomo europeo; riportandone, al
ritorno, un tesoro di notizie e d'osservazioni, la cui perfetta ve-
racità fu riconosciuta dai posteri ; il pisano Fibonacci dà, con
l'Abbaco, il primo inizio alla scienza del calcolo ; i negozianti
delle città marinare conquistano coi loro traffici l'Oriente,
istituiscono colonie e fattorie sulle coste dell'Egeo e del Mar
Nero, e danno regole agli scambi e leggi al commercio e alle
imprese marittime; i lanaiuoli e i setaiuoli di Lombardia e di
Toscana stabiliscono fondachi e banchi a Parigi, a Londra,
in tutte le capitali d'Europa. E sul lavoro materiale s'inalza,
con rapido volo, la fervida virtù degl'intelletti; e già, nel ci-
tato secolo, prima che le arti belle e le lettere avessero rice-
vuto alcuna regola di precetti, un giovane lavorante in marmo,
Nicolò Pisano, cava da qualche frammento di vecchi ornati
e statue, fra le rovine dell'arte greca e romana, l'idea della
classica bellezza, e ne anima le forme della scultura eh' egli,
primo, ricrea. Poco stante, il figlio di un villano del contado
di Firenze, Giotto, ispirandosi, dietro l'esempio di Nicolò e
della sua scuola, a quella stessa idea, la trasporta nella pittura,
e veste de' primi lineamenti del bello antico la purità dell'arte
cristiana. Un povero venditore di zolfanelli per le strade di
Firenze, Taddeo, lascia, a trenta anni, il suo umile mestiere, si
mette a studiare, e diventa il più grande naturalista e medico
del suo tempo. La gentile armonia della favella toscana s'ap-
prende al pensiero delle nuove cittadinanze e sorge Dante:
interprete, secondo il sapere dei tempi, della passata italia-
nità e profeta della futura, primo fondatore della unità mo-
rale della Patria nella unità del pensiero e della lingua, rive-
latore alle genti della legge che le conduce ad armonia civile
nella universale società del genere umano. Il figlio di un
notaio d'Arezzo, Petrarca, innamora col canto l'Europa della
PABOLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 23
dolcezza del nuovo idioma; il figlio d'un mercante di Cer-
taldo, Boccaccio, ne appropria le svariate forme a tutte le
realità della vita e de'costumi de' giorni suoi, suscitando con-
tro la ignoranza e le corruttele della cadente Teocrazia il
riso arguto delle franche cittadinanze italiane; e l'uno e l'al-
tro schiudono alla novella età le dovizie delle Lettere anti-
che, precorrendo, con faticoso studio e presaga erudizione,
al rinascimento della Filosofia e della Scienza.
Insieme alle forme dell' idioma nativo, si perfezionano
le forme dell'Arte. Si fahhricano, con le contrihuzioni e con
l'opera del popolo, i duomi, i palazzi di città, i campisanti:
que' monumenti d'insigne grandezza e castità di stile, che il
mondo ammira ancora e non sa più imitare. Si fondano le Uni-
versità degli studi : e la equità della romana giurisprudenza
penetra negli statuti de' nostri Municipi; la giurisdizione dei
Comuni allarga, intorno alle mura delle città, i liberi contadi
e riduce entro limiti sempre più ristretti le signorie feudali ;
l'intelletto italico trionfa della teutonica conquista.
E, dacché il lavoro era stato strumento alla niaravigliosa
risurrezione, e la idea dell'antica libertà madre alla nuova,
quei nostri maggiori fecero del lavoro condizione e titolo di
nobiltà civile e di attiva cittadinanza, vietando i pubblici
uffici a chi non fosse ascritto ad un'arte, o ad una profes-
sione liberale; e dalla città antica presero i nomi, e in parte,
i modi del reggimento.
E questa fu la parte buona, nobile e feconda della loro
storia.
Ma il progresso umano, come il progresso fisico, va gra-
duandosi, per legge di natura, dal particolare al generale,
dalle forme più semplici e più elementari de' primitivi con-
sorzi, ai più vasti e più complicati organismi sociali: però
l'opera di que' nostri antichi, necessariamente circoscritta nel
giro delle utilità, delle passioni, e dell'amor patrio municipale,
non riuscì a compiersi nel vincolo della comunanza nazio-
nale. E, peggio ancora, avendo essi dovuto sostenere una fiera
e lunga lotta coi discendenti dei conquistatori, con nobili
d'origine straniera, in perpetua guerra fra sé medesimi, e
incapaci di ordinarsi politicamente e fondare la unità dello
Stato; ridotti che gli ebbero a sottomettersi all'autorità del
Comune e a prendere stanza nelle città, ne appresero gli
abiti turbolenti e ribelli ad ogni freno legale. Onde avvenne
24 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
che, mentre la storia economica, intellettuale ed artistica
delle Repubbliche italiane del medio-evo raggiò degli splen-
dori del genio, illuminando il mondo della sua luce, la loro
storia politica non fu che una tumultuosa scena di alterne
liti fra nobili e borghesi, popolani grassi — come si dice-
vano — e popolo minuto, e prevalse, in mezzo a loro, un par-
teggiare continuo di consorterie, intese ad occupare gli uflBcì
per utile proprio, non del Comune, a proscriversi e spogliarsi
a vicenda, empiendo di confusione le loro città, di pianto le
loro famiglie, e d'infelici esili tutta la terra.
La esuberanza stessa delle loro energie individuali ren-
devaJi poco atti al buono e riposato vivere civile. Essi con-
sideravano la libertà come mezzo di potenza e di attività
personale de'cittadini statuali, cioè de' privilegiati, non come
diritto nativo dell'Uomo, da tutelarsi con eguale giustizia
per tutti ; e le sètte, nelle quali erano divisi, si reggevano con
la violenza, non con la legge.*
Di modo che all'Italia, per questa e per altre cagioni più
generali che richiederebbero tròppo lungo discorso, non suc-
cesse, in que' tempi, né di stabilire la sicurtà del convivere
cittadino mercè la inviolabilità legale delle persone, come
hanno potuto fare gl'Inglesi e gli Anglo-Americani,* né di
comporre le sparse membra della Patria loro a nazionale ar-
monia. E venne il giorno, in sul cadere del secolo XV, che,
assaliti di fuori, soggiacquero senza difesa all'insulto stra-
niero, lasciando, da indi in poi, che la loro terra fosse campo
aperto alle gare e alle invasioni dinastiche de' monarchi d'Eu-
ropa ; e che il dolore e l'onta di trecento e più anni di ser-
vitù passassero sulle obliate sepolture de' loro antichi, sinché
dal fondo della loro sventura spuntò quella idea di una co-
mune vita nazionale, che, preconcetta da pochi alti e solitari
intelletti, nelle trascorse età, divenne, a' dì nostri, coscienza
e azione di tutto un Popolo, per la ifede, principalmente, e
per l'opera del Grande, dal cui nome s'intitola questa vostra
Scuola : — di quel Popolo che, per lungo silenzio, parca tocco
dal dente della morte, e non era.
Non era; perchè i generosi istinti della sua natura, e le
tradizioni del lavoro de' padri, covavano immortali sotto il
* Machiavelli, Storie Fiorentine, passim.
* Perfetti, op. cit., Discorso III.
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 25
peso della molteplice oppressione, attendendo l'ora di attuarsi
a. nuove operosità, come il seme del grano, che, chiuso sot-
terra all'aria e alla luce, serba per secoli la innata potenza
germinativa.
E voi oggi chiamano alla continuazione dell'opera inter-
rotta, e ai santi riti del vostro rinascimento civile, i tempi
maturi.
Né dovete scemar d'animo per gli ostacoli attraversati,
sin da principio, al vostro cammino da un falso sistema di
governo: anzi è debito vostro crescere di perseveranza quanto
è più diflScile l'opera della vostra educazione e del vostro
riscatto; che, se non vi fossero grandi difficoltà da combat-
tere e superare, non vi sarebbe virtù ne gloria nella lotta.
IV.
Non ostante i limiti posti dal privilegio intorno al moto
delle classi diseredate, un immenso campo di feconda coltura
rimane aperto pur tuttavia al loro intelletto e alla loro
azione; coltura la quale, date o non date le condizioni di
una eguale libertà e giustizia, frutterà, prima e poi, all'in-
tero Paese, dietro la guida de' veri ideali che sospingono la
moderna società a nuovi termini di progresso.
Cieco è chi non vede che < il secol si rinnova > ; cieco e
stolto chi presumesse di poter fare contrasto alla divina
legge del rinnovamento civile de' tempi con tristi espedienti
di polizia, 0 con l'opporre alle invulnerabili forme del pensiero
la forza.
Ora, in questo campo, che nessun arbitrio può togliervi,
che, impedito oggi da decreti ministeriali in taluna delle sue
attività, rifiorirebbe più rigogliosamente in altre cento do-
mani; abbiamo noi fatto sin qui tutto ciò che potevamo e
dovevamo ?
Eestringo l' intento del mio discorso alla sua conclusione
pratica.
Giuseppe Mazzini che, primo a' dì nostri in Italia, attinse
alle tradizioni del popolo de' nostri Comuni e alla coscienza
dell' età presente il principio di associazione, armonizzandolo
col principio di libertà, e serbandolo immune dagli errori
del socialismo straniero, raccomandava, ne' suoi giorni ca-
XII. 3
^^^mm^'^
26 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
denti — ultimo legato del suo pensiero alla Patria — la isti-
tuzione della fratellanza delle Società operaie d'Italia sotto
un Patto di mutue relazioni e di concordi uffici, pel quale
fosse lor dato di accrescere la loro capacità morale, politica
ed economica, nel comune arringo dall'incivilimento na-
zionale.
In una sua lettera del febbraio 1853 all'Associazione ge-
nerale degli operai di Milano, Egli diceva:
< Le vostre associazioni sono una delle più belle speranze
d'Italia: sono il germe del Popolo re dell'avvenire, come lo
fu del nostro passato. Per esso, noi fummo grandi ; per esso,
saremo novamente tali. Ma questo Popolo, questo esercito
degli uomini del lavoro, deve conquistare coscienza della
propria missione e della propria potenza. Io ho salutato con
vera gioia il sorgere delle vostre associazioni locali: con
doppia gioia, con doppia fede nel vostro avvenire, io saluterò
il giorno in cui un vincolo fraterno le stringerà tutte sotto
un patto comune.
> Voi avete interessi locali, e questi devono essere rap-
presentati dai vostri statuti locali ; ma voi avete interessi e
doveri generali, che abbracciano tutta quanta la vostra
classe, e questi dovrebbero essere anch' essi rappresentati da
uno statuto generale, da una Commissione direttrice centrale.
Pensateci; riducete, in atto il pensiero, che la maggioranza
del Congresso di Firenze approvò. In questo si racchiude il
vostro futuro.
> La lega definitiva, ordinata, rappresentata da tutte le
Associazioni operaie, da un punto all' altro della vostra terra,
vi darà unità d' istituzione morale, vi darà un giornale che
ricordi tutte le vostre associazioni, tutti i vostri bisogni, e
sia come il monitore del vostro progresso; vi darà potenza
di petizioni collettive, imponenti, pel voto, per l'imposta, per
quanto è necessario al vostro miglioramento economico e
civile ; vi darà mezzi per istituzioni, tendenti a preparare
quella unione del capitale e del lavoro, che costituirà la vera
vostra emancipazione. Allora soltanto che avrete un Patta
comune, 1' elemento operaio sarà costituito in Italia.
> E l' importanza del vostro elemento e del vostro pro-
gresso comincia, per somma ventura, ad essere sentita dal-
l' altre classi. Le offerte fraterne, che vi vengono da esse, lo
provano. Accoglietele voi pure fraternamente, e riconoscenti.
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 27
Ma non dimenticate mai, che esse non devono essere per
voi, se non un conforto a procedere più sempre animosi e
costanti sulla vostra via. La vostra emancipazione non può
venire che da voi stessi ; noi non abbiamo, se non quello che
meritiamo con le opere e con V amore.... >
E questi consigli Egli andò ripetendo ai suoi fratelli ope-
rai, con assidua cura, sino all' ultima ora del viver suo.
Pochi mesi avanti la sua morte, restituita Roma all'Ita-
lia, il suo pensiero e i suoi principi furono raccolti e recati
in atto nel Patto di fratellanza delle vostre società, dal
XII Congresso operaio, convenuto nella capitale d'Italia,
quasi ad abbozzarvi la prima forma, lo schema ideale, per
così dire, della vostra vita collettiva, del vostro passaggio,
da moltitudine disgregata, inconscia e impotente, a dignità
di ceto civile. Il dar consistenza e virtù effettiva a quella
forma, dipendeva e dipende dal vostro concorrere, con intel-
ligenza, perseveranza ed alacrità, agl'intenti e ai doveri della
comune associazione.
Sono passati ormai sei anni da quel Congresso in poi.
Altri Congressi gli succedettero, riconfermandone le delibe-
razioni, attestando, col numero de' rappresentanti, l'aumento
delle società aderenti al Patto di Roma nelle diverse regioni
d' Italia. Le Commissioni centrali, elette a reggere gli ordini
della Fratellanza, a studiare i vostri bisogni, a tener nota
delle vostre proposte e de' vostri progressi, fecero il loro do-
vere con singolare solerzia, malgrado la povertà de' mezzi,
gli scarsi conforti, e la lenta cooperazione de' più. Documento
notevole della importanza del lavoro da esse avviato, fu la
relazione sottoposta dall'ultima Commissione al XIV Con-
gresso convocato in Genova nello scorso autunno.
Quella relazione spiegava, con senno ch'io amo di chia-
mare italiano, i principi e i modi del sistema di associazione
cooperativa sotto tutti gli aspetti suoi, riferendone le possi-
bili applicazioni allo stato presente e ai caratteri speciali
della classe operaia nel nostro Paese : suggeriva altri utili
istituti di provvidenza e di credito a beneficio della mede-
sima : proponeva norme alla mutualità degli uffici fra le so-
cietà affiratellate : inalzava finalmente una giusta, severa e
santa protesta contro la ignominia della prostituzione, inflitta
dall' età trafficatrice e corrotta alla donna, alla madre, alla
sorella, alla compagna dell'uomo; riducendola, per la più
28 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
turpe delle invasioni dell'egoismo umano sull'umana dignità,
a cosa venale, soggetta all'arbitrio di una inutile e menzo-
gnera vigilanza della salute pubblica, e al sozzo mercato
de' fondi segreti.
Il XIV Congresso, riuscito più numeroso e più solenne
de' precedenti, discusse ed approvò gli studi e le proposte
della Commissione; prescrisse alla nuova Commissione di
pubblicare gli Atti dell' assemblea, di proseguire l'opera edu-
catrice, di propagarne i concetti a tutte le società, di pro-
movere, fra queste, dovunque esistessero elementi bastevoli
air uopo, le istituzioni studiate e raccomandate.
E a rendere sempre più efficace il buon lavoro del Centro
direttivo, prescriveva ai Comitati, che presiedono alle Conso-
ciazioni de' sodalizi popolari nelle diversa regioni, di fornire
alla Commissione notizie esatte sul movimento economico e
morale delle rispettive società, e sulle condizioni delle classi
lavoratrici, tanto nelle città che nelle campagne; inculcando
ad ogni sodalizio di sodisfare con precisione alla modesta
tassa de' 20 centesimi all'anno per socio, assegnata dal Patto
per sopperire alle spese della Commissione ; e di procacciare
un adeguato numero di abbonamenti per la pubblicazione
del giornale della Fratellanza : La Emancipatone^ o d' altro
periodico, che risponda al medesimo fine.
•Ora, che accadde dappoi ? Accadde che, trascorsi già sette
mesi, la Commissione non ha potuto ancora dar pubblico
conto delle deliberazioni del Congresso, né ripigliare la pub-
blicazione del Giornale, per difetto di mezzi, stante gl'indugi
e la poco esattezza pratica di molte Società nella osservanza
de' loro doveri sociali. Rimprovero, m' è caro il dire, che a
voi non tocca, né alla maggior parte delle Società di Roma-
gna e dell' Emilia, né alla Consociazione ligure ; la quale,
invero, va citata come esempio a tutte le altre per ben fon-
dati ordini fra i sodalizi che la compongono, e per operosa
diligenza negli uffici ed. impegni del suo istituto.
E questa specie di sciopero dal com une incarico sarebbe,
miei cari amici e concittadini, argomento di grave sconforto,
eh' io tacerei per vergogna, se non fossi convinto che tale di-
fetto, più che da poca attitudine o poca volontà degl'Italiani ad
operare insieme, proviene dalla novità dell'ordinamento, ap-
pena iniziato, di una vasta associazione, dalle difficoltà che
uno stato d'incipiente coltura oppone alle attive comunica-
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 29
zioiii del pensiero, e da cagioni di disattenzione e d' inerzia,
che i più intelligenti e più devoti fra voi al bene della loro
classe e della loro Patria, possono e devono combattere e
superare. Di che sono prova le istanze ognor più frequenti
di nuove società, che chiedono da più parti istruzione e
norma al sodisfacimento de' loro obblighi col Centro della
Fratellanza.
Non mancano, fra gli operai, e nel seno delle cittadinanze
italiane in generale, gli elementi di una robusta vitalità eco-
nomica, politica e civile.! Il moltiplicarsi de' vostri sodalizi e
delle vostre scuole; il progresso di quelle fra le banche po-
polari' che meglio si conformano alk natura del loro assunto ;
gli esperimenti cooperativi e i saggi felicemente riusciti qua
e là d'imprese manifatturiere, nelle quali gl'imprenditori
chiamarono gli operai a partecipare negli utili della produ-
zione con mutuo vantaggio e notevole incremento dell'in-
dustria loro ; — la cura crescente, nella miglior parte delle
classi agiate e ne' più civili de' nostri Municipi, di una riforma
degl'istituti di pubblica beneficenza, che li renda più acconci
a rispondere ai loro fini morali e sociali nelle condizioni
odierne della società, sostituendo alla carità che umilia^ e
nutre l'ozio e la miseria, i provvidi incoraggiamenti alla
educazione e al lavoro ; — il bisogno sentito, il dovere rico-
nosciuto da molti, di risollevare le condizioni dei mezzadri
e dei fittaiuoli, incorandoli a probità e previdenza, con la istru-
zione, con la stabilità del loro stato, con la partecipazione alla
vita del Comune cittadino ; di propagare la mezzadria, od
altro equivalente metodo di giuste ed umane relazioni fra la
proprietà e il lavoro, dove la gran piaga d'Italia — quella,
cioè, de' proletari campestri — riduce, sotto stupidi e improv-
vidi possessori di terre mal coltivate e deserte, una gran
parte della nostra razza a condizione bestiale ; — la nobile
emulazione, infine, onde s' istituiscono, in ogni città, in ogni
terra, scuole e biblioteche pel popolo, l' affratellarsi del la-
voro intellettuale e del lavoro materiale, di chi studia e di
chi fatica, in un comune concetto di solidarietà e di pro-
gresso civile : — tutto ciò dimostra che esistono, in molta
parte del Paese, i germi e le forze di una vigorosa elabora-
zione sociale.
Ma perchè questa possa svolgersi e raggiungere, con
mezzi proporzionati, l'intento del miglioramento comune,
30 PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA.
occorre che le sparse attività delle parti armonizzino e si
compiano nella vita del tutto.
Io vi ho posto sott' occhio, nella prima parte di queste
mie ormai troppo lunghe parole, — e della loro lunghezza mi
sia scusa la importanza dell' argomento — quali virtù si ri-
chiedano al viver libero e civile, da quali vizi sia reso im-
possibile 0 malagevole : — vi ho citato, in seguito, gli esempi
de' padri, i loro pregi, i loro difetti, il bene e il male da essi
operato : — vi ho finalmente discorso del vostro compito pre-
sente, di ciò che avete fatto, e di ciò che resta da fare. La
vita, il moto, il progresso, ho detto e insisto a diro, dipen-
dono, più che dalle circostanze esteriori, in cui _dovete spe-
rimentare la vostra virtù, dalla misura della medesima; dal
valor morale de' vostri animi e dalla giustezza delle vostre
cognizioni : in breve, dalla educazione e dalla istruzione, che
devono guidarvi a trasformare quelle circostanze, contempe-
randole ai veri caratteri ed uffici della vostra storia. E qui
si fa sempre più manifesta l' alta missione della scuola nei
vostri sodalizi, e nella società in generale. È compito de' vo-
stri educatori, di quelli fra voi che si sentono chiamati a
mostrare le vie del Vero e del Bene ai loro fratelli, il tener
viva, in mezzo a voi, la fiamma di quelle nobili e grandi
idee, che animano i popoli a far cose nobili e grandi. La
scuola dèv' essere — come un dì la Chiesa, quando la Chiesa
s' immedesimava alla coscienza del Popolo — la istitutrice
della vostra vita in tutte le sue relazioni domestiche e so-
ciali : ne' più umili, come ne' più solenni uflici ed impieghi
delle vostre facoltà. Curate, con coscienza ed amore, ogni
vostro impegno e dovere, per piccolo o grande che sia : pen-
sate che i più esigui sacrifici, i più tenui tributi al comun
bene, all'incremento d'ogni vostra opera, diligentemente e
regolarmente adempiuti da ciascuno di voi, possono, nel loro
insieme, riuscire a vasti risultamenti di prosperità e di po-
tenza. E non vi appartate mai, come individui o come classe,
dai vincoli morali e civili che vi legano, come compagni di
una stessa Patria, ai vostri concittadini. Siate fedeli ai vo-
stri principi, ai principi del Grande, che qui oggi onoriamo
in questa fraterna adunanza consacrata alla Sua Memoria,
perchè in que' principi è la verità e l' avvenire : ma siate,
nello stesso tempo, tolleranti e fratellevoli coi buoni ed one-
sti che, per sincere opinioni, discordano, o in questo o in
PAROLE DETTE ALLA SCUOLA MAZZINI IN FAENZA. 31
quello, da voi : non rifiutate società e cooperazione nel bene
con chiunque fa il bene : rispettate nelle persone gli schietti
convincimenti, i pregiudizi stessi del passato, non ancor vinti
dalla luce di una fede migliore : opponete all' errore, V intel-
letto e r amore della verità, non V ira e lo sprezzo : e vi sia
limite e vincolo scambievole, nelle discrepanze che sorgono
fra voi, la legge inviolabile della libertà del pensiero e della
coscienza.
Voi avete una grande missione da compiere, come classe
sociale: quella d'inalzarvi a ceto civile nella cittadinanza
della Patria comune. Ma una missione ancora più grande vi
è imposta dai tempi nuovi. Voi dovete contribuire, per la
parte vostra, a fondare sopra salda base la morale unità
della vita italiana. I vostri antenati fecero, come 1* età e le
circostanze volevano, la città particolare, la Fatria dei po-
chi, insieme raccolti entro il recinto d'un muro e d'una
fossa; e fecero una bella e splendida cosa pel loro tempo.
Voi dovete prestare la vostra giornata, come vi diceva il
Maestro, all' opera assai più grande ed insigne di quella Pa-
tria che chiude in sé una intera Nazione: alla Patria di tutti
gl'Italiani, dall'Alpi al Mare. Né sarà di poco momento il
contributo del vostro ingegno, del vostro affetto e della vo-
stra azione alla magnanima impresa. Voi rappresentate, come
uomini del lavoro, la classe destinata a sgombrare le mace-
rie, preparare il terreno e gettare le fondamenta del nuovo
edificio. Voi siete i maestri comacini della nuova civiltà. Pen-
sate ai padri vostri è pigliate animo e scorta dai loro esempì.
Quando Firenze, nella seconda metà del secolo XIII, si fu
liberata dalle strette feodali della nobiltà imperiale, essa co-
stituì gli ordini del Comune e la milizia che doveva difen-
derli, a reggimento di popolo : e que' cittadini, aflfrancandosi,
si chiamarono il secondo popolo, in relazione a un primo
tentativo di libertà popolare, andato a vuoto. La età nostra
attende che voi vi facciate degni di diventare il tersfo pò-
polo, non più di città solitarie, divise e tenzonanti fra loro,
ma di una Patria unita e libera, capace delle virtù ed esente
dalle colpe degli avi.
32
LETTERA AL SIGNOR GIACOMO STUART
SEGRETARIO ONORARIO DELLA FEDERAZIONE BRITANNICA
E CONTINENTALE CONTRO I REGOLAMENTI EO.i
Siamo ben lieti di poter ofifrire ai nostri lettori la seguente let-
tera tli A. SafiS, indirizzata al Prof. Stuart, certamente uno dei più
tbrvitli ed operosi apostoli della pubblica morale in Inghilterra.
11 Prof. Stuart, a nome della Federazione, aveva pregato il no-
stri/ illustre compatriota di accettare la carica di Membro del Co-
ncitato d'Onore del Congresso che, sotto gli auspici della Federa-
liìoue Britannica Continentale, sarà tenuto a Ginevra dalli 17 ai 22
del mese di settembre. Agli Italiani, a cui è nota la squisita modestia
dt-'l l'illustre nostro amico, non farà specie che anche in questa oc-
casione egli abbia voluto riserbare per sé il lavoro, lasciando ad
altri 1 plausi e gli onori ; però ciò di cui saranno, crediamo, più che
sorpresi fascinati, si è nel vedere l'altezza delle viste ed il nobile
i ritento che il degno continuatore delle idee di Mazzini suggerisce
qnul meta agli sforzi della Federazione.
Con tali concetti e per simili intenti ben a dritto si può parlare
ili lavoro Internazionale.
Ed ora giudichino i lettori.
La Direzione del Dovere.
Bologna, 21 giugno 1877.
Onorevole Signore,
Per assenza ed altfe involontarie cagioni, non ho potuto
rispondere prima d'oggi alla gradita vostra del 17 maggio,
jjervenuta alle mie mani in questi ultimi giorni soltanto. —
^V)g:liate esprimere la mia sincera riconoscenza al Comitato
Esecutivo della Federazione pel cortese invito, onde volle ono-
l'iuini; invito ch'io accetterei ben volentieri se mi fosse dato
di attendere personalmente ai lavori pel futuro Congresso, e
di recarmi a Ginevra in quel tempo. Ma da che questo non mi
è possibile, mi parrebbe di far cosa contraria al dovere assu-
mendo un ufficio senza facoltà di adempirne tutti gl'impegni.
* J)al Dovere del V luglio 77.
LETTERA AL SIGNOR GIACOMO STUART. 33
Però, se la mia adesione ai principi e all'opera della Fe-
derazione può essere in qualche modo accetta a Voi e agli
amici vostri, in mezzo al generale consenso de' migliori fra
i miei compatrioti, io ve l'offro di nuovo «on tutto l'animo
piena ed intera.
Invero io guardo ai nobili sforzi della Signora Butler e
dei suoi Colleghi come ad uno dei più felici segni del pro-
fondo bisogno di rigenerazione morale, che agita la coscienza
dell'Umanità nell'epoca in cui viviamo.
La prostituzione legale della donna è, nella moderna So-
cietà, l'ultima e più bassa conseguenza di quella tradizione
di dottrine materialiste che contrasegnarono il decadimento
della Società pagana; e alle quali s'ispira la filosofia delle
più tristi passioni dell'uomo, anche nel seno di una civiltà
superiore, per altri rispetti, all'antica.
Radice della prostituzione è il sensualismo nella sua forma
più abbietta: — sua teoria, la negazione di ciò eh' è divino
e santo nella natura umana — la sconoscenza della egualità
morale e della comunanza di destini e doveri fra l'uomo e
la donna — l'infamia della servitù applicata, fra Popoli che
s'intitolano liberi e civili, da una metà della razza all'altra
metà, dietro argomenti anche più indegni e più brutali di
quelli ch'erano usati, sino a tempi recenti, a giustificare la
schiavitù dei negri.
Chi propugna la emancipazione della donna da questo male
profondo, propugna la causa della moralità, della dignità, della
libertà dell'anima umana, sopra tutta la terra: rivendica la
integrità della famiglia, delle patrie, della società tutta quanta,
dalle insidie corruttrici e dagl'iniqui istituti che accompa-
gnano il vizio patentato: combatte l'abbassamento de' più
puri e più nobili affetti della giovinezza, la decadenza di ogni
generosa attività, privata e pubblica ; gli arbitri de' Governi
contro la libertà individuale e contro il rispetto dovuto agli
attributi inviolabili della umana dignità, anche nelle povere
vittime della corruzione: e affretta, con nuovi e gravi mo-
tivi, la trasformazione di quel sistema di eserciti stanziali e
di vita di caserma onde hanno alimento il vizio e l'abbie-
zione della donna da un lato, le diffidenze nazionali dall'al-
tro, e la rovina economica di tutta l'Europa.
Ma, in questa gran lotta per la redenzione morale della
società, l'abolizione de' regolamenti governativi della presti-
T^?P'
34 LETTERA AL SIGNOR GIACOMO STUART.
tuzione non è, a mio parere, che un primo assalto ai ripari
esterni del vizio. Importa, sopra tutto, curare il male nelle
sue più intime fonti: nel cuore e nella coscienza stessa del-
rUomo. È questione di riforma, ab imis fundamentiSy de' prin-
cipi e del metodo delle discipline educative, sì private che
pubbliche : ed io mi allieto vedendo che i pensieri e il lavoro
de' promotori del moto sono strenuamente rivolti a tal fine,
Le istituzioni dirette, in Europa, ad educare la fanciul-
lezza e la gioventù sono in generale — e più particolarmente
nei paesi cattolici — fondate sopra distinzioni e privilegi di
classe che alienano del pari privilegiati e diseredati da ogni
senso di civile solidarietà; sulla separazione dei maschi dalle
femmine, per non so quali riguardi di preconcetta impurità
sensuale, funesti alla innocenza e al mutuo rispetto dei due
sessi; sulla superba pretesa della superiorità dell'uomo e della
soggezione della donna, come perpetua minorenne, al regime
del sesso più forte o alla autorità del prete. E gli eflfetti di
tale stato di cose sono micidiali alla virtù dell' un sesso e
dell'altro: le sorgenti della fiducia scambievole rimangono
attossicate in entrambi sin dall'origine ; e la prostituzione non
è che il risultamento finale di una falsa e servile educazione-
Ciò sente la Federazione : e il progresso della sua buona
opera eserciterà, presto o tardi, una grande e benefica azione
in ogni contrada di Europa sul quesito della pubblica edu-
cazione. Io saluto quindi .con grande affetto e speranza, nella
santa crociata diretta dalla Signora Butler, due inseparabili
intenti : l'abolizione de' ricoveri del vizio e l'organamento di
una Lega internazionale intesa a promovere da per tutto la
riforma del sistema scolastico, sotto gli auspici di una più
illuminata e più alta coscienza della Religione e del Dovere;
e la vera fratellanza morale dell'uomo e della donna nella
missione della vita.
Abbiatemi, Signore, con grato animo
vostro devotissimo
Aurelio Saffi.
35
LA PACE E LA GIUSTIZIA.
LETTERà A MARIO CALCAGNO
PRESIDENTE DEL CIRCOLO e ALBERIGO GENTILI » IN SAVONA.»
Forlì, 9 settembre 1877.
Egregio Cittadino,
Ebbi il vostro cortese invito pel V anniversario dell'Arbi-
trato ginevrino sulla vertenza deWAlaòama.
Per circostanze indipendenti dalla mia volontà, m'è forza
rinunziare all'onore di trovarmi fra Voi in quel giorno. Ma,
se non di persona, io sarò con Voi col pensiero, con l'affetto,
coi voti.
L'Arbitrato di Ginevra splende tra gli eventi della storia
contemporanea, come uno dei segni più notevoli della ten-
denza dei tempi a sostituire la ragione del Diritto ai ciechi
esperimenti della forza nelle questioni internazionali ; ed onora
altamente il nome italiano, per la parte che vi ebbe uno dei
nostri più insigni giureconsulti.
Queste commemorazioni sono i veri fasti della civiltà; e fu
ottimo consiglio il vostro di convocare nella patriotica città
— dove Mazzini, prigione, maturò il pensiero della libertà e
della Unità d'Italia — quanti prepongono all'impero dei fcUti
esistenti il culto dei principi che guidano le Nazioni a mi-
gliori destini.
La festa da Voi proposta sta sopra ogni differenza di
parte, come l'Umanità sovrasta all' Uomo-individuo, alla Città,
allo Stato; e a me duole, ripeto, di non potermi associare
personalmente al fraterno rito con quante anime devote al
bene converranno costì a celebrare un illustre ricordo, che
accenna ad una grande speranza ! Alla speranza della natu-
rale giustizia, posta in luogo dell'arbitrio, nelle relazioni fra
gli Stati europei ; — della Pace, come conseguenza della Giu-
stizia; — della coltura intellettuale e morale e della prosperità
economica dei Popoli affratellati fra loro, come risultamento
* Dal Dovere del 15 settembre 77.-
36 LA PACE E LA GIUSTIZIA.
della Pace e mezzo, per ciascuno e per tutti, ad intendere
e tradurre in atto, di grado in grado, la legge della loro
associazione e dei loro uffici nel mondo.
Della Pace — ho detto — come conseguenza della Giusti-
zia. Uno dei più illustri e migliori nell'età nostra,. il Prof.
F, Laurent, rispondendo all' invito del Presidente d'onore del
vostro Circolo per la festa del 14 settembre, ha posto in sodo
una grande verità.
La Pace è mezzo non fine; e può essere premio, non deve
essere uno scopo agli sforzi dell'umano perfezionamento.
Il line è la Giustizia, il Diritto, il diritto costituendo, il di-
ritto fondato sulla natura, rivelato dal progresso della Storia,
commentato e svolto dalla ragione e dalla coscienza dell'ieomo.
La pace senza la giustizia, senza il diritto, è accettazione
passiva del male; è l'ignavia de'deboli fatta strumento alla
in:quiti\ dei potenti.
Voi^ d'accordo coU'autore degli Studi sulla Storia délV Urna-
nitn e coi giusti d'ogni paese, non siete cultori AeWB, pace per
la imcc; non volete l'immobilità ma la vita e l'intento della
vita, che è il progresso verso il bene, verso l'ideale dell'asso-
dazioiie umana.
Il che importa faticosi conati; e, se necessaria alla con-
servazione o all'acquisto del Diritto, la guerra. E allora la
guerra — come dice il Laurent'— è legittima e santa.
Ma la giustizia internazionale — che, sola, può apparec-
cliiare il regno della pace sopra la terra — non concerne sol-
tanto i mutui portamenti degli Stati europei nel loro ordina-
mento presente. Essa non potrà attuarsi nella sua pienezza,
se prima non si ristaurino nel loro assetto naturale le Patrie
dei Ti poli; e ai vestigi superstiti delle conquiste dinastiche
non succeda l'ordine delle stirpi europee, stabilito sulla in-
violabilità dei loro titoli nazionali.
(,,Hiosto è il compito sublime del Diritto delle Genti nel-
l'epoca odierna: di quel Diritto che l'Italiano Alberigo Gentili
divinò, primo, dopo gli studi risorti; e che il nostro secolo
deve arricchire di nuovi incrementi e di feconde applicazioni.
Fa d'uopo che, sui frammenti confusi della vecchia Europa
dei inojiarchi, sorga e risplenda alle menti, come avvenimento
necessario ed urgente, la forma vera dell'Europa dei Popoli.
Se ridea del naturale ordinamento delle Nazioni, prepa-
0 ti alle tradizioni native e maturato dalla civiltà, fosse
"^r^ ■
LA PACE E LA GIUSTIZIA. 37
stata compresa dai Governi più civili d' Europa — come ap-
parve lucida e viva ai più alti intelletti dell'età nostra, da
Mazzini a Victor Hugo, dà Gladstone a Laboulaye e a Lau-
rent — una Lega europea, aiutatrice delle genti cristiane nella
Penisola Greca-Illirica, avrebbe — prevenendo la barbarie della
guerra che oggi imperversa in Oriente — ovviato da una parte
al pericolo delle ambizioni moscovite; cancellata dall'altro
l'onta del dispotismo mussulmano sulle terre europee ; e ag-
giunta alla comunanza civile dei Popoli una nuova sorgente
di vita nella Federazione degli Slavi del Sud e nella com-
piuta restaurazione della Patria ellenica.
Ma è legge storica che i Governi sieno sempre gli ultimi
a scorgere e secondare gli andamenti dell'umano progresso;
e l'insipienza dell'Europa governativa ritardò, forse per lungo
tempo, le sorti dell'Europa civile.
Spetta ai sacerdoti della scienza, agl'interpreti della co-
scienza dell'Umanità, alla virtù dei Popoli che soffrono, la-
vorano e sperano, il promovere la causa dell'eterna giustizia
nel mondo delle Nazioni.
Solo a tal patto la Pace, nutrita dall'armonia dei costumi,
dalla integrità delle franchigie e dall' utilità dei reciproci uf-
fici, benedirà le Genti insieme associate nel vincolo della co-
mune umanità e del comune diritto.
Vostro con tutto Vanimo
A. Saffi.
38
DISCORSO AL COMIZIO PER LA PACE
TENUTO IN MILANO L' 11 MAGGIO 1879.1
Permettetemi, o Cittadini, che, grato alla vostra benevola
accoglienza ma conscio della pochezza delle mie forze, io co-
minci dal porre l' ufficio, al quale il Comitato della Lega volle
chiamarmi, sotto gli auspici dei due Grandi, di cui • avete
udito ora leggere le adesioni a questo Comizio — Vittore Hugo
e Giuseppe Garibaldi : — campioni entrambi — V uno con la
potenza della parola, l'altro con la invitta virtù dell'azione —
della Causa che qui ci raccoglie; con la parola, interprete delle
grandi e nobili cose dell'anima, fulminatrice dei profanatori
e dei carnefici dell'Umanità, nunzia delle future giustizie;
con l'azione che alle future giustizie apriva, con miracoli di
sacrificio e di valore, la strada.
Garibaldi e Vittore Hugo, presenti in ispirito a questo
Comizio, significano il concetto fraterno della Francia e del-
l'Italia sulla grande via della libertà e della federazione de' Po-
poli ; significano il vincolo di quella incancellabile parentela
delle Nazioni europee, sulla quale passarono indarno gli egoi-
smi, gli orgogli e le violenze de' secoli: e questo significa la
presenza in questo Comizio dell' illustre e caro ospite nostro,
Carlo Lemonnier, apostolo infaticabile della fede che conforta
le nostre speranze: la fede nella vocazione dei Popoli alla
fratellanza e alla pace sotto gli auspici della libertà e della
reciproca giustizia.
E della coscienza di tal vocazione fra le Nazioni moderne,
del bisogno universalmente sentito, all'età nostra, di sostituire
alla confusione della forza l'opera ordinatrice della intelli-
genza e della civiltà, sono l'espressione appunto le Leghe delia
Pace che, in Europa e in America, vanno facendo contrasto,
coi pietosi influssi dell'opera loro, agl'istinti selvaggi del-
l'umana ferità. Senonchè una parte delle medesime, predi-
cando la pace per la pace, senza tenere nel debito conto le
condizioni che si richièdono a renderla salda, durevole, le-
* Dal Dovere del 18 maggio 79.
ST^v.
DISCORSO AL COMIZIO PER LA PACE. 39
gittima, sembra invero tentar V impossibile e — come dice il
proverbio — mettere il carro innanzi ai buoi. Perchè non
v'ha speranza di pace, sé questa non sia il premio della pro-
gressiva riparazione dell'ordine della natura e de' titoli dal-
l'umana personalità nel consorzio delle Nazioni : in breve, se
non è fondata sulla giustizia e sulla libertà.
E qui mi piace citarvi le belle parole che il mio ottimo
amico e concittadino vostro — Mauro Macchi — mi scriveva
al principio dell'anno a proposito delle diflferenze occorse, nel
Congresso di Parigi, fra la Lega ginevrina della Pace e della
Libertà e le altre Leghe, sul concetto politico della giustizia
internazionale: < La pace > — mi scriveva il Macchi — < la
pace assoluta, come la intendono certuni per ispirito teolo-
gico, non può aversi che tra gli uomini rassegnati all'obbe-
dienza cieca: e noi non possiamo rinunciare ai diritti della
verità e della ragione. Anzi, la pace assoluta, oltre quella
imposta dai tiranni, come in Polonia, non si può avere che
nel sepolcro ; e noi vogliamo la libertà e la vita. La pace che
vogliamo noi non può essere che quella la quale si fonda sulla
giustizia e si alimenta coU'alito perenne della libertà. >
Ciò nondimeno, le Leghe per la Pace — ch'io chiamerò
non-politiche, per distinguerle dalle nostre, — che considerano
giustamente le libere istituzioni, l'autonomia della persona
umana e il quesito della nazionalità come termini necessari
del loro programma, fanno pur tuttavia opera grandemente
benefica; e, se non riescono ,ad impedire, contribuiscono a
temperare gli orrori e le calamità della guèrra; e possono,
in dati casi, riuscire anche a prevenirle. Di che fu esempio
memorabile e, per la parte che vi ebbero alcuni insigni Ita-
Uani, onorevolissimo per la patria nostra, il compromesso gi-
nevrino fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America,
per la questione dell'Alabama; mercè il quale fu tolto via il
pericolo di una guerra che sarebbe stata grave d'incalcola-
bili disastri per l'intero mondo civile. In questo compito le
Leghe tutte, benché divise in altro, devono darsi la mano
non senza speranza — ed io qui ne fo voto con l'animo cre-
dente nelle vittorie dell'umana ragione — che le questioni
che s'agitano sul Reno, sull'Alpi e sull'Adriatico, fra le tre
contrade più colte del Continente — Francia, Germania e Ita-
lia — possano, quando che sia, comporsi con razionali criteri
di mutua giustizia e utilità. E compito comune a tutte le
40 DISCORSO AL COMIZIO PER LA PACE.
Leghe sono quei provvedimenti umani e que' principi civili
con cui lo spirito dell'età nostra tende a mitigare e restrin-
gere le ostilità, a tutelare i neutri e le inoffensive popolazioni,
a rendere men dura la condizione dei feriti e dei prigionieri,
a cancellare dal codice bellico del futuro il diritto di con-
quista: e sarà grande e pratico beneficio dell'opera loro, se
riusciranno a proraovere, fra gli Stati nazionalmente costi-
tuiti, qualche principio d'intelligenza e vincoli federali, e tali
riforme degli ordinamenti militari che apparecchino la solu-
zione del problema urgentissimo della economia da conciliarsi
colla validità delle nazionali difese.
Ma noi — pure associandoci di gran cuore a questi umani
intendimenti e ai tentativi degli arbitrati pacifici, ogni qual-
volta l'esperimento è possibile — noi, dico, non dimentiche-
remo che, di fronte all'arbitrio e alla forza che lo sostiene,
santa è la lotta che rivendica il diritto e 1' umanità, santa
la reintegrazione delle patrie mutilate dalla prepotenza stra-
niera, santo il sacrificio di sé pel riscatto dei fratelli oppressi ;
e che l'Europa non avrà pace vera fino a che non siano eli-
minate dall'organismo de' suoi Stati le impronte della passata
barbarie e rimosse le cagioni che sottrassero e sottraggono
ancora in parte il moto dei Popoli alle leggi spontanee della
natura e della vita.
Perchè, da ben quattro secoli — disfatta la forma giuridica
che nel medio-evo moderò, secondo l'intelletto de' tempi, la
cristianità europea, e calpestate le native franchigie de' Po-
poli— una sfrenata licenza di egoismi signorili e dinastici
invase il mondo civile. Le grandi monarchie militari del Con-
tinente— non potendo dopo lungo conflitto, per ambizioni di
universale impero, soprafarsi a vicenda — inventarono, a con-
tenere le rivali rapacità, il famoso espediente àéìV equilibrio
de' poteri; d'onde dal Trattato di Westfalia in poi tutta la
tradizione e l'arte di una Diplomazia alla cui stregua i prin-
cipi sono ubbie di idealisti, i fatti compiuti base a un git4.s
pubblico fattizio creato dall'arbitrio. Popoli e territori — come
armenti e patrimoni privati — materia di partizione e di ba-
ratti a numero e a misura. La formazione dell'Unità italiana
e dell' Unità germanica precluse in gran parte il campo alle
antiche gare continentali per contrasto d'interessi dinastici
sulla zona media d'Europa: rimane, palestra aperta alle gare
superstiti, quella zona che, dal Baltico all'Adriatico e al-
DISCORSO AL COMIZIO PER LA PACE. 41
l'Egeo, la natura e la storia avevano fatta stanza di fiorenti
Nazioni, quasi a baluardo della rimanente Europa, e che la
ignavia e l'imprevidenza delle Potenze occidentali lasciarono.
in preda — sin dai passati secoli — ai Turchi da un lato, ai
pretoriani di Mosca, di Berlino e di Vienna dall'altro.
Ora i destini della sicurtà e della pace europea dipen-
dono appunto dalla restaurazione delle patrie slave fra i due
poli del loro organismo — la Polonia e la Grecia. Risorga la
santa eroica Patria di Sobieski e di Kosciusko, e la frontiera
della Germania non sarà più indifesa, Berlino non avrà più
a due giornate delle sue case le orde cosacche, il Baltico non
sarà più un mare russo. Siano integralmente emancipati Bul-
gari e Serbi, Bosniaci ed Erzegovini : l'Ungheria e la Rumenia
-respinto il fomento austriaco de' vecchi rancori — iniziino
patti di federale concordia con gli Slavi limitrofi : la patria
greca si ricomponga ne' suoi giusti confini e, incoronata dalle
sue isole, ridesti al soffio della libertà e dell'antico genio la
fiamma della sua nuova vita: Costantinopoli torni città euro-
pea, centro anfizionico — come la predicò Mazzini — della col-
leganza Elleno=-Slava — < aperta a tutti, serva a nessuno : > —
e le ombre del Panslavismo si ritireranno da noi ; i Popoli
quieteranno ; le grandi vie segnate dalla natura ai commerci
e alle scambievoli utilità fra l'Europa e J'Asia si apriranno
a felici e feconde operosità; la questione d'Oriente sarà se-
polta per sempre; e, con essa, un fomite di guerre ad ogni
tratto risorgenti, di decadenza, di servitù, di miseria per tutti.
Perchè la Causa della libertà e la Causa delle nazionalità sono
intimamente connesse l'una con l'altra, ed entrambe con la
questione morale e con la questione sociale in ogni contrada
d'Europa.
Fino a che vi saranno Popoli schiavi — materia dissociata
e inerte, esposta alle voglie di Potenze rivali — l'Europa mi-
litare soprafarà l'Europa civile; il Diritto sarà ludibrio della
forza; i vasti armamenti e i Governi accentrati renderanno
la libertà un nome vano. Fino a che la libertà non sia ferma
e sincera, non vi saranno cittadini fortemente temprati a co-
scienza di dovere, di dignità, di responsabilità morale. Fino
a che il privilegio in casa e la conquista fuori attraversino,
fra classe e classe e fra gente e gente, la naturale equità,
l'industria dei più "sarà vinta dai monopoli dei pochi, la pic-
cola proprietà dalla grande; il proletariato e l'indigenza fa-
xu. 4
42 DISCORSO AL COMIZIO PER LA PACE.
ranno squallido riscontro, nelle Nazioni indipendenti, alla ser-
vitù personale e politica delle Nazioni diseredate di patria.
Una profonda solidarietà lega fra loro i Popoli nel male
come nel bene. Non v' ha guerra di oppressori né strazio di
oppressi, per quanto lungi da noi, che non faccia sentire i
suoi malefici effetti sino all'ultimo povero lavoratore che emi-
gra per fame dalla terra de' suoi padri o muore di pellagra
nei nostri ospedali.
Conchiudo :
Nella restaurazione delle Patrie nazionali è l'arringo mas-
simo — il porro unum est necessarium — dell'età che sorge.
L'autonomia delle Nazioni è il primo passo all'equa associa-
zione fra le medesime, come l'autonomia dell'individuo è il
fondamento dell'equa associazione fra uomo e uomo. < Non
si associa > — diceva ancora Mazzini — < chi non vive e non
comincia dall'affermare la propria individualità. >
A questo principio intendono i nostri voti e il nostro la-
voro. Le nostre Leghe fraterne prefigurano le future Leghe
de' Popoli intorno all'ara sacra della comune giustizia. Esse
sono foriere di quella federazione degli Stati liberi d'Europa
che Mazzini dall'esilio, Cattaneo fra voi, Vittore Hugo dalla
tribuna francese, annunciavano, divinando, alle genti.
Ed io mi allieto di un grande presentimento, considerando
chi siede qui in mezzo a noi, e stendendo la mano a Voi,
nobile cittadino di quella Francia — sorella nostra nelle grandi
iniziazioni del civile progresso — alla quale l'Europa dovrà,
ne sono convinto, l'esempio della disciplina della libertà nello
Stato popolare. Mi allieto nel presentimento che l'Italia —
mezzo armonico, nella triade delle Penisole che si specchiano
nel Mediterraneo, alle comunicazioni fra l'Occidente d'Eu-
ropa e l'antico Oriente — possa, progredendo in sé stessa e
levandosi alla intelligenza de' suoi veri ufiicì nel mondo delle
Nazioni, esercitare, come Stato scevro di tendenze invadenti
e come custode, in Roma, della idea-madre della unità mo-
rale delle genti, un'alta funzione conciliatrice fra gli Stati
della occidentale e della media Europa. Né credo vana ombra
della mente il concetto di una Lega Anglo-Latino-Germanica
intesa a risolvere definitivamente la questione d'Oriente, su*
scitando la vita, il diritto, la civiltà nella Penisola Balcanica^
a guarentigia della pace del mondo; e sospingendo così la
Russia — già oscillante in Europa come^ Potenza conquista-
DISCORSO AL COMIZIO PER LA PACE. 43
trice — a ritemprarsi, emancipata dal dispotismo interno, a
pacifiche operosità e a volgere l'intento della sua vita alla
grande e vera missione di civiltà che l'attende nella parte
superiore dell'Asia, senza nocumento delle concorrenti ope-
rosità anglo-europee nel resto dell'ampio Continente.
So l'obbiezione che sorge dinanzi a noi: pretendereste
forse — diranno i pratici — che l'Europa, per riedificarsi sul
vostro disegno ideale, disfaccia d'un tratto, quasi per magi-
. stero d'arte magica, i fatti poderosi che il tempo e gì' inte-
ressi sovr'essi stabiliti hanno costrutto ? Quale conflagrazione
un tale proposito non desterebbe? Quanti ostacoli, quante
lotte non si frapporrebbero all'immaginoso assunto, prima di
toccare la mèta ? — No: non è questo l'intento nostro. L'adem-
pimento dei destini umani è sottoposto alle leggi del tempo
e del civile progresso : ma, ministra del tempo e della storia
è l'opinione: e alla opinione, regina del mondo, è vòlta la
nostra mira. Ad essa noi ci appelleremo, con essa agiremo,
combattendo gli errori e le perversità della polìtica che oggi
governa le relazioni internazionali. Noi invocheremo, ne' casi
emergenti, l'applicazione de' criteri che l'Umanità, la giusti-
zia, l'eterno diritto additano : e siamo convinti che la potenza
delia ragione, del senso morale e de' veri interessi de' Popoli,
andrà risolvendo di mano in mano — mercè criteri sì fatti —
a beneficio de' posteri le questioni che i calcoli esosi, parziali
e discordi de' Gabinetti europei vennero sinora intricando e
aggravando.
Senonchè, prima condizione alla bontà ed efiicacia del-
l'azione esterna di un Popolo è l'equo assetto della sua vita
interna. È questo, o cittadini, — per la parte che spetta al-
l'Italia liei comune lavoro — il nostro primo dovere e il no-
stro più immediato ufficio. Ora, indispensabile a bene adem-
pirlo è la concordia delle opere in quel campo d'azione
comune nel quale, sotto gli auspici del supremo principia
della sovranità nazionale, possono e devono concorrere quanti,
riservando all'ufiicio inviolabile dell'apostolato del pensiero
la propaganda de' propri ideali, sentono che ciò che è e ciò
che tende ad essere, gli ordinamenti presenti e le trasforma-
zioni futui'e della vita del Paese e de' suoi istituti, sono egual-
mente sottoposti alla necessità morale del consenso della
Nazione. Ma, per questo appunto, base e caposaldo di tutte
le parti che consentono nel riconoscimento di questa legge
44 DISCORSO AL COMIZIO PER LA PACE.
dev'essere la difesa e la integrazione della libertà e della
eguaglianza civile e politica per tutti i cittadini di una stessa
patria; sì che le manifestazioni del pensiero, il moto degl'in-
teressi e l'organismo della vita sociale, possano spontanea-
mente esplicarsi, sotto il giudizio della coscienza collettiva
della Nazione; alla quale veramente spetta — e non a tale
o a tal altra fazione o classe governante — il supremo sinda-
cati» il elle opinioni e il freno delle parziali tendenze.
in nome del comune amor patrio, in nome della grande
e nuhile Causa che qui ci raduna, contrapponiamo — o cit-
tadini — con la forza morale dell'opinione, alla politica clau-
strale, che ci divide in reprobi e fedeli dinanzi al dogma di
ima pretesa immobilità statutaria, la politica che ci unisce,
rome Italiani, sulla vasta base de' principi fondamentali da
cui dipende il valore legale delle forme politiche dello Stato
— ^i:nio queste monarchiche o repubblicane. E avvaloriamo,
cai nuituo rispetto delle opinioni, con la inviolabilità delle idee
paeiiicamente manifestate, la solidarietà del patriotismo ita-
liano dinanzi alle grandi questioni di libertà, di giustizia, di
prosperità, di onore e d'integrità nazionale. Solo a tal patto
potremo contribuire, come Nazione, al trionfo di quella fede
in nome della quale siamo qui convenuti come individui: la
l<4lc, ripeto, nella vocazione dei Popoli alla fratellanza e alla
pace sotto gli auspici della libertà e della reciproca giustizia.
\ 1 chiedo venia della lunga diceria, ed apro i lavori del
('ooii>:io.
Ordine del Giorno
i*(jfiito VII maggio 1879 al Teatro Dal Verme in Milano
dal Comizio presieduto da Aurelio Saffi,
Il Comizio delle Leghe di pace, raccolto sotto gli auspici
ilei Popolo milanese.
Ili tenuto che l'elemento essenziale della pace è il ricono-
scin lento delle Patrie nazionali, sulle basi del territorio, del
liiiguaf^gio e delle tradizioni storiche interpretate dalla vo-
loiit:i popolare;
Considerando che allo svolgimento della vita interna ed
aterna di ogni Popolo è necessaria condizione la libertà;
ORDINE DEL GIORNO. 45
Kitenuto che l'ultima espressione di questi principi sarà
la Federazione dei Popoli emancipati,
Fa voti:
Che a questo intento s'inizi una politica che alla violenza
della guerra sostituisca il principio dell'Arbitrato, il quale
applichi un diritto internazionale liberamente accettato e ri-
conosciuto dai Popoli.
Convinto che questa politica non può attuarsi che sosti-
tuendo la prevalenza degl'interessi generali agl'interessi di
classi,
Fa voti:
Che il diritto di pace e di guerra sia restituito alle rap-
presentanze legislative elette a suffragio universale.
Convinto che l'esercito permanente — contrario allo spi-
rito delle libere istituzioni, causa del progressivo aumento dei
tributi e ostacolo alla pubblica prosperità — è insufficiente
ad assicurare la indipendenza e il riscatto completo della
Patria,
Fa voti:
Che l'esercito permanente sia sostituito dalla Nazione ar-
mata di cui sono principali elementi: l'istruzione militare
nelle scuole, gli addestramenti alle armi dei cittadini nei Co-
muni, i campi temporanei e i tiri a segno:
E affida:
Il compimento di questi voti agl'Italiani gelosi dei loro
diritti e consci dei loro doveri verso la Patria, verso i fra-
telli irredenti e verso l'Umanità.
46
A MATTEO RENATO IMBRUNI.
Bologna, 17 luglio 1879.
Egregio e caro Amico,
"Ilo la vostra raccomandata, e dell'avviso in essa conte-
mi t^j terrò il debito conto, dove mi si presentino persone
ignote e sospette. — Essa mi giunse grata, sebbene vestita di
tbriiìa ufficiale, col vostro nome in un angolo della medesima,
come Segretario del Comitato. Mi giunse grata, perchè è il
III iijìo segno di vita che ci viene da Voi dopo lungo silenzio
privatOj il quale ci lascia* pur sempre in desiderio di vostre
nuove, invocate indarno anche da mia moglie, che non ebbe
riscontro ad una o due lettere da lei dirette alla signora Irene,
ne alle parole inviatele per mezzo della Giacinta Pezzana; di
ch(^ é alquanto sorpresa, non sapendo a che cagione recare
la mancanza di sue notizie.
IL vostro telegramma, minacciante maledizione ai predi-
catori di pace — in occasione del Comizio di Milano, -— non
fu comunicato all'Assemblea, per la semplice ragione che nes-
suno {letteralmente nessuno), fra i promotori della popolare
Assemblea e fra gl'intervenuti alla medesima, pensava ad
innef^^iare alla pace per la pace, indipendentemente dal com-
pirei ito delle giustizie che sole possono renderla onesta, me-
ritata e desiderabile. Il Comizio Milanese fu, infatti, una pro-
testa contro i fautori della pace ad ogni costo, della pace che
copre le iniquità de' Potenti e le sofferenze de' deboli ; che
saiRÌsce l'arbitrio, l'oppressione, la conquista, la servitù; che
disconosce il diritto de' Pppoli — rubati delle Patrie loro, con-
€utcatì, smembrati a grado di pochi violenti — a ricuperare
i titoli e le condizioni della loro esistenza civile ; della pace,
infine, che in nome della inviolabilità della vita permette che
la vita sia ridotta a tale viltà, da non valere la pena di con-
^orvarhi : et propter vitam vivendi perdere causas. — Il Comizio
di Milano, seguendo la virile sapienza de' nostri maggiori, in-
tese a distinguere le guerre giuste dalle guerre ingiuste ed.
arljitrarie ; le guerre rivendicatrici della indipendenza, della.
^rv 5'".;i-'
A MATTEO RENATO IMBRUNI. 47
libertà e della umanità delle genti, dalle guerre che servono
all'ambizione e alla cupidità de' loro oppressori — ricono-
scendo legittime e sante le prime, quando una suprema ne-
cessità non lasci altro mezzo di salvezza ad un Popolo; in-
vocando contro le seconde l'azione concorde delle forze civili
del secolo. — E che tale sarebbe stato — come realmente
Io fu — lo spirito informatore del Comizio potevate arguirlo
dall'avere io accettato di presiederlo. Ve ne sarete ad ogni
modo chiarito leggendone le relazioni ne' Giornali : e mi è
grato presumere che ne siate stato contento.
A. Saffi.
JtìM^
48
AIXO STESSO.
Bologna, 80 aprile 1880.
Caro Imbriani,
In questo giorno che ricorda una insigne vittoria del va-
lore italiano contro la prepotenza straniera, mi è caro volgere
a Voi e agli amici vostri una parola d'affetto, come ad in-
terpreti e continuatori di quella coscienza di Patria che —
preparando con l'idea il fatto, coi magnanimi sacrifici i trionfi
(Iella ragion del Diritto — sottrasse in gran parte l'Italia e
finirà di sottrarla alla ragion della Forza.
Alle accuse di chi avversa o fraintende i vostri propositi.
Voi, il Bovio ed altri egregi opponeste argomenti di giusta di-
fesa: né ormai giova od importa, parmi, discutere una que-
stione della quale sono arbitre, non le opinioni de' singoli,
ma la natura e la Storia e — in nome della natura e della
storia — un'intera Nazione^
Può essere soggetto di disputazione e di consiglio, nella
Causa che noi propugnamo, il modo e il tempo dell'operare;
perocché la medesima sia congiunta alle condizioni di una
Causa più vasta e più complessa : quella, cioè, della comune
emancipazione dei Popoli smembrati e confusi dalla conqui-
sta, e subordinata — quanto all'azione — a necessità prati-
che, alle quali non è lecito fare intempestivo contrasto. — Ma
il principio ch'essa rappresenta ha in sé una perenne virtù che
non soffre prescrizione né vien meno per mutar di giudizi o
imperversare d'arbitri umani. La italianità delle terre ita-
liane è uno di que' primi Veri che non si dimostran ma sono;
che una Legge morale — analoga a quella della gravitazione
cle'corpi al centro — venne sinora e andrà progressivamente
confermando in atto.
E dinanzi a tal Legge fondamentale e costante, il dovere
(l'affermarne la sostanza e di ricordarne gli obblighi al
Paese sovrasta ad ogni differenza di Parte. Noi siamo Italia^ii
anzitutto, comeché convinti che la Repubblica soltanto possa
— maturi i destini — dare anima, vita e coscienza de' suoi
uffici nel mondo ad una Italia vera e degna del retaggio
de' Padri.
ALLO STESSO. 49
Ed ora, passando a minore materia, vogliate aiutarmi a
sodisfare cosa che mi sta a cuore.
Io doveva alPAssociazione dell'Alpi Giulie la seconda metà
di due azioni, da me offerta, in nome della mia famiglia, a
quel Sodalizio. L'Associazione —- sento dire — è oggi sciolta ;
né io so con chi adempiere il debito mio. Mando a Voi la
piccola somma perchè ne facciate quell' uso che vi parrà ri-
sponder più acconciamente alla primitiva destinazione del-
l'offerta.
Ricevo da Trieste, per mezzo di fidati amici, il voto di
cui vi trasmetto copia. Pur troppo le ignobili paure che go-
vernano il Paese non mi consentiranno di farmi pubblico
interprete della parola dei fratelli schiavi dinanzi alla Lapide
di Mazzini: ma ne darò partecipazione agli Amici nel ban-
chetto fraterno.
A. Saffi.
RISPOSTA AD UNA LETTERA DEGLI STUDENTL
Bologna, 9 giugno 1880.
Egregi e cari Giovani,
Grazie delle affettuose parole, che vi piacque indirizzarmi
in segno d'animo riconoscente, pel poco che mi fu dato di
ijue a conforto de' vostri studi.
Io so che nell'arringo da me intrapreso, il potere non fu
pini al volere: ma se l'opera mia ha potuto in qualche modo
a^ valorare nelle vostre menti il pensiero e ne' vostri cuori
l\imore delle patrie tradizioni, io sarò lieto davvero del
fi utto delle mie cure.
L'Italia fu maestra della Ragion del Diritto alle genti.
Essa possiede, negl'insegnamenti e negl'istituti de' suoi anti-
clii, un retaggio di sapienza civile, che importa custodire e
iivanzare in bene con assidua coltura.
Vi posero lungo studio i nostri maggiori: vi si affaticano
ili continuo, con diligenti indagini, gli stranieri, riconoscendo
dLilla Pàtria nostra, in gran parte, il beneficio del loro ri-
sratto dalla barbarie : è debito degl'Italiani odierni non venir
]ueno al compito di una scienza che si collega intimamente
fdi ricordi del loro passato e con le speranze del toro avvenire.
E a voi in particolare, o giovani, spetta il nobile ufficio
di ravvivarne le discipline, traendo dalla storia della Ragion
imliblica de' padri, e dai lumi dell'esperienza e della coscienza
ile' tempi, consiglio e guida ai progressi della Nazione sulle
^ ie della giustizia e della libertà — auspice la virtù al sapere.
Io vi ricambio di cuore, con questo voto, l'affetto di cui
jhi onorate.
Vostro
A. Saffi.
51
PEL CONGRESSO DELLA FEDERAZIONE
BRITANNICA E CONTINENTALE A GENOVA.*
A Giuseppe Nathan
segretario del Comitato Centrale Italiano.
Bologna, 19 giugno 1880.
Egregio Signore,
Aderisco con tutto V animo alla richiesta che mi fate —
in nome del Comitato Centrale Italiano della Federazione
Britannica Continentale — di dare il mio nome al Comitato
Generale Italiano di ricevimento pel Congresso di Genova.
Sento tutta la responsabilità che incombe a quanti fra
noi hanno a cuore la Sacra Causa, della quale si tratta, e
Tenore della Patria italiana dinanzi ad essa, di adoperarsi
con ogni poter loro a far sì che il Congresso riesca solenne
e degno della terra dove riposano gli avanzi mortali di Giu-
seppe Mazzini.
Accetto quindi l'ufficio, al quale m'invitate, come stretto
dovere.
Vogliate farvi interprete di questi miei sentimenti con gli
Onorevoli Colleghi iiel Comitato Centrale, .ed abbiatemi
vostro devotissimo
A. Saffi.
APPELLO.
' Cittadini, ^'^'''^'^ ^"^°"
Vi è nota la crociata intrapresa, a' giorni nostri, dai mi-
gliori, uomini e donne, d'ogni contrada del mondo civile
~ duce una santa, Giuseppina Butler — contro i regolamenti
<ìhe legalizzano la prostituzione e ne fanno sorgente di lucro
infame per le finanze degli Stati.
La prostituzione della Donna è la profanazione dell'Uma-
nità in ciò che v' ha di più sacro e di più inviolabile ne' vin-
coli della sua vita.
* Dal Dovere del 27 giugno '80.
52 PEL CONGRESSO DELLA FEDERAZIONE EC.
Per essa i santi nomi di sorella, di sposa, di madre sono
cancellati dalla fronte delle infelici che vi soggiacciono: essa
è marchio che deturpa del pari la vittima e chi ne fa stru-
mento alle sue voglie.
E i Governi che la sanciscono, che la tutelano, che ne
fanno mercato, sono, sotto veste di curatori dell' igiene pub-
blica, i principali artefici della decadenza morale delle Nazioni.
Essi pongono sotto V autorità della legge la più brutale
delle servitù ; e tolgono alle disgraziate schiave del vizio ogni
possibilità di riscatto ; si fanno ministri della negazione della
Famiglia ; e fomentano, sotto le mentite sicurtà igieniche,
r espandersi della dissolutezza e la evirazione della gioventù.
La protesta inalzata, or non ha molto, contro questo im-
menso male da una piccola schiera d' anime elette, venne
crescendo d' anno in anno, nutrita da profondi studi ; e
s' impone oggi, ascoltata e potente, a Parlamenti e Governi,
mercè l'opera perseverante della Federazione Britannica
Continentale.
L' abolizione delle leggi che regolano la prostituzione' e
perpetuano la schiavitù della donna caduta;
La subordinazione degli effetti criminosi del vizio alle
sanzioni del Codice penale;
Ecco il duplice assunto della Federazione; la quale, fidente
nel senso morale e civile degl' Italiani, ha deliberato, onorando
la Patria nostra, di tenere il suo secondo Congresso internazio-
nale, nel prossimo autunno, in Genova : là dove riposano gli
avanzi mortali del più grande propugnatore, a' dì nostri, della
morale dignità della creatura umana — Giuseppe Mazzini.
Il rendere — in ciò che dipende da noi — efficace, solenne,
degna dell' Italia, la Voce del Congresso di Genova contr.o
questa pessima delle servitù che contaminano ancora l'Uma-
nità, è un debito di coscienza verso la nostra fede, un de-
bito d' onore verso la Patria nostra.
Io associo di gran cuore. Cittadini ed Amici, le mie esor-
tazioni — per quanto esse possano valere presso di voi — a
quelle del Comitato Centrale Italiano della Federazione, per-
chè non manchiate all' appello, concorrendo per mezzo dei
vostri delegati nell'Assemblea genovese, all'adempimento di
un grande dovere.
Vostro
A. Saffi.
53
DISCORSO INAUGURALE AL CONGRESSO
DELLA FEDERAZIONE BRITANNICA E CONTINENTALE
TENUTO IL 29 SETTEMBRE 1880 IN GENOVA.»
Signore e Signori,
Neir assumere la presidenza di questa Assemblea, io so
di non poter prestare all' arringo, che qui ci raccoglie, spe-
ciali capacità di scienza : né questo vi attendevate per av-
ventura da me, chiamandomi all' onorevole incarico. Vi ar-
reco, in compenso, il mio buon volere e una fede inconcussa
ne' trionfi serbati dalla Legge dell' umano Progresso alla
educazione delle più nobili facoltà dell' Uomo sui bassi istinti
della sua natura animale. Ma se v' ha cosa che mi dia qual-
che titolo ad occupare questo seggio, è che qui io mi sto
nunzio ed interprete della cordiale adesione offerta all' as-
sunto nostro dalla maggior parte delle Società operaie d' Ita-
lia, e della sentenza d' uomini insigni per ingegno e sapere,
intorno al gran maleficio che noi condanniamo ; fra' quali
mi basti citare — con legittimo orgoglio di Patria, per limi-
tarmi agli assenti —■ que' strenui campioni del fóro italiano,
che sono : il venerando professore Carrara, Pasquale Stani-
slao Mancini, Pietro Ellero, Giuseppe Ceneri, Oreste Regnoli.
E avremmo certo avuto auspice de' nostri voti — se la morte
non. r avesse rapito alla scienza e alla Patria — quell' alto
intelletto e nobil cuore del senatore Music; il quale, combat-
tuta eloquentemente in Senato la pena di morte, ne uscì
dicendo : < questo fu il mio testamento politico : la censura
delle leggi sulla prostituzione patentata sarà il mio testa-
mento morale. >
Ben mi rattrista l'assenza da questo secondo Congresso
della nostra Federazione, del nobile amico che presiedette,
in Ginevra, il primo Convegno della medesima e che tanto
ha operato ed opera a prò della Causa per la quale egli e
* Dal Dovere del 3 ottobre '80.
54 DISCORSO INAUGURALE
noi combattiamo — Giacomo Stansfeld. — Mentre il suo in-
tervento in questa solenne riunione avrebbe dato efficace
aiuto ai nostri lavori, io personalmente n'avrei tratto con-
forto all'ufficio di che voleste onorarmi; nel quale, senza il
suo concorso, a me non resta che fare assegnamento sulla
vostra indulgenza. Gli siano, queste mie parole, sincera te-
stimonianza della considerazione e dell'affetto ch'io gli pro-
fesso, e che gli professano con me, nella patria di Giuseppe
Mazzini, quanti conoscono le sue virtù e il vincolo di fedele
amicizia che lo strinse al Grande Italiano, ne' giorni delle
lontane speranze e delle magnanime prove.
Ed ora è mio primo obbligo di rendervi grazie, o Signore
e Signori, in nome de' miei compatrioti e mio, dell'avere voi
scelto per sede del vostro secondo Congresso una città d'Ita-
lia — e segnatamente Genova : la quale, per la universalità
del pensiero che ispirò, sotto diversi aspetti, due Grandi suoi
figli, è degna stanza di un Comizio in cui convengono, da
ogni parte del mondo civile, spiriti devoti ad una Causa che
concerne l'Umanità tutta quanta.
E invero di qui Colombo divinò le vie sulle quali la Ci-
viltà del vecchio mondo doveva, dietro il corso del sole, va-
licare l'Atlantico e compiere, ringiovanendosi, il giro del
globo : — di qui Mazzini presentì la emancipazione della
Patria italiana e delle Nazioni oppresse d'Europa; e pre-
conizzò i fraterni legami che tutte le uniranno un giorno
nel seno di una più vasta e più santa associazione del ge-r
nere umano, immune dagli egoismi che oggi dividono una
gente dall' altra — il ricco dal povero, 1' Uomo dalla Donna
— sotto il cieco impero della legge del più forte. Di qui per-
tanto, come da punto augurale di più sereni orizzonti, ci sia
lecito trarre gli auspici di tempi più avventurosi per la no-
stra specie. Ed io vo lieto che questa illustre città abbia
mostrato, per mezzo de' suoi magistrati, d' intendere tutta
r importanza morale ed umana dell' assunto nostro ; e mi fo
interprete de' vostri sensi, ringraziandoli delle nobili parole
con le quali risposero ai nostri voti.
Altro mio grato dovere, o compatrioti miei, è di presen-
tarvi con riverente affetto, nella gentile che mi siede accanto,
colei che fu prima motrice, in questa nostra età lenta alle
lotte pel Bene, della Santa Crociata contro la servitù legale
della donna al pubblico vizio. — Sono oggi ventisette anni
AL CONGRESSO DELLA FEDERAZIONE BRITANNICA. 55
eh' io, proscritto dalla terra natia, ebbi dalla fortuna il pri-
vilegio d' incontrarla la prima volta in Oxford — sposa e
madre esemplare nel modesto ritiro della vita privata: né
venne mai meno in me, con la memoria de' pregi suoi e
del suo degno consorte, la gratitudine dell'animo mio per
le ospitali accoglienze di che mi furono, ne' giorni del mio
esflio, squisitamente cortesi. Mutarono i casi, passò gran
tempo ; ed oggi è mia ventura ed onore risalutare in questo
luogo, sulla madre terra d' Italia, dinanzi a voi miei compagni
di Patria, questa nobilissima che, di solinga custode della san-
tità del focolare domestico, s' è fatta nel cospetto del mondo
austera e strenua vendicatrice della dignità del suo sesso.
Qual forza irresistibile la trasse, timida e repugnante da
principio, dai penetrali della famiglia sull'arena della pub-
blicità, senz' altra compagnia da quella infuori della buona
coscienza ? Chi le diede il coraggio di affrontare i pregiudizi,
i sarcasmi, il falso pudore di una società che consacra se-
greti altari alla dissolutezza e si scandalizza dell'aperta pro-
testa contro la propria contaminazione ? Quale virtù venne
affratellando intorno ad essa tante anime elette d'ogni na-.
zione — uomini e donne che s' inalzano, per ingegno e bontà,
stdla schiera volgare — e di cui vedete accolti il fiore in
questa grande adunanza, che può dirsi un vero Comizio del-
l'intima coscienza della Umanità contro la negazione della
Legge morale ?
Quale forza, quale virtù, o cittadini? La forza del Vero
che illumina l'intelletto ; del Bene che infiamma la volontà;
del Dovere che impone la sua legge all' opera della vita : —
la virtù dell' elemento divino, immortale che è in noi — nella
Donna come nell'Uomo — il quale ci avverte che « non siam
nati a viver come bruti > ; — che possiamo e quindi dobbiamo
sottoporre alla ragióne le nostre passioni ; e che la differenza
del sesso non costituisce differenza di titoli alla inviolabilità
della persona umana, virtualmente sacra in entrambi.
Questa la potenza che incuorò Giuseppina Butler e le sue
sorelle di fede a intimar guerra alla più tunpe delle schia-
vitù : quella che profana, nel corpo della donna, le sorgenti
stesse della vita dell'Umanità; e all'errore che sancisce tale
schiavitù, proclamando il vizio una necessità della natura
umana, e costituendo lo Stato ministro della prostituzione e
tutore del libertinaggio.
56 DISCORSO INAUGURALE
Senonchè importa, o compatrioti miei, che voi compren-
diate, nella loro razionale e pratica entità, i veri termini del
problema che la Federazione Britannica Continentale propone
a sé stessa. Non è sua pretesa ir fare miracoli. Essa non
ignora la vastità e la diuturnità di una piaga le cui origini
risalgono alla selvatichezza de' primitivi consorzi umani ; e
che, mettendo radice nella parte inferiore dell' esser nostro,
riceve incentivo e alimento da triste condizioni sociali e da
perversità d'inveterato costume. Essa non si dà ad inten-
dere che questo immenso male possa estirparsi d'un tratto
dal seno delle imperfezioni e delle miserie umane. Solo
l'azione collettiva di tutte le forze educatrici dell'Umanità,
nel tempo, coadiuvate da un più equo assetto dell' ordine
politico ed economico degli Stati, potrà ridurlo ne' limiti di
un eccezionale pervertimento delle passioni. Spetta nondi-
meno alla virtù de' migliori, d' una in altra generazione, il
sospingere con assidui conati, contro la fiumana delle corrut-
tele umane, l'arca sacra della salvezza e della nobiltà della
nostra specie : e di questi conati del senso morale — che,
.confortato dalla conoscenza del Vero e dalla coscienza del
Giusto, è guida alla marcia de' Popoli verso le mète supreme
della civiltà -— la Federazione Britannica Continentale dà
all' età nostra uno de' più nobili e fecondi esempì. Imperoc-
ché questa lega provvidenziale — che, sorta,.or sono appena
cinque anni, da piccoli inizi, abbraccia ormai tutto il mondo
civile, e penetra colle sue dottrine ne' Consigli delle Nazioni
— rivolge appunto la sua mira a tutti gli estremi del gra-
vissimo tema ; sottoponendo ad accurate indagini e ad alti
intendimenti di critica riformatrice i fatti e gli istituti della
società contemporanea, in quanto si scostano dalle ragioni
della moralità, della equità e della inviolabilità della per-
sona umana. — Perchè, a chi voglia scoprire le riposte fonti
de' mali che la infestano e di quelli ancor più gravi che la
minacciano, incombe il triste compito di scrutare i moventi
dello scadimento morale e dei delitti dell' età nostra, nel di-
sequilibrio deile condizioni economiche fra le diverse classi
sociali; nelle ingiuste relazioni fra capitale e lavoro; nel-
l'impero di una cupida speculazione, sciolta da ogni freno
di ragion pubblica; nel concentramento conseguente d'in-
genti e nondimeno effimere ricchezze in poche mani, da un
lato ; e nello estendersi rapido di una vasta colluvie di prò-
MANIFESTO ALLA DEMOCRAZIA FRANCESE. 73
Noi non evochiamo l'antico ricordo ad ammonimento di
futuri eventi possibili.
I progressi della civiltà hanno chiuso per sempre la scena
della Storia alle ripetizioni delle catastrofi dell'antica tragedia
umana.
II grido di Catone il vecchio non ha più senso ai dì no-
stri. Né compito dell'Italia futura è, per nostro avviso, il fare
appello, nelle questioni di diritto internazionale, anzi che alla
ragione, alla violenza. Non perchè a noi manchi fede nelle
forze ch'essa, provocata alla lotta, potrebbe suscitare dal pro-
prio seno; ma perchè, al di sopra degli errori dei Governi,
stanno principi e doveri, che la Patria nostra e tutte le Na-
zioni civili devono osservare scambievolmente fra loro, stanno
prospettive d'avvenire a cui, più che la tolleranza longanime
dinanzi ad un arbitrio inconsulto, farebbe ostacolo funesto la
empietà di una guerra fraterna. Noi crediamo con Voi, o Si-
gnore, essere legge dell'epoca in cui viviamo, che all'isola-
mento selvaggio degli Stati succeda l'associazione civile, al-
l'assoluta facoltà di usare ed abusare del loro potere sottentri
il mutuo freno della ragion comune, all'anarchia internazio-
nale dell'oggi un vero diritto delle genti, che guidi le Na-
zioni a quella colleganza che Voi avete preconizzata, e che
sola può condurle a svolgere tutta la potenza delle loro ca-
pacità intellettuali ed economiche sopra una base incrollabile,
perchè rispondente al meccanismo della natura e ai postulati
della morale e della giustizia a un tempo. E la Francia, l'In-
ghilterra, l'Italia, come antesignane delle genti europee sul
cammino della libertà, sono chiamate per prime ad iniziare
il giusto patto, VcBquum foedus, dei tempi nuovi. È questo il
decreto della Storia : questo il grido dei Popoli : stolti e par-
ricidi i Governi che vi fanno contrasto, e alle vie della giu-
stizia preferiscono quelle della barbarie.
E dove è maggiore la libertà ivi è maggiore il dovere.
La Repubblica ne ha quindi più grave e insieme più insigne
il carico. Se non lo assume con mano felice e pura, essa
tradisce sé stessa, e non è che una larva che maschera il
dispotismo.
Ma le menzogne non durano. E mentre l'Italia andrà pur-
gando le proprie e sciogliendosi da un sistema di governo che
la compromette e la umilia ad un tempo, la Francia — ne siamo
convinti — la Francia vera, la Francia del Popolo, saprà far
xu. * 6
5^^iii;b^pwPìHP!I -^
74 MANIFESTO ALLA DEMOCRAZIA FRANCESE.
SÌ che l'ideale repubblicano torni a risplendere di tutta la sua
luce sulla coscienza dell'Umanità.
Allora le due Nazioni — libere, eguali, degne l' una del-
l'altra — si troveranno indissolubilmente congiunte sulla gran
via dell'umano progresso. Con questi voti, che sono anche i
vostri, 0 Signore, pieni di fede nell'avvenire de' Pòpoli, noi vi
mandiamo un fraterno saluto.
Firenze, 15 maggio 1881.
Agostino Bertani — Alessandro Ca-
stellani — Giovanni Bovio — Lemmi
I Adriano — Aurelio Saffi — Fede-
! RICO Campanella — Alberto Mario.
75
AL CONGRESSO DELLA PACE IN GINEVRA.^
Forlì (Romagna), 22 settembre 1881.
Egregio e carissimo Collega, *
Impedito da impegni obbligatori di allontanarmi, anche
per breve assenza, dal paese, mi è impossibile di assistere
alla Conferenza della nostra Lega a Ginevra.
Sarò con Voi in ispirito e mi associo in anticipazione alle
risoluzioni che sarete per prendere, perchè conosco i principi
e i voti sui quali saranno basate; questi principi e questi
voti sono i miei come sono i vostri.
Ho fede nella Repubblica ; cioè nella libertà, nella giusti-
zia, nell'Avvenire. ,
Se la Repubblica dovesse divenire la superstizione e la
dittatura all' interno, la guerra e la conquista all'estero, essa
cadrebbe.
Ora, questa decadenza è impossibile, perchè la Repub-
blica è il portato della civiltà — cioè; di tutte le forze vive
che la ragione, la scienza e il lavoro svolgono nella società
moderna.
Queste forze sono espansive e s'intrecciano con mille le-
gami indissolubili con forze uguali presso tutti 1 Popoli che
camminano sulla via del progresso.
La Bepubblica non morrà. Al contrario, essa è destinata
a diffondersi : prova ne sia che in Francia, dov'essa esiste di
fatto, il suo trionfo va assodandosi ogni giorno più.
Le ultime elezioni ne fanno splendida testimonianza; do-
vunque altrove la tendenza, del pensiero e dell'azione sociale
dei Popoli, che si sollevano al disopra della condizione di
schiavi rassegnati, è decisamente repubblicana.
n principio dinastico non ha più radici nella coscienza
delle moltitudini. La monarchia costituzionale non è che una
* Bai Dovere del 2 ottobre *81.
'^^m
7G AL CONGRESSO DELLA PACE IN GINEVBA.
forma transitoria, che racchiude in seno il self-government
dei Popoli già maturi per la libertà.
Il self-government dei Popoli è la salvaguardia degl'inte-
ressi pacifici, della giustizia internazionale, della solidarietà
umana.
In presenza di questo gran moto della vita europea, io
non temo gli attentati della vecchia politica degl'imperatori
e dei re. Né le loro leghe né le loro ambizioni ormai non
potranno primeggiare sui destini delle Nazioni. Le mene delle
vecchie Corti, per isfruttare gli errori dei Popoli liberi e inal-
berare il vessillo di una guerra intestina fra questi a profitto
del loro potere, non riusciranno.
V'ha una forza che domina questi errori e le passioni del
momento che possono alimentarli: la forza dell'opinione intel-
ligente, la coscienza dei veri interessi delle Nazioni nei loro
rapporti scambievoli.
Così — se io non m'inganno — la vostra protesta contro
l'occupazione militare della Tunisia raggiungerà lo scopo.
La colonizzazione per mezzo della conquista — antico si-
stema monarchico — è condannata dalla ragione e dalla espe-
rienza ad un tempo, sotto il duplice aspetto della giustizia
e dell'economia. Essa intisichisce, prostra gli spodestati, e
rovina i conquistatori.
Non v'è che una sola via legittima di colonizzazione: la
colonizzazione per mezzo del lavoro e rispettando i diritti
degl'indigeni, la libertà dell'industria e del commercio per
tutti e a prò di tutti.
Egli è soltanto su questa via che le Nazioni marittime
del Mediterraneo sono chiamate a svolgere la loro attività
produttiva per mezzo di una cooperazione feconda.
Ripetere fra loro, sopra più vasta scala, lo spettacolo dato
nel medio-evo dalle repubbliche di Pisa, di Genova e di Ve-
nezia, sarebbe non solo un delitto, ma la negazione d'ogni
progresso, la caduta della libertà, la via aperta ad una nuova
invasione di Barbari.
Fortunatamente, interessi^ costumi, legami sociali, sviluppo
intellettuale e morale, equilibrio di forze — tutto tende a pre-
venire un tale risultato.
L'avvenire dei Popoli e navigatori e commercianti del-
l'Europa occidentale porta nel seno il fausto presagio della
pace, degli arbitrati della giustizia internazionale, ed even-
AL CONGRESSO DELLA PACE IN GINEVRA. 77
tualmente d'un cegimm foedus perpetuo, che praticamente tra-
durrà nel loro diritto pubblico la grande formola dei vo-
stri padri:
Libertà — Eguaglianza — Fratellanza.
Tocca al vessillo repubblicano di farsi precursore di questa
grande e vera politica della Pace per la Giustizia e la Libertà.
Quando, nel 1870, voi inalberaste questa bandiera purifi-
cata dalle sciagure, sulle rovine del secondo Impero, la De-
mocrazia italiana vi rivolgeva una parola di speranza che
oggi amo ripetere; perchè, dopo tutto, non rinunzierò mai
in vita mia. alla speranza nel trionfo del Giusto e del Vero.
< Noi salutiamo > — dicemmo allora— < con profonda fidu-
cia il vessillo che primi- avete inalzato a guida dell'avvenire.
Noi lo salutiamo non soltanto perchè promette la vera li-
bertà, l'educazione del popolo, la giustizia per tutti, la coope-
razione e la rappresentanza sincera di tutti neiramministra-
zione della cosa pubblica^ ma altresì perchè è il vessillo della
pace e dei doveri internazionali ; perchè porta neUe sue pieghe
il testo del nuovo Diritto pubblico europeo : — inviolabilità di
tutte le Patrie nei limiti tracciati dalla natura, dalla Storia e
dall'idea di un'azione comune a tutti i suoi figli; inviolabilità
del diritto inerente alla vita stessa di ogni Nazione, diritto di
costituirsi dentro i propri confini così liberamente come i suoi
bisogni e lo scopo della sua esistenza richieggono ; inviolabilità
della coscienza e della persona umana ; associazione dei Popoli
liberi per la difesa dei loro comuni interessi e per l'esercizio
dei loro doveri reciproci : adozione di un patto federativo per-
manente fra gli Stati d'Europa, tosto che l'estensione e l'edu-
cazione della libertà avranno reso possibile questo scopo su-
premo dell'incivilimento progressivo.
> E noi Italiani salutiamo con affetto speciale la vostra
bandiera come una promessa di buon vicinato tra la vostra
Patria e la nostra; come simbolo delle vicende comuni nel
passato, dei doveri e destini comuni nell'avvenire ; come gua-
rentigia di libertà solidamente fondata sopra la giustizia e le
leggi civili, fortificata da istituzioni tali da difenderla contro
l'anarchia e contro il despotismo. >
Risponderà il Popolo francese con la Repubblica a questi
principi, a questi voti? Noi lo speriamo, noi ce lo auguriamo
di tutto cuore.
78 AL CONGRESSO DELLA PACE IN GINEVRA.
Da questo dipende il trionfo della giustizia sulla forza/
della libertà sul despotismo, della civiltà sulla barbarie, in
tutta l'Europa.
Credetemi, caro Presidente,
vostro
A. Saffi.
All'onorevole Presidente
della Lega internazionale della Pace
e della Libertà.*
* Charles Lemonnier.
79
CONTRO L'ALLEANZA AUSTRIACA.
LETTERA AL CIRCOLO « G. MAZZINI» DI FORLÌ.
Forlì, 31 ottobre 1881.
Amici,
Il Comitato per l'Italia Irredenta, il vostro Circolo ed
altri Sodalizi non immemori delle tradizioni del patriotismo
italiano — raccogliendo le voci della miglior parte della Na-
zione, gli ammonimenti rivolti ai Repubblicani di Francia
dalla nostra Democrazia, e la protesta che sorge spontanea
contro l'Alleanza austriaca da quanti hanno senso di ciò che
la Patria nostra deve a sé stessa e ad altrui — hanno indi-
rizzato al Paese nobili e schiette parole.
Esce da quelle parole un gran Vero — ed è: che non è
isolato moralmente quel Popolo che rappresenta, nella propria
Causa, la Giustizia e il Diritto per tutti; e noi sarebbe jpoK-
ticamente, se i reggitori delle nostre sorti avessero coscienza
degli uffici ch'esso è chiamato ad esercitare in Europa, e ani-
moso proposito di conformarvi la sua azione esteriore.
Non è isolato moralmente un Popolo il quale, in virtù
de' principi sui quali si fonda la sua esistenza nazionale, ha
in mano V iniziativa dell'avvenire; che, dove si mantenga fe-
dele a que' principi negli atti della sua vita politica, è certo
di avere alleati — nelle crisi che i tempi preparano — quanti
Popoli aspirano a rivendicare i titoli della loro personalità
contro il fatto artificiale e violento dell'arbitrio dinastico e
della conquista; quanti Stati minori, già costituiti su base
legittima entro giusti confini, tendono ad associarsi fra loro
per la comune sicurezza.
Non è isolato un Popolo che — nella Triade delle Penisole
che stendono le loro prode sul Mediterraneo, lungo la grande
via delle comunicazioni con l'Oriente, gloriosamente nota
a' suoi Padri — può farsi mezzo armonioso di feconde Leghe
marittime fra le medesime; che, mercè antiche relazioni rav-
vivate da moderni risorgimenti, ha per fratelli — più che al-
leati — EUeni da un lato, Ispani dall'altro ; e, amici naturali
80 CONTRO l'alleanza AUSTEIACA.
di là dai primi, gli Slavi del Sud ; e, più oltre, Boemi e Po-
lacchi; nutrice di simpatie intellettuali, morali e politiche
per esso, di là dai secondi, e disposta a favorirne gl'incre-
iiienti per ragioni di civiltà, di commerci, d'equilibrio di forze
marittime, la Gran Bretagna : — un Popolo che guarda dal-
l'Alpi al dissidio tra Francia e Germania; ed è forse desti-
nato a comporre un giorno — afbitro civile — le rivali pretese
(Ielle due stirpi sul Reno.
Non è isolata moralmente una Contrada che porta inciso
sulle tombe dei suoi Martiri — di que' Martiri che voi e noi
tutti, di presenza o in ispiri to, onoreremo di pietoso omag-
gio, riconoscenti e devoti, dopo dimani — il Verbo della mente
civile de' tempi: Inviolabilità del Pensiero e della Coscienza;
Reintegrazione delle Patrie Nazionali; equa colleganza — per
mutui rapporti d'utilità e giustizia — fra tutte; Libertà ed
Associazione insieme congiunte nell'opera della universale
Civiltà.
Non è isolata, infine, una Contrada che, nell'organismo
della sua vita economica, negli ordini popolari de' suoi Co-
muni e delle sue Società operaie, nelle tradizioni assimila-
trici della sua vita civile, darà — forse prima all'Europa —
un esempio fecondo di pacifica progressiva unificazione de'ceti,
in un comune assetto d'equa convivenza sociale.
E nondimeno, il Governo e i fautori della sua politica
parlano d'isolamento; e ne traggono pretesto a giustificare
la trista alleanza, oggi conclusa, con l'antica avversaria, di-
menticando gli strazi del passato, i patiboli de' nostri migliori,
gli oltraggi recenti ; disconoscendo gli obblighi che ci strin-
gono ai fratelli ancora soggetti al suo dominio ; rinunziando
virtualmente — se non per patto espresso — al nostro diritto
e al nostro dovere a un tempo ; e dando pegno di connivenza
in tutte le iniquità ond'essa compose e tenta ampliare, su
brani di genti disfatte, la discorde unità del suo Impero.
Certo, il sistema che creò l' Italia officiale — che rassegnò
l'opera iniziatrice del nostro risorgimento alla dittatura d' un
despota straniero; che, senza fede nella vita della Nazione,
senza intuizione delle tendenze dei tempi, senza concetto di
Ragion propria, segue l'ombra del passato, anziché i presagì
dell'avvenire, e non si sente sicuro se non s'appoggia alla
Forza altrui — era ed è minacciato d' isolamento in Europa.
Ma, d'onde la cagione, se non dalla sua stessa natura?
CONTRO L'ALLEANZA AUSTRIACA. 81
Sarebbe stata impotente l'Italia nel Congresso di Berlino,
se retta da un Governo capace di tenere alta la Bandiera
della sua Dignità e del suo Diritto, in mezzo ai raggiri della
Diplomazia europea? Sarebbe stata sóla, di fronte al peri-
colo della Tunisiade, se avesse osato prevenire con un con-
tegno dignitoso e forte, in nome della comune Giustizia e
de'comuni interessi, l'inganno francese ? Avrebbe la falsa Re-
pubblica de' nostri vicini insolentito con l'Italia, se l'Italia le
avesse insegnato altro governo verso di lei — primeggiando
sovr'essa, per virtù di consigli e d'opere, e incutendole con
l'esempio il rispetto che impongono la rettitudine, l'onestà,
la magnanimità degl'intendimenti e de' fatti?
E come provvede al proprio isolamento il sistema?
• Abdicando sulla frontiera orientale, come abdicò — sin dal
suo primo frammettersi alla vita della Patria nascente —
sulla frontiera occidentale il diritto e l'onore della Nazione,
riparando la propria inanità sotto il patrocinio di una Po-
tenza usurpatrice di terre nostre, emulatrice delle nostre
operosità nell'Adriatico e necessariamente ostile all'idea della
Nazionalità, che è il fondamento del nostro Diritto pubblico
dinanzi al mondo civile.
Or questa non è -- che che vadano sofisticando i panegiri-
sti della politica aulica che ci governa — alleanza di Popoli,
ma di Monarchi: spettro d'una santa Alleanza postuma, ve-
stita di liberali parvenze ; alla quale l'età che sorge non con-
sente forza vitale, e che la Democrazia italiana disdice e
respinge da sé, come cosa non sua, perchè — al pari del si-
stema — la Patria nostra non rimanga davvero sola e divisa
da quanto, in Europa, vive, respira ed inoltra sul cammino
della Libertà e del Progresso.
A. Saffi.
L
82
A ERNESTO NATHAN.
Bologna» 25 dicembre 1881.
Egregio Amico,
Ho io bisogno di dirvi che mi associo con tutto l'animo
al vostro assunto, e applaudo di cuore alla pubblicazione da
voi annunciata, come ad opera feconda di educazione sociale,
intesa a tradurre nella pratica della vita il culto de' principi
pe' quali combatte la Federazione Britannica Continentale ?
Voi conoscete i miei convincimenti* sul gravissimo tema.
Essi s' accordano in tutto coi vostri : né qui m' è d' uopo ri-
petere le ragioni sulle quali si fondano. — Il programma
stesso da voi prefisso al Periodico le riepiloga ; e i fatti, le
statistiche, gli argomenti, di cui questo si farà raccoglitore
ed interprete, varranno — spero — a renderli sempre più evi-
denti alla coscienza dell'universale.
Mi basti r insistere su questo : che il maleficio, sul quale
il compianto vostro fratello chiamò, primo, 1' attenzione de-
gl' Italiani — concentrando nella lotta, diretta a sopprimerlo,
tutte le nobili facoltà di un' anima devota al Bene — ha
stretta attinenza qgn ogni parte della vita civile : vulnera e
perverte, sotto sanzioni legali, i rapporti fra i due sessi, la
Famiglia, lo Stato, la tempra morale e fisica d' intere gene-
razioni condannate ad inevitabile decadimento, se non sorga,
a redimerle e a riformarne gl'istituti e i costumi, una ele-
vata e più forte coscienza della dignità dell' umana natura
— neir uomo e nella donna ad un tempo.
Vostro devotissimo
A. Saffi.
83
ALL'ONOR. PRESIDENTE
DELLA «SOCIETÀ ATEA> IN VENEZIA.
Lettera Prima.*
Bologna, 24 febbraio 1880.
Onorevole Signore,
La nomina eh' Ella mi partecipa di socio onorario di co-
desta Società, si fonda evidentemente sopra un equivoco, s'io
bene argomento — dal titolo della medesima — il suo concetto
fondamentale.
Mentirei a me stesso, a Lei e all' universale, se — mentre
la ringrazio delle gentili espressioni della sua lettera — non
dissipassi in pari tempo V errore.
Militai sempre, secondo le mie deboli forze, nel campo
della Libertà, del Diritto dei Popoli e del Progresso della
Umanità ; e, nella lotta per le condizioni esteriori della Li-
bertà, del Diritto e del Progresso umano, non ho mai rifiu-
tato né rifiuto concorso, per diversità di credenze, con guanti
la sostengono.
Ma tale concorso non implica confusione di principi in-
torno alla natura, ai fini, alla missione della vita; e, sotto
questo aspetto, io non posso far parte della Società Atea,
a cui Ella presiede.
Io credo in Dio — fonte perenne della ragione e della legge
delle cose universe — nell' ordine fisico e nell'ordine morale.
Credo necessaria, immutabile ed esente da miracolo tal
legge, come la perfetta ragione da cui emana; e interprete
progressiva de' suoi modi e de' suoi intendimenti la Umanità,
per mezzo della scienza e della coscienza. — Giudico riposta
in tale principio l' unica base inconcussa della morale ; e re-
puto vano schermo all' arbitrio delle passioni umane il mero
concetto della generale utilità del Bene.
Credo all' autonomia deìVio — alla facoltà, insita in esso,
di eleggere, di volere e di operare, ne' limiti dell' esser no-
* Dal Dovere del 29 febbraio '80.
84 ALL'ONOR. PRESIDENTE
stro, indipendentemente da determinazioni fatali: e credo
quindi al Dovere e alla responsabilità delle nostre azioni.
Sono convinto che nessuna analisi delle forze dell'orga-
nismo possa ridurre al cieco processo di queste l'attività
intelligente e libera dello spirito; e che la scienza trascenda
la propria capacità contestando i dati della coscienza.
Credo, con Lessing e con Mazzini, al progresso, non all' im-
mobilità del pensiero religioso : alla rivelazione naturale e con-
tinua della Idea divina nell'intelletto e nel senso umano; non
al dogma cristiano-cattolico di una rivelazione sopranaturale
e finita, commessa al ministero di un sacerdozio privilegiato.
Però Dio e Libertà sono, per me, termini inseparabili
della natura stessa e dell' equilibrio delle umane facoltà. —
Sorgente infinita del Vero e dell' Ideale, il primo ; ministra,
la seconda, a scoprirne e ad attuarne le norme con l'intel-
letto, col sentimento e con l'azione.
E Dio e Libertà furono sempre e saranno l'insegna
de' Popoli che risorgono : — Dio senza Libertà, o Libertà
senza Dio — e quindi senza imperativo morale — viatico alla
servitù dello spirito e del corpo sotto la tirannide de' pochi
0 de' molti ; segnacolo di decadenza.
Ond' io — credente — aborro l'intolleranza che osteggia la
libertà e propugno la inviolabilità assoluta del pensiero e
della coscienza ; ed anche l' inviolabilità dell' errore : però
che, al saggio dell'errore, la ragione dell'uomo si tempri alla
intelligenza della Verità ; — e l' errore si vinca discutendolo,
non soffocandolo.
Pertanto, io non posso accettare la nomina che Le piacque
offerirmi.
Per la confcradìzion che doI consente.
Ma combatterei, per quanto stesse in me, ogni attentato
di Governi e d'opinioni avverse, contro la libera manifesta-
zione delle idee ch'Ella rappresenta: perchè ho fede nel Vero
e nella virtù delle facoltà date all' uomo per apprenderne ed
esplicarne le eterne armonie.
Mi creda con sensi di stima e d' osservanza
suo devotissimo
Aurelio Saffi.
della < società atea > in venezia. 85
Lettera Seconda.*
Bologna, 2 marzo 1880.
Onorevole Signore,
Conforme al suo desiderio, invio oggi stesso al Dovere —
con preghiera d' inserzione — la sua del 28 febbraio.
Ciò eh' Ella mi scrive, giudicando contradittoria ai prin-
cipi eh' io professo intorno alla libertà del pensiero e della
coscienza la mia rinunzia a far parte di cotesta società, non
mi persuade niente ; e V esposizione eh' Ella mi fa nella
sua lettera, delle dottrine della medesima, rafferma il mio
rifiuto dell' onore che mi fu proposto.
Io non ho ricusata la nomina offertami perchè dissenta
da Lei nella questione di Libertà — posto eh' Ella intenda
la Libertà come la intendo io: — Libertà vera, cioè, ed eguale
per tutti, per gli atei come per i credenti, pel Verp come
per l'Errore; salve le ragioni dell'Onesto, cui non è permesso
di violare, in alcun caso, mai.
Ho ricusato perchè, fra i miei convincimenti sulla que-
stione religiosa e le opinioni della Società Atea, è contrarietà
fondamentale, inconciliabile.
Ella compone ciò che chiama V Ente Supremo di tutte le
brutture e le empietà di cui l' ignoranza, l' impostura e la
barbarie contaminarono i loro idoli ; e, combattendo il simu-
lacro immane di una adorazione superstiziosa, non vede nulla
al di là di quello. — Io raccolgo invece, dal senso interiore
della mia coscienza e dalle manifestazioni della Storia — che
è il Verbo della coscienza collettiva dell'Umanità, — le note
d'un Ideale infinito, da cui s'informano, nel tempo, tutti
gl'Ideali più nobili e più santi del genere umano; e lo chiamo
Dio col linguaggio dei padri, parendomi che non metta conto
bandire dall' uso comune u» vocabolo perchè la superstizione
e la malvagità degli uomini lo abusarono, profanando l'Idea
di cui è segno.
La scuola eh' Ella segue non vede nelle religioni che il
parto della paura e 1' opera dell' inganno, fabbricatore di
' Dal Dovere del marzo '80.
• -ri
86 all'onor. presidente
dogmi assurdi e di catene servili, a. beneficio di caste sacer-
dotali 0 politiche : non tiene ragione se non de' fanatismi
crudeli e dei delitti di cui sovente furono fatte ministre; e
grida con Lucrezio :
Tantum religio potuit suadere ntalorum.
La scuola che seguo io riconosce nelle medesime altret-
tanti simboli della educazione progressiva del genere umano,
rispondenti — d' epoca in epoca, con forme determinate dal-
l' intelletto e dalla coscienza di ciascun' epoca — all' intuito
dato all'uomo dell'ordine dell'Universo e della legge che lo
le^a a' suoi simili. — Essa fonda nella natura propria delle
facoltà che intuiscono tale ordine e tal legge, la perennità
del sentimento religioso ; estimando con egua lance i beni
e i mali che lo accompagnarono nel suo progresso storico ;
e deduce da tale progresso che i primi riusciranno a preva-
lere sui secondi.
Ella e i suoi aderenti recano a tal sentimento la prima
radice di tutte le degradazioni umane : — noi vi scorgiamo
la fonte viva delle più nobili ispirazioni e de' più elevati in-
tenti della vita ; l' arcana potenza di fede e d'amore che con-
sola e conforta gli oppressi, sfida gli oppressori, tempra gli
animi generosi al forte patire e al forte operare; che con-
sacra e scalda d' un alito d' immortalità i vincoli della civile
colleganza — Famiglia, Patria, Associazione delle Patrie nel
seno della comune Umanità ; — che inizia le divine armonie
del Diritto col Dovere, della Libertà coi fini morali della Vita.
Ella guarda soltanto alle forme caduche delle religioni
positive che, consumata la loro missione, intristendo muoiono :
— noij alla Religione Ideale che sopravive, eterna, a quelle
forme e illumina, d' età in età, a guida delle moltitudini nel
faticoso cammino dell'incivilimento mondiale, i più alti in-
telletti e i più nobili cuori, le cime del pensiero e della co-
scienza delle Nazioni.
Ella crede servire alla causa del Vero e del Bene con-
trapponendo, nel campo delle credenze religiose, ai dogmi
del passato, la negazione, il nulla : — noi, contrapponendovi
r affermazione, che sgorga dal processo stesso della coscienza
deir Umanità sotto i veli di quelle credenze, di un più alto
^ più puro Ideale.
DELLA < SOCIETÀ ATEA > IN VENEZIA. 87
Fra^i due sistemi è divario assoluto: e però nella mia
rinunzia non esiste incoerenza alcuna. Saremmo bensì incoe-
renti da una parte e dall' altra, io entrando e la Società Atea
ricevendomi — ospite profano — ne' suoi penetrali.
Mi creda con tutto il rispetto
suo devotissimo
Aurelio Saffi.
L
88
LETTERA AL FRATTI
(Seguito della corrispondenza con la Società Atea.)**
Bologna, 9 marzo 1880.
Mio caro Fratti,
Il barone Ferdinando Swift replica all' ultima mia con la
seguente lettera, e desidera che sia inserita nel Dovere. Certo
che, in omaggio alla libertà del pensiero e della discussione,
vorrete accordarle ospitalità nel Periodico da Voi diretto, mi
afiretto a rimettervela.
In quanto alle persecuzioni sofferte dallo Swift come ra-
zionalista, noi le condanniamo senza riserva, come segno della
imperfetta idea della libertà civile nel nostro Paese.
In quanto all' essenza della questione religiosa, non ho
altro da aggiungere alle cose dette nelle mie precedenti; e
però fo punto. Osservo solo che l' ignoto -- a cui allude lo
Swift — s' incarna perennemente e progressivamente nella co-
scienza e nella storia della Umanità, piaccia o non piaccia
agli Atei ; e che pertanto — anche posta da parte la fede —
la scienza delle cose morali ed umane, se è vera scienza, non
può non tenerne conto né dispensarsi dallo studiare le ori-
gini, le leggi e le tendenze di un fenomeno a cui mettono
capo i più profondi problemi della vita interiore e della vita
sociale dell'uomo; e da cui sgorga, come da prima fonte, il
corso della civiltà.
Vostro di cuore
A. Saffi.
* Dal Dovere del 28 marzo '80.
89
AL CITTADINO BUCCI.
Bologna, 21 marzo 1880.
Pregiatissimo Cittadino Bucci,
Non ho potuto, per involontarie cagioni, risponder prima
alla vostra del 16. — Voi farete, come Presidente di cotesto
Circolo < Pensiero e Azione >, opera buona. e civile interpre-
tando ai soci e concittadini vostri le dottrine di G. Mazzini,
e mostrando loro, con l'esempio della Sua vita e con gl'inse-
gnamenti eh' Egli ci lasciò ne' suoi Scritti, come si debba sen-
tire e praticare la Verità, amandola e seguendola perchè è
la Verità, non perchè pòssa fruttarci — ora o poi — bene-
fici e sodisfazioni personali.
Siamo in tempi di prova, di lotta morale, di lento faticoso
cammino verso un migliore avvenire, fra pregiudizi, egoismi e
corruttele che non si vincono d'improvviso con argomenti ma-
teriali, ma con la fedele, assidua, costante iniziazione de' buoni
alla coscienza di quell'Ideale di Giustizia, di Patria, d'Uma-
nità, di cui le condizioni presenti dell'Italia sono una fla-
grante contradizione. Chi si scoraggisce e si abbandona alla
indififerenza e all'inerzia — perchè la mèta è lontana, perchè
al trionfo del Bene si attraversano ostacoli non superabili
ad un tratto — dà segno di poca fede, e di desiderare il Bene
più per sé che per un fine generoso e comune.
Se Mazzini avesse fatto dipendere il lavoro della Sua vita
dalle probabilità del successo immediato, ne avrebbe smesso
il pensiero sin dai primi conati. Invece non si arrestò un
istante, durante 50 anni, sulla via che il Dovere gli additava
— malgrado ogni maniera di delusioni e di contrarietà; —
perchè sentiva che i grandi fini del progresso umano non si
misurano alla breve esistenza degl'individui; ma che ogni in-
dividuo, quale che sia la sua condizione, può — se devoto
a' suoi fratelli e alla Patria — contribuire con essi, associando
virtù ed opere, a preparare un migliore avvenire. — • Onde,
commentando il motto dal quale voi intitolaste la vostra So-
xu. 7
90 AL CITTADINO BUCCI.
cietà, Egli inculcava ai seguaci della sua fede di armonizzare
Pensiero ed Azione, non solo ne' grandi e supremi cimenti che
decidono dei destini delle Nazioni, ma ne' quotidiani uffici e
nelle relazioni tutte della vita, sapendo che la virtù di un
Popolo si compone della somma delle virtù di cui sono capaci
i singoli individui che ne fanno parte: e che non v'ha opera
buona e generosa, per quanto umile, che non produca con
l'esempio larga messe di bene. Consacri, ciascuno di voi, il
suo modesto lavoro all'edificio della Patria lutura, comin-
ciando dall'edificare di nobili sentimenti e d'opere virtuose
la famiglia e l'officina; offra la parola del core, l'obolo del
risparmio, il sacrificio de' vani piaceri al bene de' suoi fra-
telli ; e cerchi con essi nell'associazione e nella cooperazione
economica e morale la forza collettiva che, ispirata dal Do-
vere, conduce i Popoli alla conquista del Diritto, e al com-
pimento de' loro destini.
In questo modo, parmi, risponderete degnamente all'in-
segna che avete assunta per guida del vostro Sodalizio, e ai
voti di G. Mazzini ; il quale, amando l' Italia e l' Umanità
più di sé stesso, morì non vinto dai disinganni, e credente
nel trionfo della Giustizia, della Libertà e della Legge mo-
rale, in mezzo alle contradizioni che da ogni parte facevano
contrasto alla sua fede.
91
AI COMPILATORI DELL' * INDICATORE LIVORNESE i>.
Egregi Giovani,
Lettera Prima.
Bologna, 21 luglio 1880.
A me personalmente il primo numero della vostra pub-
blicazione giunse come grato saluto e come rimprovero affet-
tuoso ad un tempo : dico rimprovero, perchè, inavvertitamente,
omisi di sodisfare alla promessa che vi feci di una parola
che precedesse il suo apparire.
Ma non è tutta mia colpa se mi avviene talora di non
attenere siffatte promesse. Sono solo, e con deboli forze, a
troppe cose : mi stringono occupazioni ed obblighi, a' quali
devo gran parte del mio tempo: e mi trovo sovente, mio mal-
grado, per interruzioni e cure accessorie e imprevedute, ter-
ribilmente addietro in quella parte del lavoro della mia vita,
che costituisce, dinanzi alla mia coscienza, il mio maggior
debito. Ve ne sia indizio, fra gli altri, il ritardo del X volume
delle Opere di Mazzini, che oggi soltanto potrà uscire final-
mente alla luce. È il caso del plurihus intentus con quel che
segue; e ciò non per mia elezione, ma per non so qual legge
fatale del viver mio in mezzo alle cose presenti.
Onde spesso mi assale come un rimorso che mi rende
infelice, pel poco frutto dell'opera monca della mia giornata,
e per mancanze che non dipendono dalla mia volontà. Ciò
mi scusi con voi, e con ogni discreta e gentile persona della
poca puntualità delle mie corrispondenze epistolari. — Per
questa stessa cagione, ingannerei me medesimo e voi, s'io vi
promettessi frequente collaborazione alla vostra impresa.
Farò, di tanto in tanto, atto di presenza dinanzi alla no-
bile insegna che voi rialzate, perchè cotesto ricordo delle
prime iniziazioni della coscienza nazionale all'età nostra, per'
^nio e virtù di tre giovani, potenti di fede e di volontà^ ri-
chiamato oggi in vita per opera d'altri giovani, è doppiamente
sacro, come omaggio alla memoria della lotta iniziata, cin-
92 AI COMPILATORI
quant'anni or sono, dai primi, e come promessa che i secondi
sapranno oggi continuarla e volgerla, fra le nuove condizioni
dei tempi e i nuovi errori, al suo vero fine.
Al suo vero fine: — a sgombrare, cioè, dal seno di questa an-
tica Patria — Madre della Umanità delle Genti — le impronte
che ancora T offendono della Servitù del corpo e dello spi-
rito: Soma non sua, impostale dal connubio della menzogna
papale col dominio straniero negli ultimi quattro secoli della
sua storia : — a resuscitare, fra la decadenza visibile delle
istituzioni presenti adulterate dal Privilegio, l'anima dell'Italia
vera, restituendola a' suoi uffici civili mercè l'organamento
spontaneo e concorde della libertà, della Equità Sociale, e
della Unità della sua vita, sul fondamento della Sovranità
Nazionale, e sotto gì' influssi di una forte educazione morale,
degna delle tradizioni popolari de' Padri, e degl' insegnamenti
de' nostri migliori.
È opera d' intelletto e d'amore, di scienza e di azione ad
un tempo ; della quale l'esempio de' tre Precursori, i cui nomi
risplendono nell'antico Indicatore Livornese, vi addita, o Gio-
vani, la via. Armatevi, a seguirla, di forti studi e di forte
volere. L'Idea di quella Italia, alla quale aspirano le vostre
menti e i vostri cuori, non s' incartia col pensiero soltanto,
né coU'azione senza il pensiero. È intento vasto, che abbraccia
tutte le parti del rinnovamento della vita civile, e che ri-
chiede, ne' suoi molteplici aspetti, il concorso di tutte le facoltà
della Nazione — interpreti delle sue tendenze ed esecutori
della sua volontà i più atti e più degni per ingegno e virtù.
La generazione, alla quale io appartengo, avea dinanzi a sé
un compito più semplice e più agevole di quello che oggi in-
combe a voi, non ostante i tremendi ostacoli materiali, che
si attraversavano ai nostri voti e ai nostri conati. La cac-
ciata degli stranieri dal nostro terreno, la sostituzione di un
governo unico ai governucci, vassalli dell'Austria, che trava-
gliavano r Italia divisa, erano obbietti intesi da tutti, voluti
dai più. — Oggi la questione è più complicata e meno chia-
ramente compresa da molti fra i nostri fratelli di Patria:
ed è questione interna tra il Vero e l' Errore, tra il Bene
e il Male, che s'agitano in noi medesimi. Essa è, in grado
eminente, questione di Educazione. D'onde l'insigne ufl&cio,
assegnato dai tempi al vostro dovere, o Giovani, di elevare
a coscienza di sé un Popolo, erede di un grande passato, e
JUf^BIJIl IL l .
DELL' < INDICATORE LIVORNESE >. 93
risospinto dai progressi della civiltà ad alti destini; d'istruirne
l'intelligenza e nobilitarne gli affetti; di apparecchiargli ordini
adatti alla sua nuova vita col vostro sapere, con la vostra pa-
rola, con l'esempio dell'opere vostre e, quando le supreme ne-
cessità della Patria lo esigano, con le lotte devote ai principi,
ai fini morali della esistenza delle Nazioni, alle giuste riven-
dicazioni della Ragion comune, del Vero e del Diritto. Io so,
.egregi Giovani, che a compiere un. tale ufficio intendono sin-
ceramente gli animi vostri. Siate fedeli, in ogni pensiero ed
atto, al generoso proposito, e lo compirete.
Vostro di cuore
A, Saffi.
Lettera Seconda.
Bologna, 27 luglio 1881.
Egregi Giovani,
Ho io scusa plausibile all' indugio della mia risposta alla
prima vostra ? — Non so : ma ecco le attenuanti del caso. —
Sto preparando un compendio della vita di Mazzini e sono
in debito di terminarlo entro la prima metà dell'agosto : devo
vegliare alla stampa dell' XI volume delle Opere e condurre
a fine il Proemio, che deve precedere il testo : ho altre occu-
pazioni varie: impegni di letture, studi per l'obbligo morale da
me assunto con la facoltà di giurisprudenza e con gli studenti
di questa Università di dar lezioni di Diritto Pubblico. Tutto
ciò mi tiene incatenato da mattina a sera allo scrittoio ; e,
in questi giorni canicolari, entro le mura di una delle città
più affocate d' Italia, non è la cosa più piacevole del mondo.
Dopo tutto questo viene la corrispondenza : corrispondenza
di società e di privati, di noti e d' ignoti, per cento titoli
diversi, da ogni parte, ad ogni tratto, non pensando i molti
ch'io sono solo, in condizione privata, con pochi mezzi, e senza
liisao d'ufficio cancelleresco e di segretari per le epistole. —
Ne consegue che, per quanto io mi studi di cernere le lettere
di maggiore importanza da quelle che premono meno, procu-
rando di osservare una certa puntualità rispetto alle prime,
il fatto non risponde sempre alla buona intenzione, ed ho qui
94 AI COMPILATORI
sul tavolino, insieme alla vòstra, un monte di lettere, che
attendono risposta da parecchio tempo.
Del che i discreti e cortesi non vorranno considerarmi
responsabile, per la semplice ragione che un uomo-individuo
non può moltiplicarsi in cento, lasciando stare ogni altra dif-
ficoltà inerente alla sua ristretta condizione domestica.
Ciò però non toglie ch'io non mi faccia rimprovero del
mio silenzio con voi, sebbene al soggetto più urgente della
vostra prima lettera, quello della difesa delV Indicatore, io
non avrei potuto dare risposta sodisfacente, dacché V illustre
amico mio prof. Ceneri, gravato, sopratutto in questi ultimi
mesi, di faccende molteplici nel Fóro e nella Università, e
affranto dalla doppia fatica della cattedra e della professione,
non avrebbe potuto accettare V incarico, ed oggi è, per cura
della salute, alla Torretta.
Del resto la vostra causa è già bene raccomandata, e non
dubito del buon esito della medesima, per la valentia di pa-
trocinatori e per la liberalità de' giurati. — In quanto al Ba-
hagas spero che non ve ne darete il menomo pensiero, né vi
curerete di farne pur motto nel vostro Periodico. Io non vedo
mai quella pubblicazione, né, se mi capitasse tra mano, la leg-
gerei ; ma so che da più anni parla di me e di parecchi amici
miei, come di gente da capestro, né però ce ne quereliamo.
Se il Eabagas mi lodasse, allora sì che comincierei a temere
d'aver commesso inconsciamente qualche grande viltà. — Que-
sto sia detto tra noi, per vostra sodisfazione e non per altro,
perchè davvero mi dorrebbe d'aver l'aria di protestare pub-
blicamente, anche, per modo indiretto, contro quell'osceno
foglio.
Ed ora due parole sul tema più importante dell'ultima
vostra.
Il documento, riprodotto, in questi giorni, prima dalla
Nazione di Firenze, se non erro, ed oggi dal Telefono di Li-
vorno, non é una novità. Infatti, esso fu dato alla luce, sino
dall'anno scorso, nel libro intitolato La Politica segreta ita-
liana (1863-1870), nella parte del volume che concerne le re-
lazioni fra Mazzini e Bismarck. Il libro fu letto con curiosità
e ne furono dati estratti e giudizi ne' Periodici del tempo.
Non vi sarà difficile trovarlo, e dovreste scorrerlo per formarvi
un' idea giusta degl' intendimenti di Mazzini, tanto nelle pra-
tiche da lui imprese, prima della guerra del 1866, con Vit-
DELL' < INDICATORE LIVORNESE >. 95
torio Emanuele pel Veneto, quanto in quelle da lui iniziate,
nel 1867-68, colla Germania, contro il Cesarismo Napoleonico,
ch'egli considerava a buon diritto micidiale all'Italia e fu-
nesto all' Europa. Nel capitolo relativo alle accennate rela-
zioni, troverete le Note riguardanti le sue idee sull'argomento
e le sue proposte a Bismarck. Mazzini era a que' giorni irri-
tatissimo per la condotta della guerra regia del 1866, sleale
alla Prussia e vergognosa all' Italia, per la servilità della
monarchia alle mire del Bonaparte, sempre ostili alla nostra
unità, per la nuova occupazione di Roma dopo l'assassinio^
di Mentana. Vedeva nel Bonapartismo un grave pericolo per
la indipendenza degli Stati limitrofi alla Francia, per la li-
bertà dell'Europa, per la vita stessa della Nazione francese,
travolta nella corruzione, è fatta strumento d'una degradante
signoria personale. Sapeva i segreti maneggi di Luigi Napo-
leone per rompere l'alleanza italo-prussiana e trarre la mo-
narchia ad associarsi alle sue ambizioni sul Reno, contri-
buendo 60,000 uomini e la miglior parte della nostra artiglieria
alla guerra ch'egli stava maturando: sapeva che Vittorio
Emanuele acconsentiva, e che pegno della trista lega era
l'occupazione presente di Roma, salvo il fare parziali con-
cessioni più tardi, secondo i casi, al sentimento del Paese
sulla questione papale.
Mazzini sapeva tutto questo e non vedeva mezzo a contro-
bilanciare r invadente preponderanza Bonapartista in Italia
e altrove, se non nel compimento dell'unità germanica, da
un lato, respingendo l'Austria in Ungheria e ne' paesi slavi
della Penisola de' Balcani, dov'era condannata a dissolversi,
e conquistando, dall'altro, con la rivoluzione nazionale, Roma
all' Italia. Queste due combinazioni si connettevano natural-
mente fra loro, e rendevano ovvia, fatte le debite riserve,
l'opportunità di un'alleanza fra la Germania e il Partito Na-
zionale Italiano, pel conseguimento de' rispettivi intenti e per
la soluzione, che gli eventi avrebbero resa agevole, delle que-
stioni di Trento e Trieste. Da ciò le proposte di Mazzini al
principe di Bismarck, la portata delle quali è tutta nel se-
guente passo di una sua nota del 17 novembre 1867, pubbli-
cata nel libro mentovato qui sopra (pag. 340): < Io non par-
tecipo punto — diceva Mazzini — alle viste politiche del conte
di Bismarck ; il suo metodo d'unificazione non ha le mie sim-
patie; ma ammiro la sua tenacità, la sua energia e il sue
9G AI COMPILATORI
spirito d'indipendenza in faccia allo straniero. Credo all'unità
della Germania, e la desidero, come desidero quella della mia
patria. Abborro V Impero e la supremazia che la Francia si
arroga. sull'Europa. E credo che un'alleanza dell'Italia con
lei contro la Prussia, alle vittorie della quale noi dobbiamo
la Venezia, sarebbe un delitto che imprimerebbe una mac-
chia incancellabile sulla nostra giovine bandiera. Pur conser-
vando la nostra indipendenza reciproca per l'avvenire, io pensò
adunque che vi è luogo a ciò che chiamasi un'alleanza stra-
tegica contro U nemico comune fra il Governo prussiano e il
nostro Partito d'azione.
> Il Governo prussiano dovrebbe fornirci un milione di
franchi e duemila fucili ad ago.
> Io m'impegnerei sull'onore a servirmi ,di questi mezzi
esclusivamente per distruggere ogni possibilità d'alleanza fra
l'Italia e l'Impero, e per rovesciare, se persistesse, il Governo.
Quello che verrebbe a sostituirlo, entrerebbe, presentandosi
il caso, nell'idea d'un' alleanza germano-italica contro ogni
preponderanza esteriore.
> L' oggettivo d' ogni movimento italiano, dovendo d' al-
tronde risolversi in quello di Roma, la collisione fra la Fran-
cia e l'Italia diverrebbe inevitabile.
> Non ho altre guarentigie da presentare: tutta la mia
vita e lo scopo eh' io proseguo da 35 anni sono i pegni della
mia fedeltà agli obblighi che assumo. >
Sull'autenticità di questa e dell'altre lettere di Mazzini,
tradotte dall'originale francese e riportate nel libro, non cade
dubbio. I concetti contenuti nelle medesime corrispondono a
quello ch'io intesi dalla sua viva voce, intorno a quer ten-
tativo col Governo prussiano, in occasione della mia ultima
gita in Inghilterra nella primavera del 1868, Il tentativo,
com' è noto, non ebbe seguito. Ora voi vedete chiaramente
a qual fine mirasse Mazzini in quella congiuntura. Ciò che
oggi — secondo le voci che corrono — si sta manipolando,
non tra l'Italia e la Germania soltanto pel compimento con-
corde delle loro unità nazionali e per la libertà dell'Europa,
ma tra la monarchia Sabauda da un lato, e i due imperi
Austro-Ungarico e Germanico dall' altro, con fini di riazione
velati sotto colore di equilibrio di poteri contro le tendenze
invasive della Francia nel Mediterraneo, non ha nulla che
fare con le idee di Mazzini e con la Nota di Bismarck del-
DELL' < INDICATORE LIVORNESE >. 97
l'aprile 1868: ^To^a che riflette in gran parte quelle idee, sì
che i concetti dell'uomo di Stato tedesco sembrano quasi
un' eco e un commento de' pensieri del grande Italiano. Né
comprèndo come un tal documento possa oggi citarsi in ap-
poggio delle oscure trame de' monarchici con Berlino e con
Vienna. Le osservazioni della Nota germanica del 1868 sui
risultati a' quali avrebbe potuto condurci la guerra del 1866,
86 diretta nazionalmente contro la dinastia degli Asburgo, in
confronto di quelli a cui ci condusse per servire ai disegni di
Luigi Napoleone, mancando di fede alla Prussia con danno
e vergogna dell'Italia, sono una severa condanna della poli-
tica regia in que' giorni, e i monarchici dovrebbero arrossirne.
Tutto ciò non toglie però che dall'altra banda, la con-
dotta presente della pseudo-repubblica francese non sia la più
improvvida, la più insana, la più avventata cosa del mondo,
senz'altro effetto che questo di sacrificare alla velleità di una
impossibile preponderanza marittima, i progressi della libertà
civile e politica, le speranze della pace, e gl'interessi stessi
della Francia fra le Nazioni del Continente.
Vostro
A. Saffì.
P. S. — Se vi piace di pubblicare la parte della mia let-
tera che riguarda il Documento Bismarckiano e le note di
Mazzini nelV Indicatore, vogliate farmi il favore di curarne il
più possibile la correzione.
Fate molti cordiali saluti da parte mia e de' miei agli
Amici tutti, in particolare ai nominati nelle vostre, ricam-
biando loro affetti e voti.
Noi lascieremo Bologna domenica prossima per Forlì, dove
mi condannerò da me stesso a domicilio coatto in campagna
sino al termine del lavoro dell' XI volume.
98
A LADISLAS MigKIEWICZ.
Bologne, j&iiTier 1882.
Cher Monsieur,
Je viens de terminer la lecture dea Poésies de votre illus-
tre Pére. — L'àme du lecteur sent, à traverà la traduction,
toute la puissance du grand Poète de la Pologne et de THuma-
nité. — Je vous remercie mille fois du don que vous avez bien
voulu m'en faire.
C'est un don précieux sous un doublé titre -— pour la va-
leur du livre, et corame souvemr affectueux d'une rencontre
que, moi aussi, je n'oublierai jamais. — Permettez-moi de vous
dire, cher monsieur Migkiewicz, que je vous aime autant que
je vous estime. La Pologne a, non seulement dans votre nom,
mais dans votre caractère, un digne représentant de ses dou-
leurs, de ses aspirations et de ses vertus.
Je ne saurais vous dire comme j'admire, corame je révère
cette grande àme de la Nation Polonaise, qui vit de sa vie
inimortelle, au milieu de son martyre et dans le coeur de
ses fils, sur toutes les voies de l'exil. — Cette àme qui, dé-
pouillée de sa Patrie matérielle par la Force qui foule à ses
pieds le Droit, se réfugie dans la Patrie morale de la Pensée,
de la Conscience, des saintes espérances de l'avenir; et ne
renonce pas à la foi dans la Justice éternelle et dans les
victoires que la Loi du Progrès humain promet à ses destinées.
Le jour de ces victoires — j'en suis profondément con-
vaincu — viendra tot ou tard. Il y a des choses sur le chemin
de THumanité que l'on peut lire dans l'avenir sans ètre prò-
phète — et la résurrection de la Pologne en est une. —
Dans cètte conviction, je vous serre la main de tout .jnon
ca'ur.
A. Saffi.
99
LA QUESTIONE ARDIGÒJ
Bologna, 4 gennaio 1881.
Caro Fratti,
Alla redazione del Periodico di Mantova L'Affarista alla
BerUna, che mi chiedeva di associarmi, in nome del senti-
mento del vero, alla protesta in favore delle dottrine del
prof. Ardigò e della scuola positivista, ho risposto ciò che
segue. Se vi riesce di decifrare queste microscopiche parole,
fatene quell'uso che vi piacerà.
< Egregio Signore,
> Se vi sono note le dottrine filosofiche e morali della
scuola alla quale mi onoro di appartenere, saprete eh' io dis-
sento recisamente, intorno ai fondamenti del sentimento re-
ligioso e della responsabilità delle azioni umane, dai concetti
del positivismo moderno ; e quindi dalle conclusioni dell' il-
lustre professore Ardigò su tali materie, pure ammirando in
lui la potenza dell'ingegno e la vastità degli studi nelle scienze
naturali. Dall'altra parte, io non disdirei allo Stato l'ufiicio
di compartire, nelle scuole nazionali, un insegnamento proprio
— quando lo Stato fosse, mercè la libera elezione del Paese,
l'esponente vero e progressivo della Ragione e della Coscienza
del Paese stesso ; salva, ad un tempo, V intera e piena libertà
délV insegnamento privato. — Ma, nelle condizioni presenti, la
ingerenza governativa ne' programmi della Pubblica Istru-
zione si risolve in un arbitrio, mutabile a seconda del mutar
de' Ministri e de' loro subalterni ; e tale appunto è la natura
dell' atto che concerne il professore Ardigò e eh' io pure con-
danno, come atto incompetente del potere ministeriale. >
Vostro devotissimo
Aurelio Saffi.
* Dal Dovere del 9 geoDaio '81.
100
A DAVID LIPPARINL
Bologna, 9 febbraio 1881.
Caro Lipparini,
Mi duole non poter essere di persona con Voi e coi vostri
amici al modesto banchetto che vi accoglierà insieme questa
sera, a festeggiare la data del 9 febbraio.
Quella data rappresenta tre grandi manifestazioni del
genio della nostra stirpe : — la coscienza del Diritto e del
Dovere in un Popolo che, lasciato senza Governo, sa costi-
tuirsi e governarsi da sé ; e rivendica, col proprio sacrificio,
l'onore italiano contro l'arbitrio straniero;
il sentimento della vita collettiva della Nazione, sorto
da quella stessa coscienza — perchè la Repubblica Romana
fu la iniziatrice della Unità della Patria;
il senso pratico della giustizia sociale e della solidarietà
economica e civile fra le diverse classi della comune cittadi-
nanza, tradotto in leggi provvide ed eque a beneficio de' la-
voratori.
Possa l'esempio del passato esser lume e guida a un
migliore avvenire.
Io propino in ispirito con Voi alla futura restaurazione
dell' Idea schietta del Diritto e del Dovere — al compimento
della Unità dell' Italia — - e al progresso della sua libera vita
sul cammino della civiltà : — all' onesta soluzione delle que-
stioni sociali sotto gli auspici della Giustizia e della Libertà.
Salute.
Vostro
A. Saffi.
101
AI GIOVANI STUDENTI REPUBBLICANI DI PISA.
Bolx)gDa, marzo 1881.
Egregi Giovani,
La gentile e grata vostra del 13 corrente rai giunse ciui
in tempo debito, ma per breve assenza da prima, indi per
molteplicità d'impegni, non mi fu dato risponder subito, come
avrei voluto. — Né ritardi sì fatti provengono da mia trascu-
ranza, sì bene dalla difficoltà — stante le occupazioni obbliga-
torie e varie della mia giornata — d'essere puntuale, sopr;L
tutto nelle ricorrenze solenni, coi molti che mi onorano, con
lettere, de'loro affetti e pensieri. — Tanto che, non potendo
scrivere a tutti singolarmente ad un tratto, m'è forza o ri-
spondere in solido per mezzo de' Giornali ai miei benevoli j n
spartire il lavoro giorno per giorno, con mio rincrescimento
per gl'interposti indugi.
A voi, miei cari Giovani, io aveva già in animo di rivol-
gere una parola d'affetto riconoscente e di fede nella pro-
messa — che è in voi — di un nobile avvenire per la Patria
nostra — quando m' è capitata, prevenendomi, la vostra car-
tolina. — Ed ora la pena che il mio breve silenzio vi fece, mi
torna a rimorso : ma io so che voi non vorrete attribuirlo a
dimenticanza o a poco amore de' giovani dati alla Scienza 13
alla Patria — e ciò mi conforta.
Io seguo con lieta fiducia e con gioia sincera i passi che voi
movete sulla via del Sapere, del Vero e del Bene ;^ e traggo dal
luogo stesso, dove istituite a sapienza civile il coree l'ingegno,
felici auguri per la terra de' nostri padri. — Una gioventù olir
s'inizia agli studi nella città che diede i natali a Galileo Ga-
lilei — e dove Giuseppe Mazzini rivolse l'ultimo sguardo alhi
luce del sole e l'ultimo voto dell'immortale Suo spirito alla
grandezza della Patria futura — non può fallire ad alti pen-
sieri e ad opere generose. — La natia virtù della stirpe latina
deve ritemprarsi, in voi, alla fiamma de' nuovi Ideali deirin-
civilimento: voi siete nati a rifare l'Italia stanza di un Popolo
giusto di liberi e d'eguali — di un Popolo grande e forte per
coscienza della sua dignità e per intelletto de' suoi uffici, in
102 AI GIOVANI REPUBBLICANI DI PISA.
casa e fuori : di un Popolo chiamato a continuare le sue illu-
stri tradizioni e la sua parte di lavoro sulle vie della Giu-
stizia e della Fratellanza fra le Nazioni, verso Punita morale
del genere umano.
Non so: ma parmi che a chi sente in sé la nobiltà del
nome italiano non possa incombere pensiero od affetto che
non aspiri alle belle e nobili cose.
Voi, facendo Tempio dell'animo al culto della Patria, ren-
derete impossibile ogni servitù in essa; e la farete ministra
— col suo esempio — di libertà, di sociale equità e di reden-
zione morale agli oppressi e ai miseri d'ogni contrada. —
Inalzatevi ai compiti veri della vita e perseverate. — Io vi
saluto — e spero.
Vostro di cuore
A. Saffi.
103
AL CIRCOLO < X MARZO > IN JESL
Giugno 1881.
Egregi Cittadini,
Fo plauso ai vostri intendimenti. — Le scuole che s'inti-
tolano dal nome di Giuseppe Mazzini, dovrebbero, parmi, pre-
figgersi un doppio fine : spiegare e divulgare le sue dottrine
politiche e sociali, a guida dell' intelletto popolare, in rela-
zione alla pratica della vita civile: — inculcare i suoi inse-
gnamenti morali con la sua propria parola e con l'esempio
della sua vita — che fu, dal principio alla fine, un culto del
Dovere in azione. — Or la sua vita traluce, nelle parti essen-
ziali, dalle sue note autobiografiche, le quali commentano
nello stesso tempo gli scritti e gli atti stoi.
Ed uno dei compiti di dette scuole dovrebbe essere quello
appunto di narrare Mazzini al Popolo, con le sue proprie pa-
role. — Infondendo di tal modo il suo spirito nella coscienza
de' vostri fratelli, de' vostri figliuoli, de' vostri compaesani, af-
fretterete all'Italia le sorti aspettate.
Vi chiedo venia sì della forma che della fretta della
presente, impostemi dalle molteplici occupazioni e corrispon-
denze, ec.
A. Saffi.
m
ALLA « SOCIETÀ MUSICALE > DI BOLOGNA.
Pregiatissimo Signore,
31 laglio 1881.
Vogliate accogliere e significare agli egregi cittadini che
fanno parte della Società musicale bolognese, da Voi degna-
mente presieduta, i sensi della mia riconoscenza per l'atte-
stato d'affetto che vollero darmi nominandomi lóro Socio
onorario.
Io non ho titolo a tale dimostrazione d'onore, rispetto
agl'intenti speciali di còtestp benemerito Sodalizio: ma do-
vunque ferve in Italia amore d'armonia e d'Arte, ferve del
pari amore di Patria: e la Patria e l'Arte stanno l'una al-
l'altra fra noi — for*e più che non accada presso altre genti —
come l'ispirazione alla forma del pensiero.
Io accetto quindi di cuore il vostro omaggio, non come
tributo ad alcun merito ch'io m'abbia verso di Voi, ma come
segno del culto che insieme portiamo all'Italia, e della fede
comune ne' suoi destini.
E tutti possiamo ■— quale che sia la condizione che la
sorte ci assegna — rendere operosa e feconda d'incrementi
civili alla Patria la nostra fede in essa, apparecchiandole col
nostro lavoro e con la nostra virtù un migliore avvenire.
Al che importa sopratutto la concordia fraterna delle vo-
lontà a guida della cooperazione delle forze, dinanzi a tutto
ciò che tocca la sua libertà, il suo rinnovamento morale e
politico, e il suo benessere sociale, all'interno; il suo onore,
la sua dignità e suoi ufiicì, al di fuori.
La civiltà d'uri Popolo è il risultato delle infinite frazioni
del prodotto quotidiano delle sue facoltà nel tempo ; e nella
immensa lavoreria della vita, ogni attitudine ed ogni arte —
umile o grande che sia — ha il suo valore, il suo merito, il
suo debito di solidarietà, nel seno della comune associazione.
Educate ed educatevi, o egregi Giovani, alla coscienza dì
tale solidarietà, però che in essa sia riposto il germe vitale
della grandezza delle Nazioni, e di quell'equa e prospera con-
vivenza sociale di cui l'Italia fu e tornerà ad essere maestra
ALLA < SOCIETÀ MUSICALE > DI BOLOGNA. 105
alle Genti, se non la traviano errori non suoi, e passioni dis-
solventi che noi dobbiamo, combattere, in nome del Vero,
dell'Onesto e del Giusto.
L'amore dell'Arte e della Patria informi a temperanza
civile e a virtù di nobili e forti cose, ad un tempo, gli animi
vostri.
Kicordatevi del mito d'Orfeo, che con la lira e col canto
moveva le pietre che dovevano servire alla edificazione delle
città. — E sia vostro intento, come cittadini e come artisti,
edificare con l'armonia dell'arte l'armonia degli affetti che
creano il buono e riposato vivere civile.
Abbiatemi, coi più sinceri voti per la prosperità del vostro
Sodalizio,
vostro devotissimo
A. Saffi.
XII.
106
A X
^ . A . Settembre 1881.
Egregio Amico,
Ho un debito da sciogliere coi generosi giovani di cotesta
SocietLi democratica; e mi è grato scioglierlo per tuo mezzo,
pregandoti di esprimer loro la mia riconoscenza per l'affetto
che mi attestarono ripetutamente, e pel cordiale saluto che
tu m'inviasti, in nome loro, il 20 settembre.
Io ti prego di farti interprete dell'animo mio, ringraziandoli
del pensiero a me rivolto in quella occasione, e dicendo loro
ch'io Bcnto confermarsi più viva in me la fede nel vero risor-
gimento d'Italia, quando vedo giovani d'intelletto e di cuore
far corona, nelle celebrazioni de' fasti nazionali, ad uno de' più
strenui avanzi di quella generazione, ormai spenta, che destò
nel Popolo Italiano coscienza di Patria; e ricevere dal suo
labbro la parola d'ordine dell'avvenire. — Così la lampada
della vita passa dalle mani dei Precursori e Maestri in quelle
dei discepoli — riflettendo i suoi raggi sulle nuove correnti del
Pensiero; e la virtù de' principi a cui s'ispirarono i padri
anima le nuove forze sociali, e spiega sempre più largamente
la sua efficienza pratica su tutte le vie per le quali la Nazione
inoltra verso il compimento de' suoi destini.
"Non v'ha questione, per quanto parziale e secondaria, che
non si connetta con l'intero problema della vita nazionale:
ed è dovere della Democrazia — e segnatamente della Parte no-
stra — non trascurare alcuno degli elementi del grande pro-
ìdcma ; discutendo, agitando, chiamando il Paese ad occupar-
sene; e riverberando sovr'esso la luce de' nostri Ideali.
Vano lo sperare che il Paese comprenda e traduca in atto
la Verità, se la Verità si chiude in sé stessa e sdegna iniziare
con pubblico apostolato i profani ai suoi misteri. Vano il ri-
promettersi di raggiungere, in pochi e divisi, un fine che deve
conquistarsi mercè il consenso e la cooperazione di tutti.
Possano il tuo consiglio e il tuo esempio confortare la gio-
ventù, che sa e vuole, a far sì che la tradizione delle idee che
scossero dal lungo sonno la nostra stirpe, le sia lume e scorta
a progredire verso la mèta che quelle idee e le vocazioni del-
l'età nostra le additano.
Con questo voto....
107
AL CIRCOLO « G. MAZZINI » IN FORLÌ
ottobre 1881.
Miei cari Concittadini e Amici,
Le parole di fiducia e d'affetto, e i voti cordiali che avete
voluto indirizzarmi pel giorno del mio natale, mi giunsero
doppiamente grati come parole e voti che sorgono dal core
di Patrioti a' quali mi stringono i vincoli della fede comune
e della comune cittadinanza ad un tempo.
Io so di non meritare i vostri encomi. L'opera della mia
vita è assai povera cosa rispetto alla mia parte di Dovere
nella lotta pel bene di tutti.
Accetto con sincere grazie da vói, nell'atto cortese ed ono-
revole, la benevolenza che lo dettava ; perchè la vostra bene-
volenza mi conforta e mi aiuta in quel poco che valga.
Ricambio i vostri auguri coi più caldi e più sinceri voti
per l'incremento morale della vostra Società, la quale — in-
tesa com'è ad educare la gioventù a nobili affetti ed opere —
è elemento di vita e di progresso per la città nostra, e parte
non ultima di quella civile colleganza delle Società patriotiche
d* Italia che prepareranno — se fedeli ai principi e perseve-
ranti a tradurli in atto — un Popolo conscio de' suoi diritti
e de' suoi doveri, e capace del governo di sé stesso, alla Pa-
tria futura.
Voi alludete con cura gentile a non so qual guerra mossa
al mio povero nome. — Io sono così fatto da natura, che alle
giuste e cortesi censure m'inchino riconoscente, cercandovi
argomento ad emendarmi, se còlto in errore: delle ingiuste
e scortesi non sento pena, né mi adiro ; considerandole cosa
vana senza soggetto. — Pure, vi sono riconoscente delle espres-
sioni di fiducia e d'affetto di che vi piace onorarmi — e ve ne
ringrazio di cuore.
E insieme ai , ringraziamenti accogliete un fraterno sa-
luto dal
vostro
A. Saffi.
108
A CARLO PONDERO A ROSARIO.
Novembre o dicembre 1881.
Egregio Compatriota,
Ebbi le vostre righe e i tre Numeri del benemerito vostro
Periodico La Carità. — Mi vennero in ritardo, né sono certo
che la presente possa giungervi prima del Capo d'anno. Ad
ogni modo accogliete il fraterno saluto e i felici auguri che
dalla Madre Patria manda a Voi e alla Colonia italiana di
Rosario uno che stima ed ama i fratelli lontani che serbano
fede alla terra nativa e l'onorano oltre i remoti Oceani.
Pensando alle nostre Colonie — dalle littoranee del Medi-
terraneo a quelle che fioriscono sui lidi delle Due Americhe;
alle loro industrie, ai loro rapidi incrementi, alle felici atti-
tudini che dispiegano nello sviluppo delle loro operosità na-
vigatrici, alla intelligenza e alla perseveranza di cui danno
prova i loro marinai e i loro lavoratori — io ricordo con orgo-
glio i fasti delle città libere d'Italia nel medio-evo, e precorro
con buona speranza alle sorti dell'Italia libera dell'avvenire.
Se le forze divise de' nostri Padri poterono tanto nel pas-
sato, che non potrebbero le forze unite dell'Italia risorta a
comunità di Nazione nell'età che sorge?
Ed uno de'caratteri più degni di nota in questo espan-
dersi della vita italiana al di fuori, è che a differenza de' co-
loni d'altre genti europee, i nostri portano seco — dovunque
fermino stanza — il culto vivo e perenne della Patria an-
tica ; e non cessano, per volger di tempo e mutar di vicende,
dal sentirsi Italiani. — È proprio del genio della nostra stirpe
il non accontentarsi della prosperità materiale, l'aspirare ai
beni dell'intelletto, alle grazie della vita ideale, alle gen-
tili carità della civile convivenza. — Come pei nostri antichi,
così per noi i frutti del lavoro sont il mes^o — la coltura,
l'arte, la beneficenza, il fine.
E gl'Italiani di Rosario seguono l'esempio de' Padri, con-
tribuendo con private oblazioni, ora ad opera di pubblica sa-
lute -— com'è il caso dell'Ospedale da Voi promosso; — ora a
Monumenti inalzati alla Memoria de' Grandi che beneficarono
A CARLO DONDERO A ROSARIO. 109
la Patria — com'è il caso della statua di Mazzini a Buenos
Ayres ; — ora ad Istituti d'educazione, intesi a mantener vivi
i ricordi, l'idioma, le tradizioni e l'amore della Patria d'ori-
gine, fra le comunità che ne riproducono i costumi e ne pro-
pagano la vetusta e sempre giovane civiltà nelle più remote
terre del globo.
A. Saffi.
110
A PROPOSITO DI UN CONGRESSO MASSONICO
IN MILANO.
LETTERA A PIRBO APORTL
1881 (?).
Egregio e caro Fr/.
Hiceveste, sx>ero, due mie lettere, indirizzate mesi addie-
tro a Milano; con l'una delle quali io vi pregava di non vo-
lere aggiungere il mio nome a quelli dei benemeriti FrateUi
€Oinix>nenti il Comitato ordinatore del Congresso massonico
di Milano; con l'altra vi esprimevo — riconoscente del dono —
le tuie congratulazioni per l'ottima vostra traduzione de' Canti
greci, a traverso la quale il genio della risorta stirpe ellenica
Jijaijila la sua voce al core dell'Italia, e ravviva la coscienza
della vetusta parentela fra le Patrie della civiltà del mondo.
Il motivo della mia preghiera nella prima lettera, era la
|jr e visione ch'io non avrei potuto associarmi, se non in ispi-
ritOj ai lavori del Comitato, e che non mi sarebbe concesso
da insuperabili ostacoli di prender parte di persona al Con-
gre^i^o. — E non mi pareva bene il dare il nome ad un ufficio
al quale io non poteva ad un tempo prestare l'opera mia.
\ oi e gli onorandi del Comitato giudicaste altramente,
facendomi pure ad ogni modo — non ostante i miei dubbi —
an ì)oi5to d'onore in vostra compagnia : e a me non resta che
ras\f^^^riare le mie ragioni al vostro giudizio e piacere, senza
ntiHCundervi però che il fatto mi accresce il rimorso di una
asf tensione che — quantunque involontaria — è grave a me
Ma io spero che Voi e i Fr/. tutti vorrete assolvermene,
finaudo vi dico — senza scendere a particolari — che impegni
fli 8t tetto dovere, e difficoltà varie, che non m'è dato rimo-
\ùn\ mi tengon qui come a domicilio coatto; e che, se ciò
ìiuu iVjsse, nulla mi sarebbe più grato di quel che trovarmi
Ira Voi nella solenne adunanza fraterna da Voi convocata a
trjittare degli uffici della Istituzione Massonica dinanzi ai se-
dili (ignora più visibili del sorgere di un'epoca che reca ia
WV
A PEOPOSITO DI UN CONGRESSO MASSONICO EC. IH
grembo una profonda trasformazione della società civile, ten-
dente da per tutto a sciogliersi dai logori involucri del pas-
sato, per ricrearsi all'alito fecondo di una vita nuova sotto
gli auspici della Ragione e della Libertà nel duplice arringo
del Pensiero e del Sentimento — della Scienza e della Co-
scienza.
Ora, in faccia a questo gran moto dei tempi, io mi asso-
cio di cuore agl'intendimenti vostri, i quali — se io bene av-
viso — si compendiano in questo : trarre vie più sempre la
Massoneria dai penetrali del Tempio negli aperti campi del
sociale consorzio; compenetrarla alla Democrazia universale ;
immedesimarla — come anima informatrice del corpo — con
essa ; farne guida operosa alle grandi rivendicazioni del Vero
e del Giusto, su tutte le vie dell'umano progresso; e vincolo
universale delle Patrie libere e federate, nell'ambito sacro
della comune Umanità.
E da che l'Italia ha una gran parte da compiere nelle ini-
ziazioni dell'avvenire, una gran parola da aggiungere alla For-
mola della nuova Ragione de' tempi e del nuovo Diritto delle
Genti — e cotesta Parola non può uscire potente dalla stia
coscienza finché la sua coscienza non sia purgata dall'ombre
del medio-evo e fatta capace di ricevere tutta intera la
schietta luce del Vero — però fo plauso ai vostri propositi su
questo capo fondamentale del compito massonico — incarnato
nel quinto Tema — e saluto nell'opera vostra la promessa
della redenzione intellettuale e morale del Popolo italiano —
scala ad ogni altra redenzione.
Vogliate, 0 Fratello, farvi interprete di questi miei sensi
al Congresso, ed abbiatemi con sincera ed affettuosa stima
vostro di cuore
A. Saffi.
112
AL PRESIDENTE
DELLA «SOCIETÀ DEL -CARNEVALE » IN FAENZA.
Febbraio 1882.
Onorevole Signore,
Duolmi di non aver potuto rispondere prima d'ora alla
sua cortese lettera del 28 gennaio, e Le chiedo venia dell'in-
volontario indugio.
Premetto che, se certe consuetudini di vecchio costume
potessero bandirsi per decreto dal seno della società, io farei
plauso ad una Legge che decretasse l'abolizione del Carnevale.
I socievoli ritrovi, gli onesti sollazzi, l'allegria del conver-
sare sono spontaneo e salubre ristoro delle cure della vita;
e — in Popolo felice e colto — alimento di gentilezza pa-
tria. — Ma il dar campo franco — in un breve e determinato
tempo dell'anno — alla foga del divertirsi, levando quasi a
frenesia la naturale tendenza al piacere, è sciopero morale
che corrompe, non ricrea, le umane facoltà e rende più triste
e più sentito il contrasto fra chi gode e chi soffre, chi ride
e chi piange, chi fa orgia della vita e chi muore d'inedia e
di fame.
Pur — data la folle usanza — è pietoso consiglio il tempe-
rarne i mali col farmaco della Beneficenza — quasi ad am-
monimento che, sotto le liete e spensierate parvenze dell'ora
che fugge, sta l'assidua realtà della miseria e del dolore ; e
che i destini del civile consorzio dipendono dal senso operoso
della comune Umanità, vòlto a combattere i vizi dell'egoismo
da un lato ; a migliorare -dall'altro — in quanto è dato ad
umana virtù — le condizioni sociali dei diseredati dalla for-
tuna — aiutandoli ad inalzarsi a civile capacità nel consorzio
della comune Patria
A. Saffi.
113
AL PRESIDENTE
DELLA SOCIETÀ « FASCIO OPERAIO DI M. S. » IN TRANI.
Aprile 1882.
Egregio Signore,
Accolgo con animo lieto e riconoscente la nomina a Socio
onorario di cotesta nuova Società operaia; non come omag-
gio ad alcun merito chp'io senta in me — se non si voglia
giudicar merito l'amare la Patria e il servirla secondo le pro-
prie forze, — ma qual segno di fratellevole consenso ne' prin-
cipi ch'io rappresento come discepolo di Chi fu primo, all'età
nostra, a preconizzare la risorgente vita e a insegnare agl'Ita-
liani la via di farla libera, prospera e grande — Giuseppe
Mazzini.
Al conforto che mi viene dal vostro afifetto, bravi Operai
Tranesi, rispondo con questi conforti all'opera buona che ini-
ziate associandovi: — Informatevi all'espmpio d'amore, di fede
e di costanza dato dal Grande Educatore, nella predicazione
del Vero, nella devota operosità della vita : Curate il lavoro,
come dovere e come fonte d'ogni umano progresso; l'asso-
ciazione, come strumento a svolgere le vostre facoltà pel bene
di ciascuno e di tutti. — Adoperatevi a conquistare il giusto
miglioramento delle vostre condizioni materiali, contro gl'im-
pedimenti che vi si attraversano, qual mejs^o necessario a più
alto fine : alla elevazione, cioè, morale, intellettuale e politica
della vostra classe nella comune cittadinanza della Nazione :
e vi sia sacro il vincolo che vi lega ai vostri fratelli di Patria,
per concorrere efficacemente con essi a far sì che l'Italia —
erede di un grande passato — risorga nell'avvenire degna mi-
nistra di libertà e di giustizia sulle vie della universale Civiltà.
E con questi brevi cenni di un grande compito
A. Saffi.'
114
PER IL CONGRESSO OPERAIO UNIVERSALE
IN PALERMO.
Bologna, 16 aprile 1882.
Egregio Patriota,
Incerto della dimora dell'onorevole compaesano e caro
amico mio — Saverio Friscia — in Palermo, ringrazio per
mezzo vostro i convenuti al Congresso Operaio universale -^
da Voi promosso — della benevolenza che mi attestarono e
del fraterno saluto inviatomi.
Se io ho merito alcuno — non ai vostri omaggi — ma al
vostro affetto, esso consiste unicamente nel culto devoto eh' io
professo con Voi alla Patria comune: a questa sacra terra
d'Italia, destinata dalla Natura ad essere perenne attrice di
Virtù e di Bellezza; e nella fede profonda ch'io pongo nella
capacità del suo Popolo per le cose nobili e grandi: però che
non vi sia forse Popolo in Europa il quale intenda come l'Ita-
liano — quasi per naturale istinto e per ereditario senno —
la disciplina del buon vivere civile.
Di che la Sicilia diede appunto, fra l'altre Regioni d'Ita-
lia, prova solenne in questi giorni, aggiungendo agli altri fasti
— antichi e recenti ■— della sua storia, quello d'aver saputo
armonizzare umanissimamente il buono orgoglio di un fiero
ricordo di lotta nazionale contro l' insolenza di stranieri op-
pressori, con le vocazioni della progrediente civiltà pei mutui
uflSct e per le feconde simpatie fra i Popoli affratellati nella
Giustizia e nella Libertà, dalla virtù del Lavoro.
Gl'Italiani tutti hanno debito di gratitudine alla Sicilia
pel generoso esempio ch'essa ne porge ad insegnamento co-
mune : — ed io, per uno, sento — ammirandovi — un tal debito.
Vogliate farvi interprete dell'animo mio con gli egregi vo-
stri Colleghi del Comitato Promotore e coi fratelli Operai
della vostra terra nativa — ed abbiatemi
vostro di cuore
A. Saffi.
115
AL PRESIDENTE DEL COMITATO PER LE ONORANZE
AI SUPERSTITI DELL' 8 AGOSTO IN BOLOGNA
SOTTO GLI AUSPICI DEL PRINCIPE EUGENIO DI CARIGNANO.
Bologna, 16 aprile 1882.
Egregio Signore,
La dimostrazione di benevolenza di che volle onorarmi il
Comitato pei superstiti dell' 8 agosto mi è grata ed onorevole,
quanto è sincera la venerazione ch'io sento pei nobili avanzi
di quella gloriosa giornata ; perchè non v' ha cosa per me più
veneranda della vecchiaia che può ricordare le generose prove
compiute — nella giovane età — a prò della Patria.
Senonchè — come veggo dal Foglio col quale Ella mi par-
tecipa il voto che mi concerne — la Presidenza onoraria di
cotesto benemerito Comitato riveste carattere rispettabilis-
simo invero, ma tale da cui discorda al tutto ropinione po-
litica ch'io rappresento — lasciando stare la mia semplice
qualità di privato cittadino.
Monarchico, rifiuterei per modestia: repubblicano, sento
di non potere in alcun modo accettare l'ufficio, per la con-
tradizione che non lo permette. — Céa.9mwo al suo posto —
parmi regola buona di vera vita morale e politica : ed io mi
studio seguirla, quanto so e possQ, negli atti del viver mio.
Gli egregi veterani dell' 8 agosto comprenderanno, spero,
nel suo vero senso il motivo della mia rinunzia — e non vor-
ranno considerarmi, per esso, meno riverente al loro Sodali-
zio, e men disposto a fraternizzare con essi — senza titolo
d'onore — nella religione della Patria comune.
Suo devotissimo
A. Saffi.
116
SULLO STESSO ARGOMENTO.
LETTERA ALLO ZIRONI.
Di casa, 17 aprile 1882.
Carissimo Zironi,
Vedrete dall'acclusa ch'io, per giuste ed oneste ragioni,
noa posso accettare la Vice-Presidenza onoraria del Comitato
pc' superstiti dell' 8 agosto.
Se la sera che veniste con essi ad onorarmi di una grata
visita, m'aveste avvertito degli alti auspici sotto i quali il
Comitato s'era costituito o stava per costituirsi, vi avrei fin
d'allora chiarito della impossibilità della mia accettazione.
Invero — Principe di Carignano ed A, Saffi sono una con-
tradizione in termini : e le contradizioni, anche di mera forma,
nella vita politica sono da fuggire, per non generare equivoci
e confusione nelle menti.
Naturalmente, io non rifiuterei mai di concorrere a lavo-
rare per un bene qualunque con uomini di opinioni diverse
dalle mie; né dall'attendere a manifestazioni ed opere di
beneficenza, di scienza o d'altro, ancte se provenienti o pa-
trocinate da Principi. ■— Ma altro è il non chiudersi — come
i bigotti in fatto di religione — nel proprio recinto politico,
respingendo ogni contsitto intellettuale e morale col di fuori;
altro l'assumere veste officiale sotto un colore che non è il
proprio.
Ducimi che il Comitato, per difetto di preventive e chiare
intelligenze fra noi, abbia dato il suo voto a chi non poteva
accettarlo : e vi prego di farvi interprete del mio sincero ria-
crescimento per l'avvenuto : assicurando ad un tempo i bravi
IT venerandi superstiti dell' 8 agosto di tutta la mia devozione
I^er loro e pel magnanimo fatto di cui furono autori e riman-
^^ono testimoni.
Gradite i sensi della mia affettuosa stima ed abbiatemi
vostro
A. Saffi.
117
AL PRESIDENTE DELLA FRATELLANZA ARTIGIANA
DI SAN FRUTTUOSO (GENOVA).
Bologna, 16 aprile 1882.
Egregio e caro Presidente,
Ho tardato, più che non voleva non solo il dovere ma il
desiderio dell'animo mio, a rispondere alla cortese vostra par-
tecipazione — e ve ne chiedo venia non immeritata, perchè
l'indugio provenne non da trascuranza ma da cagioni indi-
pendenti davvero dalla mia volontà.
- Le poche forze e il tempo di cui posso disporre furono
— segnatamente in questi ultimi mesi — tassati di tal somma
di lavoro obbligatorio, da rendermi pressoché impossibile la
puntualità delle corrispondenze epistolari. — Nondimeno, il
farmi vivo con Voi mi stava a cuore — sì per significarvi i
sensi della mia riconoscenza per l'attestato di fiducia e d'af-
fetto che cotesta Fratellanza volle darmi, eleggendomi a suo
Presidente onorario in compagnia del più antico fra gli amici
superstiti e non immemori di Giuseppe Mazzini; di uno dei
migliori e più immutati fra i veterani del Patriotismo ita-
liano, la cui amicizia mi è conforto e onore — sì per lo spi-
rito che anima i bravi operai di San Fruttuoso, i quali hanno
voluto, fondando il loro nuovo Sodalizio, costituirsi — per così
dire — sentinelle vigili della Fede del Grande Italiano, presso
la soglia della Necropoli dove riposano i Suoi avanzi mortali.
Di che fa nobile testimonianza, insieme al Programma
della loro Società, il proposito da essi manifestato di colle-
garsi alla Confederazione delle Società Liguri, e quindi alla
generale Associazione delle Società Operaie e Popolari d'Ita-
lia, affratellate nel Patto di Roma. — Esse rispondono così,
degnamente, ad uno de' più caldi voti di Giuseppe Mazzini;
il quale, negli ultimi giorni del viver Suo, salutava in quel
Patto gli auspici del risorgimento intellettuale e morale della
classe operaia, mediante l'ordinamento della sua vita collet-
tiva, in armonia con la vita dell'intera Nazione.
118 AL PEESEDENTE DELLA FRATELLANZA EC.
Importa oggi, più che mai, che la Parte nostra — fedele
aUe proprie tradizioni e aJ proprio compito - riaffermi i prin-
cipi a' quali s'informa; e serbi intatti i caratteri che ne defi-
niscono la vera e potente personalità. — Il che non vuol dire
ch'essa debba appartarsi, intollerante e chiusa in sé mede-
sima •— da quante forze tendono nella Patria comune a riven-
dicare la Giustizia e il Diritto, la Libertà e la Sovranità
Nazionale; a raggiungere un bene qualunque, anche parziale;
a combattere il male, il privilegio, l'arbitrio in ogni sua forma.
Ma, dinanzi alle lotte del presente, essa non deve velare
a sé stessa e ad altrui gl'Ideali dell'avvenire; non piegare
la sua bandiera a grado di mutabili opportunità; non rinun-
ziare al suo ministero iniziatore ed educatore : e, per adem-
pierlo degnamente ed efficacemente, serbare immuni le proprie
file da elementi che le scompongano con l'anarchia delle idee,
0 le contaminino con l'immoralità e col delitto.
A. Saffi.
119
APPUNTI PER UN ARTICOLO INTORNO AL CONGRESSO
DEL 5 MAGGIO 1882 IN BOLOGNA.
L'Italia attraversa un periodo di accasciamento morale,
<5he può convertirsi in dissoluzione di vita politica e civile,
se gli sparsi elementi delle sue forze riparatrici non concor-
rano insieme, coordinandosi ad opera comune, a ritenìprarne
il pensiero e Fazione. — Badate ch'io non intendo qui per
azione la lotta materiale — non possibile, non chiesta oggi
nelle questioni interne, dal momento storico in cui siamo. Ciò
che importa rianimare è l'azione degl'intelletti e degli animi;
il fuoco sacro degli affetti; la virtù de' cuori, ispirata 4alla
fede nel Vero, nel Buono, nel Giusto, e applicata con vigile
cura ai grandi quesiti del Diritto, del Dovere, dell'Onore,
della prosperità e della forza della Nazione. Se non si suscita,
se non si espande, se non si organizza nelle sue manifesta-
zioni questa forza interiore — principio e seme della gran-
dezza dei Popoli — ogni altra azione, per quanto intesa ad
alti e nobili obbietti, non potrà estrinsecarsi o riuscirà fiacca
e impotente.
Ora, se avanzano forze vive ed energie morali all'Italia
contemporanea, queste si riscontrano, quasi esclusivamente,
nelle nostre Associazioni democratiche, nel seno delle classi
operaie e in qualche nucleo di giovani di vario ceto, non
disfatti ancora dal materialismo pratico de'costumi àel giorno.
— Ma forze ed energie sì fatte sono slegate, disperse, discordi,
sia per questioni astratte d'ultimi Ideali, sia per questioni
di metodo; e l'antico abito del municipalismo impone sovente
ad esse le sue piccole preoccupazioni locali, distogliendole dal-
l'assidua, perseverante, devota cura de' vasti, comuni, vitali
intenti della vita collettiva della Nazione.
Questa funesta condizione di cose — che genera infermità,
sfiducia, impotenza — è istintivamente sentita dai patrioti delle
varie regioni d'Italia: si sente il bisogno d'intendersi, di avvi-
cinarsi, di ordinare qualche forma organica di mutue intel-
ligenze, di permanenti scambi d'intendimenti e di propositi,
120 APPUNTI INTORNO AL CONGRESSO DI BOLOGNA.
in ciò che risponde ai comuni principi e doveri; in ciò che
consente concordia di pensieri e d'opere; affinchè la Demo-
crazia nazionale italiana possa, senza mentire a sé stessa,
chiamarsi tale davvero, ed opporre una forza compatta ed
unanime in tutela della integrità e della libertà della Patria,
alla cospirazione delle forze ostili all'una e all'altra.
Questo bisogno e questo istinto determinarono, per mio
avviso, — ad iniziativa della < Società Democratica Italiana >
di Milano — il primo Congresso del 5 maggio in Bologna;
e determinano oggi, a compimento del tentativo, quello del-
l'S agosto prossimo.
Riuscirà il tentativo a qual cosa di pratico, di effettivo ? Non
so: ma giova il farne esperimento; e gioverà, ad ogni modo,
esporre a viso aperto i mali odierni, dare il meritato biasimo
a chi tocca, ammonire, spronare, volgere il guardo al futuro,
additando i pericoli, inculcando il dovere.
A. Saffi,
121
ALL' «ASSOCIAZIONE CONSORZIALE DI M. S.»
A PIEVE B' OLMI.
Bologna, 12 maggio 1882.
Egregi Patrioti,
Il vostro amorevole saluto mi ha commosso. — Conosco
per fama la vostra Associazione di mutuo soccorso, e so ch'essa
è una di quelle che meritano d'essere citate ad esempio, per
buona amministrazione, per elevatezza d'intendimenti morali
e per amor patrio.
Ed ottimo fu il vostro consiglio di stringervi in un patto
di comune solidarietà e di mutua educazione fra operai ma-
nifatturieri e lavoratori agricoli. — Associando alla virtù del
lavoro il culto della Patria e la coscienza de' vostri diritti e
de' vostri doveri come cittadini, voi preparate, nella vostra
classe, all'Italia una forza intelligente che contribuirà a ren-
dere meno difficili le soluzioni civili del problema economico
dell'avvenire.
Vi ringrazio di cuore del cortese invito per la festa so-
ciale di domenica prossima. Ducimi di non poter essere con
voi di persona, come sarò con voi col pensiero, con l'affetto
e coi più sinceri voti per la prosperità del vostro Sodalizio
e delle classi lavoratrici in generale.
Salute a voi e all'Italia.
• Vostro
A. Saffi.
XII.
122
AL CIRCOLO < X MARZO » DI JESI.
Luglio 1882.
.... Sono assediato — alla lettera — da una farragine
d'impegni e di corrispondenze, e non ho lusso di segretari per-
disbrigare ogni cosa puntualmente.
Il vostro atto di adesione al Voto della maggioranza nel
Congresso di Genova non implica alcuna inddicatezea a ri-
guardo mio o d'altri della minoranza. — Nella manifestazione
de' propri giudizi sulle cose pubbliche non devono entrare ri-
guardi personali, se no addio Libertà ! Protesterei, io per
primo, se riguardi sì fatti dovessero menomare in altri quella
libertà ch'io ripeto intera per me medesimo.
Io sostenni l'Ordine del Giorno proposto dalla maggio-
ranza della Commissione, perchè — riservando intatta l'auto-
nomia del Partito — conciliava le Società che vogliono eser-
citare il diritto del voto — come strumento all'affermazione
della Sovranità nazionale — con quelle che credono dover-
sene astenere. — E la conciliazione era incremento e forza
alla Democrazia repubblicana.
Questo fu ed è il mio convincimento.
Vostro
A. Saffi.
123
AL eiRCOLO 4 MAZZINI-GARIBALDI»
DI MASSA CARRARA.
Luglio 1882.
Egregi Patrioti,
Voi mi avete dato un titolo d'onore che supera d'assai il
merito mio. Permettetemi di non accettare l'omaggio, se non
come compagno e fratello vostro nella fede in que' principi
che gli animi nostri raccolsero a guida degl'intendimenti e
dell'opere dalla virtù dei Duci defunti. — In que' principi è
riposta la malleveria della futura grandezza della Patria Ita-
liana.
Il posto di vostro Presidente onorario non è vacante. L'oc-
cupa lo spirito del Grande che, traducendo in atto il Pen-
siero di Giuseppe Mazzini, diede con l'antico valore unità e
potenza di vita nuova all'Italia.
Quello spirito animi le vostre facoltà, le vostre speranze^
i vostri voti ; e vi sproni a perseverare nella lotta per la Li-
bertà, per la Giustizia e per la Redenzione morale e mate-
riale di un Popolo che fu libero e grande, e tale sarà — se
non vien meno a sé stesso.
Abbiatemi come presente col pensiero e col cuore, nella
commemorazione del 16 corrente — e gradite i cordiali au-
guri e saluti del
vostro
A. Saffi.
124
ALLA SOCIETÀ € L'UNIONE DEI POPOLI LATINI»
A MARSIGLIA.
Forlì, 20 agosto 1882.
Miei cari Compatrioti,
Vogliate accogliere le mie scuse pel ritardo frapposto a
rispondere alla vostra del 29 luglio ; ritardo derivato da in-
volontarie cagioni, fra le quali quella della mia assenza da
Bologna, dove la vostra lettera rimase parecchi giorni a mia
insaputa.
La nomina a vostro Presidente onorario è omaggio al
quale io sento di avere ben poveri titoli. Consideratemi, me-
glio che Presidente, compagno vostro nell'amore della Patria,
nella fede del Bene e nel Dovere di contribuire, per quanto
dipende da ciascuno di noi, al progresso de' principi di Giu-
stizia e d'Umanità fra tutti i Popoli, senza distinzione di razza.
La vostra idea dell' Unione de' Popoli latini è buona e
santa, se — come dite — essa tende non a rinchiudersi in una
cerchia esclusiva ; ma ad iniziare, nella Fraternità latina, la
Fraternità umana. — Non v'ha dubbio che la Francia, l'Italia
e la Spagna non sieno congiunte fra loro da affinità d'origini,
da tradizioni di vicende storiche e da legami d'interassi, di
vocazioni e di uffici che solo una politica egoistica e impre-
vidente può disconoscere.
Ma, per la stessa natura del loro genio — che gittò, primo
in Europa, il Verbo della unità morale del genere umano —
esse devono, col loro esempio e con la loro propaganda in-
civilitrice, dare un impulso comune al gran compito de' tempi
nuovi: che è la Federazione de' Popoli nella reciprocità del
Diritto e del Dovere, sotto gli auspici della Libertà.
E la situazione europea rende sempre più urgente un tal
compito, onde contrapporre alle mene de' vecchi Partiti e
de' vecchi Governi — che minacciano coi loro pregiudizi e con
le loro guerre di ritirare a barbarie la società — la Leg'a
delle Democrazie nazionali, l'emancipazione delle Patrie op-
presse dalla conquista, la solidarietà delle forze sociali, che
ALL' < UNIONE DEI POPOLI LATINI > A MARSIGLIA. 125
preparano con la virtù del pensiero e del lavoro un migliore
avvenire all'Umanità.
Le classi che soffrono e che lavorano, che aspirano a con-
dizioni più eque per tutti, costituiscono in ogni contrada
d'Europa il maggior numero; e possono recarsi in mano i
destini dall'avvenire se, respingendo gli eccitamenti de' loro
padroni agli odi internazionali, cercheranno da Paese a Paese,
nelle mutue simpatie e ne' fraterni vincoli che la natura ha
posto fra loro, il segreto della loro salute e la malleveria
della redenzione europea.
Le norme del vostro Programma mirano a questo; ed io
mi associo di cuore ai vostri voti e all'opera vostra, strin-
gendovi cordialmente la mano.
A. Saffi.
^■T*iif--r7-'
126
ALLA « SOCIETÀ OPERALI » IN POLESINE-PARMENSE.
Settembre 1882.
Egregi Cittadini,
Non posso trovarmi fra voi di persona, pel decimo anni-
versario della fondazione del vostro Sodalizio: — ma vi prego
d'avermi come presente con la miglior parte dell'animo, e so-
lidale de' vostri affetti, de' vostri voti, delle vostre speranze.
Fra le miserie dell'oggi — aggravate dai disastri che la
Natura aggiunse ai tristi effetti dei nostri errori — temprate
gli animi a proseguire virilmente la lotta della Giustizia e
della Umanità, del Lavoro e dell'equità sociale contro il Pri-
vilegio e l'Arbitrio — che sono le due manifestazioni dell'egoi-
smo umano nell'ordine politico e nell'ordine economico della
società. -^ Affermate, nel campo elettorale e fuori, i vostri di-
ritti in nome dei vostri doveri ; i vostri titoli alla eguale cit-
tadinanza nella Patria comune e al benessere materiale, per-
chè vi sia scala allo sviluppo intellettuale e morale delle
vostre facoltà. — Associatevi come liberi fratelli per sorgere —
quando che sia — a dignità di Popolo, e fare dell'Italia una
Nazione conscia de' suoi uffici nel mondo, e degna de' suoi
Profeti e de' suoi Martiri.
È questo il saluto e il voto col quale io mi associo al
vostro fraterno convegno.
A. Saffi.
127
AL SIGNOR CARLO LEMONNIER
PRESIDENTE DELLA LEGA DELLA PACE E DELLA LIBERTÀ, GINEVRA.»
Forlì, 7 settembre 1882.
Mio caro Amico e Collega,
Vi acchiudo nuove adesioni, fra l'altre quella del Gran
Maestro della Massoneria italiana — l'illustre Patriota Giu-
seppe Petroni — in nome dell'intero Sodalizio. Altre visone
già spedite direttamente da buon numero di patrioti e di
società popolari. Come vedete il cuore dell'Italia è con Voi.
Infatti, le proposte che formeranno il soggetto delle delibe-
razioni del Congresso di Ginevra — neutralizzazione del Ca-
nale di Suez — neutralizzazione del Canale di Panama — non
possono non riscuotere il plauso universale. Esse si connettono
alla gran Causa del Progresso del genere umano sotto l'inse-
gna della libertà, della giustizia e della fraternità de' Popoli.
A tali proposte rispondono i voti del lavoro, della scienza
e della coscienza morale dell'Umanità: — dell'Umanità, che
si leva contro lo spirito di dominazione e di conquista : della
civiltà, che respinge, nella sua marcia trionfale, gli ultimi
avanzi della vecchia barbarie.
Vi sono Popoli, in Europa, che il moto della Storia ha
posti all'avanguardia di questa marcia solenne. Ve ne sono
altri che rimangono addietro, dominati da forze cieche e in-
vadenti, le quali sono un ostacolo e una minaccia al pro-
gresso di tutti.
È dovere de' primi il preparare, col loro esempio, la eman-
cipazione de' secondi, facendo risplendere sul cammino del-
l'avvenire la luce del nuovo diritto europeo. Di fronte alle
rivalità che il dispotismo genera — di fronte a cotesta eterna
questione d'Oriente che è il risultato della negazione delle
nazionalità a servigio della conquista dinastica e del mono-
polio commerciale — è urgente che i Popoli indipendenti del-
l'Europa occidentale e delle coste del Mediterraneo formino
* Dal Pro Patria, anno I, n.o 12, 12-13 settembre '82.
128 AL SIGNOR CARLO LEMONNIER.
il primo gruppo di quella Lega Internazionale della libertà,
che può sola schermirli dal pericolo della reazione e di una
nuova invasione di barbari.
Sembra invero che la legge della evoluzione storica della
Umanità, nel mondo europeo, tenda ad assegnare alle Na-
zioni latine l'onore della iniziativa in quest'opera di difesa
e di rinnovamento civile. È loro compito stendere la mano,
da un lato, all'elemento operaio della Gran Bretagna e a
quelle nobili associazioni di amici sinceri del popolo che
aspirano colà alla giustizia nelle relazioni esterne del loro
Paese ; e protestano contro la politica di un'oligarchia mer-
cantile che, pel suo egoismo e per le sue tendenze usurpa-
trici, allontana l'Inghilterra dalla sua vera missione nel
conserto delle Nazioni europee. Spetta ad essa di gittare,
dall'altra parte, la parola della vita e i presagi del riscatto
fra i Popoli diseredati delle loro patrie, contrapponendo il
diritto umano della libertà al diritto barbaro della forza.
Io non penso, con tutto ciò, ad una Lega esclusiva delle
Genti latine; ad alcuna pretesa di egemonia, di primato,
sulle stirpi che le circondano; ma alla loro iniziativa, alla
loro azione morale sul resto della famiglia europea.
Non ho fede alcuna ne' Governi che reggono le sorti delle
Nazioni alle quali accenno, cominciando dal Governo del
mio Paese. La sua politica estera è in assoluta contradi-
zione col principio nel quale consiste il fondamento giuridico
della nuova esistenza dell'Italia come Nazione indipendente.
Ma ho fede ne' Popoli in sé stessi; ho fede nello spirito rin-
novatore che agita e move dappertutto l'anima delle molti-
tudini contro un ordine di cose creato dalla violenza e soste-
nuto dai pregiudizi del passato, in opposizione all'ordine della
natura e ai bisogni del tempo ; ho fede nelle voci eterne della
coscienza e nell'armonia di tali bisogni e dei veri interessi
delle Nazioni con le norme immutabili della legge morale e
della universale giustizia.
Ed appartiene alla Democrazia — alle classi che soffrono,
che pensano, che lavorano — P inalzare, in ogni contrada d'Eu-
ropa, il vessillo dell'avvenire ; dandosi la mano fra loro nella
lotta suprema contro l'arbitrio e nell'opera santa della fede-
razione, della Pace, della libertà, a far sì che cessi per sempre
l'opera dissolvente del privilegio e dello spirito di domina-
zione e di conquista.
AL SIGNOR CARLO LEMONNIER. 129
Come, nell'antica Roma, il primo grido d'equità e d'egua-
glianza — csqu-a Ubertas : una civitas — e i primi presenti-
menti della tfnità morale del genere umano sorsero dal seno
del Comune Plebeo alle prese col privilegio patrizio ; così dal
seno della Democrazia moderna deve oggi svolgersi il nuovo
diritto delle genti, il legame sacro dell'associazione de' Popoli,
e imporre i suoi riti al mondo civile, non più per mezzo della
forza, ma della ragione e dell'amore.
Ed è per questo eh' io guardo come ad uno de' segni più fe-
lici della giornata, e come a promessa di sicurtà per la grande
causa dell'umano progresso, al Patto d'Alleanza fraterna,
stabilito il 14 luglio di quest'anno in Parigi, fra i repubblicani
francesi e i delegati della Democrazia e del Partito d'azione
italiano.
L'Alleanza tra la Francia e l'Italia, preconizzata in quel
Patto, è il germe dell'Alleanza de' Popoli europei sulle vie
del lavoro, della giustizia, e della libertà.
E su questo terreno appunto — sull'elemento popolare,
umano, universale, in Inghilterra come in Francia, in Ger-
mania come in Italia — può e deve spiegarsi l'influenza po-
tente della Lega promotrice della nuova Ragion delle Genti,
sventando i raggiri di una Diplomazia retriva e trista, e sol-
levando l'opinione pubblica contro gli attentati di un mili-
tarismo senza fede né legge.
Accogliete, caro amico e collega, i miei più cordiali saluti
e i voti dell'animo mio pei generosi e benefici intenti del
Congresso della Lega, al quale duolmi di non potere, per
impegni stringenti, attendere di persona.
• Vostro devotissimo
A. Saffi.
130
PER I MAESTRI ELEMENTARI RIUNITI IN CESENA.
LETTERA AI SIGNORI MARINELLI E MORESCHI.
San Tarano presso Forlì, 26 settembre 1882.
Egregi Signori,
Assente ieri da casa, ho ricevuto questa mane soltanto il
vostro cortese telegramma. Vogliate esprimere i sensi della
mia gratitudine ai bravi Maestri elementari della nostra Pro-
vincia costì riuniti a conferire intorno ai loro studi e al loro
nobilissimo ufficio di educatori della fanciullezza.
Il saluto che voi m'inviate in loro nome, per attestato di
benevolenza, è ricompensa che supera il poco eh' io ho fatto
per tradurre in atto il concetto di coteste riunioni, dalle quali
il magistero dell'insegnamento elementare trarrà, non ne
dubito, nuova virtù ed efficacia.
La Scuola deve, per riuscire feconda di bene, migliorare la
Famiglia, chiamando a concorso della sua opera civile i geni-
tori — e specialmente le madri — sì che le due influenze edu-
catrici, armonizzando insieme e fondando l'opera loro sull'ele-
mento morale — purgato dai pregiudizi e dalle ipocrisie del
passato, — ^^ possano apparecchiare alla Patria animi veraci e
forti di un profondo sentimento dei doveri della vita, e quindi
atti ad esercitarne virilmente i diritti e gli uffici, come uomini
e cittadini.
Dolente di non potere, per obblighi che qui mi stringoncji
associarmi di persona al vostro convegno, mi unisco a voi
col pensiero, col cuore e coi voti.
A. Saffi.
131
AGLI AMICI DI BOLOGNA.
Forlì, 29 settembre 1882.
Egregi Amici,
Invio un- cordiale saluto ed augurio al vostro Giornale.
Io so che, fedeli al Programma della Associazione Demo-
cratica, voi propugnerete, nel campo politico, la Causa della
vera Libertà e la partecipazione di tutti i cittadini d'Italia,
senza distinzione di ceto, a' suoi diritti ed uffici, sulla base
della Sovranità nazionale, dinanzi a Poteri responsabili degli
atti loro, come deputati ad amministrare la cosa pubblica
pel bene comune, non a sfruttarla : — nel campo giuridico,
la Giustizia eguale per tutti ; l'abolizione d'ogni legge ecce-
zionale ; la inviolabilità delle guarentigie legali che tutelano
l'autonomia, la sicurezza della persona umana, contro qual-
siasi arbitrio privato o pubblico : — nel campo economico, in-
fine, la emancipazione delle forze produttive dai privilegi e
dai monopoli che ne inceppano lo sviluppo a beneficio de' po-
chi contro il benessere dell'universale ; la riduzione delle im-
poste, proporzionandole ai mezzi di sussistenza, sì che le
medesime non intacchino — come oggi avviene — il necessario
alla vita o i risparmi destinati alla riproduzione e all'aumento
della ricchezza generale — e, a tale intento, una radicale tra-
sformazione degli ordini amministrativi e militari dello Stato,
salva l'Unità della Patria e la validità delle sue difese; —
la progressiva riforma de' rapporti fra il Capitale e il Lavoro,
subordinandoli ai principi d'equità, d'umanità, di associa-
zione cooperativa; il diritto di proprietà individuale armoniz-
zato, nella sua estensione, coi doveri sociali e con le norme
supreme della pubblica utilità.
E so che, scendendo nella lotta elettorale, voi ingiunge-
rete ai vostri candidati di proseguire sul terreno dell'azione
legislativa il programma dei loro elettori; di serbarsi, ne' su-
premi Consigli del Paese, custodi e esecutori sinceri, operosi,
inflessibili del mandato commesso alla lor fede; sdegnando
ogni compromesso dell' ufficio loro con esigenze di combina-
zioni parlamentari; costituendosi, nel magistero legislativo.
132 AGLI AMICI DI BOLOGNA.
rappresentanti e difensori veri del Popolo, interpreti della
civile Democrazia d'Italia — non seguaci di meschine fazioni
ministeriali, e d'interessi personali o di Parte.
Io non so se questo concetto dell'ufficio e della dignità
del Legislatore eletto dal pubblico suffragio avrà campo di
svolgersi negli ordini presenti dello Stato: so che tale è lo
spirito che dovrebbe animare i Collegi degli elettori e la co-
scienza comune, per l' inalzamento delle sorti presenti e future
della Nazione.
Vostro
A. Saffi.
133
AL COMITATO
ELETTORALE DEMOCRATICO DI FORLÌ.
Novembre 1882.
Egregi Concittadini,
Impedito d'intervenire al geniale e patriotico convegno,
vi prego di accogliere con le mie scuse i miei cordiali rin-
graziamenti pel cortese invitìo.
Il moto della Democrazia contemporanea — e segnata-
mente delle classi operaie — in Italia, per la rivendicazione
del suffragio, è uno de' segni solenni dell'età nuova. È moto
di Popolo che assorge alla coscienza de' suoi diritti pel con-
seguimento de' suoi doveri: che sente l'urgenza della sua
emancipazione politica pel miglioramento delle sue condizioni
economiche e morali: che afferma la sua Sovranità, come
fonte unica della legittimità de' Poteri che devono reggere i
suoi destini.
Ricordate ai vostri eletti che questo è il senso de' vostri
voti: ricordate a voi stessi che principi, diritti e criteri di
giustizia politica e sociale rimangono vane astrazioni, se non
scendono dal campo dell'affermazione in quello dell'applica-
zione pratica; e che, a raggiungere tale intento, è indispen-
sabile il concorso assiduo di tutte le volontà e di tutte le
forze morali che militano sulla via del civile progresso.
Perseverate, educando ed operando; guardate come a su-
premi fini, inseparabili davvero l' uno dall'altro, al benessere
delle moltitudini e alla grandezza della Patria comune : e gra-
dite ch'io invochi in ispirito, dai Geni della natia civiltà, sa-
lute a voi tutti e all' Italia.
A. Saffi.
134
AL CIRCOLO * G. MAZZINI » IN FORLÌ.
Bologna, 25 novembre 1882.
Egregi Amici,
Fu buon consiglio del vostro Circolo di convocare per
turno le diverse Sezioni degli associati, per indirizzo e con-
forto al lavoro d'ordinamento fraterno, di educazione morale
e d'istruzione pratica, che è compito e dovere del vostro so-
dalizio, nel duplice rapporto de' suoi uffici cittadini e locali
e della parte che gli spetta nell'opera collettiva della civiltà
nazionale.
Guardate con fede e con perseverante fermezza ai prin-
cipi che informano il vostro Programma; perchè, in que' prin-
cipi che Giuseppe Mazzini attinse alla coscienza della Umanità
e alla Legge storica del civile progresso, è la Verità, la Vita
e l'Avvenire: ma siate tolleranti ad un tempo verso quanti,
pur non accordandosi in tutto con voi — - sia nelle idee, sia
nel modo di promoverne l'attuazione — amano nondimeno,
come voi l'amate, la Patria, e possono cooperare con voi
ne' molteplici uffici onde si compone e va quotidianamente
esplicandosi la vita civile d'un Popolo. Non sia tra voi chi
dica: Quelli che non sono in tutto e per tutto con noi sono
contro di noi ; nessun contatto fra noi ed essi, ma guerra ad
oltranza. — Sarebbe parola stolta di reazione individuale o
di sètta, contradicente alla più nobile e più feconda parte
dell'apostolato del Vero, del Buono, del Giusto : quell'aposto-
lato che si fa strada fra le opinioni incerte o contrarie, e
avanza e vince con la bandiera della Ragione e dell'Amore. —
Fraintende e oltraggia lo spirito di Giuseppe Mazzini, chi
fa del Suo nome segnacolo di scisma nel campo del patrio-
tismo italiano, e delle Sue dottrine barriera di separazione tra
credenti e non credenti, a somiglianza de' preti — anziché vin-
colo di umane simpatie e di mutui ravvicinamenti, fra quanti,
per diversi gradi, tendono alla mèta comune della Libertà e
della Giustizia sociale.
Serbate fede all'Ideale repubblicano — all'Ideale, cioè, di
quella giusta e santa associazione di liberi e d'eguali in eia-
AL CIRCOLO < G. MAZZINI > IN FORLÌ. 135
scuna Patria, e di Patrie confederate con equi patti di mutua
giustizia fra loro — che è il termine a cui tende il moto
de' tempi — perchè le facoltà di ciascuno e di tutti possano,
senza ostacoli e restrizioni, elevarsi alla nobiltà della comune
natura umana.
E della nostra fede esponete, nella piena luce del Vero
e senza riguardi di falsa opportunità, i principi e gl'inten-
dimenti, applicandone le norme morali alla vita, in quanto lo
consenta la realità presente; ma non create illusioni agl'ignari
delle Leggi dell'umano progresso e delle condizioni contem-
poranee dell'Italia in particolare; facendo credere ad essi
possibile il raggiungimento improvviso, per mezzi violenti,
delle vittorie serbate al perseverante magisteri della educa-
zione, al continuo accrescersi delle forze civili d'un Popolo,
mercè i frutti tlel lavoro e dell'associazione, e alla virtù del
sacrificio.
Respingete, sopratutto, con ogni vostro potere, i propositi
della violenza nel campo della questione sociale. — La vio-
lenza, applicata all'ordine economico della società, condurrebbe
direttamente, attraverso la guerra civile e la distruzione del
frutto accumulato del lavoro de' secoli, alla miseria e alla bar-
barie universale.
Solo il progressivo inalzamento delle classi diseredate alla
libertà del lavoro e alla potenza dell'associazione produttiva
può affrettare l'avvenimento della equità sociale a beneficio
di tutti.
E con questi avvertimenti ne' quali mi è caro avervi con-
cordi, credetemi sempre
A. Saffi.
13G
AL PRESIDENTE
DELLA < SOCIETÀ OPERAIA DI M. S. » DI LAVAGNA.
Bologna, 2 maggio 1883.
Egregio Patriota,
Le lettere che mi dirigeste mesi addietro, in un tempo
nel quale io era costretto a frequenti assenze da casa, rima-
sero a lungo confuse — a mia insaputa — fra le. carte e i gior-
nali che s'erano venuti accumulando nell'intervallo. Soprag-
giunte poi altre cagioni d'indugio a scrivervi n'è avvenuto
che oggi io mi trovi in debito tanto arretrato di risposta con
Voi, da non sapere come scusarmene.
E non è senza perplessità ch'io mi fo ora a rispondere
all'omaggio immeritatq — o certamente superiore ad ogni mio
titolo — che da Voi mi venne. Ma vi dirò franco l'animo mio.
In generale io non approvo — ed ebbi occasione di dirlo altre
volte — il costume delle nomine onorarie negli Atti delle no-
stre Società popolari. Mi sembrano forme accademiche, alle
quali non risponde alcun ufficio reale e che mettono perciò
a prova la coscienza e la modestia di chi le riceve. Preferirai
la semplice parola di approvazione fraterna, ne' casi speciali
di qualche bene effetti vam ente operato — il saluto, l'omaggio
alle singole azioni degne di lode — più che cotesti titoli di
permanente onoranza alle persone, che pur sono — come per-
sone umane — soggette a fallire.
La vita al fin, e il dì loda la sera — dice il Poeta, verseg-
giando un savio proverbio antico. — E in vero, chi può avere
certezza che, ne' decorati di onoranze sì fatte, il fallo del do-
mani non contradica alla distinzione dell'oggi?
Comprendo però che, in casi di eccezionale grandezza di
pensiero o d'azione, e per nomi che rappresentano la mente
di un'epoca, lo spirito di tutto un Popolo — come quelli ap-
punto di Garibaldi e di Mazzini, — le fratellanze che escono
da quel Popolo amino di porsi, per così dire, sotto gli auspici
di tali nomi.
AL PRESIDENTE DELLA < SOCIETÀ OPERAIA > EC. 137
Ma allora la morte dei titolari non prescrive il titolo ad
essi conferito in vita — anzi lo conferma e lo rende santo e
inviolabile.
Giuseppe Garibaldi fu in persona — e rimane per sempre
in ispirito — vostro Presidente onorario. — Voi non dovete e
non potete cancellare il suo gran nome dal sommo dell'Albo
del vostro Sodalizio. — E in quanto a me, accettando di sosti-
tuirlo con la povertà del mio, sentirei di commettere un atto
d'imperdonabile vanità.
Voi comprenderete — ne sono certo — il senso che mi
move. — Non disconosco, non respingo la vostra benevolenza :
la vostra stima mi onora, e ve ne sono grato — ma vogliate
essermene cortesi in altro modo : abbiatemi, quale sono, vo-
stro compagno di fede — chiamatemi fratello vostro nel culto
operoso degli Ideali che que' Grandi fecero risplendere di luce
immortale dinanzi a noi: lavoriamo insieme, ciascuno secondo
le proprie forze a preparare una Patria degna della loro virtù
alle generazioni future — e credete all'affetto del
vostro
A. Saffl
XII. 10
188
AD £. R. (triestisto).
Bologna, 12 giugno 1883.
Eg^regio Cittadino,
Assente ne' giorni scorsi da Bologna, ho ricevuto ieri sol-
tanto la Yostra del 5 corrente — trasmessami in lettera rac-
comandata dalla persona clie ne aveva l'incarico.
L'acchiuso mandato di rappresentanza fu da me spedito
immediatamente alla Direzione del Periodico 11 Dovere in
Roma — sopprimendo la formola Vendila Primaverile ec., per
evitare possibilmente il sequestro. Sarà pubblicato, spero,
nel numero di Domenica ventura. — In quanto al Manifesto
a^VItalianiy nessuna difficoltà di farlo stampare e di procu-
rare al medesimo la più vasta circolazione simultanea, per
mezzo delle nostre Società. — Più difficile — e forse meno ac-
concia a dargli pubblicità — V affissione. La paura e la vigi-
lanza della servile Polizia, che deturpa l'Italia, s'attraverse-
rebbero all'intento. Non appena affisso, e prima che il pubblico
io avvertisse, il Manifesto sarebbe inevitabilmente strappato
dai muri. — Nondimeno, mandate pure il manoscritto. Inter-
pellerò gli amici e, in un modo o nell'altro, faremo che la
Voce di Trieste risuoni alta per le città italiane. Veramente,
l'organo naturale di questa opera patriotica sarebbe l'Asso-
ciazione dell'Italia Irredenta. Ma le fila, gVindirisei, i nomi
dell'Associazione sono in mano del Comitato Centrale a Na-
poli, e in particolare di M. R. Imbriani ; il quale, per questa
ragione, potrebbe, assai più agevolmente di noi, dar mano alla
diramazione del Manifesto. — La Presidenza onoraria del Co-
mitato coopera moralmente a tener viva la coscienza del Di-
ritto e del Dovere italiano dinanzi alle terre irredente; ma
del lavoro pratico dell'Associazione si occupava e si occupa
esclusivamente la Presidenza effettiva; la quale, in fondo, si
concentra nell' Imbriani. — Tuttavia, ripéto, se così vi piace,
altri farà il meglio che può per cooperare al vostro propo-
sito; purché però ciò non abbia da disgustare Imbriani; il
che dispiacerebbe a me e non sarebbe bene per la Causa.
AD E. R. (TRIESTINO). 13&
Pensateci; e, in ogni caso, vedete se non fosse meglio far capo
a dirittura a lui, acchiudendomi — col Manifesto — una vo-
stra a lui diretta, ch'io gl'invierei insieme al manoscritto,
aggiungendo alle vostre le mie sollecitazioni.
Addio, egregio compatriota. Gradite e partecipate il diìo
fraterno saluto agli amici vostri. Possano gli eventi volgere
propizi ai nostri voti e — più degli eventi — la virtù che li
crea : virtù che oggi langue pur troppo anche ne' buoni, so*
praflfatta dallo scetticismo, dai volgari interessi e dalla indif-
ferenza del maggior numero. — Ma, nonostante i vizi del x^re-
sente, l'Italia risorgerà e compirà il suo dovere, perchè cori
vogliono i fati della sua Storia.
Abbiatemi ora e sempre
vostro di cuore
A. Saffi.
140
ALL^ ASSOCIAZIONE « A. SAFFI :
DI TRINO VERCELLESE.
Bologna, 18 giugno 1883.
Egregi Cittadini,
A voi piacque d'intitolare dal mio nome la vostra patrio-
tica Società; e nella lettera a stampa che m'indirizzate per
mezzo del pregiato Giornale piacentino II Progresso — volgen-
domi cortesi e immeritate lodi — dite di voler prevenire, con
gli argomenti ivi addotti, l'obbiezione ch'io avrei potuto farvi:
che, cioè, i Sodalizi de' nostri operai hanno da intitolarsi, non
agli uomini, ma ai principi.
L'obbiezione, per me, resta ad ogni modo ; e, se è valida
in generale, così è tanto più nel caso mio: giudice di ciò la
mia propria coscienza, la quale non m' inganna sulla misura
de' miei meriti.
Gli uomini sono fallibili; i principi eternamente veri.
A questi dev'essere consacrato il culto fedele e operoso di
quanti intendono a migliorare, svolgendone praticamente le
conseguenze, la vita civile d'un Popolo : — de' primi vorrei,
più che esaltate le persone, giudicate ad una ad una le opere,
dando loro conforto di fraterna simpatia, se fanno il bene;
non attraversando al biasimo possibile — se fanno il male —
il privilegio di un permanente titolo d'onore.
È vero che sorgono di tratto in tratto, a guida delle Na-
zioni, uomini di sovrano valor d'ingegno e d'animo, i quali
incarnano in sé gran parte degl'Ideali del Vero e del Bene:
— ma anche per questi giova, parmi, perchè l'incarnazione
sia piena e imperitura la virtù dell'esempio, attendere il sug-
gello sacro e solenne della morte.
Comunque, voi avete voluto associare pubblicamente il vo-
stro Sodalizio al mio povero nome; e a me non rimane che
rendervi grazie cordiali, non del soverchio omaggio, ma della
benevolenza di che mi onorate.
Io non posso darvi, con sicura fede, altro pegno di me da
questo in fuori : eh' io morrò ravvolto — come voi presa-
ALL'ASSOCIAZIONE < A. SAFFI > EC. 141
gite— < in quella bandiera che sóla simboleggia libertà non
monca. > —
Ciò che più mi è grato nella fratellevole relazione che
s'inizia tra noi, è il consentimento del vostro veder mio in-
torno al nesso fecóndo delle dottrine di G. Mazzini con quel
senno pratico che è proprio della nostra stirpe, e in partico-
lare del Popolo piemontese. La grandezza di una Nazione è
l'ultimo risultato dell'opera costante delle sue forze intellet-
tuali e morali applicate, anche a traverso a circostanze av-
verse, agl'incrementi possibili della sua civiltà; e sarebbe
errore pernicioso alla vitale continuità del Progresso il disde-
gnare e respingere — come voi dite — quanto si possa prati-
camente e prossimamente effettuare sulle vie del Bene, perchè
le condizioni presenti fanno contrasto alla piena attuazione
degl'Ideali dell'Avvenire.
Vostro ora e sempre
A. Saffi.
142
A UNA LOGGIA DI NAPOLI.
Forlì (Romagna), 5 ottobre 1883.
Onorando F.'.
.... Per involontarie e per me dolorose cagioni, ho indu-
giato più che non avrei dovuto e voluto ad esprimere per
vostro mezzo agli Onorandi FF.\ del Gran Consiglio i grati
sensi dell'animo mio per l'alto attestato di stima e di bene-
volenza che da loro mi venne ; e di questa mia mancanza,
che non procedette dal mio sentire ma da circostanze este-
riori, vi prego di ottenermi venia presso i medesimi.
Io ho fatto così poco — vuoi nel campo del Pensiero, vuoi
in quello dell'Azione — a servigio de' grandi intenti della Causa
massonica universale de' Sodalizi dell'Ordine nell'Italia nostra
in particolare, ch'io sento di dovere attribuire il titolo che
voleste conferirmi — più che ad alcun mio pregio pel bene
operato — alla vostra persuasione eh' io ami e desideri il Bene
e intenda, secondo le mie deboli forze, a propagarne in altri
la virtù e l'amore. — In quésto senso, e come conforto fra-
terno alla credenza che abbiamo comune nel Progresso del-
l'Umanità, accetto l'onore che vi piacque farmi, e ve ne sono
riconoscente.
Adoperiamoci, onorandi FF.'., per quanto possa dipendere
dalla Solidarietà operosa degli animi nel seno della grande
Associazione massonica, a combattere la decadenza ond'è mi-
nacciata la Patria nostra dal materialismo degl'interessi a
detrimento delle più elevate e più nobili facoltà della natara
dell' Uomo. — Il male del secolo sta, s' io ben giudico, nello
scisma fra la ricerca dei beni esteriori della tita e il culto
dei fini morali della vita stessa: il rimedio, nella restaura-
zione dell'armonia fra l'uomo esteriore e l'uomo interiore
— fra la realtà e l' Ideale. — I nostri Padri furono grandi
per tale armonia. I mercatanti dei liberi Comuni italiani
erano solerti trafficatori e generosi cittadini ad un tempo.
Accumulavano dovizie per decorarne d'arti, di studi, di mo-
numenti immortali le loro città. E l'amor patrio municipale
««WI^IP
A UNA LOGGIA DI NAPOLI. 143
si disposava nel loro intelletto e nel loro cuore ad uno spirito
ecumenico, che U faceva cittadini del mondo. — D'onde la po-
tenza incivilitrice degl'Italiani nel medio-evo: potenza mas-
sonica per eccellenza.
Io ho fede in questa restaurazione del genio natio della
nostra stirpe: e però non dispero dei destini della Terza Ita-
lia. Possa la virtù de' migliori affrettarla. E con questo voto
abbiatemi, Onorandi FF.-.
vostro devotissimo F.\
A. Saffi.
144
IL PENSIERO DI CATTANEO.*
FRAMMENTO.
Come in Giuseppe Mazzini all'intento di creare la patria,
in Carlo Cattaneo all' intento di porla a livello della coltura
europea, il pensiero era azione : e in lui, come nell' Esule Ge-
novese, l'azione era ispirata da un profondo amore pel bene
della Umanità e da uno sdegno magnanimo contro tutto ciò
che la perverte e calpesta. Il che spiega il tramutarsi improv-
viso dello scienziato -r- giunta l'ora solenne — in reggitore di
città insorta contro l'oppressione straniera, e il convergere
risoluto e potente delle sue facoltà dalla quiete degli studi
all'ordinamento della lotta liberatrice, coadiuvandola con gli
accorgimenti dell'ingegno scientifico; perchè la cacciata degli
Austriaci da Milano nelle giornate del marzo, fu in grado
eminente una vittoria dell'intelletto, armato dell'unanime
virtù di un Popolo, contro la forza brutale.
L'insigne Lombardo fu del numero di quei tipi più ele-
vati della nostra razza, ne' quali l'ideale e il reale s'accor-
dano in una forte unità, che li fa presti del pari alla coltura
delle arti pacifiche e ai cimenti della vita civile, sacerdoti
del pensiero e cittadini ad un tempo....
le sparse reliquie della mente di Carlo Cattaneo of-
frono, nel loro insieme, le grandi linee di una ragionata En-
ciclopedia del sapere moderno, coordinate ai bisogni, agli usi
e ai progressi dell'associazione civile. E se gl'Italiani fossero
meno incuranti degl'insegnamenti de' loro migliori, meno tra-
vagliati da meschini rancori di parte, e più operosi nel con-
tinuare e svolgere la tradizione de' loro tesori intellettuali,
il Fondatore del Politecnico non sarebbe morto povero e ne-
gletto nella solitudine di Castagnola ; e gli Scritti suoi avreb-
bero da tempo occupato, nell'attenzione de' suoi connazionali,
il posto che meritano come riflesso ed indice luminoso degli
aumenti delle scienze nell'età nostra, a guida de' patri studi,
de' metodi dell'insegnamento, e della parte che ci spetta nel-
l'opera della civiltà europea.
A. Saffi.
* Dal Secolo del 23 marzo '84.
145
ALLO STUDENTE IN LEGGE GIOVANNI ROSADL*
Bologna, 12 novenibro 1884.
Egregio Signore,
La copia del Giornale La Nazione del 31 ottobre e la
cortese lettera con la quale me l'accompagnava — dirette, me
assente, a Forlì — mi giunsero con qualche ritardo qui in Bo-
logna, dove ora mi trovo.
Stretto da obblighi di lavoro urgente, ho indugiato alquanto
a ringraziamela, e la prego a scusarmene. — Per la stessa
ragione non mi è concesso di entrare con la presente in
un'ampia discussione del quesito da Lei posto nell'articolo
che le piacque intitolare Saffi e il disarmo : ma, a chiarire
il mio concetto intorno al problema della progressiva elimi-
nazione delle cagioni di guerra fra gli Stati Europei e della
influenza che Italia, Francia e Germania — concordi fra loro —
potrebbero esercitare sulla questione, può bastare, per avven-
tura, r aggiungere alle parole ch'Ella ha citate dal mio libric-
ciuolo sopra Alberigo Gentili e il Diritto delle Genti, qualche
altro passo ch'ivi le commenta.
Notando come l'opinione — sospinta dalle esigenze degl' in-
teressi generali e delle scambievoli utilità fra le Nazioni,
nonché dal senso della comune Umanità — vada opponendosi,
dove più dove meno, all'arbitrio guerresco de' Governi, io
esprimeva la speranza che < questo contrasto del fatto este-
riore di un encrrme e rovinoso apparato di forze distruttive
con l'intimo voto della vita civile che si solleva contr'esso >
cesserebbe quando che sia : — < ma — soggiungevo — ad una
condimone^ nella quale è riposto il più alto obbietto della
Kagion delle Genti, nell'età nostra > : e cioè, che alle ambi-
zioni d'impero e agl'incentivi di lotta sia chiusa per sempre
la via, mercè la emQ,ncipasione e V ordinamento progressivo di
quelle Nazioni sulle quali pesa ancora V arbitrio della conquista,
E — osservato come le secolari rivalità delle vecchie mo-
narchie, gareggianti pel dominio sui piccoli e discordi Stati
* Oggi distinto avvocato in Firenze. — {Nota dei Compilatori.)
146 ALLO STUDENTE IN LEGGE GIOVANNI ROSADL
della media Europa, fossero oggimai tolte di mezzo dal co-
stituirsi dell'Italia e della Germania a grandi unità nazio-
nali — ne deducevo che — < gran fondamento e malleveria di
stabilità, di pace e d'opere civili, per le contrade medie e oc-
cidentali d'Europa, era l'alleanza della stirpe latina con la
teutonica > ; e che doveasi far voto < che la provvida mente
de' tempi, sottomettendo le passioni alla ragione, ne' liberi
consigli de' Popoli, riparasse con giuste reintegrazioni le in-
giurie delle recenti guerre sopprimendo i resti dell'antico
arbitrio, sì che i confini delle tre grandi Nazioni, che hanno
virtualmente in mano le sorti dell' ordinamento continentale
— Francia, Italia e Alemagna — diventino termine sacro di
lor naturali consonili e fraterne catene di scambievoli commerci
e amistà, non segno di ostili impedimenti e di guerre >. Con
che naturalmente volevo alludere all' Alsazia-Lorena, da un
lato, alle terre italiane staccate dalla Madre Patria, dal-
l'altro.
E — accennando ai pericoli delle < fortune divise, sparse,
cozzanti >, delle Genti Europee, tra l'estendersi di poderose
forze di Popoli nel mondo Ruteno, da una parte, nel mondo
Americano, dall'altra — io diceva che il rimedio suggerito
dalla natura stessa delle cose, e reso ognora più urgente dalle
necessità della conservazione, della indipendenza e della pro-
sperità dell'Europa, era riposto nel compimento delle eman-
cipazioni nazionali, anche in quella zona — oggi in gran parte
schiava — che si stende dal Baltico ai Balcani, attraendo, con
l'autonomia delle Patrie loro le stirpi slave in essa comprése,
nel lavoro e ne' vincoli di una consorte civiltà con le Nazioni
già costituite del Continente. — È invocavo in queste una po-
litica conforme al grande principio della Nazionalità — cioè,
della Natura e della Giustizia nell'ordine delle relazioni in-
ternazionali : di quel principio che il senno italiano inalzò,
primo, a segnale dei tempi nuovi — da Giuseppe Mazzini al
Cattaneo, e al Mancini, che lo introdusse dalla cattedra nelle
categorie della scienza del Diritto Pubblico — comechè poi,
per non so quale ragion di Stato, soflferisse di menomarlo
nella pratica.
E concludevo così: < L'Italia è, pel suo passato e per
la sua situazione presente, naturale mediatrice e paciera tra
Francia e Germania; e Francia, Italia e Germania insieme
sono mediatrici nate della gran lite che rumoreggia a' con-
ALLO STUDENTE IN LEGGE GIOVANNI ROSADI. 147
fini del Continente Europeo, fra la razza Anglo-Sassone e la
potenza Russa.
> E tale mediazione dee compiersi e suggellarsi con l'as-
setto nazionale de' Popoli non ancora redenti.
> Questo l'obbietto ideale e pratico ad un tempo di una
politica non indegna de' vanti civili dell'età nostra; e questo
il voto de' nostri Grandi defunti, proseguito dalle odierne
Leghe pacifiche e dai più generosi intelletti del teippo — da
Vittore Hugo a Guglielmo Gladstone.
> Ma tale non fu e non è l' intento della senile Diplomazia
che ancora regge, per comune sventura, le sorti d'Europa.
> Se gli uomini di Stato dell'età nostra avessero, pur solo
in parte, mirato a tal fine, le due ultime guerre d'Oriente o
non sarebbero avvenute o avr^ebbero definita la questione,
cessando il servaggio di una nobil parte della famiglia Eu-
ropea. >
Quanto le condizioni sulle quali io fondo l' importanza ci-
vile dell'Alleanza Italo-Franco-Germanica, come alleanza di
Popoli, le speranze di una pace non precaria fra gli Stati
Europei — e quindi la possibilità del disarmo — si conven-
gano con quelle dell'oggi e con le previsioni pacifiche che
l'onorevole Bonghi trae dall'Alleanza dei tre Imperi, lascio
ch'Ella giudichi.
Io m'affretto a terminare queste mie già troppo lunghe
parole, congratulandomi con Lei — giovane e responsabile, con
gli altri giovani d'Italia,, dell'avvenire della Patria — per
l'amore ch'Ella pone in un ordine di studi che dovrebbero
contribuire ad illuminare la coscienza della Nazione sui suoi
veri uffici nelle relazioni interne ed esterne della sua vita.
Mi creda con affetto
suo devotissimo
A. Saffi.
P. S. — Lascio in sua facoltà, dove le piaccia, il far di pub-
blica ragione la presente.
148
DELLA STAMPA PERIODICA
E DEGLI ISTITUTI DI EDUCAZIONE.
Bologna, 15 giu^o 1885.
Egregio e caro Prof. Viglione,
Mi è grato valermi della buona occasione della visita del
nostro Minuti a Bologna per affidargli una parola d'affetto
per Voi, e per chiedervi venia dell'indugio frapposto a rispon-
dere alla vostra raccomandazione del Bottai.
Avrete già saputo da lui medesimo che il risultamento
della conversazione che avemmo insieme fu d'abbandóno, da
parte sua, dell'impresa ch'egli si proponeva di un Periodico
di Scienze sociali.
Riconobbe egli stesso che, nelle condizioni presenti della
stampa periodica in Italia, il disegno non era praticamente
agevole ad incarnare. Gli occorse alla mente <;he un Istituto
di educazione sarebbe, per avventura, potuto riuscire a mi-
glior porto. Ma su questo non si discusse più che tanto.
Mi parve uomo di studi e di spirito operoso e intrapren-
dente. Gli sia propizia e rispondente alla volontà la fortuna.
Voi, mio caro Viglione, vogliate conservarmi un affettò
che vi ricambio di cuore, ed abbiatemi sempre fra quelli che
vi stimano come uno de' migliori per virtù di mente e d'animo.
Gradite co' miei, i cordiali saluti di Giorgina e credetemi
vostro affejsionatissimo amico
A. Saffi.
^ La presente lettera, oltre a contenere una giudiziosa estimazione
dello stato delia cultura e dell'opportunità di educare e istruire più che
dello scrivere a stampa, vale per ricordare come al Saffi si deve se Firenze
conta un Istituto Scolastico di più (Istituto Nazionale) di qualche impor-
tanza, certo non inferiore agli altri se ospitò Giovanni Bovio. — {Nota dei
Compilatori,)
149
PER L'INAUGURAZIONE DELLA NUOVA BANDIERA
DELLA SOCIETÀ OPERALA DI M. S. IN FORLÌ.
4 ottobre 1885.
Concittadini Operai,
Chiamato ripetutamente da voi all'ufficio di vostro Presi-
dente, insieme agli egregi amici che vi hanno parlato or ora
con alti sensi patri e civili, vorrei poter rispondere con la pro-
porzione del merito a questo titolo di vera nobiltà — la no-
biltà del lavoro, -^ come rispondo con la gratitudine dell'animo
al vostro affetto e alla vostra fiducia. -- Comunque, io vengo
oggi fra voi, fratello tra fratelli, per celebrare in vostra com-
pagnia il vincolo di scambievole assistenza che da un quarto
di secolo va raccogliendo in questo Sodalizio gran parte
de' bravi Artigiani della nostra Forlì, con assidui incrementi
di bontà cittadina.
E saluto nella vostra bandiera, splendente de' colori nazio-
nali, il simbolo de' veri uffici delle libere associazioni operaie
d'Italia nella grande Associazione che, dall'Alpi all'estrema
Sicilia, ci fa tutti compagni di una stessa Patria e di una
vocazione comune. — Perchè, questa bandiera — ' per qualsiasi
fine sociale voi vi accogliate intorno ad essa : di mutuo soc-
corso nelle vostre infermità; per cooperazione morale ad
istruirvi ed educarvi; per cooperazione economica a miglio-
rare le condizioni materiali della vostra esistenza e assicurare
al vostro lavoro il debito frutto — questa bandiera, dico, si-
gittifica: armonia fra libertà ed associazione; concorso spon-
taneo d'uomini liberi ed eguali, intesi a raggiungere con
l'unione delle facoltà e delte forze un bene comune da di-
stribuirsi equamente fra i singoli, con patti concordati per co-
mune consiglio, con amministratori e sorveglianti eletti dal suf-
fragio di tutti e responsabili del mandato verso i loro consoci :
— significa rispetto, inviolabilità delle prerogative dell'in-
dividuo nell'Associazione ; dovere dell'individuo di conformarsi
alle norme liberamente accettate dell'Associazione stessa.
Non havvi Associazione vera, possibile, se non entro questi
termini.
Agj.>
150 PER L'INAUGURAZIONE DELLA NUOVA BANDIERA
Non è Associazione vera quella dove gli uni imperano
come signori o patroni, gli altri obbediscono come servi o
clienti. Non è Associazione vera, per l'opposto, quella, dove la
individualità di ciascun socio e il frutto delle sue facoltà siano
assorbiti da una indistinta, assoluta, arbitraria collettività.
Queste condizioni scaturiscono dalla natura stessa dell'uomo,
e sono il fondamento della buona ed equa compagnia sociale,
sì nelle relazioni d'ogni particolare sodalizio di cittadini, come
in quelle più vaste del Comune e in quelle più vaste ancora
dello Stato.
Ed io qui ve le ricordo a scanso d'idee fallaci e non at-
tuabili sul problema sociale, dinanzi a questa bandiera della
Patria e del Genio italiano, che rappresenta, ne' suoi veri
intendimenti, il grande principio dell'Associazione nella Li-
bertà per la Giustizia.
Serbatela, o Fratelli, questa santa bandiera, serbatela in-
contaminata d'odi civili ; segno non di distruzione ma di edi-
ficazione; non di lotta fra classe e classe, ma di unificazione
e di progresso comune. — Protegga essa e ispiri, ne' rapporti
del vostro Sodalizio, le fraterne carità che insieme vi strin-
gono, i vostri affetti domestici, la coscienza de' vostri doveri
ne' legami sacri della famiglia; il rispetto alla donna— madre,
sorella, compagna dell' uomo, e a lui moralmente eguale ; —
i vostri sforzi per educarvi, per faryi migliori; ì riti pietosi
verso i fratelli defunti ; la religione delle loro tombe ; quel-
l'alito immortale d'umanità che anima la vita e 'ci inalza
con gli spiriti de' nostri cari estinti, dal visibile all'invisibile,
dal tempo alla eternità. — Protegga e ispiri, ne' rapporti del
Comune nativo, la solidarietà che tutti ci stringe nel seno
di una stessa cittadinanza ; la progressiva armonia delle classi,
mercè la parità non delle condizioni materiali — intento im-
possibile per natura — ma delle morali, sì che a ciascuno sia
dato svolgere, secondo le sue facoltà d'intelletto e di lavoro,
il proprio valore sociale; e ne conseguiti, mercè l'equa par-
tecipazione di tutti nelle operosità economiche o civili, nella
elezione dei magistrati e nel sindacato della cosa pubblica,
quella temperie di riposato e fecondo convivere di cittadini
cooperanti nel proprio al bene dell'universale, che risponde
alla vera, antica, italica idea del Comune.
E, come insegna degl'Ideali del nostro risorgimento, vi
ricordi la grande solidarietà della vita una della Nazione;
DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI M. S. IN FORLÌ. 151
vi ricordi la parte che gli Operai d' Italia — eredi di un
grande passato, discendenti da padri che vinsero, con la
virtù dell'intelletto e del lavoro, la barbarie, e edificarono la
nuova civiltà — sono chiamati ad adempiere nella Patria co-
mune. — E a rendere testimonianza a tale solidarietà, man-
diamo, 0 Fratelli, in questo giorno di festa per noi, il no-
stro obolo ai fratelli lontani afflitti dalla sventura e a quelli
delle terre a noi vicine^ colpiti dalla stessa calamità ; il no-
stro saluto ai generosi kuhe accorsero a sollevarli, a consolarli
con le loro cure, militi della Umanità e antesignani del Do-
vere comune.
A. Saffi.
152
AD ALFREDO COMANDINL
Forlì, 24 ottobre 1885.
Caro Comandini,
Il Diario napoletano II Lampo pubblicava, non molti giorni
addietro, due lettere che sono due atti di fede nelle più sante
ispirazioni della coscienza umana: Tuna dell'Esule polacco
Teofilo Lenartowicz — interprete nobilissimo, fra noi, dell'in-
telletto e della virtù della sua stirpe, e poeta del suo dolore;
l'altra del nostro Maineri, il quale alla voce sacra della sven-
tura risponde con l'accento della pietà e della speranza.
Io ve le accompagno con l'affetto che ad entrambi mi lega,
perchè vogliate riprodurle nel vostro Giornale come conforto
ai buoni, rimprovero ai non curanti delle grandi iniquità della
Forza che calpesta il Diritto.
Io so che — in mezzo all' indifferenza dell'età presente per
tutto ciò ch'è religione e pregio della vita — il parlare di Patria,
di Libertà, di Giustizia, di inviolabilità dei vincoli nazionali
che costituiscono la personalità di ciascuna Gente, di soli-
darietà morale fra i Popoli; e maledire all'arbitrio de*potenti,
e invocare redenzione agli oppressi, pare al diverso volgo
degli affaccendati dietro le utilità dell'ora che fugge, vani-
loquio di utopisti 0, peggio, perturbatrice querela di agitatori
importuni, che seguono come cosa salda le forme ideali del
loro pensiero.
E nondimeno il mondo civile non avrà pace né prosperità
né sicurtà di progresso durevole, dove queste forme eterne
della Ragione, interprete della Natura nell'ordine della umana
società, non scendano ad incarnarsi sempre più largamente
nelle relazioni interne ed esterne deUa vita 'dei Popoli; e il
regno della violenza non ceda il campo al regno della Giu-
stizia, nel governo delle loro sorti.
Di che non dobbiamo lasciar, mai la speranza; non tanto
per la buona volontà del comune degli uomini, quanto per
la necessità stessa delle cose, la quale non consente ai grandi
misfatti dei potenti della terra lunga possibilità di successo
contro le leggi naturali della Civiltà, di cui é vindice la Ne-
mesi della storia.
5pr^-
AD ALFREDO COMANDINI. 153
Non vedemmo a' giorni nostri, noi Italiani, scomparire dal
nostro suolo, com'ombre d'un sogno, le male signorie dome-
stiche e straniere che ci aveano per secoli contesa l'Unità
della Patria? Non vide la Francia precipitare a Sedan, tra-
scinato dai fati della propria corruzione, il Delitto del 2 de-
cembre? Non vediamo, oggi stesso, declinare ognor più verso
l'ultima rovina, dinanzi al crescere di giovani energie di Po-
poli poc'anzi schiavi, la dominazione turca in Europa? —
Una forza operosa, costante, irresistibile — che emerge dalle
viscere stesse della Natura e si riflette nella coscienza del-
l'Umanità che la traduce in azione — suscita, move, rigenera
potenze vitali che, per lungo silenzio, si credevano spente;
le contrappone ai logori ripari del Dispotismo; ristaura le
conculcate nazionalità ; disfà, con fatale progresso, i misfatti
dell'egoismo e dell'insania degli oppressori del genere umano.
E il più grande dei misfatti, perpetrati ne' tempi moderni
contro il Diritto delle Genti, fu senza dubbio lo smembra-
mento della Polonia : crocefissione dell'anima di un Popolo, di
cui fu spettatrice passiva l'imbelle Diplomazia delle corrotte
Corti dell'Europa occidentale, nel secolo passato, e che le
rivoluzioni del presente secolo non valsero a riparare, perchè
informate a ragione da interessi più che di principi, e. desti-
tuite 0 quasi di un vivo senso della solidarietà de'comuni
destini e doveri nelle lotte della Civiltà contro la Barbarie.
Ma l'anima d'un Popolo, che ha tradizioni gloriose di
virtù nazionali e insigni monumenti di coltura passata e con-
temporanea e lingua custode de' suoi ricordi e interprete
de' suoi dolori, de' suoi voti e delle sue speranze —come bene
osserva il Maineri — non può morire. Né la Polonia morrà.
Da Kosciusko a Langiewicz, essa affermò la sua potente vi-
talità nell'eroismo delle patrie battaglie: i migliori suoi figli
— profughi, erranti per tutte le contrade d'Europa dove non
potea raggiungerli la persecuzione dei predoni della loro
terra — si convertirono in crociati della libertà, dovunque,
sorgesse un grido di riscossa contro altri oppressori; suggel-
larono col loro sangue la fraternità della Patria loro con la
nostra, guardando al riscatto italiano come a segno precur-
sore del riscatto europeo; e recarono il tributo del loro genio
agl'incrementi del sapere mondiale. Come la voce di Prometeo
inchiodato alla rupe, la voce della < santa Polonia > attesta
dalle prigioni, dai remoti esili, dai sepolcri de' suoi martiri,'
XII. 11
154 AD ALFREDO COMANDINI.
che il Potere e la Forza non sono l'ultima parola deirUma-
nità; e che lo spirito della Vita e del Pensiero d'un Popolo
non è in balìa de' suoi tiranni. E quando una Gente caduta
ha per cantori della sua sventura poeti come Adamo Migkié-
wicz, l'inno del suo martirio è profezia della sua risurrezione.
In quello spirito dura e risplende l'immagine immortale
della Patria polacca. Il suo ricostituirsi ne'confini che le fu-
rono assegnati dalla Natura e dalla Storia è questione di
tempo. La protesta della coscienza umana contro il delitto
che la disfece, i progressi delle idee di giustizia internazio-
nale nella opinione dei Popoli, gli argomenti stessi della ra-
gion politica che additano un vuoto nella economia degli Stati
europei e segnalano la Polonia come naturale barriera di
pace fra le rivali ambizioni della Germania e della Russia,
reclamano il ritorno della Grande torturata nel consorzio
civile delle Nazioni. E se le inviolabili sanzioni della Ragione
e della Coscienza sono le guide supreme del cammino dei
Popoli sulle vie della Civiltà, i destini si adempiranno.
In questa fede io saluto con l'amico Maineri — e so che
Voi ci siete compagno nel voto — < il nome dell'eroica Po-
lonia, come voce di augurio e suono di futuro trionfo. > .
Vostro devotissimo
A. Saffi.
L
155
ALL'ASSOCIAZIONE < GIOVENTÙ DEMOCRATICA f^
DI BRESCIA.
Aprile 1886.
Egregi Giovani,
Per soverchia soma d'impegni e di brighe non mi fu dato,
in questi giorni, sodisfare il vostro desiderio di un mio scritto
pel primo Numero del Periodico^ al quale intendete di con-
sacrare l'opera vostra. Ma il mio forzato silenzio non è segno
ch'io non sia con voi in ispirito e con la miglior parte del-
l'animo.
Il titolo della vostra Pubblicazione — La Giovine Italia —
è tutto un Programma : — esso ricorda la prima divinazione
della nuova vita della nostra stirpe, e il più grande presagio
delle sue sorti future. — Spetta a voi, Giovani, il recare in
atto il vaticinio de' Precursori, educando le vostre facoltà al-
l'armonia fra il pensiero e Vaj^ionCj in tutte le loro applica-
zioni àgli uffici del civile consorzio: preludendo con l'unità
morale, che è il fondamento del carattere dell'individuo, al-
l' unità morale della Patria, che è il fondamento della forza
e della grandezza di tutto un Popolo. — Combattete i sofismi
che tendono a scindere tale unità — a dividere la questione
sociale dalla politica; le funzioni dell'operaio da quelle del
cittadino; gl'intenti materiali dell'esistenza dagl'intenti ideali
che sono la corona dell'umana dignità.
Io saluto in voi i forieri di un nobile avvenire, e nel vo-
stro Periodico un nuovo e — non ne dubito — un verace in-
terprete delle migliori tendenze del genio italiano.
Vostro di cuore
A. Saffi.
156
PEL « NUCLEO GIUSEPPE MAZZINI » IN VENEZIA.
Agosto 1886.
Egregio Cittadino,
Saluto di cuore il nuovo Sodalizio col titolo di Nucleo Griu-
seppe Mai^ini^ testé fondato da Voi e dai generosi giovani
che vi sono compagni di fede; vi ringrazio dell'attestato di fidu-
cia e d'affetto che voleste darmi nominandomi vostro Presi-
dente onorario, e vi chiedo venia dell'indugio frapposto, per
involontarie cagioni, ad esprimervi i voti coi quali io mi as-
socio ai nobili e patriotici intendimenti vostri.
Il nome da voi prefisso alla nascente 'Associazione basta
a definirne il programma. E voi mostrate d'esserne ben com-
presi, professandovi — con le parole stesse del Grande Edu-
catore — credenti : nel Progresso, Legge suprema data alla
Umanità : nella Libertà, senza la quale non possono esistere
responsabilità e coscienza di Progresso : — nella dominatrice
Idea del Dovere, che abbraccia per ciascuno e per tutti la Fa-
miglia, la Patria e l'Umanità.
Ma Giuseppe Mazzini, applicando i sommi principi della
Legge Morale agli uffici della Patria nostra nel mondo delle
Nazioni, traeva dalle ingenite e vere tradizioni della sua Sto-
ria argomento ad illustrare la natura di quegli uffici e ad
additarci i doveri che ne conseguono. — Perocché, in quelle
tradizioni, Egli riscontrava un .costante conato nelle stirpi
italiche ad esplicare in casa propria lo Stato libero e civile
sul fondamento della equità sociale; e fuori una illuminata
ed umana ragion delle Genti, quante volte la loro virtù natia
e il moto spontaneo delle loro tendenze non furon sopraf-
fatti da illuvie di vizi esterni o da violenza d'armi straniere,
soccorritrici d'interne tirannidi.
D'onde l'alto significato che l'Esule Maestro attribuiva al
risorgere dell'Italia a vita autonoma, in mezzo all'agitarsi
de'Popoli europei, per rivendicazioni politiche, nazionali o so-
ciali, nella lotta fra nuovi Veri e credenze consunte — fra il
Privilegio e la Ragion comune, fra il Diritto e la Forza. —
PEL < NUCLEO GIUSEPPE MAZZINI > IN VENEZIA. 157
E il Suo apostolato la chiamava a ripigliare — auspice l'in-
telletto e la virtù de' Padri — la sua missione civile, come
interprete dell'eterno Ideale che, a traverso il perir delle
forme, è guida perenne al corso delle cose umane; autrice di
liberi e giusti istituti in sé stessa, e come naturale alleata
degli oppressi e diseredati delle Patrie loro, in quelle regioni
d' Europa che i progressi della civiltà non sottrassero ancora
al Diritto barbaro della Conquista.
E il suo pensiero, memore del passato e provvido del-
l'avvenire, indicava agl'Italiani le vie di una grande e feconda
politica internazionale là dove appunto, fra genti che atten-
devana da nói la parola e il segnale della nuova vita, i nostri
Padri — e la virtù veneta in particolare — stamparono, ne' pas-
sati tempi, tant'orma di civiltà.
Pur troppo, quando l'occasione secondava l'intento, i suoi
consigli rimasero inascoltati. Ed oggi noi tolleriamo che il
sistema che governa le nostre sorti contrapponga a quella
ch'Ei predicò in nome dei principi e dei veri interessi d'Italia
una politica che si fa complice degli oppressori — e che rin-
nega, di fronte alla servitù dei nostri fratelli, il Diritto da
noi invocato a rifarci Nazione.
È tempo che i patriòti d'Italia scuotano da sé l'ignavia
che si aggrava sul maggior numero, e ricordino con assidua
cura ai loro fratelli di Patria gì' insegnamenti de' veri Istitu-
tori della coscienza nazionale ; gli esempì gloriosi del passato,
e i doveri del presente per la salvezza dell'avvenire.
La grande anima dell'Italia giace, sotto il peso delle con-
dizioni dell'oggi, intorpidita non estinta ; e la voce dei fedeli
al Vero — per pochi che sieno — può riaccendere in essa la
favilla delle forti e nobili cose.
E parmi obbligo d'antica nobiltà, per voi Veneziani in
ispecie, il far sì che tal voce abbia un'eco nella città vostra —
nella città che serbò immune, nella età barbara, la sua indi-
pendenza dalla Signoria dell' Impero ; che oppose con civile
fermezza, ne' secoli della sua illustre Storia, l'autorità dello
Stato alle pretese della Teocrazia papale ; che fu gelosa cu-
stode dell'italianità di Trieste e dell'Istria contro le insidie
della Casa d'Austria, e presidio della civiltà europea contro
le invasioni maomettane; che segnò, prima, le vie alle ini-
ziative italiche nell'Oriente d'Europa; e che — vendicato,
nel '49, il maleficio di Campoformio e ripreso, per la comune
VjS FEJL < NUCXEO GIUSEPPE MAZZDQ > DI TEXEZU.
di&sa d'Italia, il Goremo dì sé medesona — diede splendido
e^^mpio in sé stessa ddla ingenita atiitndine delle Gittadi-
nanze italiane agl'istituti e agli offici ddla libertà.
Per questo io salato nella modesta opera rostra un buon
principio di morale risr^liamento a prò della Patria comune,
e ri stringo fraternamente la mano.
Vostro
A. Saffi.
159
AL CIRCOLO DEI « LIBERI PENSATORI»
IN BARCELLONA (SPAGNA).
Forlì (Bomagna), 22 settembre 1886.
Egregi Cittadini,
La vostra cortese lettera, diretta a Bologna, mi è giunta
oggi soltanto qui in Forlì, mia città nativa e mia ordinaria
dimora nei mesi delle vacanze. Spero nondimeno che la
presente vi pervenga in tempo per l'oggetto al quale si ri-
ferisce.
Il vostro invito mi onora; ma — lasciando da parte ciò che
in esso riguarda me personalmente — io ne traggo nuovo in-
dizio di quella corrispondenza di pensieri, d'affetti e d'aspi-
razioni che insieme lega, come Patrie sorelle, la Spagna e
l'Italia; e che, nelle recenti ospitali accoglienze da voi fatte
ai rappresentanti della stampa nostra, ebbe sì splendida ma-
nifestazione.
Involontarie cagioni m'impediscono di recarmi di persona
fra voi per la inaugurazione del Collegio Laico, costituito sotto
gli auspici del vostro Sodalizio : ma io sarò con voi, in quella
solenne occasione, con la miglior parte dell'animo e col voto :
che un'attiva propaganda estenda nel seno d'ogni Nazione
civile, alla luce della Scienza e del Vero morale, l'insegna-
mento laico, informandolo ai grandi principi che educano
individui e Popoli alla coscienza della loro dignità, de' loro
diritti e de' loro doveri; e contrapponendolo, ne' Paesi cattolici
segnatamente, a superstizioni e dottrine generatrici di servitù
religiosa e politica.
Spetta al laicato civile -— nell'età che sorge dinanzi a noi —
lo inaugurare, sotto gli auspici della Libertà e della mutua
Giustizia — la vera e spontanea unità morale deTopoli, so-
prafatta da secoli dalla forzata unità dell'assolutismo Papale,
dalle male signorie regie e imperiali e dalle lotte fratricide
che ne furono la conseguenza.
E alle Nazioni latine, appunto perchè cattoliche, spetta
l'iniziativa della grande trasformazione. La loro federazione
160 AL CIRCOLO DEI < LIBERI PENSATORI > EC.
sulle vie dell'equità internazionale per la concorde esplica-
zione delle loro facoltà a beneficio dell'umano progresso, può
essere il primo germe dell'unione Europea ne' tempi che ver-
ranno, sostituendo il regno della Pace fra genti libere ed
eguali al regno della Forza su genti divise e schiave.
A. Saffi.
1
161
AL PROF. PELLEGRINO STROBEL A PARMA.
Marzo 18B7.
Illustre Professore,
Ricevo oggi soltanto la pregiatissima sua del 2 correntL%
diretta a Forlì e di là trasmessami per mezzo privato.
Ciò valga a scusarmi dell'indugio frapposto a rendere a
Lei e al Comitato elettorale parmense grazie cordiali per le
cortesi attestazioni della benevolenza di che mi onorano.
Aderii alla proposta della mia candidatura per sentimento
di dovere, indipendentemente da ogni considerazione perso-
nale. — Dacché, in mezzo alla dissoluzione delle cose presenti,
piacque agli Elettori democratici di cotesto Collegio atrer-
mare con intendimento concorde, nel mio povero nome, la
loro coscienza de' patri Ideali — augurando all'Italia virtxì clic
la conduca a restaurare i legami della sua vita civile e a
compiere degnamente gli uffici che le competono nel consor-
zio delle Nazioni — parvemi obbligo di buon cittadino non'
fare ostacolo, col mio rifiuto, al significato morale del loro vuto.
Ad essi, non a me, spetta il plauso ch'Ella mi rivolge in
nome dell'Assemblea degli Elettori, a' quali la prego di esiiji-
mere i sensi della mia fraterna simpatia, professandomi ari un
tempo, con sincera stima ed osservanza,
suo devotissimo
A. Saffi,
162
ALLO STESSO.
Bologna, 11 marzo 1887.
Illustre Signore,
Ho la sua di ieri, e dei cortesi ed amorevoli sentimenti
suoi e della Democrazia parmense a mio riguardo mi professo
riconoscentissimo.
Ella misura giustamente, parmi, T importanza della vota-
zione di domenica scorsa in cotesto Collegio.
Io elimino dalla questione il valore reale — assai povero
invero — della persona del candidato : pongo me stesso da
parte, e guardo ali* idea di cui i miei elettori, onorandomi
oltre il merito, vollero far segno il mio nome.
Quell'idea significa condanna di un regime che, pospo-
nendo a preoccupazioni parziali i generali interessi della Na-
zione e i principi che animarono l'opera del suo risorgimento,
ne pervertì gli uffici, sì nelle interne come nelle esterne rela-
zioni, e genera un vuoto morale che può condurla a irrimedia-
bile decadenza : — significa il bisogno istintivamente sentito
dalla coscienza popolare di riparare quel vuoto, di ricostituire
la vita civile del Paese sul fondamento della comune equità
politica e sociale, prima condizione d'ogni progresso ; di rista-
bilire infine l'armonia, oggi infranta, fra gl'Ideali della Pa-
tria risorta e la sua azione al di fuori.
E il numero dei voti raccolti da una candidatura che —
affatto estranea alle convenienze della giornata — non rap-
presentava che un ricordo di glorie passate, è una speranza
di sorti migliori, è grave ammonimento, parmi, agli autori
dei mali presenti, e notevole indizio ad un tempo che il cuore
delle moltitudini sente a qual tradizione l' Italia possa, nelle
estreme necessità, chiedere il rimedio delle sue afflitte fortune.
L'esempio dato dalla Democrazia parmense ha, sotto que-
sto aspetto, una grande importanza civile : ed io ne vo lieto,
non per me, ma per l'avvenire della Patria comune.
Gradisca ec.
A. Saffi.
163
RINUNZIA A SOCIO D'ONORE
DELLA 4 SOCIETÀ DEL 1860» IN PALERMO.
Luglio 1.887.
Onorevole Signore,
Quando il Sodalizio che Voi presiedete conferiva a me —
come ad altri Italiani di parte democratica — il titolo di Socio
onorario, esso intendeva — s'io non m'inganno — affermarsi
con ciò consenziente ne' principi ai quali s'informano i miei
convincimenti. E, in questa persuasione, accettai la nomina
che m'era offerta, come segno di benevolenza, sebbene a ine
non sorrida il costume di questi vani titoli d'onore a' quali
non risponde realità effettiva d'ufficio.
Atti recenti di cotesta Società accennano ad una fede che
da quei principi discorda, e che non è la mia.
Io rispetto tutte le opinioni sincere e francamente mani-
festate; e stimo, sotto l'aspetto morale, un monarchico con-
vinto, non meno di un convinto repubblicano.
Ma verrei meno a quella veracità che ogni uomo deve alla
propria coscienza, accettando direttamente o indirettamente
apparenza di solidarietà in manifestazioni contrarie alla me-
desima.
Però sento l'obbligo di rinunziare, ringraziandovi, al grado
di che già piacque alla < Società del 1860 > investirmi — e mi
professo ad un tempo, con la debita osservanza,
vostro devotissimo
A. Saffi.
- .•^-, ira
164
AU D.' LASKOWSKY, PROFESSEUR A GENÈVE.
Bologne, 18 janvier 1888.
Monsieur,
Votre invitation à la Conférence du 22 janvier — 25""^ an-
niversaire de la dernière lutte pour l'indépendance de la Po-
logne — a réveillé dans mon esprit de tristes et chers sou-
venirs.
Ce fut au printemps de 1862 à Lugano que je serrais la
main pour la dernière fois k Langiéwicz, à la velile de son
départ pour aller .se mettre k la tète des insurgés polonais.
L'insurrection polonaise devait étre le signal du soulève-
ment general des nationalités opprimées. L'Italie devait y
répondre par la guerre contro l'Autriche pour la délivrance
de Venise, arborant sur les Alpes le drapeau de la liberté
et de la fraternité des Peuples.
C'était le voeu de Mazzini, de Garibaldi et du parti d'action
dans notre pays; le but de tous nos efforts.
La politique ofRcielle s'opposa chez nous à l'accomplisse-
ment des aspirations populaire^ : le mouvenient des natiofìa-
lités fut entravé par une foule de circonstances contraires.
Nos espérances tombèrent: la sainte, l'héroique Pologne fut
encore une fois abandonnée à la réaction farouche de ses
bourreaux.
Nos espérances tombèrent, mais notre foi resta debout.
La cause de la Pologne — qui est celle de la justice et de la
liberté — est destinée au triomphe par la nature méme des
choses.
C'est la cause de tous les Peuples subjugués, démembrés
par la conquéte, qui aspirent à reconstituer leur vie nationale,
à s'affirmer, dans l'exercice spentane de leurs facultés, mem-
bres libres de la famille européenne.
Il existe entro tous les opprimés une profonde solidariété :
la solidariété humaine, la solidariété de la vie qui est univer-
selle, qui ne peut perir; tandis que la violence et l'arbitraire
ne sont que des accidents de la Force qui prime le Droit.
AU D/ LASKOWSKY, PROFESSEUR A GENÈVE. 165
L'accident caduc finirà par céder à la réalité éternelle,
à la loi du progrès qui anime et gouverne l'association
humaine: la coalition des oppresseurs sera dispersée par la
ligue des opprimés.
L'histoire des revendications du passe nous est garante
des revendications de Tavenir.
Un jour viendra où les Peuples, délivrés des liens de la
vieille Europe, se trouveront frères et coUaborateurs pacifiques
dans l'oeuvre feconde de la civilisation sous les auspices d'une
nouvelle jeunesse des temps.
Ce jour-là l'àme de la Pologne, toujours vivante et pu-
rifiée par le martyre, reprendra tonte sa lumière dans les
voies de l'Humanité — dans la marche des Nations vers leur
unite morale.
Car la Pologne semble destinée, par ses traditions et par
son genie, à former comme le trait d'union entre le monde
Slave et les autres races qui peuplent l'Europe.
Je crois profondément dans sa résurrection : et dans cotte
foi je vous envoie mon salut fraternel — regrettant de ne
pouvoir assister personnellement à votre Conférence commé-
morative.
A. Saffi.
166
AI PROMOTORI
DEL COMIZIO FRANCO-ITALIANO IN MARSIGLIA.
Bologna, 23 aprile 1888 (?).
Egregi Cittadini,
Se cagioni indipendenti dalla mia volontà non m'impe-
dissero rispondere di persona al vostro cortese invito pel Co-
mizio Franco-Italiano in Marsiglia, nulla mi sarebbe più grato
del trovarmi fra voi in tale occasione, — dal trovarmi fra voi
a compiere un grande dovere; a riaffermare il vincolo di
solidarietà morale che unisce la Francia e l'Italia nell'opera
dell'incivilimento; e protestare contro i pregiudizi, gli egoismi
e le arti malvagie che cospirano. a dividerle.
I fomentatori di discordia fra le due Nazioni sono — consci
0 inconsci — ministri di oscurantismo e di barbarie.
Una guerra fratricida fra l'una e l'altra sarebbe un adito
aperto al trionfo della reazione in Europa. Essa recherebbe
con sé il connubio del Militarismo con la Teocrazia; la pre-
valenza, non dirò della razza germanica — tutte le razze
umane, e le più civili per prime, sono destinate a fraterniz-
zare fra loro — ma del sistema politico che la domina sullo
sviluppo delle libere istituzioni e sui progressi della sociale
equità. Guerra sì fatta è il sogno dei vecchi partiti che spe-
rano farsi strada, per essa, a nefaste ristorazioni.
Mostrarne l'assurdità, denunziarne gl'intenti esiziali, pre-
venirne con ogni sforzo il pericolo, è il dovere delle due De-
mocrazie — di quanti, nelle due Patrie, non avviluppati nelle
fasce del passato, non acciecati da gretti interessi, aspirano
a farne quasi una Patria sola, guardando all'avvenire, alle
ragioni eterne del Vero e del Giusto, alle feconde alleanze
de' Popoli contro le coalizioni sinistre de' loro oppressori.
E prima condizione a raggiungere il fine desiderato è il
conoscersi e rispettarsi reciprocamente; l'intendere che l'as-
sociazione e la spontanea mutualità de' frutti del Pensiero e
del Lavoro sono i mezzi più efficaci per l' incremento della
-,-.t-l.
AI PROMOTORI DEL COMIZIO FRANCO-ITALIANO. 167
comune prosperità, per la naturale evoluzione de' grandi, dei
• veri interessi delle Nazioni.
L'associazione fra Popoli liberi è la più certa guarentigia
della emancipazione de' Popoli schiavi; e la Giustizia, il primo
fondamento della Libertà e della Pace.
In questa fede abbiatemi con voi in ispirito, e accogliete
dall'intimo animo il mio saluto alla Fraternità Franco-Italiana.
Vostro
A. Saffi.
168
A MISSORI, APORTI ED ALTRI
COSTITUITISI Df COMITATO ONDE SCONGIURARE IL PERICOLO
DI UNA GUERRA COLLA FRANCIA.
„ ^ ^. . Gennaio 1889.
Egr^i Si^on,
Il vostro appello al mio concorso nel generoso assunto di
scongiurare una guerra fratricida fra Italia e Francia — come
che il caso a me sembri poco meno che impossibile — mi
giunse grato come segno di affettuosa stima da parte di Pa-
trioti che, per intelletto, per cuore e per virtù d'opere devote
ad ogni nobile causa, il Paese ama ed onora.
Per antiche e per recenti manifestazioni pubbliche, voi co-
noscete ciò ch'io penso della situazione Europea, rispetto ai
quesiti che si vanno agitando da più parti intomo alla Pace,
ai disarmamenti e agli arbitrati internazionali: e vi è noto
che, s'io non credo da un lato alla possibilità di una solu-
zione pratica di quesiti sì fatti dove esistono non Nazioni
libere ed indipendenti, ma Governi di conquista fondati sulla
Forza e retti dall'Arbitrio, credo, dall'altro lato, effettuabile
un progressivo indirizzo verso il nostro Ideale, fra Stati na-
zionali informati più o meno a liberi reggimenti con inter-
vento de' suffragi e della ragione de' Popoli nella condotta
de' pubblici affari.
E in tale condizione di cose si trovano appunto — qual
più qual meno — gli Stati dell'Occidente d'Europa. Ond'è
obbligo de' rispettivi Governi il conformare la loro politica
a tale indirizzo: obbligo, sopratutto, della parte democratica,
come interprete de' bisogni e de' voti de' Popoli, il combattere
e prevenire ogni cagione di mutue diffidenze e di liti fraterne
fra Nazioni chiamate a procedere concordi sulle vie del civile
progresso,
Ond' io stimo voce ispirata ad una provvida coscienza delle
sorti Europee quella che grida pace fra Italia e Francia, e
invoca la rimozione d'ogni incentivo di dissidio fra noi e i
nostri vicini d'oltr'Alpe. — E in questo voto e in ogni prova
che ad esso risponda, abbiatemi di cuore con voi
vostro
A. Saffi.
^^É..
169
AL COMITATO PEL COMIZIO IN NAPOLI
CONTRO LA GUERRA TRA ITALIA E FRANCIA.
Gennaio 1889.
Egregi Cittadini,
Aderisco con tutto l'animo ai generosi intendimenti del
Comizio da voi indetto pel 20 corrente in Napoli.
La Pace alla quale voi aspirate è la Pace fra i Popoli sul
fondamento della Giustizia e della Libertà — la Pace dei forti
e presti, dove occorra, al sacrificio di sé medesimi pel trionfo
del Diritto contro la Forza che lo calpesta.
Voi non siete seguaci della Scuola che proclama la Pace
ad ogni costo, e non cura, a prò delle materiali utilità della
vita, i più alti quesiti morali, i doveri e i fini che alla vita
dan pregio. — Voi non volete una pace che abbandona gli
oppressi al libito degli oppressori e sposa l'egoismo dei fiac-
chi alla iniquità dei Potenti.
Il vostro appello alla Pace — segnatamente fra Italia e
Francia — è un appello. alla ragione e alla coscienza delle due
Nazioni sorelle, perchè respingano concordi da sé ogni cagione
di mutue diflidenze e di scontri ostili, che costituirebbero per
entrambe un attentato alla sicurtà delle due Patrie e un de-
litto di lesa Umanità : — è un omaggio alla Causa Santa per
la quale Giorgio Imbriani pose combattendo la magnanima
vita ne' campi di Bigione.
Nella mia risposta io diceva ec.
Questo io ripeto oggi a voi — fidente nella virtù operosa
del Bene contro ogni maleficio di passioni incivili: e alla
Democrazia Napoletana eh' è tanta parte della vita una d'Italia,
e a' suoi oratori invio, coi migliori voti dell'animo, il mio fra-
temo saluto.
A. Saffi.
,XII. 12
170
AI PROMOTORI
DEL COMIZIO IN MILANO NEL 1889.
Gennaio 1889.
Abbiatemi come presente con l'animo e coi voti al Comizio
da voi indetto, da che — mio malgrado — non mi è possibile
prendervi parte personalmente.
La vostra amorevole lettera mi attesta — e n'ho conforto—
che nei punti fondamentali della questione che voi discute-
rete domani siamo concordi. — Me ne rimetto quindi alla mia
risposta — or fatta di ragion pubblica — al vostro cortese
invito.
Miriamo tutti ad una stessa mèta. — Possa quest'anno so-
lenne, che ricorda la conquista di uno dei termini secolari
dell'umano progresso, essere principio e auspicio alla con-
quista d'altri e più vasti svolgimenti di armonie sociali sul
cammino della Umanità.
Dal mio venerando amico e collega, Carlo Lemonnier, ho
ricevuto l'acchiuso mandato, che mi delegava a rappresen-
tare la Lega della Pace e della Libertà dinanzi al Comizio
Milanese. — De' generosi intendimenti suoi e della Lega —
a' quali io mi associo di gran cuore — vogliate, in mia vece,
farvi interpreti voi stessi, salutando con me i nostri .amici
d'oltr'Alpe in pegno della fraternità delle aspirazioni e del
lavoro.
L'altro mandato mi viene dai Patrioti, compaesani miei,
della Democrazia Ravennate.
Auguro al Comizio degni e fecondi successi nella afiFerma-
zione degl'Ideali che temprano la coscienza de' Popoli ad at-
tuare, di grado in grado, le norme eterne del Vero e del
Giusto sovra la terra, e in quella temperanza solenne e se-
rena della parola, eh' è il segno degli alti convincimenti^e il
suggello delle nobili cause.
Vostro ora e sempre
A. Saffi.
171
AL DIRETTORE DEL ^ RESTO DEL CARLINO :
Bologna, 5 geunaìo 1889.
Egregio Signore,
Voglia accogliere nel suo riputato Giornale una rettifica-
zione rispetto ai due documenti in esso riprodotti nel Numero
d'oggi, sotto il titolo I Proclami di due Democrazie. — Il primo
— Manifesto agli Italiani — non fu dettato da me ma dal-
l'illustre amico mio Prof. Bovio: — il secondo — Manifesto
oMa Democrazia Francese — fu opera mia, e ne assumo in-
tera la responsabilità, anche nei suoi rapporti con la situa-
zione presente.
In quanto alla mia adesione al Comizio di Milano, essa
si fonda sugl'Ideali a cui s'ispirano gli egregi patrioti che
promossero quella popolare Adunanza : ideali che sono la vo-
cazione dell'epoca — la voce della Giustizia, la mèta de' bi-
sogni e delle tendenze dei Popoli, travagliati dallo stato anor-
male delle loro relazioni presenti.
Ma, aderendo, io mi riservai di significare agli amici, che
me ne fecero cortese invito, ciò eh' io giudico delle condizioni
e de' termini della questione ; e adempirò quanto prima que-
st'obbligo morale verso me stesso e verso il Paese.
Gradisca intanto, onorevole Signore, i sensi della mia sin-
cera stima ed osservanza — e mi creda
suo devotissimo
A. Saffi.
172
AI PROMOTORI DEL COMIZIO MILANESE
PER LA FRATELLANZA DEI POPOLI
Bologna, 8 gennaio 1889. ,
Egregi Cittadini,
Voi mi volgeste cortese invito perch'io volessi aggiungere
il mio nome a quello dei patrioti che compongono il Comitato
promotore del Comizio milanese per la Fratellanza dei Po-
poli e per la sostituzione degli Arbitrati pacifici alle contese
guerresche. — Concorde nell'alto ideale, acconsentii; ma vi
dissi che mi riservavo di significarvi in iscritto — non potendo
intervenire in persona al Comizio ■— ciò che io sentiva dei
termini pratici della questione. — Sodisfo ora a quest'obbligo
verso me stesso e verso il Paese.
Certo le nostre aspirazioni sono le stesse. Noi invochiamo
un'Europa nella quale all'impero della Forza succeda la ra-
gion del Diritto, ai resti delle vecchie conquiste la Federa-
zione delle Patrie libere e indipendenti, insieme congiunte
nelle feconde mutualità del pensiero e del lavoro. —
Senonchè, consenzienti nel /?w«, importa che fra noi, fra
quanti cercano le vie di raggiungerlo, non sorga equivoco
sui in€0j2i atti ad avvicinarci all'intento.
Poste le condizioni di fatto dell'Europa nei giorni nostri,
voi non potete ripromettervi che il grido di Pace e. di disar-
mamento si ascolti da Poteri ai quali la Forza è pegno di esi-
stenza. Ascoltato da una parte soltanto, gl'inermi rimarreb-
bero esposti alle prepotenze dei forti ed armati. — < A voi è
necessario > — diceva Giuseppe Mazzini, venti anni addietro,
ai rappresentanti della Lega della Pace e della Libertà, conve-
nuti in Ginevra — < un disarmamento generale e simultaneo.
È questa l'opera di un Congresso delle Nazioni tenuto da
delegati liberamente e lealmente eletti ; le cui decisioni siano
ratificate dai loro elettori. L'otterrete voi senza la rivoluzione
e la guerra ? >
Non pertanto gli enormi aumenti delle spese militari di-
ventano ogni dì più incomportabili. La necessità del rimedio è
urgente, e gli Stati liberi e civili possono provvedervi ordinando
le loro forze in modo da conciliare l'efiicacia delle difese con
AI PROMOTORI DEL COMIZIO MILANESE EC. 173
la economia delle finanze. — La Nazione armata in Isvizzera,
l'organizzazione permanente ad esercito di volontari d'ogni
arme nella Gran Bretagna, le riforme che si stanno discutendo
in questi giorni in Francia, sono specchio al da farsi.
Io ho fede nella crescente influenza degli argomenti na-
zionali ed umani sulla composizione delle differenze interna-
zionali: ma dinanzi all'imperversare della forza brutale, non
ammetto la rassegnazione passiva. — La teoria della Face ad
ogni costo è la ratificazione d'ogni iniquità esistente.
Io so che voi sdegnate tale dottrina; e che per voi, come
per me, vi sono insurrezioni e guerre sante ; che a voi, come
a me, sono sacri il sagrificio e il martirio, la lotta per la
redenzione d'un Popolo oppresso, per la difesa della Patria
da esterni invasori, per l'abolizione di qualsiasi forma di
schiavitù. — Se lotte sì fatte non fossero, la Grecia giacerebbe
tuttavia sotto il giogo ottomano, l'Italia sarebbe sempre una
'espressione geografica, la schiavitù dei Negri contaminerebbe
ancora l'Unione americana, ed i pesi d'un cieco fatalismo
arresterebbero la vita e il moto dell'Umanità.
Non dunque Pace come fine a sé stessa, ma Pace come
consegvsnsa delle rivendicazioni della Giustizia e della Libertà,
come premio del dovere compiuto, come frutto della pro-
gressiva restituzione degli Stati europei dall'assetto precario
creato fra loro dagli arbitri del passato all'ordine immuta-
bile della Natura, sulla base delle autonomie nazionali e in
rispondenza ai voti dei Popoli.
E in questi intendimenti è riposto appunto il criterio su-
premo che dovrebbe presiedere alla nostra politica ed alle
nostre alleanze.
La politica contemporanea — la politica officiale — non cu-
rante degli ammaestramenti della Storia e della Legge del
progresso umano, segue sull'orme della vecchia Diplomazia
un concetto di ponderazione materiale di forze, al quale sa-
crifica, sulla bilancia dei Poteri, ogni principio di ragion na-
turale e di mutua giustizia fra le Nazioni.
La Francia fu per sinistri fini incoraggiata, dieci anni
addietro, a Berlino nelle sue mire di speculazione e di si-
gnoria sulle coste africane del Mediterraneo: ed ecco il Go-
verno italiano contrapporre all'errore francese la sciagurata
impresa del Mar Rosso, disconoscere moralmente le proprie
orìgini e rinnegare i titoli patri delle Provincie soggette an-
174 AI PROMOTORI DEL COMIZIO MILANESE
Cora alla dominazione straniera, accettando dietro quella della
Germania l'alleanza dell'Austria.
L'alleanza austriaca contradice a tutte le tradizioni del
nostro risorgimento ; ci fa complici — volenti o no — delle
usurpazioni della Casa d'Absburgo nella Penisola dei Balcani;
tronca la missione dell'Italia verso le stirpi che aspirano,
nell'oriente d'Europa, a indipendenza e libertà. — Che im-
porta? — argomentano i pratici: è spediente sXV equilibrio
della vecchia Europa. Valiaracene per la giornata. I casi del
tempo provvederanno all'avvenire.
Pur troppo Siam tutti offesi da una stessa colpa. Egoismi
di Governi e di Popoli, borie militari, interessi di classe e
di parte prevalgono sulla ragion comune ; e tirati da un cieco
destino, andiamo incontro al pericolo d'orride guerre, gri-
dando : pace ! pace ! — Ora la Pace giusta, sincera, durevole,
non può derivare se non dalle naturali armonie della vita e
del lavoro dei Popoli costituiti in signoria di sé stessi, a se-
conda delle loro native attinenze, liberi, eguali e volontaria-
mente associati con equi patti fra loro.
La soluzione del quesito che affatica la nostra età, e che
voi proponete a soggetto del vostro Comizio, dipende dal-
l'inoltrare delle Nazioni europee verso tal mèta: ed è la mèta
a cui tende il moto generale della civiltà. D'onde il dovere
che la ragion de' tempi impone ai Popoli già ordinati in sé
medesimi a Stato nazionale e libero.
In virtù di una legge storica che scende dall'antichità, i
Popoli precursori, i Popoli che sorsero primi in Europa a
coscienza di libertà e di personalità nazionale, sono quelli
che hanno stanza nelle contrade bagnate dalle acque del Me-
diterraneo e dell'Atlantico — Italia, Francia, Spagna, Inghil-
terra. Riscossa a' dì nostri, insieme con noi, da secolari divi-
sioni ad unità politica, la Germania entra, potente d'intelletto
e di forze, nell'arringo comune. — I primi, rivolti ad Occi-
dente, propagarono dietro il corso del sole la civiltà oltre
l'Oceano, la illustrarono in sé medesimi coi loro conati. per
il trionfo delle libere istituzioni. La seconda fu madre della
libertà religiosa e scientifica ; e non tarderà ad affermare in
sé, con la libertà del pensiero, tutte le franchigie che ne con-
seguono. Ed oggi le Nazioni foriere dell'incivilimento mon-
diale sembrano chiamate a riportarne le correnti alle fonti
iintiche in Asia, sulle prode dell'Africa che si connettono più
PER LA FRATELLANZA DEI POPOLI. 175
direttamente col sistema europeo, e lungo le vie che al-
rOriente conducono.
È ufficio proprio dei Popoli ai quali accenno imprimere
alle loro colonizzazioni un carattere federale di cooperativa
civile, alieno da preoccupazioni di monopolio o di conqui-
sta; ed alla loro politica internazionale un indirizzo rispon-
dente ai principi di diritto pubblico, a cui s'informano i loro
istituti e costumi. — Fra due grandi incognite dell'avvenire,
fra due mondi in formazione — il mondo slavo da un lato,
il mondo americano dall'altro — è per essi questione di vita,
sotto il doppio aspetto politico-economico, il porre nell'Europa,
occidentale e media, le basi di un'equa unione, delle genti,
e sicurtà d'indipendenza, di pace e di progresso universale.
E all'avanguardia del rinnovamento europeo sono, per na-
tura di cose, chiamate a collocarsi la Francia e l'Italia: la
prima come interprete dei principi di sovranità popolare, di
libertà e d'eguaglianza civile, nella loro forma più lata; la
seconda come rappresentante del principio di nazionalità nella
sua forma più pura e più distinta. — Onde è stretto obbligo
d'entrambe, dinanzi al fine della civiltà e dell'umanità delle
Nazioni, il darsi la mano nell'opera grande commessa loro
nella vocazione del secolo. — Ma perchè l'accordo sia più
saldo e fedele, spetta ai migliori di una parte e dell'altra
— specialmente nel campo delle due Democrazie — l'avvertire
i torti scambievoli, adoperarsi a correggerli, respingere mo-
ralmente ogni atto dei rispettivi Governi che tenda a turbare
le relazioni fraterne fra i due Paesi; e far sì che l'amicizia
e la pace non si scompagnino dal rispetto della propria di-
gnità e dalla tutela d'ogni legittimo interesse.
Ed in questo senso' parvemi concepita la Circolare del
Gran Maestro della Massoneria italiana, da molti tra noi
fraintesa, da taluni fatta segno a indegne diatribe : pur tale
da dover porgere argomento ai più sinceri fra i nostri amici
di Francia, non di risentirsene, ma di considerare quanto
importi al comun bene delle due Nazioni sorelle il sopprimere
ogni seme di discordia fra le medesime, e togliere a chi co-
spira a dividerle ogni pretesto di future liti.
Invero, l'alludere di tal modo alla questione tunisina non
era un ridestare, ad eccitamento di rancori sopiti, un ricordo
di cosa passata, ma un additare, a monito di provvidi tem-
peramenti per l'avvenire, una situazione presente che — per-
176 AI PROMOTORI DEL COMIZIO MILANESE EC.
Toanendo — può riuscire a mal fine. — Era la parola dei fra-
telli che dice ai fratelli: < V'ha una pietra di scandalo fra
noi ; rimoviamola, sostituendo per suggello della nostra unione
— a norma dei nostri portamenti — la virtù dei principi al
pericolo dei parziali interessi: siamo compagni, non emulf,
nella buona e feconda espansione delle nostre forze civili. > —
Conosco da quarant'anni Adriano Lemmi, e senta che il cuore
dell'antico patriota non poteva esser mosso da altro pensiero
nel toccare il grave argomento.
Vi sono pur troppo rancori e pregiudizi ostili fra i due
Paesi. Gli uomini che ne amministrano gli aflfari possono
errare, eccedere la misura del vero nei loro sospetti : ma il
por mano avventatamente alle armi sarebbe demenza da non
attendersi da uomini sperimentati nel Governo delle cose ci-
vili ed amanti della Patria loro. — Una guerra fra l' Italia e
la Francia tornerebbe, in ogni fortuna, funesta a vincitori e
vinti; funesta in generale alla libertà d'Europa. — La loro
concordia, invece, è guarentigia |di progresso per l'univer-
sale. — La pace fra noi e i nostri vicini nel Mediterraneo
assicura la pace sul Reno, investe l'Italia dell'insigne ufficio
di mediatrice d'eque composizioni rispetto all'Alsazia-Lo-
rena, non impossibili il giorno — forse non lontano — in cui
alla Germania Cesarea e Feudale subentri la giovane Germa-
nia del pensiero e del lavoro. — E l'unione dell'Occidente con-
finerebbe il cattivo genio dell'avventure belliche nell'Oriente
d'Europa. Nel cozzo fra le rivali ambizioni dei due Imperi
militari che si disputano le spoglie della cadente Signoria
mussulmana, la Lega delle Nazioni libere e eulte sarebbe
auspicio e presidio al moto ascendente delle nazionalità op-
presse e smembrate. — Le sorti aspettate si compirebbero.
È questo un sogno? — Non credo. I segni del tempo, i
bisogni, i dolori, la coscienza delle moltitudini che lavorano,
soffrono e sperano, annunziano il sorgere di un nuovo teìupo
umano. — La rivoluzione dell' '89 — concludendo il periodo
delle lunghe prove per l'emancipazione delV individuo — pro-
clamò i Diritti dell' Uomo. L'età che s'apre dinanzi a noi è
destinata a spiegare davanti agli occhi del inondo la Magka
Carta dei Diritti e dei Doveri dei Popoli.
E in questa fede saluto, augurando, il vostro Comizio.
A. Saffi.
177
AL COMITATO CENTRALE PERMANENTE
PER LA DIFESA DELLA PACE E DELLA LIBERTÀ.
Bologna, 24 gennaio 1889.
Egregi Signori ed Amici,
Il vostro appello al mio concorso nel generoso assunto di
scongiurare una guerra fratricida tra l'Italia e la Francia
— come che il caso sembri a me poco meno che impossi-
bile — mi giunse grato come segno di affettuosa stima da
parte di patrioti che, per intelletto, per cuore e per virtù
d'opere devote ad ogni nobile causa, il Paese ama ed onora.
Per antiche e per recenti manifestazioni pubbliche, voi
sapete quello che io penso della situazione Europea rispetto ai
quesiti che si vanno agitando da più parti intorno alla Pace ed
agli Arbitrati internazionali; e vi è noto che, s'io non credo
da un lato alla possibilità di una soluzione pratica di sì fatti
quesiti — dove non esistono Nazioni libere e indipendenti, ma
Governi di conquista, fondati sulla forza e retti con l'arbitrio
— credo, dall'altro lato, effettuabile un progressivo indirizzo
verso il nostro Ideale fra Stati nazionali autonomi, informati
più o meno a liberi reggimenti, con intervento dei suffragi
e della ragione dei Popoli nella condotta dei pubblici affari.
Ed in questa condizione di cose si trovano appunto gli
Stati dell'occidente d'Europa: ond'è obbligo dei rispettivi
Governi il conformare la loro politica a tale indirizzo; ob-
bhgo sopratutto della parte Democratica, come interprete dei
bisogni e dei voti dei Popoli, il combattere e il prevenire ogni
cagione di mutue diffidenze e di liti fraterne tra Nazioni chia-
mate a procedere concordi sulle vie del civile progresso.
Però io stimo voce degna di seria attenzione ed ispirata
ad una provvida coscienza delle sorti Europee, quella che
grida pace fra Italia e Francia e invoco la rimozione d'ogni
incentivo di dissidio fra noi e i nostri vicini d'oltr'Alpe.
Ed in questo voto, come in ogni prova che contribuisca
ad avvalorarlo, abbiatemi di cuore con voi.
- Vostro affemonatissimo
A. Saffi.
178
AL COMIZIO PER LA PACE IN BARCELLONA.
1
Bologna, 9 aprile 1889.
Egregi Signori,
Se condizioni personali, non propizie a lunghi viaggi, e
doveri urgenti che qui mi ritengono non facessero ostacolo
al mio desiderio, io sarei Domenica ventura con voi di per-
sona come sarò con voi col pensiero, col cuore e coi voti.
Io saluto nel vostro Comizio un fausto indizio delle ten-
denze de' tempi, un segno precursore di quella universale
Città delle Genti (Civitas Gentium) che iscriverà sulla pro-
pria bandiera il motto: Pace fra i Popoli, mercè il trionfo
della Giustizia, della Libertà e del Lavoro.
E un grande progresso verso tal mèta sarà compiuto il
giorno in cui le contrade bagnate dal Mediterraneo e dalle
acque Europee dell'Atlantico e del Mare del Nord — confer-
mando la loro solidarietà nello sviluppo delle libere istitu-
zioni, delle industrie e de' commerci, e delle loro attitudini
al razionale governo di sé medesime — si stringeranno in lega
fraterna ad incremento e tutela de' comuni interessi.
E, come furono prime a propagare la Civiltà verso Occi-
dente, combattendo strenuamente contro le forze selvaggie
della natura, così sorgeranno prime a rifletterne col loro esem-
pio i benefici fra que' Popoli della Europa Media ed Orien-
tale che giacciono ancora diseredati di Patria e d'Eguaglianza
civile; suscitandoli ad emanciparsi dalle vecchie strette del
Privilegio e della Forza, alla luce de' nuovi Ideali dell'Umanità.
Con questa fede e con questa speranza — augurando fe-
conda la Parola che uscirà dal vostro convegno alla futura
Fratellanza delle Nazioni e al Patto auspicato dai Veggenti
dell'età nostra della Federazione degli Stati d'Europa — mi
associo in ispirito ai vostri generosi intendimenti.
Vostro
A. Saffi.
179
AL COMITATO PRATESE PER LA PACE.
Maggio 1889.
Egregi Cittadini,
Il grido che sorge, all'età nostra, dal cuore delle moltitu-
dini, in ogni contrada civile del globo, per la Pace e per la
consacrazione de' vincoli della comune natura fra le Nazioni,
è uno de' segni più certi della potenza dell'umano progresso.
In quel grido la coscienza popolare risponde alle speculazioni
e ai voti de' più alti intelletti pel trionfo della Giustizia e
della Umanità ne' mutui rapporti fra le Genti ; e quando il
sentimento del maggior numero si combacia con l'idea dei
savi in una medesima vocazione, non v'ha forza materiale
che valga ad impedire il trionfo più o meno lontano della
nuova tendenza dei tempi.
Il moto ascendente, rapido, irresistibile delle odierne ten-
denze pacifiche è la condanna dell'iniquo incremento dato
dagli Stati moderni ai loro stabilimenti militari. Tutte le ra-
gioni che emergono dal concetto vero della buona convivenza
sociale — ragioni morali, politiche, economiche — concorrono
a dimostrare l'assurdità, l'impossibilità del sistema. La civiltà
tutta intera n'è minacciata nelle sue fonti vitali: per esso,
la miseria e la barbarie vanno invadendo le contrade più
colte e più fiorenti d'Europa.
Ciò non può durare e non durerà. Una reazione civile,
conservatrice de' fondamenti primi dell'umana compagnia,
agita già le Nazioni, senza distinzione di razza, contro gli enormi
armamenti che le consumano. Una radicale trasformazione
negli ordini delle nazionali difese è inevitabile ; né guerre sa-
ranno possibili ormai, se non giuste e sante per rivendica-
zione 0 tutela di libertà conculcate, di diritti offesi dall'altrui
violenza.
È legge di vita per l'universale: e di tal legge vi sarà elo-
quente interprete l'oratore della vostra Riunione ed amico
mio, Ernesto Teodoro Moneta.
Aderendo al vostro Comizio, mando a voi ed a lui un fra-
terno saluto.
A. Saffi.
180
LETTRE A M. CHARLES LEMONNIER.^
Bologne, 20 join 1889.
Cher Ami et Collègue,
Je regrette du fond de mon coeur de ne pouvoir assister
personnellement au Congrès intemational de la pars.
Des obstacles insurmontables m'empechent de m'absenter
de l'Italie et m'obligent à suivre de loin, àme solitaire, ces
grandes assises des Nations qui se sont donne rendez-rous
à Paris pour y affirmer, sous les auspices de la eonscience
humaine, les liens de la fraternité des peuples et les pré-
sages de la justice future contré les égo'ismes et les iniquités
du passe.
Mais, quoique absent, je suis avec vous en esprit, et je
vous adresse ma cordiale adhésion en vous priant de vouloir
bien me représenter au Congrès.
Je suis avec vous en esprit, et j'ai foi dans l'oeuvre sainte
à laquelle sont consacrés vos efforts et ceux de nos confrères,
sans exception de nationalité et de race.
Tous les signes du temps — l'ascension progressive des
classes qui travaillent, l'expansion rapide des moyens de com-
munication qui tendent à relier les intéréts, les moeurs, la
pensée entre tous les Peuples, l'action toujours plus efficace
de la raison commune sur les multitudes inconscientes vis-
a-vis des privi lèges que créent les distinctiona sociales, et des
passions qui les traduisent en luttes civiles — tout cela de-
mande, comme condition essentielle de développement et de
progrès, la justice mutuelle et la pàix.
Jamais, comme de nos jours, la loi historique qui guide
la famille humaine vers son unite morale, ne s'est révélée
d'une manière si claire ; jamais le sentiment qui réagit contre
tout ce qui conspire à troubler les harmonies de la vie dans
la coopération universelle n'a été si fort et si réfléchi.
La vieille politique de guerre et de conquéte devient toujour»
plus étrangère à l'esprit nouveau des nations. Les armements
* Da Lea États-Unis d'Europe del settembre *89.
LETTRE A M. CHARLES LEMONNIER. 181
énormes qui consument les forces productives et ruinent les
finances des Etats sont un anacronisme impossible dans l'Eu-
rope contemporaine.
Si la sagesse des gouvernements ne réforme ce système,
la necessitò des choses le fera tomber,
Le principe de l'arbitrage intemational, dans tous les cas
où son application est possible, s'impose dès aujourd'hui aux
Conseils des nations les plus avancées sur les voies de la
civilisation.
Malheur aux Peuples qui, se laissant dominer par l'arbi-
traire et le militarisme, restent en arrière sur le chemin du
progrès pacifique. Ils scront punis par Visólément et la de-
cadence.
Mais c'est le devoir des Peuples libres de leur tendre la
main s'ils se soulèvent, de les protéger dans la revendication
de leurs autonomies et de leurs droits, d'accroìtre par leur
avènement à. Ja lumière et à la vie les éléments de la future
constitution des Etats-Unis d'Europe.
C'est la mission que la marche de la civilisation indique
plus particulièrement aux Puissances maritimes de l'Europe
occidentale.
Une Ligue entre la Franco, la Grande-Bretagne, l'Italie
et l'Espagne, accrue du concours des Etats mineurs qui les
entourent, marquerait un pas immense vers le but de la
fédération européenne.
L'Allemagne de la pensée et du travail, l'Allemagne
— peuple — ne tarderait pas à suivre la puissante' initiative.
Les diflFérends qui ont fait depuis des siècles de la frontière
du Rhin une source de rivalités meurtrières, trouveraient
probablement leur solution dans la formation d'une zone
neutre, ouverte aux bénéfices réciproques des activités in-
dustrielles et intellectuelles, aux sympathies sociales des deux
peuples, aux rites sacrés de la Liberté, de la Justice et de
la Paix.
. Les préventions, les préjugés, les intéréts partiels qui en-
travent les relations fraternelles entre les Patries libres de
rOccident d'Europe, appartiennent aux vieux partis ; la jeune
Démocratie les repousse.
Vestiges fiétris d'un monde qui se meurt, ils n'ont rien
à. faire avec les aspirations de la vie nouvelle, avec les vo-
cations de l'Avenir.
182 LETTRE À M. CHABLES LEMONNIER.
Puissent la France et l'Italie contribuer d'une manière
decisive, par leur entente cordiale, au triomphe de la grande
Cause qui fut ìnangurée par la Proclamation des Droits de
VHomwìèj et qui doit s'accomplir par la Proclamation des
Droits et des Devoirs des KcUians.
Agréez, cher Ami et Collègue, de ma part et de celle de
ma femme, avec nos meilleurs voeux, les salutations les plus
affectueuses.
Tout à vous
A. Saffi.
183
AD AMICI DI ROMA.
Forlì, 6 agosto 1889.
Egregi Amici,
Rispondo breve alla interpellanza che m'indirizzaste nella
Emancipassione di domenica scorsa.
La lettera che n' è argomento è chiara, e non ha bisogno
di commenti. In essa esposi francamente, senz'animo di cen-
sore, in quali limiti possa e debba — nelle condizioni odierne
del Paese — svolgersi la propaganda a prò delle terre irre-
dente; ed espressi la mia persuasione che, nel concetto di
que' limiti, convenivano per primi gli stessi promotori del-
l'agitazione, appunto perchè patrioti. Dal che prendevo argo-
mento a disapprovare i provvedimenti repressivi del Governo.
La risposta della Commissione Esecutiva del disciolto
Comitato a quella mia lettera mi convince ch'io non m'ingan-
nava ; e de' cortesi ed amorevoli termini in cui è concepita,
sento il bisogno di professarmi riconoscente agli autori della
medesima.
Dell'abuso ch'altri faccia, per odio di Parte, di ciò eh' io
scrivo senz'odio e senza disprezzo d'alcuno, sono dolente, non
responsabile; e alla dimanda che voi mi fate %^ io accetti per
disawerdura i giudizi che mi oltraggiano — sdegno rispondere,
perchè chi mi conosce non può e non dovrebbe, neanche per
un istante, nutrire un tal dubbio.
E duolmi del pari che, in fatto di metodo d'azione, il mio
vedere diverga sovente dal vostro, e la mia parola v'attra-
versi non so che intenti, e v'infastidisca: ma devo — sebbene
il dissidio m' incresca — dichiarare ad un tempo ch'io non
tacerò — sopratutto se richiesto — il mio sentire sulle cose
pubtliche, com'è obbligo d'uomo verace, quante volte il far
manifesta, senza prosunzione di pedagogo, la propria opinione
sia dovere ed ufficio di libero cittadino verso la Patria.
Abbiatemi
vostro devotissimo
A. Saffi.
^
' J
Parte Seconda.
A. SAPPI NELL'UNIVERSITÀ DI BOLOGNA.
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ì
187
ALLA COMMISSIONE DEGLI STUDENTI IN BOLOGNA
PER LA CONFERENZA SU ALBERIGO GENTILI.*
Bologna, 15 dicembre 1877.
Egregi Giovani,
Al proposito vostro di eccitare gì' Italiani a non porre in
dimenticanza l'obbligo che hanno verso la memoria di Albe-
rigo Gentili — mentre i più insigni cultori delle discipline
giuridiche, in altre contrade d' Europa, si mostrano solleciti
di onorarne il nome — fo plauso con tutto l'animo.
È proposito degno di giovani che s' ispirano ai ricordi
della virtù dei padri e ai doveri della età presente, in questa
Università che fu istitutrice di sapienza civile all'Italia e
all' Europa ; e del quale vi saprà buon'grado quella animosa
gioventù di una Università sorella che fu prima a ravvivare
nella patria nostra la fama del precursore di Grozio.
All' invito che a me volgeste, perchè mi facessi interprete
del vostro pensiero in una Conferenza da tenersi in questa
illustre sede di studi, acconsento non senza grande perples-
sità, vinto dal vostro desiderio, diflSdente di me medesimo.
In vero — come vi dissi a voce — molte e per me gravi
ragioni mi rimovevano dall'assunto : prime fra queste, la po-
chezza delle mie forze; la speranza che altri, con maggior
dottrina^ e con parola più autorevole della mia, volesse en-
trare nell' arringo; gl'indugi, infine ch'io, per altri impe-
gni, prevedeva di dover frapporre al compito che mi veniva
proposto.
A voi non parve di condiscendere a questi motivi ; ed io
mi arresi al piacer vostro, come a forza d'animi generosi
rivolti a nobil fine.
Or mi conforta nell' ardua prova la coscienza del dovere,
che insieme compiremo, di misurare al merito reale di Al-
berigo Gentili il tributo della nostra ammirazione; e di far
sì che r Italia non sia l' ultima fra le Nazioni europee nel
rendere onore ad uno dei più benemeriti fra quei suoi figli
» Dalla Patria di Bologna, 18 dicembre '77.
188 ALLA COMMISSIONE DEGLI STUDENTI EC.
ai quali, nel secolo XVI, l'esilio fu strada a propagare fra
gli stranieri, ospiti loro, i benefici dell'avita coltura.
Ad Alberigo Gentili — che delle tradizioni dell'antica filo-
sofia civile e dal concetto della comune cognazione degli
uomini, alimentata da Roma nella cristianità, trasse i lumi
ond' egli mostrò la via alla moderna scienza del diritto delle
genti, com' io mi studierò di additarvi — devono onore quanti
amano la Giustizia e l'Umanità: e dovrebbero esser primi
fra questi i credenti, per religione, nell'ordine morale delle
cose umane ; se la religione non fosse, negli animi loro, irre-
parabilmente disgiunta da ogni intelletto della dviltà dei
tempi.
Gradite, o giovani, in luogo di più efficace aiuto al desi-
derio vostro, il buon volere e l'affetto onde io mi farò a se-
condarlo — e abbiatemi
vostro di cuore
A. Saffi.
\
I 189
LETTURE SU ALBERIGO GENTILI
~ 1878.
ai giovani
dell'ateneo bolognese
CHE,
INVITANDOMI A DIRE
DI
ALBERIGO GENTILI,
MI DIEDERO ARGOMENTO A RACCOGLIERE
DAI RICÒRDI de' miei STUDI
LA MATERIA DELLE PRESENTI PAGINE,
DEDICO QUESTO MIO LAVORO,
NON COME SAGGIO, MA COME DESIDERIO E VOTO
DI SCIENZA CIVILE,
COMMETTENDOLO AL LORO AFFETTO,
SEBBEN POVERO d'oGNI PREGIO
DA QUELLO INFUORI DELL'aMORE
A CUI s'ispira
DEL NOME ITALIANO.
190 SU ALBERIGO GENTILI.
Lettura Prima.
Tema delle Letture. — Omaggi de* cultori delle discipline giuridiche al-
l'autore del Jure Belli. — Sguardo al passato. — - Cenni sulle prime
nozioni del Diritto delle Genti neir antichità greca e nell'italica. —
Origini popolari del senso della naturale equità e della eguaglianza
civile in Roma repubblicana. — L» filosofia politica degli anticìu e Ci-
cerone. — Decadenza del Diritto Pubblico sotto l'Impero. — L'idea
stoica del buon Principe. — La sovranità bisantina. — Restaurazione
delle idee di ragion civile e di ragion delle Genti nel medio-evo,
mercè l'azione di Roma cristiana nell'Occidente d'Europa. — L'arbi-
trato morale de' Pontefici. — Decadenza del Papato dinanzi ai pro-
gressi deirincivilimento. — Odierna incompatibilità fra Chiesa e Stato.
Signore e Signori, miei cari Giovani,
Concedete •— non ad affettazione di modestia ma a verace
senso della misura delle mie facoltà — eh' io, entrando in
questo Tempio della Scienza, come voi giovani egregi otti-
mamente lo denominate, mi professi non sacerdote ma disce-
polo, insieme con voi, della sua disciplina.
Dico a verace senso della misura delle mie facoltà dinanzi
a tante e sì illustri memorie, dinanzi ad uomini dottissimi
che qui mi onorano della loro presenza, e ai quali, assai
meglio che a me, si addirebbe l'ufficio che vi piacque affi-
darmi. Come cittadino italiano, io qui vengo, non a scindere
la vostra coscienza civile dall'opera dei padri, ma a racco-
gliere con animo riverente le umane armonie del passato,
riferendole ai doveri del presente e ai presentimenti dell'av-
venire ; sì che la mia parola non suoni ribellione alla sacra
continuità della vita sociale, ma testimonianza di fede incon-
cussa nei vincoli indissolubili della progrediente umanità
delle genti. De' quali Alberigo Gentili — al cui nome, o gio-
vani, è diretto l' intento nostro — - fu senza dubbio uno de' più
insigni restauratori in una età che, segnatamente nelle usanze
guerresche, sembrava averli del tutto posti in oblio.
Ugono Grozio — toccando ne' Prolegomeni della sua opera-
De Jure Belli oc Pdcis, di coloro che lo aveano preceduto
nel trattare dell' argomento — fa menzione di Baldassare
Ayala e di Alberigo, come di quelli che aveano tentato, prima
di lui, di riferire i fatti storici su tale materia a qualche
definizione di principi ; nel che però riconosce superiore allo
à
]
LETTURA PRIMA. 191
spagnuolo il giureconsulto italiano, e dichiara di essersi gio-
vato della sua diligenza, com' altri potranno parimente gio-
varsene : cujus diligentia sicut cHios adjuvari posse scio et me
adjutum profUeor,^ E invero, come hanno dimostrato in. questi
giorni il Eeiger ' ed altri, la fatica di Alberigo agevolò la via
al pubblicista fiammingo assai più che questi non confessi;
e fu realmente il primo tentativo di una razionale applica-
zione de' principi del Giusto e dell'Onesto alle cose della
guerra e della pace. La fama di Grozio velò i meriti del suo
precursore : ma non sì che in Italia e fuori, ai meriti di Al-
berigo non rendessero, di età in età, chiara testimonianza i
cultori delle scienze giuridiche. Di che troverete esatta no-
tizia ne' recenti studi di Giuseppe Speranza sul nostro giu-
reconsulto : ' lavoro accurato ed imparziale, che lascia desi-
derio di vederlo compiuto, e ch'io addito volentieri alla
vostra attenzione. E, comechè fra gì' Italiani i più' ricordas-
sero timidamente per motivi di religione l'esule di Sangine-
sio, pur nondimeno l'abate Benigni, suo conterraneo, il Maz-
zuchelli, il Tiraboschi ed altri non gli negarono per questo
la debita lode. E, fatti di mano in mano più civili i tempi
e più liberi i giudizi degli uomini, il Lampredi, il Romagnosi,
il Carmignani e, più largamente, Francesco Forti, nella sua
opera delle Istituzioni Civili,^ misero in sodo la parte ch'egli
ebbe nella coltura del Diritto delle Genti. A' quali tennero
dietro di poi — per tacer d' altri — oltre l'Amari, Federico
Sclopis, la cui perdita recente è gran danno della scienza e
lutto della Patria, eh' egli onorò in casa e fuori con la uma-
nità del sapere e dell' animo devoto al bene ; e Stanislao
Mancini^ — nobilissimi interpreti entrambi, ne' consigli della
* In tres Libros de Jure Belli ac Pacis Prolegomena, §§ 87, 38. Vedi ivi
per intero il giudizio che Grozio fa di Alberigo e d'altri suoi precur-
sori. — {Nota dell'Autore.)
' Commentano de Alberico Gentili, Grotio ad condendam Juria gen-
tium disciplinam viam prweunte. Conseripsit W. A. Beiger, Juris Utr. Doct,
Grdning», MDOCCLXVII. — {Nota deW Autore.)
8 Alberigo GentilijSiviàì deiravvocato Giuseppe Spi^^anza, capo XVIII.
Roma, 1876. — {Nota delV Autore.)
^ Delle Istituzioni Civilij accomodate àlVuso del Fòro, opera postuma di
Francesco Forti, voi. I, cap. Ili, § 14; pag. 469-471. •— {Nota dell'Autore).
^ Nella prolusione da lui pronunciata, il 22 gennaio 1851, dalla prima
cattedra italiana di Diritto pubblico, nella Università di Torino; in altra,
col titolo La vita de'popoli nell'umanità, del 2 gennaio 1872 in Roma; e da
ultimo nello splendido Discorso letto nella Università romana il 2 no-
vembre 1874, Vocazione del nostro secolo per la riforma e la codificazione del
Diritto delle genti, esempio di libera e civile dottrina, che mi fu scorta allo
svolgimento del tema proposto alle presenti Letture. -— {Nota dell'Autore.)
192 tr ALBERIGO GESTH-L
sapienza europea, del senno drile della nostra stirpe e de' voti
dell* Esule giureconsulto del secolo XVI, per la pace e la
fraternità delle Xazioni. E ultimamente Antonio Fiorini —
uscito, or sono pochi anni. dall^Aule dell'Ateneo Pisano — ha
fatto dono alla Patria del Tolgarìzzamento del Diritto di
GiterrOj con singolare maestria di lingua e di stile, aggiun-
gendori una dotta Prefazione a commento del testo/ e sti-
molando col suo esempio i giovani suoi coetanei all'animosa
palestra de' forti studi : mentre gi;\, sin da tre anni addie-
tro, Pietro Sbarbaro, facendosi guida al voto della gioventù
maceratese, surse a promovere con fervido affetto l' idea di
un monumento nazionale al profugo di Sanginesio ; ed ebbe
consenzienti nel generoso assunto quanti sono cultori di ci-
vile progresso, senza distinzione di parte. Ed oggi, senza
distinzione di parte, la stampa nostra, i nostri giornali —
dalla Gazzetta dT Italia al Seccia e alla 2suova TorinOy dal
Diritto al Dovere e alla Spira — secondano, coi Diari di
questa illustre città, nelle onoranze ad Alberigo Gentili, un
grande omaggio a que' principi da cui dipendono le sorti
dell'incivilimento europeo; e al povero tributo ch'io recar
posso all' impresa offrono incoraggiamento e conforto. Di che
i rappresentanti della stampa italiana s' abbiano, da questo
luogo, pubblico segno di riconoscenza, non per la stima che
di me fanno — assai maggiore del merito — ma per l'esem-
pio che porgono di quell'amor patrio che tutti ci raccoglie
e stringe in un solo pensiero, quante volte si tratti delle
glorie o dei pericoli della Nazione.
Fra gli stranieri — lasciando stare i compilatori di bio-
grafie, come il Bayle ed altri, e quelli fra i giuristi più in-
signi che ne parlarono con onore ne' tempi trascorsi ; dei
quali basti per brerità citare il Vossio e il Gronovio fra i
più vicini airet«\ di Alberigo, il Binkersoek e il Meinstero
nel mezzo del passato secolo, indi Mackintosh e Hallam più
presso a noi — è notevole, venendo a' dì nostri, il risorgere
del pubblico grido intorno al suo nome, insieme al voto della
scienza per la civile umanità di un nuovo Diritto delle Genti,
inteso a fondare sulla giustizia internazionale le speranze
della libertà e della pace. £ mentre un cittadino della patria
di Grozio — il Reiter — rivendica al Gentili, secondo il voto
* Del diritto di guerra di Albebigo Gentili, traduzione e Discorso di
ctonio Fiorini. Livorno, 1877. — [Nota deU'Autore.)
LETTURA PRIMA. 193
di Romagnosi : < l'onore del primato nella dottrina del Pub-
blico Diritto, > un professore di questa Facoltà — nella terra
che ospitò l'esule italiano del secolo XVI, in quella stessa
sede di studi che si onorò di annoverarlo fra' suoi Dottori
— Tommaso Erskine Holland, ricorda a' suoi cotopatrioti il
debito che hanno verso l'autore del De Jiire BéllV E alla
ridesta fama di questo nostro Antico porgono omaggio a gara
i più illustri pubblicisti d'Europa e d'America: il Laboulaye,
il Lucas, il Castelar, il Laurent, l'Asser, il RoUin-Jacquemines,
r Holtzendorff, il Phillimore, il Wheaton, il Kent ed altri
che troppo lungo sarebbe l'enumerare. Né sarà ultinia, in
questo tributo di onore, l' Italia, la quale sembra apprestarsi
non solo a celebrarne con monumenti di marmo il nome ma
ad illustrarne con gli studi la dottrina, accrescendola dei
nuovi portati della scienza: degno modo di riparare, fra i
benefici della presente civiltà, le ingiurie della passata bar-
barie.
Or quale è la vera misura de' titoli di Alberigo alle ce-
lebrazioni de' posteri ? Quale il grado eh' egli occupa nella
scala de' progressi della Ragion delle Genti ? Ecco il quesito
ch'io non mi arrogherò di risolvere dinanzi a v«i in questi
rapidi cenni ; ma eh' io propongo ad: eccitamento di più ma-
turo esame per quelli fra voi che a questa nobilissima parte
del Pubblico Diritto consacrano l' ingegno.
Ma, perchè le grandi iniziazioni della civile sapienza non
sono mai dono improvviso del Cielo, anche ne' più privile-
giati per altezza di mente, bensì frutto del faticoso lavoro
de' secoli e delle prove onde la vita delle generazioni umane
va di mano in mano informando ed afiinando l'opera sua;
così mal potremmo comprendere l'intelletto di Alberigo, e
la parte ch'egli ebbe nella restaurazione dell'idea del Di-
ritto, senza volger l'occhio al passato, notando i germi di
tale idea ne' ricordi delle età trascorse, e specialmente in
quelli della Patria nostra, che ne fu prima istitutrice e mae-
stra alle Nazioni. — E questo sarà l'obbietto dell'odierna e
della seguente Lettura. In altra riunione — se al mio dire
* Nel suo Discorso intorno ad Alberigo Gentili, pi*bnunciato in Oxford
il 7 novembre 1874. Oggi poi, per cura dello stesso professore Holland,
sotto gli auspici di. quella Università e del Comitato inglese per le ono-
ranze al giureconsulto italiano, è uscita alla luce una nuova ed elegante
edizione dell' opera De Jure Belli, — {Nota deW Autore.)
194 SU ALBERIGO GENTILI.
non verrà meno la vostra indulgenza — io vi parlerò più par-
ticolarmente di Alberigo e delle sue dottrine, non essendo
possibile st^gere ne' limiti di una sola Dissertazione il vasto
argomento. Del quale io non presumo già vanamente di
esporvi in forma adeguata tutti gV intendimenti e le atti-
nenze ; bastando all'assunto mio, alle deboli forze e al com-
pito breve e passeggiero, se mi verrà fatto di abbozzarvi un
indice — per così dire — di materie e di studi che voi po-
trete, 0 giovani, con l'ingegno e con l'animo devoto alla
Patria, esplicare e condurre a più maturo termine.
La elementare disposizione de' congregati, in qiialsiasi
grado di società, a ripetere l'equa parte dei benefici nel co-
mune consorzip, e la repulsione all' arbitrio e alla violenza
usurpatrice sono gli elementi primi e spontanei delle nozioni
del Diritto e della Giustizia : le quali nascono dal fondo
stesso dell'umana natura, e prendono forma distinta e virtù
operativa, secondo che l'Uomo acquista coscienza della sua
personalità libera e responsabile e de' legami che lo congiun-
gono a' suoi simili. Le faville del Vero e del Giusto covano,
sovente per lunga età, nell'anima de' diseredati e degli op-
pressi, sinché, giunta l'ora, prorompono all'aperto e guidano
le moltitudini soggette a postulati di più larghi ordini di
naturale comunanza contro il privilegio dominante e i co-
stumi sovr' esso fondati. Così, al fato delle caste indiane si
ribella il sentimento della umana eguaglianza, nella morale
di Budda ; ai barbari imperi delle tribù guerriere dell'Asia,
il riioto dell'umana libertà nelle stirpi che incivilirono pere-
grinando, le coste dell' Egèo ; al superbo ed avaro giure del
Patriziato Romano, le provocazioni della Plebe al diritto
della comune cittadinanza ; all' isolamento ostile delle Na-
zioni e alla guerra perpetua del mondo antico, la universale
carità .della fratellanza cristiana. I mali che la ingiustizia
genera, danno poi ai savi argomento di riflessione; e gì' in-
tenti dell'offesa coscienza de' Popoli diventano — ordinati al
loro fine ideale — teoremi di civile filosofia.
L'istinto spontaneo della natura, assistito dalle iniziazioni
religiose e dagli stimoli delle feconde antitesi della Storia,
precede necessariamente i giudizi della ragione e della scien-
za: ma la ragione e la scienza, raccolti gli ammaesfxamenti
delle cose passate, diventano lume e guida alle cose future;
e ciò che innanzi mosse da naturale impulso per incerto cam-
LETTURA PRIMA. 195
mino, si fa determinato indirizzo di consapevole elezione a
conosciuto fine.
Del quale procedimento volendo qui toccare le parti che
più specialmente riguardano il Diritto delle Genti, in rela-
zione a que'lumi di umanità che lo vennero di mano in mano
traendo dalla barbarie primitiva a disciplina di civile co-
stume, io non risalirò sino alle origini della storia, fra i mi-
steri dell'Asia sacerdotale; sì perchè nell'antico Oriente
r Uomo — confondendo sé col gran Tutto, sotto l' impero
d' immobili Teocrazie, o reputandosi, come fra gli Ebrei, stru-
mento predestinato della volontà di Geova — mal poteva in-
formar r animo d' alcun distinto concetto delle facoltà del-
l'umana persona", sì perchè tale ricerca avrebbe poca attinenza
con la dottrina del nostro Giureconsulto, la cui erudizione
storica non va, fuor della Bibbia, oltre la Grecia; spazia
principalmente nei campi della giurisprudenza Romina; e
dai precetti delle Sacre Carte prende sol quanto si conforma
al senso umano e alla giustizia civile, respingendo in più luo-
ghi, come arcano da lasciare ai Teologi, ciò eh' egli giudica
dall'uno e dall'altra discorde.
Però, fatto alcun cenno della Grecia, io riandrò qui bre-
vemente con voi le antiche traccie di una più umana forma
di Pubblico Diritto nei riti dell' Italia primitiva e ne' ricordi
della Romana ragione; toccherò, in questa e nella seconda
lettura, delle congiunte influenze di Roma civile e di Roma
cristiana nel medio-evo; per entrar poi nella condizione
de' tempi ond'ebbe nascimento e forma il libro del Diritto
di Guerra,^
La civiltà europea deve alla Grecia il dono immortale
della libertà della mente e della rispondenza e proporzione
della forma al pensiero che in questa s' incarna e vive. Nel
vario agitarsi delle stirpi elleniche date alle navigazioni, ai
traffici, all'armi, l' uomo-individuo si affranca dalla fatalità
delle caste «e dai dogmi panteistici dell'Oriente: d'onde il
Diritto e l'Arte e la Filosofia. Ma la individualità greca cir-
*■ Ai giovani che si occupano della scienza del Diritto pubblico ne' suoi
rupporti coi progressi della civiltà, mi è grato ricordar qui, per loro utile
« per tributo di riconoscente ammirazione all'autore, un'opera di gran
mole che congiunge alla, verità de' principi una vasta suppellettile di no-
tizie sulla storia dell' intelletto umano e delle istituzioni ae' popoli, nelle
varie età dell'incivilimento: quella, cioè, del Laurent, Étudea sur VHiatoire
de rffumanité, — {Nota delV Autore.)
'Ati.ji\.gu.,
196 SU ALBERIGO GENTILI.
coscrive il Diritto nella città: l'egoismo personale s'integra
neir egoismo cittadino : intende a far bello e glorioso il pa-
trio nido, dominando i vicini e gli estranei, e non soffre vin-
colo di mutui uffici fra le varie parti della Nazione, comechè
ne celebri, ne' Templi degli Dei e ne' pubblici giuochi, la sa-
cra parentela. D' onde la fugace grandezza e il rapido sca-
dimento della greca indipendenza e libertà. Da Talete a
Platone e ad Aristotile, i grandi intelletti della Grecia videro
il male e specularono il rimedio, cercandolo in uno stabile
ordinamento federale che fermasse la concordia fra le città
rivali; ma l'indole e le vicende della razza non offerivano
materia adatta alla idea de' suoi savi; e le ambizioni egemo-
niache di Sparta, di Tebe, di Atene, sopraffecero a gara il
buon diritto della comune associazione. La guerra del Pelo-
ponneso è il dramma fatale dello spirito greco. La brama
di dominio, gli odi intestini e la violenza- prevalgono sopra
ogni rispetto di umanità e di giustizia; e la coltissima Atene
proclama senz' ambagi la ragion del più forte.* Questo, fra
greci e greci. Fra greci e barbari, nessuna ragion di diritto
e d'umanità: caccia, preda, sterminio la gueri'a: i nemici
non uccisi, servi del vincitore: ai supplici, agli stranieri,
unico rifugio la privata religione dell'ospizio, sacra al fojco-
lare domestico degli EUeni. L'Anfizionato fu strumento ai riti
comuni, non istituto efficace di unione politica : e 1' x)racolo
stesso della Delfica Deità diede invano ammonimenti umani
agli animi parteggianti e in guerra eterna fra loro. Quando,
nell'ultimo pericolo della ellenica libertà, Arato e Filope-
mene tentarono farvi riparo con la Lega Achea^ le sorti eran
già tratte: la Grecia era condannata a perire.
In vero, essa avea adempiuto il suo ufficio possibile nella
storia della civiltà : per essa eran surti — comechè ristretti
entro privilegi di classe — i primi istituti della libertà cit-
tadina : i migliori suoi figli, ispirati dall' amore della terra
nativa, aveano fatto schermo de'lor petti all'Europa contro
la barbarie asiatica; e la industre virtù del suo ingegno,
aprendo l' ali a tutta la varietà delle speculazioni del pen-
siero, avea indagato con la ragione e assemprato con l'arte,
in forma insuperata da poi, l'idea divina dalle cose uni-
* Vedi in Tucidide, lib. V, §§ 85, 111, gli argomenti delegati ateniési
a ^uei di Melo, per costrìngerli a scostarsi dai Lacedemoni, di cui erano
coloni, ed obbedire ad Atene. — - [Nota delV Autore,)
1
LETTURA PRIMA. 197
verse; sì che l'apollinea armonia della mente ellenica di-
venne il metro e la norma della coltura europea. E questo
fu il frutto non perituro della breve sua vita. I termini sa-
cri della patria politica e la ostile distinzione posta dall'or-
goglio greco fra Elioni e Barbari non valsero ad impedire
la universalità della greca iniziazione. Socrate muore obbe-
diente alle leggi di Atene; il cittadino sacrifica al patrio
giure Vuomo e il filosofo; ma la sua dottrina è cosa della
universale città dell' uman genere, e il mondo la farà sua.
Il suo spirito, spezzato il coperchio del sepolcro, illuminerà
della sua luce tutta la terra. Gli ammaestramenti del Savio
di Atene sono guida al genio ideale di Platone e al genio
sperimentativo di Aristotile ; e diventano, loro mercè, scuola
ai progressi ulteriori dell' umano intelletto. Le conquiste di
Alessandro preparano le vie al connubio della greca filosofia
con la fede cristiana ; * la conquista di Eoma, al fecondo con-
tatto delle dottrine morali e politiche delle scuole di Atene
con la ragion pratica de' nostri antichi.
Splende sulle origini della civiltà ellenica un mito che ne
simboleggia a maraviglia l' ufiìcio. Prometeo è il Verbo della
Grecia alla coscienza delle Nazióni, ed Eschilo ne è il fati-
dico interprete. Indarno il ministro dell'ira di Giove inchioda
— dolente dell' opera sua — alla rupe del Caucaso il donatore
del fuoco eterno ai mortali. Indarno il Potere e la Forza
* AHempi di Alessandro il Grande, quando già la vita interna della
città ellenica avea dato quanto era in essa di vigor nativo, e il giovine
conquistatore, trasportando la Grecia ia Asia, concepiva, tra i consigli
de' filosofi e l'armi, il disegno di educare a civiltà la barbarie; Zenone
precorreva con le sue dottrine morali alla coscienza di una comune voca-
zione de' popoli, neU'arrlngo della coltura civile, e all'idea della umana
università; non ammettendo altra distinzione fra gli uomini da quella in
fuori che deriva dalla virtii e dal vizio, e li fa buoni o malvagi. Intorno
a che meritano di essere notate le memorabiU parole di Plutarco, nel-
r opuscolo Della fortuna o virtii di Alessandro, (Vegga chi non sappia di
greco, la classica traduzione degli opuscoli di Plutarco, per Marcello Adriani,
con note di Francesco Ambrosoli); parole che, sotto la pompa del pane-
girico, mettono in rilievo un fatto reale e di grande momento pe'suoi
effetti nella civiltà de' tempi che seguirono: lo esplicarsi, cioè, de' senti-
menti e delle idee de' Greci fuor della cerchia antica de' loro miti e delle
loro istituzioni, abbracciando più vasti intenti, ed intrecciandosi ad estranee
tradizioni e colture: di che poi si venne formando quel temperamento di
disposizioni intellettuali e morali, mercè il quale tanto fruttò fra i Gen-
tili l'apostolato cristiano. Questo stesso argomento fu da me toccato in
una serie d'articoU sulle dottrine religiose e morali di G. Mazzini, nel
periodico la Bontà del Popolo, e più specialmente nel numero del 80 no-
vembre 1871, fiotto il titolo: Del sentimento delV umanità e della Scienza
de? suoi progressi, — {Nota delV Autore,)
198 SU ALBERIGO GENTILI.
fanno guardia al preveggente Pensiero* La divina fiamma è
immortale; né varranno a spegnerla potenza ed arti di sa-
cerdoti e tiranni. Essa brillerà di generazione in generazione,
nelle scuole e nelle carceri, sai patiboli e lango le squallide
vie dell'esilio; gitterà scintille animatrici dalle tombe dei
profeti e dei martiri, foriera perenne di proteste e di lotta,
sinché i Popoli tatti, celebrandone con fraterno rito la santa
e benefica natura, non la ripongano — segno inviolabile della
medesimezza de' loro destini — nel Tempio della comune giu-
stizia e libertà.
Ad altra terra era serbato di fare uscir la Filosofia dalle
scuole per associarla alle operosità della vita, armonizzando
col pensiero Variane: e questa terra è la patria dei nostri
padri,' la vostra terra, o giovani : la quale apparve ab antico,
per natura e costume, quasi privilegiata a questo ufficio ci-
vile. — Pitagora, presa stanca in Italia, applica i numeri
de' moti celesti all' ordine della umana società : e — se n' é
dato raccogliere, a traverso la nebulosa distanza de' tempi,
qualche segno delle antiche tradizioni — posto il fondamento
della scienza dell'Uomo nella sua natura morale, converte
il magistero speculativo in pratico sodalizio di virtù, predi-
cando concordia alle città della Magna Grecia, pace e fra-
ternità fra gli uomini. La tradizione stessa che fa di Nama
un discepolo del filosofo di Crotone — comeché gl'istituti at-
tribuiti al primo siano anteriori all'iniziazione pitagorica —
addita, perciò appunto, una remotissima umanità di natio
costume ne' prischi popoli della terra Saturnia. AH' opposto
delle stirpi elleniche, gì' Itali primitivi rivelano nelle loro fe-
derazioni la coscienza di un Diritto che si allarga oltre la
cerchia della città solitaria. Le celebrazioni del culto comune
non sono — fra gli Etruschi, i Latini, i Sabini — mere ceri-
monie religiose come fra i Greci, ma convegni e consigli di
utilità civile. Gli ceqtm foedera e i riti feciali, di cui la storia
de' primi tempi di Roma ci ha serbato i ricordi, vogliono
considerarsi ordini e forme di scambievole giustizia, costi-
tuenti, fra quei nostri antichi, un vero Jus Gentium, del
quale importerebbe ricostruire quanto é possibile sui fram-
menti noti -— a documento domestico di antica virtù civile —
la forma vera ; ** come lo studioso della zoologia preistorica
* Il professore Pietro EUero in quella sua Prolusione sui Vincoli dei-
VUmana Alleanza (Bologna, 15 gennaio 1876), che fu un inno della scienza
LETTURA PRIMA. 199
indovina, da qiialche avanzo fossile d'incognite ossa, la strut-
tura dell'intero animale.
La* conquista romana, cominciata dalla necessità della di-
fesa, e nutrita dalla ambizione di un Popolo presago della
grandezza de' suoi destini, spense sotto il suo giure di domi-
nio e di patronato le libere e più eulte forme del giure natio
dell'italica civiltà; e fu un regresso, rispetto alla giustizia
de' prischi istituti. Ma sono scusa immortale alle gesta guer-
riere di Roma, le galliche invasioni respinte, la virtù del-
l'animo che spezza il ferro di Brenno e vince Pirro ed An-
al primato civile d' Italia e di Roma nella società delle genti europee, e
dalla quale l'autore delle presenti Letture trasse nuovo conforto ai propri
convincimenti — dice del Diritto feciaìe degl' Itali primitivi : e Ma ogni
gloria avanza il gius de^ fecialif detto da Cicerone santissimo gius, lì quale
prova quanto solennemente gli avi nostri nella piìi oscura notte de' tempi
affermassero i doveri supremi della giustizia, della moderazione e della
pace. £ dico gli avi nostri: imperocché, come Roma nacque da più italiche
stii*pi, e fu anzi delle medesime rifugio^ e ne prese il sangue, gl'istituti
e fin le belliche ordinanze, e questo gius prese, che pò tea dirsi comune
a tutte. Certo è che lo ebbero innanzi gli equìcoli (ond'ella lo trasse), gli
ardeeti, i faliscì, gli albani e i sanniti ; e che la federazione per la guerra
sociale è, nelle monete sannitiche, espressa con un fecìale genuflesso : sim-
bolo sacro della unione italiana, cui serbino gli dei immortali eterna. »
E, intomo alle anfizioniche adunanze de' nostri antichi, soggiunge : e Men-
ziona Livio i concili degli ernici, equi, volsci, sanniti, liguri; e teneano
parlamentò gli etruschi nel tempio della dea Voltumna, i sabini a Cure,
e i prischi latini nel sacro bosco e tempio di Diana in Aricia, in altro
tempio presso Lavinio e principalmente nel Luco Ferentino. Nel tempio
dì Giove Laziale, sul Monte Albano, accorrevano alle feste e alle suppli-
cazioni, note col nome famoso di ferie latine, quarantasette città, compresa
la romana, rappresentate da' propri magistrati, tra cui distribuivansi le
carni della gran vittima. Ma anche più popoli italici, di diversa stirpe
e lega, parlamentavano e sacrificavano assieme, sì oome gli etruschi e i
volsci, i sabini e i latini, nelle feste della dea Feronia (dea della libertà,
-secondo Strabene): ed apparisce inoltre dalle Tavole eugubine, che certi
popoli toscani concorrevano ai sacrifici degli umbri, ed erano partecipi
di templi e riti comuni.... > E osserva che < la Grecia nella vita pratica (non
dico nella vita del pensiero) non si estolle sov]*a Io spìrito di città: e perciò
ella laiscia cadérsi di mano la fiaccola con cui poscia Roma, che prima si
estolle allo spirito di umanità, illumina il mondo : e lo illumina ancora
di tanta luce, che niuna barbarica burbanza e ni una accademica arroganza
varranno ad .estinguere mai. » (Ellero, Scritti politici, Bologna, 1876,
pag. 884-36). Parole giustamente sdegnose contro quella critica straniera
deUe cose romane e de' romani ingegni, onde taluni dotti d'oltr'Alpe si
studiano di. oscurare le nostre glorie antiche, quasi a vendetta della do-
minazione patita dai loro barbari progenitori, dimenticando il lungo scem-
pio con che i discendenti di Arminio fecero scontare alla stirpe latina
la colpa d'essere stata civile prima di loro, e proseguendo dalle cattedre,
ne' recinti delle Accademie e ne' libri, emulazioni e gareggiamenti che non
hanne, per fortuna, più senso alcuno nella coscienza de' Popoli, ravvici-
nati dalia Legge del comune progresso.
Vedi, intomo ai costumi degl' Itali antichi, fra que* nostri che ne trat-
tarono con più studio ed amore, Micalt, L'Italia avanti il dominio de* Ro-
mam, voi. I; e Atto Vannucci, Storia dell'Italia antica, \oì.l. — {Nota del-
VAutore.)
200 SU ALBERIGO GENTILI.
nibale, e i Cimbri e i Teutoni ; e fa dell' Italia un baluardo
sacro alla civiltà del mondo antico, contro la barbara ferità.
D'onde il campo dato, negli ordini interni della dominatrice
Kepubblica, allo svolgersi della popolare equità, fonte a' fu-
turi incrementi della ragion privata e pubblica fra le Na-
zioni. Perchè, in quell'asilo aperto, sin dalle origini, dal genio
della Città-Madre al concorso delle genti, se gli ospiti e gli
aggregati deponevano sull'altare del romano diritto la veste
di lor particolari cittadinanze, vi recavano per converso, rin-
novellato dal sacrificio di lor tradizioni, il vivo senso della
loro natura d'uomini e d'eguali; e le proteste della plebe
contro le dure leggi della città patrizia prenunziano i fasti
dell'umano progresso, emancipando le persone e associando
i connubi, i riti e gli uffici della cittadinanza comune.
Faccian prova i patrizi di serbare intatta la triste e se-
vera disciplina degli avi, usin lor arti ad escludere la plebe
dal privilegio degli auspici, dalla partecipazione agli uffici,
dalla conoscenza delle formole legali ; aggiungano, i più mal-
vagi, alla parzialità delle leggi gl'impeti di lor passioni avare
o inoneste, manomettendo con le usure gli averi, e col car-
cere privato le persone dei debitori,* oltraggiando il pudore
degli adolescenti,* insidiando la castità delle vergini ne' foco-
lari plebei : — alle sevizie de' prestatori risponderà il grido
del popolo per la libertà personale dei debitori ; < il credito
obblighi i beni, non la persona : > pecunice creditce bona de-
bitoris, non corpus, òbnoxium sit;^ alla libidine patrizia farà
contrasto la fiera pietà di Virginio : alle privilegiate religioni
e all'orgoglio ereditario de' Padri, la coscienza del comune
diritto. < Si eguaglino le leggi, si eguagli la libertà: > tequandce
leges, cequanda Ubertas : ecco la voce che sorge dal cuore di
un Popolo non nato a servire.
Nelle rogazioni di Canuleio, per la comunanza de' connubi
e degli uffici fra patrizi e plebei, si sostanzia lo spirito della
Storia civile di Boma. In Grecia, il dogma delle due nature
s' impone alla ragion de' filosofi. Socrate e Platone non ne
vanno immuni. Aristotile ne fa la premessa de' suoi argo-
menti in favore della servitù e della supremazia della classe
eulta e censita sull'altre, nel governo dello Stato : prima ra-
» Liv., HÌst,, II, 23: — {Nota deW Autore,)
« Id., Vili, 28. — {Nota deW Autore.)
» Id., ibid. — {Nota delV Autore,)
LETTURA PRIMA. 201
dice del dottrinarismo antico e moderno. Roma, aU' incontro,
accoglie nelle sue mura la italica umanità, sorgente viva
della sua ragion civile. Eaccogliamo, in brevi tratti, i segni
della coscienza de' nostri antichi, dalle pagine del grande
interprete della loro Storia. Nel linguaggio che Livio pone
in bocca ai patrizi, contro le riforme proposte dal magna-
nimo tribuno, voi sentite gli ultimi accenti delle schiatte pri-
vilegiate e sacre deirAntichità, repugnanti, come da impura
miscela, dal. contatto con gli stranieri e co' vinti : < volersi
con tali novità, contaminare lor sangue, confondere i diritti
delle genti ; invilire, abbassandolo al volgo, il sommo impe-
riò: mescolarsi, quasi a mo' di fiere, le nozze dei plebei e
de' Padri: > — contaminari sanguinem suum,confundi jura gen-
tium, vulgari cum infimis summum imperium.... Ferarumprope
ritu vulgari conmhitus plébis Patrumque.^ — E Canuleio di
rispondere : < Che altro intendiam noi con queste proposte,
se non ammonirli che siamo lor cittadini, e che, se non pos-
sediamo ricchezze eguali alle loro, abitiamo però la medesima
patria ?... Non sentite in che disprezzo vi tengono ? Vi tol-
gano or dunque, se sanno, parte di questa luce. S' indegnano
che respiriate, che abbiate voce, favella, sembianze d'uomini....
Lor superbissime leggi parti scono la civile società, fanno due
città d'una sola.... Noi questo unicamente chiediamo, d'essere
tenuti in conto d'uomini e di cittadini. > '
Questo senso di umanità e di eguaglianza civile, anima
ne' migliori secoli di Roma repubblicana tutto il moto della
storia interna della città, sotto i .presidi legali del tribunato
e dell'appello al popolo: duas arces Ubertatis tuend<B;^ pre-
viene, mercè il rispetto delle leggi e la magnanimità di un
comune amor patrio, la violenza fra le due parti; agisce, con
provvidi e spesso generosi consigli, sulle guerre, sulle paci,
sul trattamento dei vinti; tempera con la naturale equità
la rigida osservanza del Diritto; con la istituzione del pretore
» LiT., IV, ly2, — {Nota dell'Autore.)
* Ibid, 3, 4: « .... quìbus (rogationibus) quid alìud quam admonemus,
-cives nos eorum esse, et, si non easdem opes habere, eandem tamen pa-
trìam ìncolere?... JGcquld sentitis, in quanto contemptu yivatis? Lucis
vobis huìus partem, si liceat, adìmant. Quod spiratis, quod vocem mittitis,
-quod formaa hominum habetis, indignantur.... id vos sublegis Buperbissimae
vincula coniicitis, qua dirimatia societatem civilem, duasque ex una civitate
faeiatis.... Nec, quod nos ex connubio vestro petatnus, quicquam est, prae-
terqnam ut hominum, ut civium numero simus.... » — {Nota deW Autore,)
» Liv., Ili, 4&. — {Nota deir Autore.).
Xn. 14
202 SU ALBERIGO GENTILI.
peregrino, la condizione de' forestieri : e crea di mano in
mano dinanzi al popolo -— giudice della condotta de' magi-
strati, de' responsi dei giureconsulti e della innovatrice elo-
quenza degli oratori — quel monumento stupendo di Ragion
Civile, che fu esempio e scorta a quante Legislazioni venner
dappoi. E alla Ragion Civile del Popolo Romano rispose la
civile sapienza de' suoi filosofi, segnatamente Cicerone, mas-
simo fra questi. Nella mente del quale le speculazioni dei
Greci, ritemprate all'impronta italica, presero sostanza e
forma di pratica realità e di definita giustizia. Cicerone è
familiare ai più come oratore, ai dotti soltanto come insigne
interprete della Filosofia del Diritto. Nel che veramente
consiste la maggiore opera del suo ingegno, in relazione ai
progressi delle dottrine giuridiche. L' idea della natia dispo-
sizione dell'Uomo a vivere in società, e di un ordine provvi-
denziale dell'umana convivenza, secondo le cui leggi le con-
dizioni necessarie a raggiungere il fine della comune utilità
collimano con i principi dell'onesto e del retto, uscì compiuta
dalla mente del pensatore d'Arpino; e fu guida a chi entrò
dopo di lui nell'arringo della scienza civile.* L'uomo, più co-
nosce sé stesso più sente la sua natura sociale, ed è da na-
tura portato ad unirsi ai suoi simili, ad amarli, a beneficarli.
Non per vivere solitario ed errante come le fiere, ma per
celebrare, padroneggiando le proprie passioni, i sacri legami
dell'umano consorzio, egli ebbe dagl'Iddii la ragione e la
parola. Per quella, sorgono dall'intimo animo suo le faville
del Buono e del Giusto; per questa, gli è dato svolgere e
propagare, conversando, il frutto delle sue facoltà. Le carità
dell'umana parentela devono estendersi a tutta la umana
* Per questo compendio delle dottrine di Cicerone, intorno alla ragion
del Diritto, ai fondamenti della umana società e alle regole della guerra,
vedi a riscontro i suoi libri De Legibus, De Repuhlica, De Officìis, ec. ; e in
particolare, De Legihua, I, 6, 6, 7, 10, 16, 16, 28; II, 4, 7, 14 ; HI, 4, 23 ; De
Bepublica, I, 26; De Officiis, passim; e, per le cose della guerra, ivi, I, 11,
12, 13, 23, 24. La fama di Cicerone fu, come quella di Dante, bistrattata,
con superficiali giudizi, da un uomo illustre e, per altre parti del suo sa-
pere, benemerito degli studi storici, il Mommsen. Coi cenili ch'io qui offro
ai giovani studiosi delle cose patrie sulle dottrine di Cicerone, come con
quelli che, nella seconda Lettura, si riferiscono a Dante, non presumo di
adempiere adeguatamente l'ufficio della rivendicazione nazionale de* no-
stri Grandi, nia di ricordarne il debito ai cultori italiani dell' italiana
sapienza.
Intanto mi è grato citare, in questo luogo, la Dissertazione del dot-
tissimo Vallauri, De italorum doetrina a ealumniis Mommseni vindicata,
^orino, 1873. — {Nota dell'Autore.)
' wr-*^^*i?^
LETTURA PRIMA. 203
specie, perchè ciascuno di noi è parte di una stessa famiglia,
sotto il governo della Mente Suprema regolatrice dell'Uni-
verso. Ma la scala degli uffici civili dee seguir l'ordine delle
naturali relazioni, secondo che queste ci stringono più o men
da vicino : onde noi ci dobbiam prima alla famiglia, poi agli
amici e alla città in cui siam nati, e infine agli uomini in
genere, senza distinzione di razza e di condizione sociale. Si
noti però che Cicerone, mentre poneva quest'ordine agli uf-
fici privati, inalzava con romano concetto la Repubblica o,
come diremmo noi moderni, la Patria sopra ogni altro le-
game, e prescriveva, primo dovere al cittadino, il sacrificio
di sé al pubblico bene.* Né, così graduando i doveri, inten-
deva che i rispettivi vincoli dovessero preoccuparci per modo
da farne dimentichi del comun fine dell'umana associazione;
sì che, curando i parenti, gli amici, i cittadini, fossero da
negligere gli stranieri, gì' inferiori, i lontani. Che, se i diversi
Popoli hanno costumi ed ordini propri dai quali s' informa
un particolare storico diritto delle genti, sorge non pertanto
dalla comune natura della specie una regola di universale
giustizia, dalla quale, più che dalle leggi delle XII Tavole e
dagli editti del Pretore, vogliono prendersi le norme della
bontà degli umani istituti e delle umane azioni. Cicerone,
adunque, ponendo l'origine e il fondamento del giusto nel-
l'intima e comune natura dell'uomo, ed estendendone con
essa natura le applicazioni alla universalità del genere umano,
è da considerare, sì per l'ampiezza della dottrina come per
l'ordine^ logico e pel valor pratico delle conseguenze che ne
deduce, vero fondatoive della ragion filosofica del Diritto, e
precursore della moderna scienza civile, ancor più di quei
Greci, maestri suoi, dai quali egli trasse i primi lumi della
sua coltura. E basti in prova di ciò il ricordare quello ch'egli
sente intorno agli stranieri, ai diseredati della fortuna, ed
ai servi:
< Una stessa legge di natura tutti ci abbraccia^... e però....
chi dice doversi tener conto de' diritti de' cittadini, non de-
gli estrani, quegli scinde la comune società del genere umano :
^ De Off», 1, 17. « Sed eum omnia ratìone, animoque lustreris, omnium
societatum nulla est gravior, nulla oarior, quam ea, quae cuna republica
est unicuique nostrum. Cari sunt parentes, cari liberi, propinqui, fami-
liares ; sed omnes otunium caritates patria una complexa est ; prò qua
quis bonus dubitat mortem oppetere, si ei sit profuturus ?» — {Nota del'
l'Autore,)
. fmi V
204 8t^ ALBERIGO G£NTILL
soppressa la quale, sono dÌTelte dalla radice la beneficenza,
la liberalità, la bontà, la giustizia. > *
E, per questa medesima ragione, egli raccomanda — quasi
precorrendo alla morale cristiana — la carità verso i poveri: '
perocché, nel suo concetto, la carità e la giustìzia siano com-
pagne, e la beneficenza operosa debbasi anteporre alla inerte
coltura della mente.'
£, quanto alla servitù, se da una parte Tautorità del co-
stume e la dottrina messa innanzi da Aristotile a giustifi-
carla lo ritengon sospeso, la larghezza della sua mente e
l'abito civile dell'antica domesticità italica lo conducono a
non escludere dalle regole della comune giustizia la condi-
zione servile. < Ricorderemo poi che anche verso gì' infimi è
da servare giustizia : ed infine è la condizione e la fortuna
dei servi; de' quali, come bene insegnano taluni, dobbiamo
usare come di mercenari, esigendo l'opera loro e retribuen-
dola giustamente. > * — Voi già sentite che, nella dottrina ci-
vile del filosofo d'Arpino, sotto la veste del servo respira
r uomo. Non si tratta ormai più di cosa, madi persona che
presta 1' opera sua ed ha diritto ad onesti trattamenti e a
giusta mercede.
Le idee e i sentimenti umani hanno lor legge d'incre-
mento logico e morale. Ponete un principio che la ragione e
la coscienza riconoscan yer vero ; il tempo ne trarrà, presto
o tardi, le necessarie illazioni. Il concetto dell'eguale natura
e della comune società del genere umano abbraccia tutto
r insieme delle dottrine morali e giurìdiche di Cicerone. Non
passeranno due secoli, e la Giurisprudenza romana, la Giu-
risprudenza dell'Impero non ancora cristiano, dichiarerà per
bocca de' suoi più insigni interpreti — di Ulpiano, di Fioren-
tino — la servitù esser fcUto d' umano arbitrio, non di natu*
rale diritto. Udite il primo : < secondo il diritto civile, i servi
^ De Off,, 111,6. € .... Una continemur omnes, et eadem lege nata-
rse : .... Qui autem civium rationem dicunt habendam, externorum negant;
hi dirimunt communem hutnani generis sociefatem : qua sublata, beneficen*
tia, liberalitas, bonitas, justitia fundìtus tollitur. > — {Nota deW Autore,)
' De Off., II, 18. « Atque hsec benigni tas etiam reipublicse utilis est,
redimi a servitute eaptos, locupletar i tenuiorea.». Hanc ego consuetudinem
benienitatis largitioni munerum longe antepono. » — {Nota delP Autore»)
' De Off., I, 43. — {Nota deir Autore.)
* De Off., 1, 18. « Meminerimus autem, etiam adversus infimos justitiam
esse servandam. Est autem infima conditio et fortuna servorum ; quibus,
non male prsecipuunt qui ita jubent uti, ut mercenariiS; operatn exigendatn,
Justa jprcebenda. » — {Nota deW Autore»)
LETTURA PRIMA. 205
s' hanno per nulli, non però secondo la ragion naturale, per-
chè, quanto a questa, tutti gli uomini sono eguali..., per di-
ritto di natura tutti nascono liberi. > *
E Fiorentino : < la servitù è una consuetudine ' del giure
delle genti, per la quale V uomo viene sottoposto, contro na-
tura, air altrui dominio. > * — Così la umanità della tradi-
zione italica si compie idealmente per proprio moto, talché
non le manca, a tradursi in atto, che la virtù morale del
sentimento e dell'apostolato cristiano : perchè la intelligenza
per sé sola non basta a rigenerare la società.
Né gli accennati progressi recheranno sorpresa a chi con-
sideri le umane tendenze spontaneamente operanti nella sto-
ria di Boma, e secondate dalla ragione de' suoi filosofi e dai
precetti de' suoi giureconsulti; chi ricordi le facili e talvolta
pattuite manumissioni de' servi, la cittadinanza facilmente
accordata agli estrani ; chi ben comprenda infine il senso del
plauso solenne scoppiato, in Teatro, dall' animo della molti-
tudine, al verso di Terenzio:
Homo sum^ humani a me nil alienum puto.'
* Ulpianus, Fr. 32, D. 50, 17 : « Quod attinet ad jus civile, servi prò
nulU habentur; non tamen et jure naturali, quia quod ad jus naturale
attinet, omnes hominea cequalea aunt. » — Id. Fr. 4, D. 1, 1 : «' ctim jure natu-
rali omnes libéì'i naaeerentur,,., » — [Nota dell* Autore.)
' Flobentinus, 1, 4, § 1, D. 1, 5: « Servitus est constitutio juris gentium,
qua quia dominio alieno cantra naturam auhjicUur, » — {Nota dell'Autore.)
' Heautontùmorumeno8f v. 25. Uno dei segni più notevoli delle umane
disposizioni dell'opinione pubblica in Roma, rispetto alla sorte dei servi,
è il fatto ricordato da Tacito {Ann., XIY, 42-45) del soUevamento degli
animi sotto Nerone, nel caso di Pediano Secondo, contro il feroce senato
consulto che condannava all'estremo supplìzio tutti i servi di una casa,
nella quale uno di essi avesse ammazzato il padrone. Pediano Secondo,
pi'efetto di Boma, era stato ucciso da uno de' suoi schiavi. « Ora, doven-
dosi per antico costume — dice lo storico — far morire tutta la famiglia
che sotto quel tetto abitava, la plebe corse a difender tanti innocenti,
e fece sollevamento: e nel Senato stesso ad alcuni non piaceva tanta se-
verità;'ma i più niente volevano rimutare, tra i quali C. Cassio....; > il
quale fra gli altri argomenti da lui recati a sostenere il crudele partito,
uscì in questa sentenza: e Sospetta ai nostri antichi fu la natura degli
schiavi ; e quando anco nascevano con l'affezione ai padroni nelle istesse case
o ville; oggi che ne abbiamo in famiglia le Nazioni intere, di leggi e religioni
strane o nulle, non frenereste tal feccia d'uomini, se non con la paura*
Morranno degl'innocenti.... > Ma < ogni grande esempio ha qualche po' del-
l'iniquo eontro qualcuno.... » e giustificava quella immanità con la solita
ragione d'ogni tirannide, la salute pubblica: ^hàbet aliquid ex iniquo omne
magnum exemplum, quod centra ainguloa utilitate puhlica rependitur...» » — «Al
parer di Cassio ninno ardi contradir solo; ma uscì un tuono di voci mo«
venti a pietà del numero, dell'età, del sesso, e la maggior parte, senza
dubbào, innocenti. Vinse nondimeno la pai*te che voleva il supplizio; ma
non poteva esser ubbidita per lo popolo radunato, che minacciava aaaai e fuoco.
Cesare lo sgridò per bando; e pose soldati per tutta la via per la quale
206 SU ALBERIGO GENTILI.
Da consìmili principi di umanità e di giustizia deduce
Cicerone le regole che devono goyernare la guerra. Cpme ro-
mano, e alieno da speculazioni non applicabili alla pratica
della vita, egli non condanna in modo assoluto la guerra; e
considera la dominazione della Repubblica sui Popoli con-
quistati, qual necessario effetto dell'impero, dato dalla na-
tura al senno e al valore, sugl'incapaci a reggersi civilmente
da sé medesimi. Ma vuole che le cagioni, gl'intenti e i modi
della guerra sian giusti; che sia preceduta da tentativi di
pacifici accordi e da formali sfide, e che la buona fede pre-
sieda ad ogni suo atto.
Proprio dell' uomo il disputare con la ragione e la pa-
rola, delle belve con la violenza. Non doversi ricorrere alla
forza, se non fallita ogni prova di razionale composizione. E
intento della guerra dover essere la pace.* Non sciogliersi per
essa il vincolo della umana natura: onde l'obbligo, anche
fra' combattenti, di osservare taluni offici, di non incrudelire
coi vinti, di serbar modo nel vendicarsi e punire. Doversi,
negli assedi, accogliere, salva la vita, chi, deposte le armi,
ricorre alla tua fede, anche se l'ariete abbia già percosse le
mura.* Volere la nostra qusdità d'uomini, che nelle batta-
glie si combatta con questo ordine, non dilaniandosi come
belve : ' né che si distruggano e devastino con inconsulto fu-
andaro a morire i cattivi. » (Trad. di Dav.). e Cessar papulum edicto incre'
pnit, atqtte omne iter, quo damnati ad patnam dueebantur, milUaribu8 prcesidiis
8(tpsit. » E così i decreti della forza soffocano le voci deUa Umanità, sino a
che questa non trovi in sé virtù ohe basti a rivendicare i suoi diritti!
— {Nota deir Autore,)
^ De Off., Ij li. e Atqne in republica maxima conservanda sunt jora
belli. Nam cimi sint duo genera decertandi; unum per disceptationem,
alterum per vim; cumque illud proprium sit hominis, hoc belluarum:
confugiendum est ad posterius, si uti non lioet superiores. Quare sasci-
pienda quidem bella sunt ob eam eausam, ut sine injuria in pace viva-
tur.... » e Mea quidem sententia, paci, qu£e nihil habitura sit insidiarum,
semper est consulandum. » — Id., I, 23: « expetenda quidem magia est de-
cernendi, quam decertandi fortitudo.... Bellum autem susoipiatur, ut niliil
aliud, nisi pax qusesita videatur. » — In questi passi di Cicerone è il primo
inizio delle dottrine svolte da Alberigo Gentili nel suo De Jura Beili, e pro-
seguite dai moderni promotori degli arbitrati pacifici. -— [Noia deW Autore^)
^ De Off.f 1, 11. € Et cum iis, quos vi deviceris, consniendum est; tum
ii. qui, armis positis, ad imperatorum fidem confugient, quamvis murum
aries percusserit, recipiendi sunt. » Temperamento umano proposto da Ci-
cerone contro la legge bellica de' tempi, secondo la quale ai terrazzani, cbe
non si arrendevano prima dell'assalto, non era accordata mercè. Così
« Ca>8ar Adveticis denuntiat se eorum civitatem conservaturum,si/»rfM»jrt«ay»
aries murum attigieset, se dedidissent. » 11, Bell. Gali. — {Noia deìTAutarti.}
* De Off., I, 23. « Temere autem in acieversari, et manu cum hoste
confligere, immane quiddam et belluarum simile est.»— {^ota deìT Autore»)
LETTUBA PRIMA. 207
rore le città e le terre dei nemici.* Essere ufiftcio di magna-
nimo capitano, punire i colpevoli, servare incolume la mol-
titudine innocente, seguire in ogni fortuna il retto e l'onesto."
Questi e somiglianti, interprete Cicerone, i documenti della
civile sapienza ed equità — se non sempre della condotta pra-
tica — di Koma antica, intorno al Diritto di guerra : e ve-
dremo, a suo luogo, quanto di questi precetti del romano
filosofo siasi valso il Gentili, nel rivocare a giusti principi, e
ridurre ad una prima forma di scienza, la ragion delle genti.
Senonchè, i germi di pubblico diritto, sparsi da Cicerone
ne' suoi libri degli Offici e delle Leggi, non potevano ormai
più allignare nel mondo romano, né rispetto agli ordini in-
terni della cadente Repubblica né rispetto alle esterne rela-
zioni della medesima. Spenta, con l'antica religione della
Patria, l' autorità de' suoi popolari istituti, l' insidia dell' im-
pero, serbati i nomi della libertà, occupava la tirannide. I
magnanimi e forti eran caduti. Il volgo patrizio e plebeo
< meglio amava — dice Tacito — il presente sicuro che il
passato pericoloso. >' — < Né tale stato dispiaceva a' provin-
ciali, sospettanti del governo dello Stato e del popolo, per le
gare de' potenti, l' avarizia de' magistrati e lo spossato aiuto
delle Leggi, travolte da forza, da pratiche, da moneta. > * —
Così l'austero storico della servitù di Roma registra, con pro-
fonda brevità, la sentenza dei mutati destini.
La necessità che creò l' Impero rese impossibile ai cultori
della Ragion Civile il seguire le tradizioni dell'antica libertà
nella dottrina costituzionale dello Stato. Il concetto stoico
del savio principe, governante con razionale arbitrio secondo
i dettati della naturale giustizia e col consiglio de' migliori,
divenne l'idea archetipa de'giureconsulti e de' filosofi di Roma
^ De Off., I, 24. « De evertendis autem diripiendisque urbibus valde
considerandum est, ne quid temere, ne quid crudeliter. > — {Nota del-
l'Autore,)
2 De Off,, 1, 24. « Idque est viri magni, rebus agitatis (discusse e ben
ponderate le cose), punire sontes, multitudinem conservare, in omni for-
tuna recta atque honesta retinere. 9 — {Nota delV Autore,)
^ AnnctUuntt lib. I, 2. e .... cum ferocissimi i>er acies aut proscrip tiene
cecidissent, ceeteri nobili um, quanto quis servitio promptior, opìbus et
honoribus extoUerentur, ac novis ex rebus aneti tuta et prsesentia quam
voterà et perìculosa mallent. » — {Nota deìV Autore.)
* Annàlium, lib. I, 2. « Neque provinciae illum rerum statum abnuebant,
suspecto senatus populique imperio ob certamina potentium et avaritìam
magistratuum, invalido legum auxilio, qu8B vi, ambitu, postremo pecunia
turbabantur. » — {Nota dell'Autore),
208 SU ALBERIGO GENTILI.
imperiale, E quella idea parve assumer forma reale nel re-
gno degli Antonini e d' altri buoni, fra la colluvie de' tristi
imperatori. Ma più scadevano i tempi e gli animi, e la so-
cietà diveniva massa informe di vizi servili, tolta la sede del-
l' Impero all' Italia e data alla Grecia vanitosa e pedante,
r idea civile dell'ufficio sovrano fu convertita dalla adularion
bisantina e dalla servilità orientale nell'assoluto arbitrio del
supremo imperante; e quest' ultimo grado della decadenza
pagana nella ragion del Diritto, passato più tardi dalla Cri-
stianità Orientale alla Cristianità d'Occidente, fu il seme di
tutti i dispotismi e di tutte le abbiezioni, che resero ed an-
cor rendono —• dove più dove meno — travagliata e lenta
l'opera della civile libertà in Europa/
Similmente, abolita dalla universale dominazione di Roma
ogni forma di distinte autonomie di Stati, non era possibile
alcuna definizione di diritti e d'obblighi intemazionali; onde
i vestigi dell'antico giure delle genti italiche, e gli elementi
di una nozione organica del naturale Diritto, applicato alle
* Lo studio del Diritto antico — che, nella parte civile e veramente
umana, nutrì nel medio-evo i germi del nuovo incivilimento, meritando
il nome di ratio seripta — fruttò nella parte imperiale e bisantina, con-
cernente le prerogative della sovranità, i più perniciosi effetti nell'ordine
politico, e II fantasma della imperiale autorità romana — dice il Roma-
gnosi {DelVindoU e dui fattori deW Incivilimento j parte II, cap. VI, § 2) — avea
illuso la mente dei dotti e de' prudenti, sfornita di filosofìa giuridica ;
per cui nella pace stessa di Costanza consacrarono un alto dominio per-
manente nominale, effieiato soltanto sulle monete e sulle pergamene dei
così detti Vicari imperiali. Ma questi nomi, in mano dei potenti interni,
furono fatti prevalere con le armi, alle quali l'erronea coscienza de' Popoli
facilmente cedette. Inde mali labes, > £ il Mancini (Prolusione cit.) nota,
che : « il punto di partenza de' Glossatori della Scuola Bolognese essendo
il Diritto positivo dell'antica Roma, da questa fonte essi attingevano prìn-
cipi favorevoli alle pretensioni imperiali ; e benché dell' Impero né pur
rimanesse piìi il nome, essi consacrarono il loro ingegno e la loro influenza
a risuscitar questo nome, e ad aggiungere ad esso quanto piii potessero
della cosa, cercando attribuire agi' imperatori, ancorché stranieri, gU an-
tichi diritti e le prerogative della imperatoria dignità. Non leggevasi in-
fattinelle leggi romane del più corrotto periodo imperiale, che l'Impera-
tore fosse il padrone del mondo : Ego mundi dominua ? Essi eran persuasi,
così facendo, di restituire all'Italia un monumento della sua scaduta
grandezza, mentre invece tempravano i ceppi della sua secolare servitù. » —
E, in questa stessa sede di studi, Giuseppe Ceneri, in una sua dotta Pro>
lusione (al corso delle Pandette, 11 dicembre 1871), ponendo innanzi a' suoi
uditori la distinzione qui sopra toccata — fìra la ragion civile romana e la
teoria bisantina del potere imperiale — osserva a proposito di quest'ultima:
« £ così s' inizia per la Umanità quella lunga serie di guai che mette capo
nel primo titolo del Codice Giustinianeo, e che col volgere de' secoli s'in-
gigantisce nelle sanguinose guerre di religione, nella caccia ai liberi pen-
satori, nei tremendi e infami processi della Inquisizione, che si ebbe il
coraggio di chiamar Santa. » — {Nota deir Autore.)
LETTURA PRIMA. 209
scambievoli relazioni de' Popoli, che pur troviamo ancora
ne' libri di Cicerone, s' andarono risolvendo in un indefinito
cosmopolitismo, nel quale una promiscua benevolenza ab-
braccia tutti gli uomini, rovesciando la scala degli uffici isti-
tuita dal senno pratico dell'Arpinate, e poco curando que'gradi
intermedi di sociale cooperazione ~ famiglia, città, patria —
senza il cui appoggio e amore l' uomo-individuo, quasi nau-
frago nel < gran mare dell' essere >, mal può raggiungere il
porto del comune progresso. E invero, la dottrina de' filan-
tropi dell' Impero, e i voti caritativi di Seneca, di Epiteto e
di Marco Aurelio non approdarono ad alcun saldo effetto di
scienza e di azione. Fecero manifesto che, anche nelle età
più corrotte, mentre tutto precipita e si dissolve, sopravive
ne' più eletti spiriti la divina fiamma del Bene, per segno di >
futuri risorgimenti : ma la poca efficacia operativa della loro
filosofia, e la indifferenza stessa predicata da molti degli
stoici per le virtù della vita pubblica, il perire de' più nobili
affetti e il venir meno d' ogni capacità di fortemente volere
e fortemente operare, nella uniforme unità dell'Impero, pos-
sono ammonire anche noi moderni del veleno che s'asconde
sotto il prestigio di mal digeste teorie di astratta umanità
e di universale associazione, non graduata secondo i termini
naturali e i caratteri spontanei delle parti che devono, svol-
gendo ciascuna da sé la propria nota, contribuire con libera
congiunzione all'armonia dell'insieme.
Pur, se era, destino che la forma del Komano Impero do-
vesse, soggiacendo al peso della propria mole, disfarsi, l'idea
che in essa, secondo i tempi, avea preso abito e modo èra,
ne' suoi naturali elementi, destinata a rifiorire, continuando
il suo ministerio fra le genti che la invasione avea poste in
contatto con la educatrice virtù delle romane rovine. Quella
Roma, che avea congregato gli sparsi imperì, mitigato i riti
de' vinti, sottoposto a commercio di eulta favellale discordi
e fiere lingue di tanti popoli, e data umanità agli uomini:
quella Patria di tutte le genti, che chiamò cittadini i sog-
getti, congiungendoli con vincolo civile sotto la sua potestà :
quella Roma,, che uno de' più grandi poeti del nostro secolo
invocò < madre di pace e patria dell' anima > * — s'imponeva,
* Con queste parole io non fo che tradurre il concetto ideale della
coscienza patria degli antichi sull'ufficio umano e civile dì Roma, da essi
trasmesso all'età di mezzo, riassunto da Dante (Lettura II) e da Petrarca,
210 SU ALBERIGO GENTILI.
maestra e donna, alla Tenerazione de' barbari conquistatori.
E fatta cristiana — disposando, sotto gli auspici del suo gran
nome, agl'influssi della evangelica carità le domestiche tra-
dizioni della cÌTÌle Filosofia e del civile Diritto, impresse a
traverso i rivolgimenti della barbarie il proprio suggello alla
società rinascente. Me vi fu segno di ritentata coltura e ci-
viltà — da Teodorico a Carlo Magno e agli Ottoni e agli
Arrighi — che non fosse Romano.
£ mentre a Bisanzio la Chiesa sillogizzava sofismi di me-
tafisica inanità ed iva prostituendosi alla Corte imperiale,
sotto r Italico cielo sentiva il soffio dell'antica libertà e del-
l'antico senno; e, temperando la solitaria spiritualità del
dogma cristiano alle necessità della vita pratica, assumeva
sull'orme della romana giurisdizione l'anfizionato civile della
Cristianità d'Occidente.
e vivo ed operante ancora neU'anìma de' PopoU. Plinio {Hùt, Noi,, lib. Ili,
cap. VI) dice dell' Italia : « Omnium terrarum aliimna, eadem et x>a^ii8 •
mimine Deum eleeta, qae oo&lam ipsam clarius faceret, sparsa congre-
garet imperia, ritusque molliret, et tot popolorum discordes ferasque lin-
guas, sermonis commercio contraheret : colloquia et humanitatem homini
daret : breviterqae, una cunctarum gentium in tote orbe patria fieret >
£ Olaudiano, ne' tardi giorni dell'Impero cadente^cosi cantava di Roma:
H»e est, ingremiam vietos qiUB soU recepii,
HanLanamque geiiiis eommani nomine fovit,
Matrìs, non domin», rito; civesqae vocavit
Quo8 domoit, nexuqne pio longiuqne reyinxit.
£ Virgilio avea detto, assai prima, più superbamente di loro:
Tu regere imperio populos. Romane, memento:
H» tibi emnt arte«; paeisqae imponere morem,
Parcere snbjectia et debellare superbos.
Nel nostro secolo, Byi-on chiede a Roma la pace dell'anima, e profe-
tizza all'Italia il consenso dell' £uropa nella sua liberazione, in ammenda
de' mali ad essa inflitti :
Oh Rome! my country! city of the soni!
The orphans of the heart must tum to thee.^
{Childé Harold*a PUgrimage, canto IV.)
Yet. Italy!
Hother of Arts ! as once of arma ; thy hand
Was then onr guardian, and is stili onr guide;
Europe, repentant of her parricide.
Shall yet i-edeem thee, and, ali backward driven,
Boll the barbarian tide, and sue to be forgiven.
(Idem, ibid.)
D'onde le ispirazioni che Mazzini, a' dì nostri, convertì in fede ani-
matrice della sua lunga lotta pel riscatto della Patria, e in alto presen-
mento degli uffici che questa è chiamata a compiere nella comune ciTiltà
delle genti. — {Nota deìTAutoì-e.)
LETTURA PRIMA. 211
Secondaria in vero, dinanzi a questo gran fatto dell'antica
coltura custodita da Roma cristiana fra gli abbattimenti
della barbarie, è la questione della permanenza degli ordini
municipali sotto il ferro degl'invasori: dacché rimanevano
pur sempre incancellati — negli asili de' Templi e nel fóro
interiore della coscienza de' vinti, nelle pietre de' sepolcri e
negli avanzi delle lettere e delle arti latine — i ricordi fa-
miliari della grandezza antica e dell'antico giure. Da Boezio
a Gregorio Magno, da Cassiodoro a Gerberto, a Lanfranco,
a Bonaventura, a Tommaso d'Aquino, dove guardavano i
grandi istitutori della cristiana civiltà? Dove, se non alla
Roma d€^' padri, alla Roma datrice al mondo di leggi, di pa-
rola e di costume civile ? Or di qui sorgono appunto i primi
eleménti del nuovo Diritto delle Nazioni europee, e qui s' ini-
zian le forme di lor franchigie e di lor mutui legami. Avve-
gnaché, l'ideale politico del Pontificato romano non fosse
già, in origine, l'uniforme unità dell'antico impero: ma —
soggetta alla spirituale unità della religione, per gradi ge-
rarchici amministrata — la libera e civile associazione de' Po-
poli, distinti fra loro secondo le. proprie affinità, sedi ed
istituzioni, e insieme congiunti dal «vincolo della cristiana
fraternità, sotto l'arbitrato morale del Capo della Chiesa e
de' consulenti Concili. Il quale ufficio, esercitato con alti in-
tendimenti di civile bontà dai migliori e più grandi fra i
Papi del medio-evo, servì mirabilmente la Causa dell'umano
progresso. E padri della Chiesa e clero e Concili, raccogliendo
in sé l'intelletto de' tempi trascorsi, ed associando ai precetti
del Nazareno gli umani dettati de' Savi della Grecia e di
Roma, furon cagione che la miglior parte del Diritto cano-
nico desse ai nuovi Consorzi dei Popoli le prime norme di
equità e di giustizia, contrapponendo alle consuetudini bar-
bare i criteri dell'antica ragion civile. E chi pensi come la
costituzione della Chiesa d'Occidente, nel medioevo, si at-
tuasse non solo ne' negozi ecclesiastici, ma ne' civili e poli-
tici, per pubbliche assemblee e discussioni, serbando nei giu-
dizi le forme popolari della Legge romana — e clero e popolo
fossero insieme partecipi degli atti di lor comunanza sociale
— non si dee far maraviglia se alla violenza de' conquista-
tori,* già guadagnati alla fede e al costume dei vinti, succes-
sero a breve andare, sotto ordini di monarchie temperate,
quelle patteggiate franchigie che, per funzioni ed obblighi
212 SU ALBERIGO GENTILI.
scambievoli di ministerio e di fede giurata, fecero schermo
alle giovani energie della risorgente civiltà contro lo sfrenato
arbitrio della forza.
Diasi — senza sospetto di nuocere alla sentenza delPetà
presente contro la Chiesa di Roma — questa giusta testimo-
nianza alla verità della Storia e alla vita che in quella spirò
virtù e potenza di bene nell'epoca prescritta al suo ufficio
civile. Lunge da noi l'usanza volgare di confondere istituti,
uomini e tempi, distinti fra loro per concetti ed opere, nel-
r ira di un comune pregiudizio, figlio dell' ignoranza e delle
passioni di parte. Noi non faremo insipiente oltraggio al Pa-
pato di Gregorio Magno, di Silvestro II e d' Ildebrando —
al Papato interprete della Legge Morale, censore delle cor-
ruttele e delle iniquità de' potenti e difensore delle franchigie
de' Popoli — per le colpe posteriori de' Papi che predicarono
lo sterminio degli eretici, che sostituirono più tardi, in luogo
dèlie civili procedure antiche, la inquisizione e la tortura, e
per brama di temporale dominio divisero e diedero in preda
alle straniere invasioni la Patria nostra : de' Papi degeneri
che resero omaggio all' assoluta potestà dei monarchi e be-
nedissero, profanando Iddio, alla usurpazione, alla^onquista^
alla confusione delle genti, sotto l'arbitrio di Signorìe senza
legge. •
Cotesta intollerante parità di sentenze sul bene e sul male
delle umane istituzioni offende la giustizia dovuta alle età
che furono, e non giova all'età presente. La quale, ricono-
scendo la proporzione che gl'istituti della Chiesa ebbero in
altri tempi con la vita delle Nazioni, desume appunto da ciò
un invincibile argomento contro le odierne pretese di lei:
dacché tale proporzione è oggi irreparabilmente distrutta, sì
nel campo della scienza come in quello della vita civile. £ la
forma che servì alla educazione e alla tutela de' nostri padri,
esausta oggimai d'ogni succo vitale, potrà invero rimanere
venerato obbietto al sentimento e al costume di quelli fra i
contemporanei che di poco avanzano l' intelletto degli avi, e
monumento solenne alla religione de' ricordi santificata dalla
distanza del tempo: ma non imporsi più oltre, guida e mi-
nistra del sociale convitto, alla coscienza delle Nazioni. Onde,
trattano V ombre come cosa salda que' politici de' giorni nostri
i quali si danno ad intendere che possa ravvivarsi la spénta
armonia fra religione e civiltà — sia confederando la Chiesa
LETTURA PRIMA. 213
allo Stato, sia prosciogliendola da ogni giurisdizione della
potestà secolare: con certo pericolo, nel primo caso, d'illi-
berali pervertimenti nel governo della cosa pubblica; con
grave rischio, nel secondo, di ostili e perniciose insidie alla
educazione, alla libertà e allo spirito civile delle Nazioni : e,
vuoi neirùna via vuoi nell'altra, senza possibilità di sincero
accordo tra ragione e fede, se innanzi tutto — problema re-
condito dell'avvenire — la Chiesa non si trasformi radical-
mente, tanto nel dogma quanto nell'ordinamento esteriore:
divenendo, di Chiesa privilegiata de' Papi, liberà Chiesa della
universale umanità delle genti Perchè la questione non tocca
soltanto gli ordini costitutivi e le relazioni esterne delle due
potestà; non è lite meramente forense e politica come in
passato ; ma è più intima, e si fonda sul dissidio fra le dot-
trine cardinali della Teologia cristiana e . della tradizione
cattolica, e le nuove condizioni dell' intelletto umano, sì nel-
l'ordine scientifico come nell'ordine morale e civile. Le finali
armonie del principio religioso con le rivelazioni della scienza
e con le norme regolatrici della vita sociale sono ne' fati
dell'esser nostro; dacché l'uomo è uno nella intrinseca con-
nessione delle sue facoltà e nella rispondenza delle medesime
alla fondamentale unità della vita cosmica.* Ma gli accordi
*■ Se, nel processo dei fatti intellettuali e morali, ond'è testimone la
Storia della Umanità, havvi argomento d'indurre dai dati dell'esperienza
qualche indizio della legge del loro svolgimento psicologico, e della mèta
ideale a cui tendono, noi possiamo affermare che la medesima, svincolandosi
progressivamente, per l'azione dell'intelletto sulla coscienza, dall'involucro
dei miti, dei simboli e delle immagini antropomorfiche di cui la rivesti-
rono — secondo ì tempi e i luoghi — la fantasia e 1 pregiudizi dei Popoli,
va di mano in mano convertendosi, nelle menti eulte e ne' cuori elevati,
ad Tina idea più pura, più spirituale, più semplice della Divinità, e ad un
sentimento più intimo, più immediato, meno soggetto ad esterna autorità
di vicario ufficio, dell'ordine dell'Universo e de' doveri che ne conseguono
neU' umana compagnia. £ a questa tendenza del pensiero religioso — della
quale Herbert Spencer ha formulato una teorica razionale ne' suoi H'in-
cipt di Scienza Sociale (Prineiples of Soeiólogy) — rispondono la ragione e
la scienza, in quanto s'accostano a un concetto sempre più comprensivo
delle leggi che governano il mondo fisico e il mondo morale; e possono
eventualmente armonizzare con essa. La tendenza alla quale accenno si
manifesta, più o meno efficace nel seno stesso delle Chiese stabilite, si
nel campo cattolico che nel campo protestante. E, comechè legata in esse
alle tradizioni e ai dogmi del passato, esercita nondimeno su questi una
lenta ma continua azione trasformatrice, temperandoli, umanizzandoli e
— se mi è lecito di così esprimere il fatto — incivilendoli: quasi diresti
con procedimento psicologico analogo a quello che precorse e preparò, fra
il dissolversi delle antiche religioni, l'avvenimento del Cristianesimo: men-
tre, là dove l'idea religiosa si emancipa div ogni legame di credenze or-
todosse, essa assume la forma àe\Y unitarismo teistico, Ai cui furono primi
restitutori — all'epoca della Riforma — l'italiano Socino e i suoi Seguaci,
214 SU ALBERIGO GENTILI,
invocati non possono adempiersi, se non per legge di libero
e comune progresso nelP intelligenza degli obbietti d'eBse
e che noverò all'età nostra fra' suoi più operosi interpreti Channing e
Parker in America, Martineau ed altri in Inghilterra, Laurent nel Belgio,
Mazzini in Italia. Il quale, non solo annunciò la Legge del Progresso nel-
r ordine religioso, come correlativa agli altri progressi umani, per l' intrin-
seca connessione delle nostre facoltà; ma, aspirando all'Ideale più elevato
di tal moto, ne mostrò e avvivò con l'intelletto sintetico e con l'anima
credente tutti gli aspetti sociali, in relazione alla vita dell'uomo-individuo,
delle Nazioni e della Umanità collettiva.
Ora la libertà è senza dubbio la condizione prima e vitale della evo-
luzione spontanea delle idee religiose, come delle scientifiche e delle civili,
intorno a quegli alti e comuni archetipi verso cui le une e le altre sem-
brano essere indirizzate dalla intelligenza dell' Uomo, interprete — come dice
Dante — della natura e, ^er essa, del divino intelletto e di sua arte, nel-
r ordine dell' universo. E il solo modo che, nello stato p'resente delle cose e
degli animi, si possa escogitare a tutela della intrinseca libertà dello spi-
rito — cioè della fonte di tal moto, — mediante le intrinseche guarentigie
della libertà giuridica, è certamente la separazione della Chiesa dallo Stato.
Nel che volentieri n^'accordo con Marco Minghetti, il quale — nel libro da
lui pubblicato recentemente su tale soggetto — ne dimostrò con buoni ar-
gomenti razionali e con pratiche avvertenze l'opportunità, dinanzi ai pe-
rìcoli emergenti dall' inframmettersi delle due potenze negli uffici l'nna
dell'altra, e dalla loro confusione nel civile consorzio. £ sono lieto di que-
sto consentimento — non mio soltanto, ma di quanti hanno fede nella vir-
tuale disposizione dell'umana natura al Vero e al Bene, e nella civile
efficacia della libertà— -con l'egregio autore dell'opera citata, dal quale
pur mi dividono, in politica, profonde differenze di opinione; perchè qui
il consenso è prova che le verità superiori ed intime della natura sovra-
stano ad ogni dissidio, e s'impongono per propria virtù alle menti sincere.
Non sono però del parere del Minghetti, che lo Stato, con l'indole e co-
stituzione presente del suo reggimento, possa adeguatamente rispondere
al suo vero ufficio, data la libertà e indipendenza della Chiesa — segna-
tamente nelle Nazioni cattoliche — serbando incolumi, come ho detto so-
pra, al magistero della nazionale educazione i grandi principi sui quali
si fonda la vita delle genti moderne; perchè si fatto ordine di cose im-
plica ed esige, da parte della società civile e del suo organo — che è lo
Stato — tale un'azione di virtù educativa e risvegliatrice degl'intelletti e
degli animi nell' arringo dell'umano progresso, da non potersi in alcun
modo sperare che a questo effetto risponda lo Stato, così come oggi è
costituito a grado di parziali utilità e rappresentanze, e perciò appunto
non atto ad alti e generosi intenti. Fatta questa riserva, la tesi che il
Minghetti sostiene è da riconoscere per vera e giusta in sé stessa; e giovi^
in proposito, il riferir qui — ad esempio di consone sentenze fra menti
in altro discordi, e a conforto de' sommi principi della comunanza sociale
— ciò che Mazzini ne pensava e diceva, 43 anni or sono, in suo articolo
intitolato l Patrioti e il Clero, nel Periodico La Jeune Suisse (numero del
7 ottobre 1886); articolo che fa parte di una serie importante di scritti
da lui pubblicati in quel tempo, sulle questioni morali, politiche e sociali
che agitano il secolo:
< .... In quel partito che, per una consuetudine forse troppo volte-
rìana — Egli diceva — usiamo chiamare col nome parziale di partito cleri-
cale, v'hanno uomini di buona fede, uomini non perversi ma sviati soltanto :
anime devote, il cui zelo sincero è fatto strumento delle macchinazioni
di coloro che calunniano i patrioti e la libertà, dipingendo i primi come
nemici di ogni religione, oltraggiando la seconda con l'attribuirle i carat-
teri dell'anarchia. A questi noi volgiamo una parola di pace e di fratel-
lanza coscienziosa, perchè — sebbene vólti per vie retrograde — essi rap-
presentano nella Chiesa ciò che è nostro costume di rispettare, dovunque
LETTURA PRIMA. 215
facoltà : onde il supremo problema della sintesi della scienza
e della coscienza, e de' correlativi . atteggiamenti del civile
ci si presenti : la fède, il sentimento religioso. Gli altri, cospiratori e rea-
zionari per sistema, non rappresentano che cupidigie, ambizioni di domi-
nio. Per essi non proviamo che disprezzo.... Dobbiam dire che la questione,
considerata nell'aspetto meramente politico, non ci sembra degna di grande
attenzione; né degna d'attenzione è l'acerba polemica che alcuni fogli
hanno iniziato su questo soggetto. » (Mazzini scriveva allora in.Isvizzera
e per la Svizzera, ma le sue considerazioni hanno pur tuttavia un'impor-
tanza viva e generale). « In quanto a noi, non conosciamo in politica né
partito clericale né partito romano. Non esistono al veder nostro ohe due
grandi partiti: il pfogì-esaivo e il retrogrado; e si compongono di cittadini
appartenenti ad ogni ordine, ad ogni rito, ad ogni sètta. Ora 1 faziosi hanno
da punirsi, quale che sia l'ordine, il rito, la sètta a cui sono ascritti. I Go-
verni hanno il diritto di contenere e reprimere ogni interesse individuale
che, turbando l'ordine sociale, soprafacendo arbitrariamente le leggi ed
emancipandosi dal diritto comune — vincolo e suggello all'associazione di
tutti gli abitanti di un Paese — insorga col fatto ' contro l' interesse del-
l'universale, ila, fuori del termine nel quale deve esercitarsi questa legit-
tima autorità, non v* è né può esservi — specialmente nello stato*attuale
delle cose r— se non libertà piena ed intera ; libertà per tutti i cittadini
e per tutte le opinioni — se retrograde o progressive non monta ; libertà
per tutti gli atti che sono naturalmente sanciti e retti dal diritto comune.
Nello stato attuale delle idee e delle cose, ogni questione di culto e d'or-
dinamento religioso è questione di diritto comune e di libertà. Fino a che
gli atti e le mene di una sètta o di una associazione religiosa qualsiasi
non oltrepassano i limiti del proprio istituto, non toccano gli ordini civili
della società, voi non avete il diritto di mescolarvene. L' intervento gover-
nativo non può oggi applicarsi che agli atti che violano in modo positivo
le leggi esistenti. Il resto spetta alle idee, e dipende dalla opinione. Mi-
gliorate la opinione, diffondete la luce, combattete i giornali fanatici con
altri giornali : non attraversate l'opera dei patrioti, non ponete inciampo
al loro progresso con ingiuste diffidenze, con l'onta di una codarda pas-
sività davanti alle esigenze straniere, con la manifesta propensione a ri-
manervi immobili nello statu quo; propugnate la stampa libera, invece
di adombrarvene, e smettete ogni altro timore. Lasciate che il Papa elegga
a sua posta vescovi ignoranti o retrivi : che altro potranno costoro se non
affrettare la rovina del jpotere papale? Lasciate che gesuiti ed altri par-
tigiani viaggino a grandi spese, tengano conciliaboli, scrivano articoli me-
schini, opuscoli inetti : tal sia di loro. La persecuzione li esalterebbe, dando
loro argomento di atteggiarsi a vittime, ed investendoli di un valore che
né gli scritti né ì convegni né le mene in cui si affaticano potranno mai
procacciare alla loro sètta. Il vecchio cattolicesimo è morente : lasciate che
s'agiti nell'agonia. Da una idea che splenda della luce del Vero, non dal
martello delle restrizioni, riceverà esso gli ultimi colpi. Quanti regolamenti
e freni voi possiate ordinare non varranno una sola scuola.... Fin che il
pensiero che deve un giorno — fuor d'ogni dubbio per noi — accordare
insieme, anzi unificai'e i due poteri, non sìa ben definito nella mente e
nella coscienza delle Nazioni ; fin che il pensiero politico non salga al-
l'altezza e alla santità dell' idea religiosa — e la vera unità sociale non sia
fondata — l'autorità ecclesiastica e l'autorità politica hanno da esercitarsi
libere e, per quanto é possibile, indipendenti l'una dall'altra, per due di-
stinte vie. Le rispettive attività non devono urtarsi fra loro, non devono
quindi ingerirsi runa nell'altra. Ciascuno ha il diritto di associarsi con
chi vuole e come gli aggrada, di ricevere ispirazioni d'onde vuole, di pa-
gare quelli ch'egli ha scelto e accettato ad interpreti della sua religione, ■
e a -regolatori della sua coscienza ; e sinché questi non trascendano l'am-
bito dell'arringo religioso in cui movono, è in loro arbitrio il fare ciò eh'-
lor piace, e il propagare le loro credenze con la stampa e con la par
216 SU ALBERIGO GENTILI.
consorzio, dipende non da una empirica e superficiale riforma
de' vieti istituti, ma dalla trasformazione del concetto ideale
che li governa ; sì che le nuove conoscenze e le nuove atti-
tudini dello spirito umano possano intorno ad esso concetto
raccogliersi con accordo vitale.
Ora, dietro questo processo del pensiero religioso e civile
che, esplicandosi dal grembo delle vecchie forme, s' inalza a
più puri e più vasti ideali, ufficio dello Stato, parmi, non
d' invadere e molto meno di aggregare a sé o privilegiare
questa o quella chiesa o scuola ; ma di contenerle con civile
vigilanza, tutte indistintamente, entro i confini del loro uffi-
cio interiore e del loro pacifico apostolato, mediante l'equa
ed imparziale norma della comune libertà, serbando incolumi
al magistero della nazionale educazione i grandi principi sui
quali «i fonda la vita delle genti moderne : in altri termini
il patrimonio morale, politico e sociale della progrediente
civiltà. Perchè lo Stato o, per dir meglio, la società civile
— in quanto rappresenta il moto universale delle idee che la
guidano ai successivi adempimenti delle sue leggi — natu-
ralmente primeggia sulle speciali forme e tradizioni in essa
contenute : e il sottoporre il lavorìo delle coscienze alla re-
gola moderatrice del comune diritto, e le differenze teologi-
che al vincolo imperituro e inviolabile della umana associa-
zione nella Patria, in che dobbiamo essere tutti compagni,
è grande ed efficace temperamento alla rigidità e intolleranza
delle discordi credenze, e freno alle passioni politiche, a cui
sogliono sposarsi le chiese e le sètte che pretendono d'essere
interpreti, privilegiate e sole, delle eterne verità. E il contatto
come meglio lor torna. Noi non temiamo V influenza dei pregiudizi poli-
tici o religiosi, dove ci sia dato di avere le mani libere e la via aperta
a confutarli. Ben temiamo — se non per altro, per T esempio che n'esce
d'un precedente pericoloso — l'intervento governativo, dove non sia indi-
spensabilmente richiesto per forza di circostanze. Vorremmo concedere
la minor somma possibile di potere ai Governi presenti, appunto perchè
non abbiamo fiducia in essi, né aspettiamo dall'opera loro alcun fratto di
nazionale progresso ; e perchè dubitiamo che, mentre attribuiscono impor-
tanza a certe questioni, sotto colore di religione, essi non tendano che a
distrarre l'attenzione pubblica dalle questioni nazionali.... Noi vorremmo
sostituire ben altro strumento d'azione aU' influenza del potere governa-
tivo; vorremmo tramutata da questo ad un eentro nazionale T atticità
necessaria al moto ; vorremmo vedere sulla breccia meno sovente il primo,
Siù spesso gli uomini del progresso, non esclusi quei ministri del saeer-
ozio cristiano che s' ispirano con essi all'amore della Patria e della Li-
bertà.... » (Tradotto dal francese). — Così Mazzini, quasi mezzo secolo fa. —
{Nota deW Autore,)
LETTURA PRIMA. 217
degli animi ne' legami della Patria e della civiltà finisce con
l'avvicinarli negli umani accordi della morale, e nell'amore
di Que' supremi archetipi del Vero, dell' Onesto, del Giusto, .
a cui tende per diversi gradi — secondo i tempi e i luoghi
— la coscienza del genere umano. Onde gli Dei ostili e le
selvagge religioni del passato vanno cedendo il campo alla idea
immortale e santa dell'unico Iddio — puro intelletto ed amore,
e fonte perenne delle sociali carità fra gli uomini affratellati
dalla comune natura. E verrà giorno, io spero e credo —
comechè a noi non fia dato vederlo — in cui, auspici la li-
bertà, la Patria e la federazione delle Patrie nella civile
comunanza delle Nazioni, le varie credenze — contemperan-
dosi vie più sempre ad una consentanea aspirazione sul fondo
comune dei Veri in esse riposti — inalzeranno dai loro distinti
recessi un inno concorde di riconoscenza e d'amore al Prin-
cipio supremo d'ogni giustizia e d'ogni bontà.
In altra adunanza io cercherò con voi come sorgesse,
come tralignasse, come si dissolvesse il giure papale e impe-
riale nel medio-evo ; e quali condizioni fossero fatte dal suo
disfacimento alle genti europee e alla Patria nostra in par-
ticolare.
XII. 15
218 SU ALBERIGO GENTILI.
Lettura Seconda.
Continuità delle tradizioni di Diritto Pubblico in Italia. — San Tommaso,
Egidio Romano, Dante. — Il libro Db Monarchia. — Dissolvimento del-
Tordine religioso sociale e politico del medio-evo ne' secoli XV e XVI.
— là* Italia e la Germania fra le rivali ambizioni delle grandi monar-
chie militari di quel tempo. — Incrementi della civiltà fra le rovine
delle vecchie istituzioni. ~ L'idea del buono stato e i pubblicisti fio-
rentini.—Machiavelli, Donato Giannotti, Matteo Palmieri.
Signore e Signori, Egregi Giovani,
Discorsi, nella precedente Lettura, dell'arbitrato morale
assunto da Roma cristiana, nel medio-evo. Nella notte dei
tempi, cancellato dal piede de' barbari ogni vestigio di Di-
ritto e di costume sociale, il vincolo umano fu ristaurato
dalla religione; perchè, nel processo storico della vita de' Po-
poli, l'idea religiosa precede l'idea civile; e, sinché questa
non si rinfranchi al lume della esperienza, quella rimane
unico segno della comune natura fra gli uomini inselvati-
chiti e sciolti da ogni altro freno.
Cessata la vicenda delle invasioni, entrate le nuove stirpi
nel giro della cristiana colleganza fra Popoli già soggetti al-
l'Impero, si vennero formando dall'intreccio di lor natie con-
suetudini con le tradizioni della Legge Romana, gl'istituti
de' nuovi Stati europei e i primi inizi del nuovo Diritto delle
Genti.
Perchè, mentre le rinnovellate Nazioni tendevano a costi-
tuirsi, secondo lor particolari costumi, in altrettanti consorzi
distinti gli uni dagli altri, si sentivano però — mercè il le-
game della fede comune — insieme congiunte con obblighi di
scambievole giustizia : della quale, guardando a Roma, per-
sonificavano l'autorità nel ministerio pontificale. Da queste
disposizioni nacque alla fine dell' Vili secolo, di fonte ro-
mana, quel maraviglioso tentativo di unificazione giuridica
delle sparse membra della Cristianità d'Occidente, ch'ebbe
nome e gloria da Carlo Magno: esempio solenne della po-
tenza costruttiva serbata dall'intelletto latino fra le rovine
de' tempi, mercè la memoria delie cose antiche. L'ordina-
mento del ristaurato Impero non poteva durare, perocché la
materia soggetta portasse in grembo i germi di tutte le dif-
LETTURA SECONDA. 219
ferenze e di tutte le libertà che crear dovevano T incivili-
mento europeo. Ma l'anima di una grande idea ferveva na-
scosta in quel vieto involucro: e la niente de' grandi pensatori
dell'epoca dovea, al tramonto di questa, raccoglierne la so-
stanza e tramandarla ai futuri. Onde Tommaso d'Aquino e
Dante Alighieri.
Il pubblico Giure del Papato e, dell' Impero fu, secondo i
tempi, un mirabile esperimento di sociale armonia fra gli
svariati elementi che venivano sorgendo con personalità pro-
pria dalla confusione della conquista. Corporazioni ecclesia-
stiche e popolari, Feudi, Comuni e Regni doveano governarsi
giuridicamente per franchigie, e funzioni, diritti ed obblighi
corrispettivi, con gradi ascendenti dalla base al vertice della
società; che, come una Cattedrale del medio-evo, parca le-
varsi, nel suo disegno ideale, dalla terra al cielo.
Il principio della responsabilità ministeriale informava,
dai più umili ai più alti uffici, l'intero ordine della duplice
gerarchia. Papi e Imperatori non ne andavano esenti. E, sotto
il magistero, dei due lumi del mondo — indice l' uno della
Legge Morale, l'altro della Legge politica, — re, baroni e vas-
salli, scabini, consoli ed arti urbane, erano tenuti ad osser-
vare le norme e ad adempiere i doveri di lor mutue rela-
zioni. Ma la fattizia unità del restaurato Impero era in sé
stessa discorde e mal ferma; sì per l'intrinseco contrasto
delle due Potestà — la spirituale e la temporale, quella de-
stinata a dirigere, questa ad obbedire, — come per la^ preva-
lenza delle giovani ed incomposte forze sociali sul debole
organismo della giurisdizione imperiale. Rapido quindi il per-
vertirsi de' Feudi in usurpati possessi patrimoniali; il sor-
gere dei Comuni a stato franco; l'ordinarsi degli Stati a mo-
narchie indipendenti, emancipandosi a gara dall'alto dominio
de' due Capi del mondo cristiano.
Cessata, nella seconda metà del XIII secolo, con la estin-
zione della Casa Sveva la grande contesa italica fra il Pa-
pato e r Impero, il dissidio della potestà ecclesiastica con la
potestà secolare iva imperversando non meno nelle partico-
lari questioni di giurisdizione, di competenza, d' immunità,
di fronte alle ragioni degli Stati. Il concetto dell' arbitrato
morale, che Gregorio VII avea col favore de' Popoli rivolto
a liberare Società e Chiesa dalle corruttele e dalle prepo-
tenze feudali, era stato tratto dagli ultimi Papi ad esagerate
220 SU ALBERIGO GENTILI.
pretese di privilegi, d' esenzioni e d' ingerenze politiche, che
invadevano le leggi e le guarentigie della comunanza cÌTÌle.
Onde, in Inghilterra, in Francia, in Germania, i due Poteri
cozzavano fieramente insieme : e tale conflitto toccò, a quei
giorni, r estremo suo termine in quella violenta lite fra Bo-
nifacio Vili e Filippo il Bello * che fu nunzia alla cristianità
della decadenza del Pontificato Romano.
Le Nazioni, uscite ormai di pupillo, tendevano a sciogliersi
dai legami di una Teocrazia alla quale veniva meno, con la
ragion dell' ufficio, la virtù dell' intendere ad alti fini. Boni-
facio Vili avea tolto ad inganno il manto papale, per sodisfa-
cimento di private cupidità : * e la Chiesa, convertita in mer-
cato d' indulgenze, precipitava già ne' vizi che le suscitarono
contro, in que' secoli, preconizzata dalla santa ira di Dante,
la protesta de' Popoli. Agitavasi dapertutto, animosa ed ar-
dente fra canonisti ed interpreti del Diritto civile, la pole-
mica sugli uffici e confini delle due Potestà. I progressi del-
l'umana ragione vendicavano le ceneri di Arnaldo do. Brescia.
* A cagione de* tributi imposti da quel re al clero di Francia, onde
sopperire alle spese delle sue guerre, e per l'arresto del Vescovo Saiset
de Pamiers, ribelle alla regia giurisdizione, in nome dell'autorità papale :
Sciai tua maxima fatuitas — scriveva il fiero Papa al fiero Re — in tempo-
ralibus noe alicui non subesse. — [Nota dell' Autore.)
' De' Papi simoniaci di quel tempo, e nominatamente di Nicolò III (Or-
sini), che de' beni della Chiesa si valse per impinguarne i parenti per
avanzar gli Orsatti, di Bonifacio VIII (Benedetto de' Guatani di Anagni),
che si procacciò il papale ammanto per fini mondani, ingannando il sem-
plice Celestino V, e inducendolo al gran rifiuto, di Clemente V (Bertrando
d'Agoust, arcivescovo di Bordeaux) assunto al Papato pei maneggi di Fi-
lippo il Bello, e autore del trasferimento della sede pontificia in Avignone
— Dante, nel canto XIX dall'Inferno, fa il giusto giudizio che tutti sanno.
Rispetto poi a Bonifacio Vili, il buono ed imparziale Giovanni Villani
— comechè guelfo e devoto alla Chiesa — commenta il magnanimo sdegno
del Poeta con parole che qui cade in acconcio di riportare, come indizio
della opinione de' contemporanei intorno a quel Pontefice, nel quale furono
pari al grande ingegno e all'indole animosa ed altera l'avidità dell'oro
e l'ambizione del potere : e Questo Bonifazio — dice l'antico cronista fio-
rentino (lib. Vili, cap. LXIV) — fu savissimo di scrittura e di senno na-
turale, e uomo molto avveduto e pratico, e di gran conoscenza e memo-
ria : ma fue altiero, crudele e superbo contro a' suoi nemici e avversari ;
e fu "di gran cuore (in senso di ardito, animoso) molto temuto da tutta
gente; alzò e aggrandì molto lo stato e ragioni di santa Chiesa.... Magna-
nimo e largo fu a gente valorosa e che gli piace^se ; vago fu molto della
pompa mondana secondo suo stato, e fu molto pecunioso, non guardando
né facendosi grande né stretta coscienza d'ogni guadagno per aggrandire
la Chiesa e suoi nepoti. Al suo tempo fece più cardinali suoi amici e con-
fidenti, e intra gli altri duo suoi nepoti molto giovani e un suo zio, fra-
tello che fu della madre, e venti tra Vescovi e Arcivescovi, suoi parenti
e amici della piccola città di Alagna, di ricchi vescovadi, e l'altro suo ne-
pote e figliuoli, ch'erano Conti..,, e lasciò loro quasi infinito tesoro. » — (iVit)^»
dell* Autore»)
-■muii^* ■.'j-
LETTURA SECONDA. 221
E in Giovanni da Parigi, in Egidio Komano, in Marsilio da
Padova — difensori de' diritti dello Stato contro gli abusi del-
l' autorità papale — voi vedete già nettamente formulate, sin
dai primi lustri del secolo XIV, le dottrine che, a traverso
gli scismi del XV e la Riforma del XVI, ebbero suggello
dalla coscienza civile della società europea. Il luogo, d'onde
Gregorio Magno e Gregorio VII aveano ministrato alte giu-
stizie alla Umanità, era moralmente vacante. L'antico spi-
rito della vita cristiana si dissolveva ; e venian meno in parte,
con esso, le carità, le cortesie, i riti cavallereschi e i sem-
plici e virili costumi, che Dante loda nei suoi maggiori, a
rimprovero della età procacciante e corrotta che gli sorgeva
dinanzi.
Ma quella vita, scomponendosi nell'insieme, pur serbava
ne' suoi moti particolari tutta l'energia della gioventù, quasi
rigoglio di primavera che, uscendo dalla bruma invernale,
spiega la sua virtù in una infinita varietà di forme, dove
selvatiche ed irte, dove eulte e gentili, al soffio dei venti fe-
condatori e ai tepidi raggi del nuovo sole. In mezzo all'anar-
chia dei vecchi ordini della società teocratica, le operosità
del pensiero e della mano — le arti, le industrie, i commerci
e il canto dei poeti — apparecchiano, fra i contrasti de' sbri-
gliati elementi sociali, le dovizie della futura civiltà. E in
questo lavorio di un mondo che si rinnova, la nostra stirpe,
come ministra dell'antica sapienza, mostra la via alle genti
e, col civile intelletto, vince gli avanzi della barbarica con-
quista. Attinge, con Tommaso d'Aquino ai rivi d'Aristotile
e di Cicerone, il primo nutrimento della rinascente Filosofia,
fonda le Università degli studi, restituisce con Irnerio dalla
vostra Bologna — da questo primo focolare della coltura Eu-
ropea — il lume delle romane leggi alle nuove cittadinanze:
e, se il dogma cristiano affranca in ispirito le anime dei fe-
deli nella eguaglianza della città celeste, l'equo e buon diritto
de' padri emancipa, giuridicamente e in effetto, le persone e
gli averi nella città terrena ; scioglie il lavoro e la terra dai
vincoli della servitù feudale; e crea, coi liberi statuti, i li-
beri Comuni. Dai quali sorgono poi, come voci di mattutina
letizia ai primi albóri, le armonie dell'idioma volgare e, con
esse, una letteratura ed un arte che emuleranno gli esempì
della Grecia e di Roma. E le rideste operosità della razza
— uscendo dalle anguste mura cittadine, facendo guerra ai
222 SU ALBERIGO GESTILL
castelli, assicurando le strade, coltivando i contadi — si ad-
destreranno a cose mag^orL E. a brcTe andare, giovandosi
di lor relazioni con la civiltà araba da un lato, delle vie
aperte ai commerci dal moto delle crociate dall'altro — si
spargeranno in ogni i^rte d'Europa a ingentilire le estranie
contrade, a dar legge alle navigazioni, agli scambi, alla fede
de' traffici; restituiranno alla politica i presidi dell'antica
esperienza: ordini regolari alla milizia; accorti consigli e riti
civili alla diplomazia : e. popolando di lor Banchi, di lor fon-
dachi, di lor fattorie le prode del Mediterraneo e del Mar
Nero, e le regioni d'oltr'Alpe. contribuiranno con la virtù
del pensiero e delle arti pacifiche alla fondazione della nuova
civiltà, assai più che non fecero le ambizioni e le armi dei
Papi e dei Principi, acquali ne fu data gloria. Beni veri e
durevoli, a cui si mescolarono terribili prove nel seno della
Nazione che ne fu autrice, per la esuberanza stessa delle sue
facoltà, e per la naturale prevalenza, negl'inizi dell'incivi-
limento de' Popoli, de' particolari intenti ed affetti sulle più
vaste e meno intese relazioni della vita politica degli Stati.
D'onde lo scadere delle antiche parti — guelfa e ghibellina —
in volgari fazioni, per liti intestine fra diversi ceti ; l'arbitrio
feudale delle città maggiori sulle minori; l'incapacità di sta-
bilire l'autorità delle Leggi dentro ciascuna, e di unirsi tutte
in un patto di comune difesa. Guerre fratricide, provvedi-
menti ingiusti e selvaggi di pubblica inquisizione e vendetta;
supplizi, ammonizioni, esili : e, per non saper viver liberi, il
facile assoggettarsi ad arbitri cittadini o stranieri: eccovi,
o Giovani, la tremenda realtà, che fornì la tela all' Jn/erwo
del Poeta; e di cui — bontà del civile progresso! — l'Italia
odierna non conserva i segni, se non in qualche vestigio d'in-
consulta barbarie legislativa, che la vera scienza cancellerà dai
nostri ordinamenti di polizia e dalle nostre procedure penali.
In quel momento della storia Europea, si affaccia alla
vita l'intelletto ili Dante. Par legge della economia . del-
l'umano ingegno che, quando i tempi hanno preparato gli
elementi al lavoro, le sue potenze si accolgano, dalle speciali
e sparse attività del pensiero de' singoli, nella sovrana capa-
cità di qualche gran genio, acni si rivelano gl'intendimenti
e i fini — non intesi dai più — del comune operare. Gli uo-
mini destinati a tale ufficio dalla virtù della loro natura poa-
fiono con ragione chiamarsi luminari accesi dalla intelligenza
LETTURA SECONDA. 223
che governa gli umani eventi, per guida delle Nazioni sul
faticoso cammino della civiltà.
Nella mente di Dante le moltìforme parvenze de' sensi,
le armonie e le dissonanze della natura e il dramma errante
de' fatti umani riflettono, con perfetta rispondenza obbiettiva,
il reale ed il vero; ed ogni nota, o triste o lieta, dell'essere e
dell'operar delle cose, tocca e commove le vigili simpatie del-
l'anima che sente. Ma la varietà degli aspetti della vita e
de' casi della Storia sottostanno, nell'alto intelletto, alla Signo-
ria d' un pensiero dominatore, ispirato da una profonda idea
dell'ordine dell'Universo. Or, dall'intendimento di questa re-
lazione fra il vario e l'uno, fra la spontaneità de' particolari
procedimenti dell'essere e del volere e la razionale necessità
delle leggi della vita, nella natura e nella Umanità, dipende
appunto il magistero della scienza e dell'arte ad un tempo.
Come l'analisi de' particolari fenomeni del mondo fisico, senza
intuito di ciò ch'essi rappresentano nell'ordine dell'Universo,
non fa scienza; così l'andar vagando, con l'ali dell'immagina-
zione, sulle forme delle cose e, col sentimento, sui moti delle
umane passioni — senza concetto di ciò che le une e le altre
vengono significando, rispetto al procedere dello spirito umano
sulle vie del Vero, del Buono e del Bello — non è arte ma
giuoco di mutabile fantasia, senza obbietto sociale.
In Dante l'Arte levossi al suo più eccelso grado di po-
tenza interpretativa ed educatrice : e, come in Omero per le
sorgenti della civiltà ellenica, cosi in Lui per quelle della
civiltà Europea, la Poesia fu l'Indice ideale della Storia.
Ma qui vuoisi parlare del pubblicista, non del poeta; co-
mechè, nell'una e nell'altra qualità, il pensiero del Grande
Esule fosse rivolto ad un medesimo fine.
Immaginate un'anima, informata al sentimento delle più
alte armonie della natura e della società, travolta nel disor-
dine della vita morale e politica di que' tempi. L'Italia, non
più donna di provincie, ma serva di sètte -crudeli -e di spie-
tati tiranni ; * un- imperversare Continuo di òdi implacabili e
* « Che le terre d'Italia tutte piene
Son di tirapniy ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene. >
Purgatorio^ canto VI.
E Bartolo, pochi anni dopo Dante — quasi traducendo il Poeta — ri-
peteva, nel suo trattato del reggimento della tìiiò,: hodie Italia est tota
224 * su ALBERIGO GENTILI.
di feroci vendette ; effetto di quelle ire la travagliata povertà
del suo esilio ; distrutta, per la mala condotta del Capo, l'au-
torità della religione ; divelto, per la caduta della Casa Sveva,
ogni vincolo di comune governo dal seno della Nazione; e
il disordine italiano, fonte ed immagine — agli occhi suoi —
del disordine Europeo.
Dove cercar pace e salvezza alle afflitte fortune umane?
Su qual fondamento ricostruire la Giustizia, il Diritto, la
Vita civile?
Dante guarda — come uomo dell'età sua — per la forma
giuridica, al passato, all'idea ch'egli si era formata della
missione storica di Roma. La riduzione del molteplice, del
discorde, dell'incongruo, a forma armonica ed una, è per
Dante la legge provvidenziale che dirige il moto delle cose
create, secondo lor particolari nature, per diversi gradi, al
comun fine dell'essere. A tal legge dee conformarsi, come
parte dell'ordine universale, l'ordine dell'umana associa-
zione.* Ma, siccome l'eflFetto di quest'ordine dipende, non dalla
piena tirannia ^ adducendone per ragione quod regimen plurium malorum,
vel regimen popuU perversi non diu durai; sed de facili in tyrannidem unius
dedueitur,
I tre trattati di Bartolo — della tirannide, del reggimento della città,
e dei Guelfi e Ghibellini — hanno una grande importanza storica, sì rispetto
alle idee di Diritto Pubblico, come rispetto alle fazioni e allo stato po-
litico delle città italiane, a' suoi giorni. Nacque nel 1818, otto anni prima
della morte di Dante: mancò ai vivi nel 1355. — {Nota deW Autore,)
^ e Si ergo sic se habet in singulis qusB ad unum aliquod ordinantur,
verum est quod assumi tur supra. Nunc constat quod totum humanus genus
ordinatur ad unum.... Et sicut se habet pars ad totum, sic ordo partialis
ad totalem. Pars ad totum se habet, sicut ad finem et optimum.... Amplius,
humana universitas est quoddam totum ad quasdam partes, et est quae*
dam pars ad quoddam totum. Est enim quoddam totum ad regna parti-
cularia, et ad gentes.... et est qusedam pars ad totum universum.... De in-
tentione Dei est ut omne creatum divinam similitudinem representet, in
quantum propria natura recipere potest..., cum totum universum nihil
aliud sit, quam vestigium quoddam divinsB bonitatis. Ergo humanum
genus bene se habet et optime, quando, secundum quod potest, Deo as-
similatur. Sed genus humanum maxime Deo assimilatur, quando maxime
est unum.... Humanum genus filius est coeli quod perfectissimum in omni
opere suo. Generat enim homo hominem, et sol.... ergo optime se habet
hutnanum genus, cum vestigia coeli, quantum propria natura permittit,
imitatur. £t cum coBlum totum unico motu.... et unico motore, qui Deus
est, regulatur in omnibus suis partibus, motibus et motoribus.... si vere
syllogizatum est, humanum genus tunc optime se habet, quando ab unico
motore et unica lege, tamquam ab unico moto, in suis motoribus et mo-
tibus reguletur.... Hanc rationem suspirabat Boetius dicens :
0 felix hominum genus,
Si vestros animos amor,
Qao ccclum regitur reget. » {Monarchia, I.)
\
LETTURA SECONDA. 225
cognizione soltanto, sì ancora dagli atti delle individuali vo-
lontà, bisogna uno strumento che le contenga insieme e le
guidi, formandone, rispetto alla operazione collettiva, quasi
una sola volontà. E questo strumento — che dovea rappre-
sentare il comune Diritto, giudicare, come magistrato su-
premo, i dissidi internazionali, frenare le ingiurie fra le parti
insieme confederate — non poteva, per le cose temporali, cer-
carsi dal pubblicista del XIV secolo in altra Autorità da
quella in fuori dell' Impero : della Monarchia universale — re-
taggio, al veder suo, legittimamente disceso ai posteri dal
Popolo Romano, che n'ebbe, per suo senno e virtù, il privi-
legio della Divinità, e che né investì il ministerio ne' suoi ma-
gistrati, per la concordia e per la pace dell'umana famiglia.
Ma, facendosi a proporre il suo tema, avverte sin da prin-
cipio tre dubbi che si movevano alla sua sentenza : e cioè,
primo, se l' autorità imperiale fosse al ben essere del mondo
necessaria: secondo, se il Romano Popolo ragionevolmente si
attribuì 1' officio della monarchia : terzo, se 1' autorità della
monarchia dipende senza mezzo da Dio o da alcun suo mi-
nistro 0 vicario. E a questi dubbi risponde partitamente ne' tre
libri de' quali si compone il Trattato.
Lasciamo da parte ciò che, nel ragionamento di Dante,
appartiene alla dialettica dell'età sua : le ragioni tratte dalla
politica di Aristotile ed applicate alla dominazione di Roma,
come a legittimo privilegio di morale superiorità; gli argo-
menti dedotti dalla elezione del Cristo, di nascere è morire
suddito dell' Impero, e dalle fortunate gesta de' Romani —
indizio, nell'opinion sua, di un preordinato disegno della
Provvidenza : * né tratteniamoci sulla questione dei distinti
fini ed uffici delle due potestà, rispetto alla condotta delle
La stessa idea si riscontra nel Convito, II, 2, 4, e in altri lucTghi. E, nel
primo canto del Paradiso, splende riprodotta in questi versi;
Le cose tutte quante
Hann* ordine tra loro: e questo è forma
Che r Universo a Dio fa somigliante.
Qui veggion l'alte creature l'orma
Dell'eterno valore, il quale è fine,
Al quale è fatta la toccata norma.
Nell'ordine ch'io dico sono accline
Tutte nature, per diverse sorti
Più, al principio loro, e men vicine:
Onde si movono a diversi porti
Per lo gran mar dell'essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti.
{Nota dell* Autore,)
* De Monarchia, II. — {Nota delV Autore.)
226 SU ALBERIGO GENTILI.
cose umane,* sulla origine e indipendenza politica dell'auto-
rità imperiale, come anteriore alla istituzione del Papato,
sulla inalienabilità del ministero conferito dal Popolo prin-
cipe a' suoi eletti, e sulla conseguente nullità della presunta
donazione di Costantino.
Sono questioni e forme peculiari dell'argomento scolastico
di que' tempi, che s' incontrano, non solo in Dante, ma in
tutti i giuristi suoi contemporanei; e che, risolte oggimai
della progredita civiltà, poco importano al nostro assunto.
Ma io debbo mettere in evidenza dinanzi a voi la parte
viva e imperitura della idea civile, che in quelle forme si
vela: il che farò brevemente.
Dante deduce, come ho detto, dal suo Ideale storico del-
l'Impero Romano, i titoli giuridici della monarchia univer-
sale : la forma, cioè, del Diritto. Ma i suoi pensamenti sulla
sostanza del moto civile, che sotto quella forma devono at-
tuarsi, sono nuovi e singolari per l'età nella quale la sua
mente li concepì. Levandosi ad una altezza, d' onde sembra
voler misurare tutto il cammino della Umanità nel tempo e
nello spazio. Dante — quasi Giano del civile progresso —
guarda da un lato alla tradizione delle età trascorse, e pe-
netra dall'altro ne' destini dell'avvenire.
Il fine ultimo della civiltà — Egli dice — è 1' attuazione
délV intelletto possibile dell'Uomo — cioè, lo svolgimento della
potenza indefinita delle sue facoltà, nella speculazione, nella
pratica e nell'affetto, mercè la cooperazione dell'umana uni-
versità: — in altri termini, mercè i congiunti uflScì del mondo
delle Nazioni. L'ultimo grado della potenza umana, che è po-
tenza e virtù intellettiva, la quale per estensione — com' Egli
si esprime — cioè per applicazione, diventa intelletto pratico,
< non può essere > — sono sue parole, e mi valgo a comuni-
carvele della Traduzione di Marco Ficino — < né da un uomo
né da una famiglia né da una vicinanza né da un Regno
particolare raggiunto : > necessaria quindi la universalità
della cooperazione sociale ; essendo appunto l' umana specie
ordinata in tanta moltitudine, affinchè la detta virtù intel-
lettiva possa, mediante il continuo commercio delle idee e
delle opere sue, tutta in atto ridursi.*
* De Monarchia, III. — {Noia dell'Autore.)
* « Nunc... videndum est, quid sit finis totius humanse civilitatis :..
et ad evidentiam ejua quod queritur, advertendum, quod.... alius est finis
LETTURA SECONDA. 227
Stabilito questo fine della civiltà, Dante cerca le condi-
zioni e le guarentigie che devono aiutar V Uomo a prose-
guirlo : e pone le prime nella pace universale, perchè solo in
tranquillità e di pace, l'umano genere — Egli dice — alla sua
propria operazione liberamente e facilmente perviene : >* e nella
graduata rispondenza delle libeje e proprie funzioni de'speciali
consorzi e Stati, col fine ultimo della generale associazione : *
pone le seconde in una suprema autorità di ragione, immune,
pel suo alto grado, da ogni tentazione di personali passioni;
la quale mantenga, co' suoi giudizi, le .giuste relazioni delle
parti fra loro e col tutto: < perchè, non potendo l'una giu-
dicare dell'altra essendo pari, bisogna che sia un terzo di
più ampia giurisdizione, che sopra amendue signo/eggi ; > ' e
che nella sua giurisdizione, sia unità, senza la quale non vi
sarebbe concordia e stabilità dì giudizio.
ad quem singularem hominem, alius ad quem (natura) ordinai domesticam
communitatem, aUiis ad quem viciniam, et alius ad quem civitatem; et
alius ad quem regnum: et denique optimus ad quem utiliter genus hu-
manum, Deus seternus arte sua^ qusB natura est, in esse producit.... Propter
quod sciendum primo, quod Deus et natura nil otiosum facit, sed quicquid
prodi t in esse, est ad aliquam operationem.... Est ergo aliqua propria
operatio humanse universitatis, ad quam ipsa universitas hominum in
tanta moltitudine ordinatur.: ad quam quidem operationem nec homo
unus, nec domus una, nec vicinia, nec una ciyitas, nec regnum particulare
pertingere pò test. Quse autem sit illa, manifestum fiet, si ultimum de po-
tentia totius humanitatis appareat.... quod est potentìa sive virtus intel-
lectiva. Et quia potentia isia per unum hominem, aeu per aliquam particu-
larium eommunitatum superius diatinctorum, tota aimul in actum reduci non
potestf necesse est muUitudinem esse in humano genere, per quam quidem tota
potentia hcee actuetur....
» Satis declaratum est, quod proprium opus humani generis totaliter
acceptif estactuare semper totam potentiam intellectus possibilis per prius ad
speculandum, et secundario propter hoc ad operandum per suam extensionem. >
{Monarchia, I.) — {Nota dell'Autore.)
' « .... genus humanum in quiete sive tranquillitate pacis ad proprium
suum opus, quod fere divinum est, liberrime atque facillime se habet.
Unde manifestum est, quod pax universalis est optimum eorum qufe
nostram beatitudinem ordinantur. > (Ibid., I.) — {Nota delV Autore,)
' < .... cum dicitur, humanum genus potest regi per unum supremum
principem, non sic intelligendum est, ut minima judicia cujuscumque
municipii ab ìlio uno immediate prodire possint.... Habent namque nationes,
regna et civitates, inter se proprietates, quas legibus differentibtis regulari
oportet.,., sed sic intelligendum est, ut humanum genus secundum sua
communio quce omnibus competunt, ab eo regatur, et communi regula gu-
bernetur ad pacem. » (Ibid., I.) — {Nota delV Autore.)
' « Ubicumque potest esse litigium, ibi debet esse judicium : alitcr
esset imperfeotum, sine proprio perfecto : quod est impossibile; cum Deus
et natura in necessariis non deficiat. Inter omnes duos principes, quorum
alter alterì minime subjectus est, potest esse litigium, yel culpa ipsorum,
vai subditorum.... Ergo inter tales oportet esse judicium, et cum alter de
altero cognoscere non possit, ex quo alter alteri non subditur (nam par in
parem non habet imperium) oportet esse tertium Jurisdictionis ampliar is, qui
amhitu sui Juris ambobus principetur, > (Ibid., I.) — {Nota dell* Autore.)
;.4i^L_^.
228 SU ALBERIGO GENTILI.
Dante non poteva, a' suoi tempi, preconcepire una idea
che spunta appena a' di nostri sull'orizzonte della scienza
politica : quella, cioè, della istituzione di un magistrato elet-
tivo di arbitri civili e pacifici, delegati a risolvere liti inter-
nazionali e a custodire il comune Diritto. Avea Egli invece
dietro di sé Timmagine, idealizzata dalla leggenda popolare,
della giustizia e maestà del Romano Impero; e, conforme
alla mente giuridica dell' età sua, ad essa ricorse come a si-
curo porto, fra le tempeste del secolo in cui visse.
Ma notate che Dante, nel suo concetto della sovranità
imperiale e della subordinata autorità dei re, Signori e ma-
gistrati cittadini, deputati ad amministrare i Popoli nella
cerchia dell' Impero, non lascia luogo al libito de' reggitori,
ma sottomette ogni potere alla ragione e alla legge. La so-
vranità imperiale di Dante non è la sovranità bisantina né
la sovranità barbara di Federico Barbarossa, prima che il
patto di Costanza vi ponesse freno : ma la sovranità di ra-
gion politica, ordinata per legge alla comune utilità. E la
legge non è il beneplacito del Principe; ma è norma di ra-
gion morale e formola di Pubblico Diritto, d'origine popo-
lare, intesa al fine civile per cui è costituita la sovrana auto-
rità. < Non sono i cittadini pei consoli né la gente pel re, ma
per lo contrario, i consoli sono per i cittadini, e il re, per la
gente : > non enim cives propter consules, nec gens propter
Begem; sed e converso, Consules propter cives, Bex propter
gentem, < Perocché, come non è la civiltà a fine delle leggi
ma anzi le leggi a fine di civiltà, così quelli che vivono se-
condo le leggi non sono ordinati a colui che pone le leggi,
ma colui a questi, come ancora piace ad Aristotite nella Po-
litica. > Così Egli, e prosegue : — < Di qui ancora è chiaro
che, benché il consolo e il re, per rispetto alla via, sieno
signori degli altri ; nientedimeno, per rispetto al termine, sono
degli altri ministri; e massime il monarca, il quale senza
dubbio dee essere estimato di tutti ministro : et maxime Jfo-
narcha: qui ministeì* omnium procul dubio habendus est.y^
* « .,,,polUice rectce Ubertatem intenduntf scilicet ut homlnes propter se
sint. Non enim cives propter consules etc... Quia quemadmodum non pò-
litìa ad leges, quinimo leges ad politiam ponuntur : sic aecundum legem
viventes, non ad legislatorum ordlnantur, sed magis ilìe ad hos: ut et Philo-
sopho placet.... Hinc etiam patet, quod quamvis consul sive Rex, respectu
viae, sint domini aliorum, respectu autem termini aliorum ministri sunt :
et maxime Monarcha etc... » {Monarchia, I.) — [Nota deìV Autore.)
LETTURA SECONDA. 229
Questa definizione della Sovranità politica o legalcy come
distinta dalla sovranità di privato arbitrio e non soggetta
alle leggi — legihus soluta — già si riscontra in San Tommaso
€ in Egidio Colonna, e in altri pubblicisti del tempo; ed era
indizio del progresso delle idee di Diritto, pe' lumi tratti da
quel tanto che si conosceva a que' giorni delle dottrine di
Aristotile,* di Cicerone e d'altri antichi. I principi dell'umana
ragione riaflFermavano la loro virtù contro l'autorità della
forma giustinianea ; e il dubbio onde il buon Bulgaro vostro
spiacque, nella Dieta di Roncaglia, al Teutonio Sire, ricevea
conforto dalle tradizioni dell'antica sapienza e libertà.* Le
Università degli studi erano a que' tempi — come suona il
nome — grandi centri di commercio intellettuale fra le Na-
zioni d' Europa,' e l'uso comune della lingua latina efficace
mezzo alla circolazione delle idee. Non è quindi da meravi-
gliare se i principi di Tommaso d'Aquino, di Egidio Colonna
e di Dante, sul poter regio, furono quasi con identiche pa-
role propugnati dai giureconsulti inglesi dei secoli XIII, XIV
e XV, in difesa delle natie libertà della stirpe Anglo-Sassone,
contro la Teorica del Basso Impero. Bracton ' dice : < Il Re
* e .... ut et Philosopho placet, in iis qu(e de presenti materice nólis ah
€0 relieta sunt. » {Monarchia,) — [Nota dell'Autore.)
^ È nota la tradizione che, al tempo della Dieta di Roncaglia, Federigo
Barbarossa, cavalcando un giorno in compagnia di Bulgaro e di Mar-
tino, si facesse a chieder loro se, per legge, egli fosse padrone del mondo,
mundi dominua. Al che Bulgaro rispose negativamente, quanto alla pro-
prietà ; Martino il contrario, e n*ebbe in premio dall'Imperatore il destriero
su «ui questi cavalcava. D'onde la fama di giusto e liberale associata, nella
leggenda popolare, alla memoria del primo, e di adulatore a quella del
secondo. — {Nota dell' Autore.)
' Henry de Bracton, uno de' più antichi giureconsulti inglesi. Studiò
leggi in Oxford, e fiori nel mezzo del tredicesimo secolo, sotto Enrico III.
La sua grande opera De legibua et consuetudinibua Anglice fu, sino ai tempi
di Coke, il testo più autorevole in Inghilterra per gli studiosi delle isti-
tuzioni nazionali, sebbene lo accusassero di troppa predilezione pel Diritto
Civile e pel Diritto Canonico. Riguardo all'azione esercitata, sin da prin-
cipio» dal risorto studio delle Leggi Romane sulla giurisprudenza delle
nuove genti europee — non esclusa la Nazione inglese — Blackstone, fra
gli altri, dice : < Molti Popoli del Continente, cominciando allora (XI,
XII sec.) a riaversi dagli sconvolgimenti che seguirono la caduta del Ro-
mano Impero, e ad ordinarsi di mano in mano, sotto forme pacifiche di
reggimento, adottarono la LeggQ Civile (ch'era il miglior sistema di leggi
scritte che a quei giorni si conoscesse), facendone la base di loro costitu-
zioni, ed intrecciandola ai loro costumi feudali, dove con più larga, dove
con più ristretta autorità. Né corse gran tempo che quella prevalente
tendenza penetrò anche in Inghilterra : perchè Teobaldo, un abate nor-
manno eletto arcivescovo di Canterbury e deditissimo a quel nuovo studio,
condusse seco, con la sua Corte, molti dotti cultori delle romane leggi;
e, fra questi, Ruggero sopranominato Vacarlo (di nazione lombarda), ch'egli
'*\W"
230 SU ALBERIGO GENTILI.
deve sottostare alla Legge, perchè la Legge fa il Re: Lex
facit Regem: non v' è Re vero là dove regnano, in luogo della
^^g^^t la volontà e l'arbitrio. Il Re non può, se non quello
che gli è dalla Legge concesso : Bex nihil potest nisi quod
jurepotest. > E Fortescue* ne' suoi ammaestramenti al figlio
di Enrico VI : «Un re d' Inghilterra non può a piacer suo
alterare la legge del Paese, perocché la natura del suo Governo
non sia regia soltanto ma politica.... > e, contrapponendo la
dottrina del Governo legittimo alla definizione di Giustiniano,
cita, a sostegno de' suoi consigli all'erede del trono, la sen-
tenza di Tommaso d'Aquino contro la tirannide regia: sui
quali fondamenti la Nazione Britannica venne poi costruendo
tutto l'ordinamento delle sue franchigie. Dopo di che è lecito
chiederci, se si apponesse al vero chi asserì privi della co-
scienza del Diritto que' nostri padri che, sin da que' primi
secoli del risorto incivilimento, ne furono interpreti e mostra-
tori agli stranieri;* e se, più che in loro, non sia tale co-
scienza, in molti di noi moderni, miseramente oscurata.
deputò ad insegnarle neir Università di Oxford. » Così Black, Comment
on the Latcs of England, voi. I, sez. I, § 18, suirautorità di Gervasio Doro-
bernense, citato in proposito anche da Muratobi, Antiq. Ital,, diss. XLIV.
— (Nota difir Autore,)
* John Fortescue, celebre giureconsulto de' tempi di Enrico Vl(sec.XV)
e istitutore di Edoardo (che fu poi IV di tal nome, sul trono d' Inghil-
terra), pel quale scrisse il libro De laudibus Anglice, documento di grande
importanza, come saggio del progresso delle idee di diritto, e delle con-
dizioni della società inglese, a que' giorni. — {Nota dell'Autore,)
^ A determinare vie meglio la iniziazione italiana della nuova coltura,
e in particolare delle discipline filosofiche e giuridiche fra le genti europee
nel medio-evo, giovi la seguente serie di date.
Lanfranco (di Pavia) e Anselmo (d'Aosta) recano, prima in Francia,
indi in Inghilterra, i primi lumi della Filosofia e delle Lettere, nella se-
conda metà del secolo XI : < Exivit fama ejus (di Lanfranco) in remotiesima»
Latinitatia plagaa — dice il Malmesburìense — eratque Beeettm magnum et
fatnosum Lileraturce Gymnasium, » E Alberico, monaco de' Tre Fonti, nella
Cronica all'anno 1060 scrive : < Philosophiam, idest Sapientiamy pervenisse
ad Galliaj in diehua illustrium virorum Lanf ranci et Anselmi, » Vedi Mura-
tori, diss. citata.
Irnerio fonda a Bologna lo studio del Diritto Civile, nei primi lustri
del secolo XII.
Trentanni dopo lui, fioriscono nella Università bolognese i quattro fa>
mosi dottori della Dieta di Roncaglia (anno 1158), de' quali Bulgaro fu il pia
liberale e più stimato da' suoi contemporanei, che lo chiamarono os aureum.
Poco stante, la Lega Lombarda conferma, nelle città federate, il senso-
giuridico delle acquisite franchigie contro le pretese imperiali.
La Pace e il Patto di Costanza (giugno 1183) ^stabiliscono la prima de-
finizione delle libertà popolari in Europa, contro la potestà imperiale e
regia, e precedono di 32 anni la Convenzione [Magna Charta) fr/t i Baroni
d'Inghilterra e il re Giovanni a Runnymede (19 giugno 1215).
Pier delle Vigne, autore delle Costituzioni di Federigo II, Taddeo dì
Sessa, suo difensore nel Concilio di Lione, e Tommaso d'Aquino, vivevano-
LETTURA SECONDA. 231
Ma, se Dante ha precursori e compagni nella dottrina
della sovranità legale o del Diritto Pubblico interno, Egli fu
solo — s' io non m' inganno — a dare inizio alla idea di un
Diritto Pubblico esterno o delle genti in Europa, disegnando
ne' Libri della Monarchia un vero ordinamento giuridico di
mutue funzioni fra gli Stati, indipendente dall'autorità della
Chiesa e fondato sull'armonia della libertà delle parti con
gli obblighi della comune giustizia. E, più ancora, Egli di-
vinò per intuito proprio, come abbiamo veduto, la legge del
divino progresso ; nel che non ebbe guida dall'Antichità, af-
fatto ignara di tal legge; né — s'io non erro, — dal Cristiane-
simo che all'unica rivelazione e al conseguente magistero di
un sacerdozio privilegiato assoggetta la capacità dell'intel-
letto civile de' Popoli. Invero, la idea eh' Egli scorse fra le
sacre ombre àel medio-evo fu come un lampo della mente
divina alla profetica virtù del suo genio ; e per essa il suo
pensiero prevenne di cinque secoli, con un sublime presagio,
i tentativi odierni di una scienza dell'Umanità, sussidiata
dalla esperienza della Storia.
L'alto e solitario intelletto del Poeta mondiale presentì i
destini della universale civiltà : e, per l' Italia — a cui diede
l'unità della lingua * e del pensiero — la potenza della sua
parola e l'esempio della sua vita animarono, d'età in età, la
coscienza del patrio vincolo : accesero al secol nostro, nella
grande anima di Giuseppe Mazzini,* l' eroica fede ond' egli
al tempo di Bracton, e quest'ultimo studiava in Oxford quando la scuola
di Diritto, in quella nascente Uoiversità, prendeva le sue ispirazioni da
Bologna, da Montpellier e da Parigi. Vedi Blackstone, loc. cit ; id. Hallam,
State of Europe during the Mtddle-Jges, voi. Ili, cap. IX, parte II.
Dante ed Egidio Colonna che insegnò a Parigi (detto anche Egidio Ro*
mano) contemporanei tra loro (trecento) e anteriori di più d'un secolo a
Fortescue (quattrocento). — (Nota dell'Autore.)
* Vedi il suo libro De vulgari eloquio, — {Nota dell'Autore.)
^ Chi legga nel quarto volume degli Scritti di Giuseppe Mazzini (Mi-
lano^ G. Daelli editore, anno 1862), V articolo sulle Opere minori di Dante
— da lui dettato per una Rivista inglese sin dal 1844 — comprenderà quanta
parte del pensiero e dell'anima dell'Esule fiorentino del secolo XIV fos-
sero» per così dire, trasfusi nel pensiero e nell'anima dell'Esule italiano
del nostro secolo. Mazzini sottrae i veri intendimenti delle dottrine reli-
giose, politiche e civili di Dante alle pedanterie de' commentatori, e alle
monche e pregiudicate interpretazioni che ne correvano a quel tempo : e,
contro chi — secondo il proprio talento — accusava il grand' Esule di ere-
tico e lo esaltava a stretto cattolico, ed or guelfo or ghibellino, d'indole
varia e mutabile, dimostra com'Ei fosse cristiano eà. italiano, inteso ad
altìssimo fine di Patria e di universale civiltà sopra le cieche passioni e
le insane parti deU'età sua, e però sempre coerente con sé stesso, e sto-
rico e profeta insieme. E quanto all' intima e genuina ispirazione che anima>
i^éflfSiSkv^'
232 SU ALBERIGO GENTILI.
incarnò in idea, precorrendo al fatto, la Patria aspettata : e
furono il vero, il primo inizio di quella forza ideale che, di-
venuta necessità storica, sospinse un Popolo intero all'opera
del proprio riscatto.
Ma raccogliamo il corso delle nostre considerazioni, dai
molteplici aspetti del tema al suo principale obbietto, pro-
seguendo con rapido passo la via sulla quale procedette —
intesa da pochi ingegni privilegiati, conculcata sovente da
Principi e Popoli — la idea della internazionale giustizia.
L'ordinamento teocratico e feudale del medio-evo dovea,
per le cagiohi dette, dissolversi; le forze vive sott'esso con-
giunte — Signori, Comuni, Stati — individuandosi e seguendo
ciascuna la propria natura, tendeva ad appropriarsi di fatto
qualche frammento della dispersa sovranità di diritto. Dove
era equazione fra l'ufficio regio e l'ambito proprio della vita
nazionale, poterono per tempo com porsi, con ordini più o
meno saldi d' interna unità. Stati distinti ed autonomi. Così
Francia, Inghilterra, Danimarca, Svezia e Norvegia, sin dai
primi secoli dopo il mille ; e, nel XV secolo, la Nazione Spa-
gnuola — cacciati i Mori — acquistarono stato indipendente:
mentre, dall'altra banda, una famiglia surta da piccor ceppo
ne* suoi Canti immortali, la forma deU'Arte, questo scritto di Mazzini po-
trebbe trionfalmente contrapporsi — come vendicazione del genio italiano
— alle inezie del Mommsen, se la luce del giorno avesse bisogno d'essere
affermata contro chi non la vede. Che invero ha ragione l'illustre Vallauri
di esclamare nella sua eloquente Orazione De italorum doctrina a calum-
nii8 vin^icata : < Àligherii ornatum virilemj fortem, sanguine et viribua ni-
tentem criminari, per inde oc ai rhetoricam redundantiam et colorem fuco enten-
titum prceaeferat, ea vero extremo inscitia est..., » E con egual ragione l'egregio
uomo non sa attribuire lo spregio del critico alemanno per Cicerone —
malgrado la sua grande conoscenza delle antichità e delle lettere latine, —
se non a gravezza d'intelletto, chiuso al senso del vero e del bello dal-
l'ingombro della sua stessa erudizione. Ma questi erramenti de' particolari
giudizi di taluni fra 1 dotti, contro il comune giudizio delle età passate
e della presente, vogliono annoverarsi fra le curiosità dell' umana natura,
vuoi per infermità di sentire o per vaghezza del singolare e dello strano;
né varrebbero la pena del riprenderli, se non giovasse mettere in guar-
dia i giovani dati agli studi, contro la soverchia ammirazione delle cose
forestiere e la poca cura delle domestiche.
Rispetto a Dante, mi è qui grato di ricordare come, fra gli scritti di
autori stranieri che mi è avvenuto di leggere intorno all'Altissimo Poeta,
uno de' più gravi e degni d'esser posto accanto all'articolo di Mazzini sia
un Saggio di scrittore .inglese {Esaay on Dante by W, Church), uscito alla
luce durante il mio esilio, e di cui diedi notizia io medesimo nella divi-
ata di Firemèf diretta da Atto Vannucci, anni 1867-58. — {Nota deW Autore).*
* Vedi vol.V della presente pubblicazione Bicordi e iScr/Wi, ec.,pag- 189. — {ifota
dei Compilatori.)
LETTURA SECONDA. 233
— quella di Asburgo — scendendo da' suoi castelli Alpini ed
allargando a poco a poco — per fortunate combinazioni di
connubi, di eredità, di rapine — i suoi possessi patrimoniali
fra Popoli diversi, fondava il mal composto Impero su brani
di territori, divelti da Nazioni non ancora costituite: la te-
desca, l'italica, la slava.
Italia e Germania, rimaste — per tradizioni ed eventi —
giuoco alle due potestà che in esse avean sede e giurisdi-
zione promiscua, furono per tal cagione destituite di un centro
proprio intorno al quale raccogliere con durevol nodo le fila
de' loro interni istituti ; dacché Pontificato ed Impero non
potevano, per la universalità de' loro titoli, circoscrivere la
loro autorità ne' confini di una Nazione particolare ; né scin-
dere, di qua e di là dall'Alpi, le loro ragioni. E l'ideale
stesso della cattolica unità creò — segnatamente in Italia,
antica stanza del mondiale concetto — quello spirito cosmo-
politico che fu l'origine delle nostre glorie e delle nostre
sventure ad un tempo, facendoci cittadini del mondo e liberti
in casa nostra. In Germania, per simil cagione, se il natio
vigore della stirpe — di cui Tacito comprese e quasi invidiò
il libero costume — potè, come meno esposto all'arti di Roma
Papale, risorgere in parte ed affermarsi nella protesta del
secolo XVI, lo Stato nazionale non riuscì però a vincolo più
saldo di quello di una mal proporzionata confederazione di
parti incongrue e facilmente soggette ad ingerenze straniere.
Di che seguì che le regioni medie d' Europa, dalle prode del
Mare Settentrionale e del Baltico a quelle del Mar Siculo e
dell' Jonio, rimasero — siccome prive di nazionali ordini e
ripari — campo aperto alle rivalità e alle guerre delle grandi
monarchie militari che, dal principio del secolo XVI insin
quasi a' dì nostri, si disputarono le spoglie del Sacro Romano
Impero e il primato d' Europa.
E quando, al cadere del secolo XV, la gallica vanità di
Carlo Vili, allettata dal mal consiglio di un traditore ita-
liano, trasse argomento da un vieto titolo di eredità dina-
stica sulla corona di Napoli a quella scorreria che fu la prima
origine delle nostre calamità e delle secolari contese dei mo-
narchi europei, la Patria nostra non Bbbe, fra le private cu-
pidità de' suoi Principi e gì' improvvidi egoismi delle sue
repubbliche, alcun valido schermo alla rovina della sua indi-
pendenza e libertà.
xn. 16
234 SU ALBERIGO GENTILI.
Giudicheremmo però troppo severamente i nostri maggiori
del sesto decimo secolo recando tutta intera la cagione della
loro caduta a difetto di morale virtù. Vizi grandi ebbe Quella
età; e, fra noi Italiani, il sorriso delle Grazie e le divine
forme dell'Arte li velarono di parvenze insidiatrici ad ogni
senso dell'onesto e del retto. Onde, fra i lenocini di una squi-
sita coltura, le scelleratezze delle Corti italiane e della Curia
Papale; i costumi della Mandragola;* l'utile, principale mo-
vente ne' consigli dei maggiorenti ; e Chiesa e Stato consi-
derati come patrimonio di privilegiati a ingrandimento di
private fortune. E nondimeno, mal diremmo al tutto spenta
in guel secolo la coscienza della dignità cittadina, dinanzi
alla magnanima difesa di Firenze, all'amor patrio di Miche-
langiolo, alla improvvisa virtù di Ferruccio e alla fermezza
degli esuli che portavan seco, peregrinando, la nobiltà e la
speranza del nome repubblicano, ed erano il fiore della civile
coltura de' tempi.
Né parrà contaminata in ogni parte la vita di que' nostri
antenati, a chi legga i loro animosi fatti nelle Storie del
Varchi e del Nardi, e i conforti alle virtù del buon vivere
cittadino, né* Ricordi di Famiglia, che i padri usavano la-
sciare come legato di bontà civile ai loro figliuoli; e di cui
i Dialoghi di Leon Battista Alberti, di Agnolo Pandolfini e
di Matteo Palmieri, esemplificano la probità e la saggezza.
Il popolo era, come d'ordinario avviene, migliore de' suoi reg-
gitori ; il comune de' cittadini, migliore delle fazioni che tra-
vagliavano le città italiane; la religione della famiglia, mi-
gliore di quella della Chiesa.
Non mancarono per certo all' Italia, in quella età, le doti
dell'ingegno e dell'animo ne' particolari cittadini, sì bene il
sentimento della nazionale comunanza nell'universale e, con
esso, la volontà e l'abito dell'operare insieme. Nel che la sto-
ria de' nostri maggiori somiglia quella dell'antica Grecia.
Principi, magistrati di città libere ed uomini privati, mentre
abbracciavano con le loro cognizioni tutta la tradizione del-
l'umano sapere, e con le loro operosità tutto il mondo civile,
non sapevano poi uscire con l'arte dello Stato dai recinti di
lor principati o repubbliche: né sacrificare le domestiche e
* Vedi, nella Mandragola del Machiavelli, la parte di Fra Timoteo. —
{Nota deW Autore.)
LETTURA SECONDA. 235
municipali ambizioni ad alcun largo consiglio di comune di-
fesa e sicurtà. Tanto che, anche sotto il flagello delle rapine
straniere, non fu possibile stringere fermamente ad un patto
le voglie divise della Nazione contro la insolenza degl'inva-
sori: preferendo ciascuno valersi del male comune contro
gl'interni nemici, anziché sorger tutti contro gli esterni, a
cessare lo strazio e Tonta della terra nativa. E indarno Do-
nato Giannotti, consacrando i giorni dell'esilio allo studio
delle nazionali sventure, mostrò nel suo memorabile Discorso
a Papa Paolo III* come i Principi e le Repubbliche d'Italia
avrebbero agevolmente potuto, associando consigli e forze^
liberare la Patria dal giogo degli stranieri, è in particolare
da quello dell'Impero; che i più, contenti alla parziale si-
curtà de' loro domini, non curavano la indipendenza della
Nazione; o, peggio, trescavano con gl'invasori a ribadire le
catene de' Popoli soggetti. Condizione di cose stupendamente
descritta, a' lor tempi, da Nicolò Machiavelli e da Francesco
Guicciardini; il primo de' quali, guardando ai progressi delle
grandi unità monarchiche e militari di Francia, Austria e
Spagna, misurò tutto intero il pericolo dell'Italia e, non
aspettando ad essa salute dalla virtù degli uomini, diedesi
ad invocarla dall'ambizione di un tiranno, che con la forza
edificasse il Diritto ; e il secondo, spettatore della dissoluzione
di un Popolo e partecipe delle arti politiche che la gover-
nano, ne ritrasse con animo imperturbato e mano maestra
i procedimenti e i caratteri: non sì però che, di tratto in
tratto, non traspaia — nell'uno e nell'altro, di mezzo alla im-
passibile narrazione delle tristizie dell'età loro — la luminosa
coscienza delle ragioni e delle virtù vendicatrici della natu-
rale giustizia. Che, al fato della Patria e alla perversità dei
tempi, non piegò mai tutta intera nella nostra stirpe la no-
biltà della mente e dell'indole nativa.*
* GiAKNOTTi, Opere, ediz. Le Monnier, 1850. Voi. I, pag. 289 e seg. — {Nota
delP Autore.)
' Fra le opere uscite di recente alla luce, sulle cose italiane de* due
secoli anteriori alla perduta indipendenza, il libro di Pasquale Yillari,
Nicolò Machiavelli e i suoi tempi, parmi uno de' più gravi e importanti
studi, fatti dai nostri, su quel periodo della vita della Nazione ; sì per la
ricchezza de' materiali da lui con gran cura raccolti, ad illustrare la storia
intellettuale, morale e politica de* nostri maggiori, come pei pensamenti
e giudizi deirautore suU* indole e sulle tendenze della mente italiana
a que' giorni, e sulle cagioni delle nostre sciagure nazionali. L'indirizzo,'
che sì fatte pubblicazioni danno agli studi patri, promette di levare Tltalia
al grado a cui deve intendere neir arringo della coltura europea. Ed io
•_Uhi£
236 SU ALBERIGO GENTILI.
Col ricadere dell' Italia sotto il giogo degli stranieri, parve
infrangersi ogni vincolo di diritto e di umanità nelle rela-
zioni degli Stati europei. Il pubblico giure del medio-evo,
fondato sulla comunione religiosa e feudale de' Regni cri-
stiani, era — come abbiam visto — ridotto a nome senza
soggetto fra Stati indipendenti di fatto e non sottoposti a
giudice alcuno de' loro litigi. A Principi e Popoli era legge
l'arbitrio. Onde, all'anarchia nella quale si rimescolarono a
que' giorni, insidiandosi a gara, i monarchi d'Europa, può
con ragione — malgrado la progredita coltura — applicarsi,
con Romagnosi, il titolo di decorata barbarie.
Il principio dell'eredità dinastica, incarnato in un picciol
numero di Case regnanti — imparentate fra loro, — e i ti-
toli che risultavano dai testamenti de' Principi e dalle vicende
delle successioni, divennero principale fondamento al Diritto
Pubblico de' tempi, e obbietto agli studi ed ai raggiri della
Diplomazia : i Popoli, materia alle ragioni patrimoniali de' Si-
gnori, come la gleba sulla quale vegetavano. Le liti che di
tanto in tanto insorgevano fra i sovrani — non più ministri
ma padroni dei sudditi — erano risolte, ne' più dei casi, ad
arbitrio de' contendenti ; o commesse talora, prò forma^ alle
consultazioni dei giureperiti più riputati e de' Collegi legali
delle Università, come se si trattasse di cause private. E se
vi move curiosità di vedere questa disposizione di cose in un
esempio che tutta la illustra, leggete — nel Libro XXXIV
delle Storie di Napoli, di Pietro Giannone — i procedimenti
seguiti, alla morte del re Sebastiano di Portogallo, dai pre-
tendenti alla successione di quella Corona ; cioè da Filippo II
di Spagna, dal re di Francia, dal Duca di Savoia e dagli
altri, dinasti che, per relazioni più o meno dirette di paren-
tado, aspiravano alla proprietà di quel Regno. Né le eccelse
prosapie de' litiganti regi o ducali si curavano menomamente,
nelle lor gare, del voto de' Popoli ; i quali — se resistevano alle
sentenze de' barbassori togati convertite in titoli di sovra-
nità, e all'armi dell'occupante più fortunato — venivano trat-
tati come ribelli ; se vi si acquetavano, erano tutt'al più chia-
mati a suggellare, per mezzo di loro Ordini e Stati Generali,
qui ne parlo, perchè i giovani s'invoglino di dedurre dalle fonti native,
più che da commenti stranieri non sempre fedeli al vero, la schietta co-
noscenza delle cose nostre. Vedi anche i Discorsi di Fttippo Perfetti,
sulla Storia d'Italia, Prato, 1868. — {Nota delV Autore,)
LETTURA SECONDA. 237
la fortuna del vincitore, sinché ai monarchi non piacque di
disimpacciarsi affatto anche da quegli importuni avanzi delle
antiche libertà. Le quali poi — ricuperate in parte, fra le ri-
voluzioni de' giorni nostri, da paura o consiglio degli eredi
delle vecchie signorie — parvero, ed ancor paiono a questa
età che tardi e a fatica si risveglia dall'alto sonno de' secoli,
non diritto inalienabile dell'uomo civile, su cui non corre
prescrizione a favore d'occupanti sempre ingiusti, ma con-
cessione e grazia di benigni padroni.
Ma non ci sgomenti l'apparente trionfo della Forza sul
Diritto, ne' grandi rivolgimenti politici del secolo XVI. Que-
gli stessi rivolgimenti erano effetto dello espandersi delle
forze sociali' sotto la violenta vicenda delle ambizioni e delle
guerre del tempo. La civiltà prosegue l'opera sua: gli studi
risorti schiudono all'umano pensiero le fonti dell'antica col-
tura; le idee e le operosità de' Popoli aiutate dalla stampa,
dalle esplorazioni marittime e dalle imprese commerciali e
coloniali, si allargano a compiti ognor più vasti : i vari ele-
menti del sociale consorzio, mentre perdono da un lato i loro
privilegi sovrani, acquistano dall'altro coscienza più definita
della loro inviolabilità giuridica, nelle relazioni del Diritto
privato ; e aspirano a parità di vantaggi, di carichi e di tu-
tela, nell'ordine dello Stato. Al vincolo esteriore dell'unità
teocratica, succede il vincolo spontaneo e civile della reci-
procità degli utili e degli uffici fra classe e classe, e fra una
gente e l'altra. Cessano a poco a poco le lotte intestine. In
Fra,ncia, i grandi feudatari cedono alla unità del poter re-
gio — cooperanti, con questo, il Popolo e la Magistratura. In
Inghilterra, nobiltà territoriale e Comuni, conquistatori e con-
quistati, si riconcilian tra loro nella comune custodia della
nativa libertà; e vegliano, equilibrati e concordi, alla difesa
di lor privilegi contro l'arbitrio della Corona. In Ispagna,
cacciati i Mori, i liberi ordini antichi della Nazione avreb-
bero tenuto somigliante cammino, se la potenza soverchiante
della monarchia — coadiuvata dalla Inquisizione — non li
sopraffaceva. Io potrei additarvi in altre regioni, sotto forme
diverse, i lineamenti di uno stesso fatto generale. Piacemi,
conchiudendo, richiamare la vostra attenzione alle sorti della
Patria nostra.
In Italia, la nobiltà feudale — • vinta, sin dal secolo XIII,
dalle città affrancate — cede il campo al patriziato munici-
238 SU ALBERIGO GENTILL
pale. Gl'interni dissidi fra Grandi e popolani grassi (com'erano
chiamati), fra questi ultimi e popolo minuto, si risolvono neUa
comunanza civile di cittadinanze industriali e commerciali
che, per assicurarsi dai turbamenti delle sètte, si pongono
in potestà di qualche capitano o cittadino di grande auto-
rità, il quale ottiene titoli di Signoria dall' Imperatore o dal
Papa, e divien Principe. Così, da Napoli e dal Piemonte in
fuori — dove il principato ebbe altre origini, — si forma il
sistema degli Stati italiani, nominalmente soggetti all'alto
dominio della Chiesa o dell'Impero, ma in realtà indipen-
denti. Per cagioni poc'anzi accennate, le particolari autono-
mie non cercano, non trovano un nesso comune, non fanno
Nazione. Ma nelle rispettive cerchie, i ceti — già separati e
in lotta fra loro — si accostano, si pacificano nella civile affi-
nità del Comune ; provvedono alla sicurezza sociale contro le
fazioni e la violenza privata; riformano i municipali statuti
con norme più regolari, più eque di quelle che esistevano al
tempo di lor libertà. Ciò segnatamente in quelle parti d'Italia
dove non si stese la dominazione straniera; dove i Governi
indigeni non avevano ancora appresa l'arte di far tutto, d'in-
vader tutto, d'intisichire la vita delle membra per impin-
guarne lo Stato. E, di mano in mano che le vecchie premi-
nenze vanno riducendosi sotto una comune autorità, voi vedete
operarsi, con lento ma assiduo progresso, quella assimilazione
delle condizioni generali della società che, col concorso della
lingua, delle lettere e delle arti, alimentò, fra le divisioni
fortuite degli Stati, il senso della nazionale parentela.* Così
* Intorno a questo processo di assimilazione sociale della vita italiana,
operatosi in que' secoli sotto il contrasto delle forze politiche parteggianti
e divise, vedi Rokaoitosi, DelVIndoU e d^ Fattori deW Incivilimento, parte II,
capo VI. « La storia di questi secoli — egli dice — pieni di guerre, di
contrasti e di rivolgimenti, sembra allo sguardo presentare un periodo
miserando di eccidio della italiana civiltà, nel mentre pure altro non è
che un fermento delle forze visibili disgiunte, le quali tendono ad asso-
ciare i territori e le genti in più vaste aggregazioni. Sotto a questo ri-
bollimento, simile a quello delle chimiche composizioni, si dilatano i tes-
suti civili bene ordinati, e al di sopra si vanno attenuando, stritolando
ed attemperando gli elementi politici contrastanti. Gli urti, gli scoppi,
i contrasti dell'Italia in questa età non somigliano alle eruzioni di una
cieca forza dei Popoli e degli Emiri dell'Asia, dai quali non esce pro-
gresso alcuno, e ne* quali non vedi che schiavi flagellati o ammutinati.
In Italia rassomigliano ad una lotta fra il genio della civiltà e queUo della
politica barbarie, nella quale un popolo vigoroso, atteggiato economica-
mente e moralmente a civiltà, viene da una potente necessità condotto
ad un forte politico ordinamento. Se l'Italia fosse giunta ad effettuarlo,
«ssa avrebbe compiuto di nuovo il corso del suo incivilimento, ed avrebbe
LETTURA SECONDA. 239
nella vita del Comune italiano è da cercare l!inizio di quella
medesimezza di sentimenti e costumi che, nonostante le dif-
ferenze de' particolari caratteri de' luoghi, ci raccolse tutti
nel seno di una sola Patria. La tendenza storica della vita
italiana non si manifesta, come altrove avvenne, per corpo-
razioni in sé chiuse e tenaci de'lor privilegi; né per ragioni
ben definite e intese a guarentirsi federalmente lor mutui
diritti; sibbene per moti popolari di equazione interna di
ceti, un dì cozzanti fra loro, e sottoposti dal tempo alla co-
mune idea del buono stato, cioè del regime della Legge eguale
per tutti. Il che spiega il favore dei borghesi e del popolo
minuto in generale, per le dittature e per le Signorie de' se-
coli XV e XVI; la ragione delle riforme, promosse nel pas-
sato secolo, mediante l'autorità dello Stato, contro i resti
de' vecchi privilegi feudali, ecclesiastici e municipali, dalle
menti più eulte del tempo, in Lombardia, in Toscana e a
Napoli; la facile accoglienza ch'ebbe nelle nostre contrade il
Codice Napoleone, malgrado gli abiti inveterati delle con-
trarie consuetudini; e finalmente, l'unanime consentimento
di tutte le terre d' Italia nel voto della nazionale unità, non
appena rimossi gli ostacoli materiali che l' aveano per lo in-
nanzi impedita. Questa legge che guida con moto costante
la società italiana dalla unità amministrativa del Comune
alla unità politica della Nazione, sulla base della eguaglianza
civile, é — se non m' inganno — il vero e fondamentale carat-
tere della nostra storia, dai tempi antichi ai moderni; dai
trionfi dell' età plebea sul diritto patrizio e dalla aspirazione
dei soci italici alla comune cittadinanza di Eoma, sino a
popolari plebisciti della nostra generazione e ai postulati del-
l'odierna democrazia. Ma essa involge, ad un tempo, un grave
pericolo e un arduo problema: il pericolo, cioè, della pre-
ponderanza dello Stato sulle funzioni proprie della vita del
Paese, della pedanteria cancelleresca sulla feconda azione
delle energie private e pubbliche de' cittadini ; e, di fronte a
tal pericolo, il problema del come assicurare senza scherm
federali, nella unità del governo nazionale, la libertà dei-
offerto l'esempio di tutta la vita intera di una Nazione guidata da una
singolare provvidenza.» Ivi, §3. — Così il grande pubblicista lombardo,
cinquantanni or sono: ed oggi T Italia, ripreso il moto spontaneo della
sua vita storica, fuor delle strette di una forza predominante straniera,
proseguirà gì* interrotti destini. — {Kota deìV Autore.)
h IH. VJ9il>
240 SU ALBERIGO GENTILI.
l'uomo e la libertà del Comune, armonizzandole con l'ordi-
namento collettivo di. una Patria saldamente costituita. Pro-
blema vitale per lo svolgimento del Diritto pubblico interno
ed esterno del nostro Paese, e ch'io qui non esamino ma
propongo, 0 Giovani, al vostro studio e al vostro amor pa-
trio. Questo solamente osserverò : che, dove lo Stato unitario
non rispetti e mantenga inviolata la comune giustizia « li-
bertà; non sia il misuratore imparziale della eguaglianza
de' diritti e della reciprocità de' doveri tra i figli tutti di una
stessa terra, ma concentri invece in sé i vizi, gli arbitri, gli
eccezionali reggimenti che erano usati da quelle sètte e da
que' Governi partigiani da' quali il Comune popolare, la uni-
versalità de' cittadini si sottrasse — rifuggendo ad esso come
a strumento di eguale amministrazione e difesa per tutti —
lo Stato unitario, in tal caso, tradisce il suo ufficio, si tra-
smuta di rappresentante e ministro della vita civile in pub-
blico nemico; ed ha, per necessaria riazione della società
contro ciò che è contrario alla sua natura^ vita mal ferma
e caduca.
A voi, 0 Giovani, — se, come io avviso, lo Stato moderno
tende in generale a seguire sì falsa via — tt voi spetta il chie-
dere alla scienza vera i rimedi e i metodi onde restituirlo,
almeno tra noi, al suo intento normale : sì che, insieme con
esso, non si dissolva e divenga un' altra volta ludibrio alle
fazioni e agli stranieri la Patria nostra.
Né al grave tema fanno difetto, o Giovani, gli ammae-
stramenti degli avi. Il bisogno del buono staio fu la preoccu-
pazione de' più virtuosi fra gli uomini popolari delle nostre
Repubbliche; né altro significa il grido di popolo^ popolo^
col quale il Comune de' cittadini combatteva la prepotenza
de' Grandi e l' imperversar delle sètte che sé e la parte pre-
ponevano alla legge. Chi ben guardi, la storia de' nostri Co-
muni fu un conato continuo della popolare virtù, chiedente
sicurtà e pace contro il maggioreggiare delle consorterie che,
lacerandosi a vicenda, perturbavano ogni ordine di giustizia
e di riposata socialità. E, come avviene che i documenti della
esperienza, raccolti dalla mente de' pensatori, ricevano forma
di dottrina civile, i.casi delle città italiane in que' secoli eb-
bero — per tacer d' altri — splendido commento ne' libri di
Nicolò Machiavelli, di Matteo Palmieri e di Donato Gian-
notti; i quali, se dettarono i loro avvertimenti quando la
LETTURA SECONDA, 241
cura delle nostre infermità era, per la servitù della Patria,
oramai divenuta impossibile, non sono per questo i rimedi
da essi proposti men degni dell'attenzione anche di noi mo-
derni : tanto più che, dimenticato il buono degl'istituti de'no-
stri maggiori, abbiamo preferito di prendere a prestito da-
gli stranieri ordini di governo alieni, in molti rispetti, nonché
dall'indole nostra, dalla razionale idea del pubblico reggi-
mento.
Ora, sa fate mente alle dottrine politiche dei pubblicisti
italiani del secolo XVI, e in particolare a quelle de' fioren-
tini, voi troverete che le medesime — conforme al fatto ge-
nerale dello accostarsi de' vari ceti ad una comune norma
civile, -con prevalenza, per numero e sociali operosità, dei
cittadini mezzani e de' popolari — - intendono, sotto nome di
Governo mistOy non a bilanciare fra loro — come potrebbe
inferirsi dal nome — le diverse classi della società nella co-
stituzione dello Stato, mantenendole però separate e distinte
con privilegi ed arbitrarie preminenze delle une sulle altre;
ma ad aprire a tutti — vuoi nobili e ricchi, vuoi mediocri e
plebei — il concorso ne' pubblici diritti e doveri, ponendo, in
luogo de' reggimenti personali e di parte, la regola delle leggi
e la forma viva e spontanea dello Stato popolare. Ciò che,
per condizioni particolari e storiche, diede vita e caratteri
propri, col processo de' secoli, alla costituzione inglese; e fu
poi, con imitazioni più o meno insipienti, trasferito ftai con-
traffattori del Continente a Popoli diversi d'indole e di stato
sociale, mal si acconcia alla natura e alle tradizioni nostre
ih ispecie; e, in generale, sì fatti istituti — raccattati di fuori
e, per così dirCj posticci, i q,uali con mentito nome di libertà
servono all'utile de'pochi, illudendo alla buona fede del mag-
gior numero — sono condannati presto o tardi o a trasfor-
marsi 0 a perire.* Tale non era l'ideale del Governo misto
^ Del contrasto, al quale per incidenza ho accennato nella presente
Lettura, fra la vera idea dello Stato e le costituzioni adottate in questo
secolo, in varie contrade del Continente, va facendosi — specialmente in
Italia — sempre più viva la percezione nella mente del Paese, al saggio
della quotidiana esperienza; e non tarderà a pronunciarne giudizio la
ragione scientifica, contrapponendo air empirismo dominante 1 criteri di
quella vera sapienza civile che mira a contemperare gli ordini della cosa
pubblica alle native disposizioni e all'organismo vivente della società. La
scienza dello Stato — ne' suoi rapporti con le attitudini, con le necessità
e con le forme indigene della vita nazionale, determinate dal processo
storico della natia civiltà — richiede in Italia una vera restaurazione ab
imie fundamentia. La dottrina costituzionale che ripete indebitamente i suoi
I mi ■ ■ iPWiB
242 SU ALBERIGO GENTILI.
pe' nostri Statuali dell' età di cui parlo. Così lasciando stare
Machiavelli che, nelle Storie e ne' Discorsi sulle Deche, fa
continuo riscontro fra i parziali e violenti modi delle sètte
fiorentine e il buon temperamento della Romana Repubblica
ne' suoi tempi migliori; Donato Giannotti e Matteo Palmieri
incarnano — il primo ne' suoi Libri della Bepuhblica Fioren-
tina, il secondo ne' suoi Dialoghi della Vita Civile— tsle una
idea del buon Governo popolare che sovrasta, per giustizia
distributiva, all'ideale antico; e. s'accosterebbe alle più eque
e meglio fondate idee della moderna democrazia, se que' no-
bilissimi cittadini della italica Atene si fossero occupati non
di una città particolare ma della vita comune della Nazione.
Così, Donato Giannotti pone la base dello Stato nella uni-
versalità de' cittadini,^ fondando in essa il Gran Consiglio, o
Consiglio del Popolo; il quale, per Comizi regolarmente or-
dinati a' debiti tempi, è come la fonte di tutta la vita della
Repubblica, mediante la elezione de' magistrati, la espres-
sione de' pubblici bisogni e l' approvazione finale delle leggi.
Senonchè, seguendo egli — nel suo concetto del buono Stato —
non l'ordine artificiale de' privilegi di parte ma l'ordine della
natura, la quale non dà agli uni più che agli altri facoltà
di far tutto, anzi vuole distribuiti gli uffici e i carichi se-
condo la capacità de' cittadini; così, dai suffragi del Gran
Consi^Jio, non dalla sorte e dall' arbitrio, fa egli uscire per
gradi ascendenti il Senato •— o supremo Consiglio — e il Prìn-
cipe 0 Capo della Città; ordinando intorno ad essi i magi-
titoli dalle istituzioni anglo -sassoni — e non è che ima perversione di que-
ste ultime acconciata alle esigenze dell'arbitrio governativo, in Francia
e negli altri Stati continentali che ne imitarono l'esempio, ingerendovi
il sistema di accentramento amministrativo e di polizia inquisitoria f iniziato
dalla Rivoluzione e dal regime del Terrore, perfezionato dal dispotismo
Napoleonico, continuato e peggiorato dalla Ristorazione, dalla regalità
borghese di Luigi Filippo e dall'avventura del secondo Impero — è dot-
trina bugiarda e caduca, cui nessuna virtù d'ingegno può elevare a di-
gnità di scienza (vedi nel libro di Pietro Ellero sulla Questione Sociale, la
critica dello Stato moderno). E la reazione razionale contro tale dottrina
si fa sempre più viva e più scolpita fra noi, anche nel campo de' partiti
legali, come attestano le voci che sorgono dalle cattedre delle Università,
ne' corsi dell' insegnamento scientifico, e la maggior parte delle discussioni
e degli scritti contemporanei, intorno alle riforme amministrative, tribu-
tarie, militari ; alla libertà de' Comuni e delle Provincie ; agli ordini della
sicurezza pubblica e somiglianti. Ond' è manifesto che, nel seno della Na-
zione e nelle regioni del pensiero, si vanno elaborando gì* inizi di un vasto
rinnovamento del Diritto Pubblico interno, a seconda de* principi ideali
della comune giustizia, da un lato, e della realità sociale e storica che deve
riceverli e farli fruttificare, dall'altro. Al che siano propizi, col patrio senno,
i destini dell' Italia nostra ! — {Nota dell* Autore,)
■ LETTURA SECONDA. 243
strati che devono, con distinte attribuzioni, amministrare la
cosa pubblica, presiedere all'imparziale magistero della giu-
stizia; e, agli appelli o provocazioni dalle ingiuste sentenze,
apparecchiare con mature deliberazioni le leggi; le quali,
esposte prima all'esame del pubblico, devono dal comune
de' cittadini, nel Gran Consiglio, approvarsi. — < Perchè —
dice con pratico senno il 6i annotti —il consiglio dev'essere
ne' savi, li quali sono sempre pochi ; la deliberazione dev'es-
sere nei molti: perchè, se i pochi avessino la deliberazione
in potestà loro, si correria pericolo che alcuna volta, per am-
bizione, non deliberassimo il contrario di quello che ricerca
l' utile della repubblica. E però i Consigli che sono composti
di gran numero sono quelli che devono deliberare; le delibera-
zioni de' quali poi debbono essere eseguite dai magistrati. > *
Il che, come vedete, equivale a riconoscere la virtualità
di quel naturale e pratico buon senso della moltitudine onde
avviene che i Popoli, costituiti in libero Stato, di rado s' in-
gannino nel giudicare di ciò che si conformi o contrasti alla
comune giustizia e utilità ; e nell'eleggere i legislatori e gli
amministratori più atti a fare onesto governo della cosa pub-
blica : buon senso che i fautori dei privilegi della nascita e
del censo mal volentieri ammettono, ma che la esperienza
* GiAWNOTTi, Opere, voi. I : Discorso sopra il formare il Governo di Fi-
renze, pag. 6. Sugr intendimenti civili delle dottrine del Giannotti, leggi
Teccellente Discorso di Atto Vanhucci, Intorno alla vita e alle opere dello
stesso, nel primo volume della edizione Le Mounier. « Proponeva — dice
il Vannucci — un reggimento misto di popolarità, di aristocrazia e di prin-
cipato ; ove il popolo fosse signore principale di tutto, e stesse in lui l'auto-
rità di fare le leggi, di creare i magistrati e di deliberare sopra ogni
grande faccenda. Gli ottimati, eletti nel Gran Consiglio — che era la base
e il fondamento di tutto lo Stato, — avevano a formare il Senato. Questo
doveva consultare, e le sue deliberazioni dovevano ricevere perfezione nel
Gran Consiglio. Il Gonfaloniere farebbe le parti del Principe : rappresen-
terebbe tutto il dominio; ma senza alcuna autorità separata dagli altri
magistrati, e solamente col carico di sopravvedere alle faccende, di pro-
porre, di sollecitare. Insomma, secondo lui, i pochi e i savi dovean con-
sigliare, i molti deliberare; e i magistrati, eletti popolarmente, eseguire
le deliberazioni dei molti. Con molta premura raccomandava che nelle
«lezioni si cercasse sempre il voto dei più, e si desse bando ai capricci
della sorte, che è nemica capitalissima dei Governi prudenti. Voleva che
le leggi fossero figlie del libero volere dei più; chiedeva che lo Stato si
fondasse sopra basi più larghe e sopra principi più giusti ; e che si togliesse
di mezzo tutto ciò che faceva ostacolo alla universale libertà. Figlio del
popolo, domandava la libertà del popolo, ma rifuggiva dalle ingiuste esclu-
sioni e dalle violenze di qualunque maniera. » Ivi, pag. x-xi. Vedi, di
OiAKNOTTT, oltre il citato Discorso sul Governo di Firenze, i libri Della Re-
puhhlica Fiorentina, lib. I, cap. III, IV, V; lib. II, cap. III, IV e seg.; lib. IV,
cap. VII. — (Nota delP Autore,)
244 SU ALBERIGO GENTILI.
delle Nazioni civili, investite dal reggimento di sé medesime,
va sempre più chiaramente attestando: esempi, in Europa
— per non toccare delle speciali condizioni degli Stati Uniti
d'America — V Inghilterra, la Svizzera e la Francia contem-
poranea; in ognuna delle quali contrade gli allargamenti
del suffragio e i presidi della confermata libertà allentarono
r impeto delle passioni incivili e promossero l'equa tempe-
ranza degl' interessi e degli uffici sociali, contro ogni previ-
sione e paura de' conservatori dei vecchi ordini, e degl' in-
creduli nella popolare virtù. La quale, se non è impedita
dall'arbitrio o travolta da insidie ed arti malvagie di avver-
sari del comune diritto, opera d'ordinario secondo natura e
con modi civili: onde è verissimo quel detto di un savio
inglese : che i nemici della libertà sono i primi e più grandi
artefici di rivoluzione e d'anarchia.
Ed è notevole che, alla dottrina poc'anzi esposta ed uscita
dal senno italiano del secolo XVI, corrispondono oggi giorno
con mirabile successo gì' istituti popolari della riformata Co-
stituzione Elvetica; la quale conferisce appunto ai generali
Comizi del Popolo il diritto di approvazione e di veto sulle
leggi elaborate dai Supremi Consigli della Repubblica, Tale
era l' idea del Governo misto per que' nostri antichi : di un
Governo, cioè, nel quale i diversi ingegni, interessi e studi
dei cittadini trovassero spontaneamente il proprio posto nella
forma dello Stato ; e questa rispondesse, come piramide, ai
gradi della loro capacità civile; e ricevesse in sé, come pianta,
i succhi vitali di tutto l'organismo sociale.*
Onde, come si vede* lo Stato — nel concetto di quegli
antichi — non dovea costituirsi quale strumento materiale
estraneo — per così dire — alla vita del Paese e sovrapposto
ad essa, quasi a schiacciarla; ma sorgere da questa, come
ministerio animato della civile moltitudine ; * che così chia-
1
* GiANNOTTi, loc. cit., pag. 6. « Tanto che il corpo di questa repubblica
è piramidato....
> Il Consiglio è la base di tutto il corpo e il fondamento, ed ha si-
militudine d' una pianta : perchè il Consiglio rassembra le radici che danno
virtù a tutta la pianta: gli altri tre membri somigliano 11 tronco che si
regge sulle radici, come quelli sul Gran Consiglio, avendo dependenzìa
da lui: gli altri magistrati sono i rami, de' quali esce il frutto che pro-
duce la pianta; siccome ancora da quelli nasce l'esecuzione delle delibe-
razioni della repubblica, le quali sono come il frutto di quella. • — {Nota
dell'Autore.)
' Matteo Palmieri, DeUa Vita Civile, Edizione Eredi Giunta, lib. Ili,
pag. 79 e seg. « Ogni buono cittadino che è posto in magistrato dove rap-
LETTURA SECONDA. 245 ,
mavano que' nostri padri la universalità de' cittadini, con
maggiore coscienza, che non sia in noi moderni, della dignità
della umana natura in ogni condizione d'uomini. < Percioc-
ché — sono memorabili parole di Donato — siccome il corpo
prende vita dall'anima, così la città dalla forma della repub-
blica: talché, se non é convenienza tra loro, é ragionevole
che l'una e l'altra si corrompa e guasti : siccome avverrebbe
se un'anima d'uomo fusse con un corpo di bestia congiunta,
o un'anima di bestia con un corpo umano; perché l'uno da-
rebbe impedimento all'altro, di che seguirebbe la corru-
zione. > ^ La quale sentenza, assai vera e grave, lascio che i
savi riferiscano al meccanismo dello Stato moderno, nella
nostra e in altre contrade d' Europa, e giudichino da qual
parte venga l'impedimento.
Donato Giannotti non esce con le sue considerazioni dalla
cerchia della città e del Diritto Pubblico interno ; e non di-
scorre della milizia e della guerra, se non rispetto alla con-
venienza di sostituire le armi cittadine in luogo delle mer-
cenarie; e al modo di ordinare l'esercito, come fa Machiavelli
ne' suoi Discorsi sull'arte della guerra. Matteo Palmieri, in-
vece, nel terzo libro del suo Trattato della Vita Civile^ dà
nobilissimi precetti di universale giustizia, non solo intorno
al governo e alla economia dello Stato, ma eziandio intorno
alle guerre, allei paci e alle relazioni de' Popoli fra loro, de-
ducendoli dai principi della ragion naturale e degli esempì
ed insegnamenti degli antichi, massime di Cicerone. Sì che
quest'Opera — uscita alla luce la prima volta in Firenze, pei
tipi degli eredi di Filippo Giunta, nel 1529, cioè alla vigilia
della caduta della Repubblica — é, al mio sentire, come il
saluto augurale dell'Italia moderna alla futura vita delle
Nazioni. E invero l'autore pensa, scrivendo, alla Patria ed
ai figliuoli ed alla posterità, essendo, com'egli dice — < fermo
negli animi nostri un desiderio quasi pronosticativo dei fu-
turi secoli. > * E un immenso amore lo move della Umanità
e della giustizia, alle quali, come a primi fondamenti, devono
presenti alcuno principale membro civile, innanzi a ogni altra cosa intenda
non essere privata persona, ma r&ppr&aentare T universale persona di tutta,
la Città, ed essere fatta animata repubblica.... in conservazione della ci-
vile moltitudine ^. — {Nota deW Autore,)
* Giannotti, Della Repubblica Fiorentinay ìih.l, cap.II, pag. 69^. — (.Wo^a
deWÀutore,) ^
« Della Vita Civile, Ub. Ili, pag. 62. — {Nota deW Autore,)
246 SU ALBERIGO GENTILI.
conformarsi gì' istituti e gli atti del vivere civile. Perchè:
< due sono le leggi — egli dice — alle quali è sottoposta la
umana generazione: la prima è quasi divina e della natura ;
l'altra, a similitudine di quella scritta e approvata dagli
uomini. Legge naturale è perfetta ragione, nata in ciascuno,
diffusa in tutti, vera, costante e sempiterna, la quale in ogni
tempo, in ogni luogo e appresso qualunque gente, è una sola
perpetua immutabile e certa. Da questa hanno principio e a
questa si riferiscono tutte le buone leggi scritte.... Da questa
sono gli obblighi della Patria, la pietà de' parenti, la carità
dei figliuoli, la benevolenza dei congiunti : e ultimamente,
l'universale legame e diffusa dilezione dell'umana molti-
tudine. > *
Da tal legge non è lecito scostarsi, se non per giusta e
necessaria ricuperazione e difesa delle cose < che ingiusta-
mente fussino state occupate dai nostri nemici ; o p^r respin-
gere un' ingiuria che violentemente ci fusse stata recata, a
ciò che la pubblica dignità si conservi. Due modi sono di
questione: l'uno per dìsputazione, quando legittimamente si
cerca il dovere di ciascuno ; il secondo per forza. Il primo
è proprio degli uomini, il secondo bestiale > se la detta ne-
cesiSìtà non lo giustifichi. E alla forza, se necessaria, doversi
solamente ricorrere < a ciò che senza ingiuria si viva in
pace. > * I quali principi — già annunciati, come vedemmo,
da Cicerone — furono assunti di poi per norma alla ragioa
della guerra, come vedremo, da Pierino Belli e da Alberigo
Gentili.
< Diligente esamina — continua a dire il Palmieri — ri-
chiede ogni principio di guerra ; e per qualunque cagione si
elegga, debbe prima essere significata che presa: acciocché,
volendo la parte che ha offeso debitamente emendarsi, si
elegga sempre la tranquilla pace innanzi . alla tribolante
guerra; e per ogni tempo si consigli ed elegga quella pace
che manca di fraude, e le guerre in tal modo si comincino
che niun' altra cosa che pace paia cerca per quelle. > E qui
Matteo ricorda le umane osservanze degli antichi nel loro
giure feciale: condanna, come crudelissime sopra tutte, le
guerre civili; e adduce, ad esempio di patria carità nella
* Della Vita Civile, lib. Ili, pag. 67 e seg. — (^o<a delV Autore.)
* Ivi, i)ag. 69. — [Nota dell'Autore).
LETTUKA SECONDA. 247
vittoria, il fatto di Farinata degli liberti, che < salvò la città
al futuro Popolo. > ' Doversi anche coi nemici serbar fede, e
non incrudelire con i vinti : i quali meritano d'essere tenuti
in onore, se < con animo franco e gagliardo si sono difesi. >
Al punire aspramente si vuole esser tardo: e lunga ed umana
considerazione richiede il disfacimento e la ruina altrui. < Gli
uomini virtuosi, condotte che saranno le guerre e le grandi
cose finite, debbono punire chi sarà in colpa, ma la molti-
tudine con somma diligenza conservare. > Così, seguendo Ci-
cerone, umanissimamente discorre del Diritto di guerra, prima
di Pierino Belli e di Alberigo Gentili — e in buon volgare —
quest'ottimo cittadino della fiorentina Repubblica.
Cessate le ostilità e rivendicato il diritto, l'Umanità ri-
prende il suo impero, perchè < tutta la generazione umana
è d'un naturale amore insieme collegata. >^ Le arti della
pace essere il vero fine de' civili consorzi ; e la sapienza dei
conservatori degli Stati dovere esser volta ad accrescere, con
le scambievoli industrie e mercature, la comupe prosperità
e la universale amicizia delle genti. Piacciavi ascoltare an-
cora le proprie e memorabili parole del buon Toscano: < Per
stabilire fermezza e comune quiete di chi si esercita e fa
frutto agli altri, si computano infra le utilità civili le com-
pagnie e benevolentie e congiunzioni delle Signorie e poten-
tie vicine e longinque, le quali con ogni industria si debbono
curare, e inviolate mantenere. >* Linguaggio antiquato se vo-
lete: ma non vi par di udire, in queste parole antiche, la
voce viva e perenne della vocazione de' Popoli ai benefici della
libertà e della pace, e quasi un presagio delle sorti preco-
nizzate dalla moderna scienza alle Nazioni civili?
Or quel presagio fu raccolto — meutre l'Italia cadeva —
da un altro suo figlio, al quale la proscrizione — come ad
* Della Vita Civile, lib. Ili, pag. 72, a tergo. — {Nota dell'Autore.)
* Ivi, pag. 88, a tergo. — {Nota deW Autore.)
» Ivi, lib. IV, pag. 110, a tergo. E nello stesso libro, a pag. 93, 94,
dice: « Con le industrie s'è ornato e pulito il nostro vivere; sensi edifi-
cate le Città e da molti uomini abitate e frequentate; poi in quelle,
scritte le leggi, approvate le consuetudini e i costumi civili, e ordinate
tutte le discipline del politico vivere; onde è seguita la mansuetudine,
l'amore e l'unione degli animi insieme ragunati; il perchè si conosce
essere vera la sentenza degli stoici, i quali dicevano ciò che era in terra
essere stato da Dio creato, e fatto per uso e comune comodità degli huo-
mini, e gli huomini per utilità e snhaidio degli altri huomini, essere stati
ffener<Ui a ciò che potessimo insieme subvenirsi, e prestare Vuno alVaUro fa'
vore.9 — {Nota dell'Autore.)
^ààit.-.
248 SU ALBEKIGO GENTILI.
altri nostri — fé' strada ad estendere fra le genti Europee
i benefici dell'avita coltura. Vano sarebbe il cercare, ne' te-
nui rivi dedotti dalla stessa fonte dai contemporanei di Al-
berigo, gli elementi della umanità del suo Diritto di Guerra.
Egli li portava seco dalla gran vena delle tradizioni native
della sua terra, e ne fece dono all' Europa. La quale ricorda
e riconosce oggigiorno, per mezzo dei più autorevoli inter-
preti della scienza del Giure, gl'incrementi recati dal giu-
reconsulto di Sanginesio a questa parte della internazionale
giustizia.
E mentre io mi appresto — non senza trepidazione, come
ultimo per sapere fra tanto senno — ad esporvi nella ven-
tura Conferenza, con le principali dottrine di Alberigo, i
maggiori e più certi suoi titoli alla riconoscenza de' posteri,
consentite ch'io cerchi conforto della impresa, salutando al
termine del presente discorso — come feci al principio del
primo — que' nobili intelletti stranieri e nostrani che, in que-
sto omaggio al nome di uno de' nostri Grandi — per virtù
di mente data al bene dell'umana famiglia, — ci sono com-
pagni. Fra' quali mi è grato memorare dinanzi a voi, da
questa nobilissima sede di studi — oltre i già ricordati -— il
venerando Professore Asser di Amsterdam, Preside del Co-
mitato Olandese per le onoranze al Gentili, al quale assai
devono la scienza del Diritto e la fama. di Alberigo, di cui
assunse ultimamente la difesa in alcuni eccellenti suoi scritti :
il Rolin-Jacquemyns, Direttore della Rivista di Legislazione
Comparata, a Gand, e tanto benemerito degli odierni pro-
gressi delle dottrine giuridiche: l'illustre Lucas, dell'Istituto
di Francia, cultore anch'egli della memoria del Ginesino, ed
uno de' più caldi amici dell' Italia nostra, fra i dotti d'oltre
Alpe. Né lascerò, senza una parola di gratitudine e. di af-
fetto, Emilio Castelar che, quasi fratello di Patria, congiunge
nell'animo suo, in un solo amore, l'Italia e la Spagna, e fa
del nome di Alberigo, fra' suoi compatrioti, il simbolo del-
l'antica parentela fra le due Nazioni. — E s'abbiano da noi —
qui accolti a sciogliere un debito di nazionale riverenza alla
virtù dei nostri maggiori — grato segno di fraterna stima
quegl' italiani che del nostro giureconsulto s'apparecchiano
di dare sentenza — e lo potranno assai meglio di me — nei
recinti d'altre Università italiane : gli egregi Professori Pie-
rantoni e Fiore — il primo a Napoli, il secondo a Torino ; e
LETTUKA SECONDA, . 249
il De Giovannis-Gianquinto, di cui fu di recente annunciata
un'opera SuUa vita, sulle dottrine e sui tempi iélV Autore del
Diritto di Cruerra: e il Combi ed altri che si vanno aggiun-
gendo alla eletta schiera.
In questa legk degl' intelletti e de' cuori più generosi in-
tomo al nome di uno de' più insigni fra i ristauratori ita-
liani della Ragion delle Genti è riposto, o Giovani, il germe
della futura Alleanza de' Popoli nella libertà e nella pace.
E il riconoscimento europeo di questa gloria nostra ricorda
alla gioventù studiosa de' nostri Atenei l'obbligo di non ve-
nir meno, con la bontà degli studi e delle opere, all'avito
retaggio e alla parte che l'Italia deve alle speranze de' tempi
nuovi.
xn. 17
.^-»^«». JLT.il
250 SU ALBERIGO GENTILI.
Lettura Terza.
I Gentili e la Riforma religiosa in Italia. -— Loro esilio in Germania, indi
in Inghilterra. — Alberigo e gli uomini di Stato del regno di Elisa-
betta.— La politica inglese contro Spagna^ e l'intervento nelle Fiandre
per la libertà religiosa e civile del Continente. — Alberigo Gentili e
Filippo Sidney. — La guerra nel secolo XVI. — Voci della civile giu-
risprudenza contro la rinnovata barbarie delle usanze belliche. — I*ie-
rino Belli ed altri. — Il libro del Diritto di Guerra^ — Cenni sulle
dottrine liberali in esso esposte, contradette poi dairautore, sotto il
regno di Giacomo X, nelle Dissertazioni De potestate regia ahaoluta. De
vi civium in regem aemper iniusta. — I oasi del tempo non ginstifìcano
i mutati principi: ma l'opera alla quale è principalmente raccoman-
data la fama di Alberigo resta nobile documento di scienza tentata,
se non compiuta. — Doveri della gioventù italiana, addetta allo stu-
dio del Diritto Pubblico, dinanzi ai monumenti della sapienza civile
de' suoi maggiori.
Signore e Signori, miei cari Giovani,
Il 6 novembre 1546 fu giorno di gran moto fra gli stu-
denti della Università di Pisa. Saliva in quel giorno, la prima
volta, in cattedra, il Porzio,* seguace delle dottrine di Pom-
ponazzo — che, come sapete, fu uno de' più valenti precur-
sori del razionalismo moderno ; e avea messo in forse, in un
suo libro, la immortalità dell'anima. < Al suo apparire — dice .
lo Speranza — gli scolari, sapendolo discepolo di Pomponazzo,
cominciarono subito a gridare — anima^ anima — come ave-
vano a questo gridato gli scolari di Padova: sì che dell'anima
dovette il Porzio dissertare. >^ Ed aggiunge: < Ciò dimostra
^ Simone Porzio, napoletano, padre del celebre storico di tal nome.
Fu, secondo alcuni, discepolo di Pietro Pomponazzo, ma più verosimil-
mente — essendo egli ancora fanciullo quando questi insegnava a Padova
— non altro che seguace delle sue dottrine, che furono da lui continuate
nel libro che intitolò Della mente umana. Il Porzio lesse filosofia a Pisa,
dal 1520 al 1525, e vi ritornò nel 1546, quando Matteo Gentili era scolare
in queirAteneo. — {Nota delV Autore.)
* Il fatto è raccontato da Francesco Spina in una lettera a Pier Vet-
tori, nella quale è detto che il Porzio, cominciando le sue lezioni, s'era
proposto di chiosare i libri meteorologici di Aristotile; ma che, posto
ch'ebbe fine al suo dire, moltissimi scolari ad una voce gridarono, parlasse
dell'anima. Intorno a che osserva il Fiorentino: e Chi ricorda ciò che
abbiamo narrato essere il Pomponazzo intervenuto a Padova (dove, più
che delle cose metafisiche, gli studenti di medicina in particolare si cu-
ravano delle naturali) si accorgerà come fossero mutate le inclinazioni
degli scolari; i quali prima richiedevano a preferenza le interpretazioni
dei libri fisici, ed ora invocavano le lezioni sull'anima. »* Infatti, il libro
di Pomponazzo De immortalitate, rompendo la tradizione delle interpre-
tazioni scolastiche ed ortodosse della dottrina di Aristotile intorno al-
l'anima, concludeva secondo i dati della ragione per la mortalità, e rimet-
'ìl^«, '
LETTUEA TERZA. 251
come, anche nell'Università di Pisa fosse già molto innanzi
la libertà de' concetti e della discussione. > * Fra que' scolari
teva il dogma della immortalità alla rivelazione e alla fede. < Ragguagliata
ogni cosa -— dice il Fiorentino — il Pomponazzo conchiude essere la immor^
talità dell'anima un nodo della ragione irresolubile — problema neutrum;^ »
e cita le parole stesse del Filosofo in altra sua opera De Intellectu, che
suonano così : < Fuerunt quidam praBstantissimi viri ex latinorum secta^
acutissimi ingenii, qui Aristotilem in hoc problemate aiiintnihil certi
habuisse.... addunt et rursus problema de immortalltate animse esse neu-
trum.... Propter inquiunt ratione naturali animse rationalis immortalìtatem
sciri non posse: sed etiam esse seternam, esse tantum fide creditum, et ex
revelatione prophetica nobis traditum, » (Opera citata, cap.IV, pag. 186-87 )►
Però ho detto nel testo che il Pomponazzo mise in forse l'immortalità:
e fu per questo forse subordinato all'autorità della rivelazione — e più
per l'aura civile che spirava ancora in Italia per virtù del rinascimento
e della coltura classica, sotto il Pontificato di Leone X, — - ch'egli potè
vivere in pace a Bologna, pur rasentando l'eresìa. Gaspare Contarini^
stato suo discepolo a Padova, imprese a contradire la sua dottrina della
mortalità con modi cortesi e benevoli, com'era sua natura; pigliò a con-
futarla presuntuosamente — da cerretano qual era — il Nifo; Tassalsero
con invettive ribalde e feroci i frati di Padova e di Venezia, dando alle
fiamme il libro e invocando il rogo all'autore. I Riformatori dello Studio
di Bologna lo protessero ; lo protesse il Cardinal Bembo, già suo scolare
e rimasto poi suo ammiratore: onde il nostro filosofo potè difendere, in-
segnare, mantener fermi i suoi convincimenti, e morire nel suo letto, il
18 maggio 1525, fra le pietose cure de' congiunti e degli amici, credente
— come Kant — nell'impero della virtù e del dovere, malgrado i dubbi
della ragione.
Questa tendenza a separare i criteri dell'indagine filosofica dai dogmi
della Teologia, affermando le conclusioni dedotte dai primi, senza negare.
— per fede o prudente riguardo — i secondi, prelude, sin dai primi lustri
del secolo XVI con Pomponazzo, alla critica della ragione nelle cose me-
tafisiche: con Telesio alla osservazione sperimentale e alla scienza delle
cose fisiche; e si manifesta, in Alberigo e in altri suoi coetanei, nelle di-
scipline giuridiche. Essa penetra, invero, ed informa, come carattere ge-
nerale, la mente di quel secolo, non ancor sciolta in tutto dai freni del-
l'autorità, ma già sospinta dalla influenza della coltura antica e dal gran
moto .italico del Bìnascimento sulle vie del libero esame. £ già — prima
che il secolo si compia — il pensiero umano rivendica intera la sua auto-
nomia, in alcuni de' più forti intelletti del tempo : in Fausto e in Lelio
Socino, dinanzi al dogma fondamentale della Teologia cristiana, la Trinità;
in Giordano Bruno, nelle speculazioni metafisiche, naturali ed astrono-.
miche, contro l'autorità di Aristotile, di Tolomeo e della Bibbia; in Althu-
sius, nel Diritto Pubblico, ch'egli fondò fra i primi sulla ragion naturale
e sulla sovranità popolare, precorrendo col suo patto sociale — espresso
o tacito — alla teorica di Locke e di Rousseau.
Gli accennati rapporti fra i diversi elementi che si contrastavano il
dominio del pensiero, nel secolo XIV, ne spiegano le frequenti perples-
sità e contradizioni ; e di ciò è da tener conto nel giudicare le dottrine
di Alberigo Gentili; tanto più che il padre di lui avea recato seco dallo
studio di Pisa — insieme alla fede sincera nelle credenze cristiane rifor-
mate — una larga suppellettile di cognizioni scientifiche, secondo i tempi,
e uno spirito speculativo di cui sono indizio i ricordi che di lui abbiamo
nelle Opere dei figli) e ch'egli dovette naturalmente trasfondere, coni la
educazione e con la conversazione, nell'abito delle loro menti — segna-
tamente in Alberigo, col quale visse più costantemente che con Scipione.
— {Nota dell'Autore.)
* Merigo Gentili, Studi dell'avvocato Giuseppe Speranza, cap. IV
pag. 48. — (Nota dell'Autore,) ,
252 SU ALBERIGO GENTILI.
trovavasi allora, nelP Ateneo Pisano, a studiare medicina, il
giovane Matteo Gentili di Sanginesio, che fu poi padre di
Alberigo.
Nello stesso tempo, in quella colta città -- come in molte
altre d' Italia — erano invalse, non solo fra laici ma nel seno
stesso della Chiesa, opinioni affini a quelle de' protestanti di
Germania e di Svizzera, sebbene coperte dal velo de' riti
cattolici : però che i più credenti sentissero il bisogno di rivo-
care il sentimento religioso dalla materialità delle pratiche
esterne del culto a un più puro concetto del vincolo morale
fra l'uomo e Dio. E a questo intendevano Gaetano da Thiene,
Giberti, Sadoleto ed altri, in Roma ; Gaspare Contarini e gli
amici suoi, con Reginaldo Polo, in Venezia: ed è noto come
Giovanni Valdez avesse, in Napoli, con l'austerità della dot-
trina e con la santità della vita, attratta a. sé le anime
eh' erano quivi più innamorate del Bene ; fra le quali basti
il ricordare una nobilissima fra le donne di cui l'Italia si
onori, Vittoria Colonna. In Firenze e in Toscana tutta poi
lo spirito di Savonarola parlava ancora — a così dire — dal
sepolcro a' suoi devoti : e gli esuli fiorentini n' aveano por-
tato seco in Venezia le vive rimembranze. Da ciò l'accostarsi
de' riformatori cattolici a' riformatori protestanti, segnata-
mente rispetto alla dottrina della giustificazione per la fede
in Cristo contro la dottrina del libero arbitrio e del merito
delle opere : in altri termini, della salute dell'anima per in-
timo rinnovamento, anziché per virtù d'atti esterni non san-
tificati dallo spirito. Ora, le fondamenta dell'edificio Papale
— la efficacia, cioè, de' sacramenti e delle forme del culto,
la mediazione fra l'uomo e Dio e la conseguente autorità
della gerarchia — posavano, in gran parte, su questa seconda
dottrina, che filosoficamente è la vera ma che, travolta dal
sacerdozio a fini mondani, avea ridotto tutta la virtù della
religione alla mera osservanza de' segni e degli atti esteriori
del suo ministerio, facendo dipendere la salvezza de' fedeli,
più che da propria bontà, dai perdoni e dalle indulgenze
della Chiesa. Di fronte a tal sommessione e servitù della co-
scienza, il ricorso alla fede in Cristo e l'aspirare dell'anima
all' ideale dell' amore e del sacrificio, come a via di salute,
erano al paragone libertà, vita, riscatto. E a questo aspetto
della Riforma propendevano gli spiriti più devoti, eziandio
fra i cattolici ; quanti aveano a schifo le corruttele, le impo-
LETTURA TERZA. 253
sture, le venalità ond'era contaminata la Chiesa; quanti
anelavano a rigenerare moralmente la cristianità mantenen-
dola unita, da Contarini ad Ochino. Erano Calvinisti o Zuin-
gliani, quanto al principio informatore della fede; rimanevano
cattolici, rispetto alla costituzione della Chiesa, che volevano
purificata dagli abusi ma intatta nell' insieme. Or, tutta Ita-
lia era seminata di sodalizi rivolti a tali tendenze.* Così ad
esempio, in Pisa, in Lucca, a Napoli, Pietro Martire Vermi-
gli — canonico fiesolano, indi esule in Isvizzera e più tardi
Professore di Divinità in Oxford — avea fondato congrega-
zioni di tal maniera di riformati ; ed è assai probabile che
il giovane Matteo Gentili attingesse a questa fonte i principi
della nuova credenza : della quale poi, ritornato nella regione
nativa, fecesi propagatore fra gli amici, procacciandosi in
pari tempo riputazione di sapere e virtù, come medico e come
cittadino. Sposò nel 1549 Lucrezia Petrelli, gentildonna di
non comune ingegno e bontà, e n' ebbe più figli, fra' quali
Alberigo e Scipione, partecipi de' convincimenti e de' casi
paterni. Primi educatori della numerosa prole furono il padre
e la madre. E, vissuto Alberigo, sino all'età di 19 anni, nel
santuario della famiglia, passò quindi a studiar leggi in Pe-
rugia, ancor rigida custode — a que' giorni — della vecchia
scuola di Bartolo e di Baldo: onde la grande osservanza del
Gentili per que' restitutori del Romano Diritto ne' primi se-
coli degli studi risorti. Conseguì egli, nel 1572, grado di Dot-
tore nell'Ateneo Perugino; dopodiché, recatosi presso il padre
in Ascoli — dove questi s'era allogato in qualità di medico
del Comune — fu da que' cittadini, per la fama che già di
lui correva, eletto pretore o podestà, sebbene giovanissimo.
Passati tre anni e restituitosi con i parenti al suo natio San-
ginesio, vi ebbe liete accoglienze, onori, ufficio di avvocato
della città e di riformatore de' municipali Statuti ; e alla
pubblica fiducia corrispose solertissimo, con la dottrina, col
senno, con la civile onestà. Ed ivi rimase dal 1575 al 1579,
nel quale anno — ventottesimo dell'età sua — la fortuna si
volse fieramente nemica a lui e a' suoi. Trasvolo sui parti-
* Vedi intorno ai caratteri e ai tentativi della Riforma religiosa in
Italia, la classica opera dì Leopoldo Ranke, Storia dei Papi, ne* secoli XVI
e XVII, ec, voi. I, lib. II, cap. I. — Mac Crie, Reformation in Itahj, — Ger-
DOSio, Specimen Italice reformatce, — Giannone, Storia Civile del Regno di
Napoli. — Speranza, op. cit., cap. Ili e IV, ec. — {Nota delV Autore.)
254 SU ALBERIGO GENTILI.
colari. Toccherò delle generali cagioni della rovina de' Gen-
tili : sorte comune di un gran numero di case italiane in
quella terribile età.*
Ne' primi anni del Pontificato di Paolo III, la parte rifor-
matrice, capitanata dal Cardinale Gaspare Contarini — alto
intelletto e nobil cuore, — avea tentato riconciliare cattolici
6 protestanti, sul fondamento de' principi poc'anzi accennati.
Carlo V, propenso allora a tolleranza per le cose di Germa-
nia, favoriva il disegno. E per poco il Cpntarini non riuscì,
nella Dieta di Ratisbona, a felice risultamento.* Quel con-
cetto di restaurazione morale dell'unità cristiana, ideata da
un grande Italiano, traeva a sé gli animi più generosi. Bucero
e Melantone, fra i protestanti, vi si accostavano volentieri.
La rigidità di Lutero da un lato; le mene di Francesco I
dall'altro; le perplessità del Pontefice; e, in fondo, l'intrin-
seca contradizione fra i due sistemi chiamati a contempe-
rarsi insieme, prevennero l'efifetto. I più stretti conservatori
in Roma, i luterani più bigotti in Germania, agitati con dop-
pie arti dalla diplomazia francese — sospettosa della potenza
ohe la pacificazione religiosa avrebbe arrecato all'Impero —
resero vane le speranze de' più temperati. La parte selvaggia
prevalse. Il consiglio dato anni innanzi dal Cardinale Cam-
peggi a Carlo V — intorno al modo di trattar con gli ere-
tici: < tentarne la conversione con promesse o minaccie; reni-
tenti, estirparli col ferro e col fuoco, >' — avea ormai secondi
i destini.
* Per più ampie e particolareggiate notizie intorno alla famiglia Gen-
tili, alla vita di Matteo e d'Alberigo, alla loro fuga dall'Italia, al processo
in contumacia intentato contro di loro dalla Inquisizione, alla confìsca
de' beni e alla cancellazione del loro nome dall'Albo del Comune di San-
ginesio, rimando i lettori alla lodata opera dell'Avv. Speranza, il quale
ha trattato di tutto ciò con molto studio e diligenza. — (Nota dell* Atitore.)
* Intorno alle idee di riforma della Chiesa cattolica e ai propositi di
«onciliazione coi protestanti di Germania, per parte del Contarini e degli
amici suoi, sono da consultare, fra gli altri documenti del tempo, il Con-
silium delectorum cardinalium et aliorum prcelatorum de emendando ecclesìa,
firmato da Contarini, Caraffa, Sadoleto, Polo, Fregoso, Giberti, Cortese e
Aleandro: la Memoria del Contarini stesso a Papa Paolo III, Gasp. Contar.
Cardinaliaad Paulum III de poteatate Pontificia in compoaitionibua : la Inatructio
data (da Paolo III) Bev. Card. Cantareno in Germania legato, d, 28 mensiét
Januarii, 1541: le vite e gli epistolari di Contarini, Reginaldo Polo, Sa-
•doleto, ec. Vedi particolarmente la vita del Contarini, scritta in latino da
Mons. Giovanni Della Casa, e l'altra in volgare del BeocateUi. — {Nota
dell'Autore.)
^ Memoriale presentato a Carlo V dal Card. Campeggi, Legato ponti-
"^io alla Dieta d'Augusta, nel 1530, pendenti gli accorai tra Clemente VII
Imperatore, per l' estinzione dell' eresia in Germania e il sacrifìoio della
^^W'^'K ^ ' '
LETTURA TERZA. 255
A breve andare, mescolandosi agli odi religiosi le rivalità
de' Principi, la Germania fu piena di stragi : le Fiandre, re-
clamanti la integrità di loro antiche franchigie, furono visi-
tate dai primi rigori dell'Inquisizione; la Francia, morto
Francesco I, divenne, durante i regni de' suoi deboli succes-
sori e sotto la Reggenza di Caterina de' Medici, teatro di
feroci fazioni; e, in mezzo alle rovine della civile società, il
Concilio di Trento e la Compagnia di Gesù diedero mano a
consolidare gli avanzi della disfatta unità cattolica, ristau-
rando l'assoluta supremazia del Pontefice e commettendo la
custodia della inanime forma di una fede da cui s'era par-
tito lo spirito della carità e dell'amore, alle pie eure del
Sant'Ufficio. I limiti del presente discorso non mi consentono
di riandare i fasti de' pontificati di Paolo IV, di Pio V, di
Gregorio XIII, né i particolari della persecuzione che spense
o cacciò dalla Patria nostra la miglior parte di ciò che v'era
di colto, di animoso e gentile, nella generazione alla quale
il mondo deve le glorie del rinascimento delle lettere e delle
scienze. Non v'ha terra d'Italia che, ne' ricordi domestici di
quella sinistra età, non abbia da consegnare alla storia nomi
di martiri e d'esuli per la libertà del pensiero e della co-
scienza.^ La Svizzera, la Germania, la Polonia, l'Inghilterra,
le Fiandre furono testimoni ed ospiti delle sventure e delle
virtù de' colpiti dalla proscrizione italiana. Lungo lo anno-
verare anche solo i più illustri, da Ochino a Vermigli, pro-
fughi per causa di religione, a Vannini e a Bruno che, pei
diritti dell'umana ragione, sostennero invitta battaglia con-
tro i seguad dell'autorità; e finirono col perire sul rogo. E
già Carnesecchi, Paleario ed altri — chi per cristiani con-
vincimenti, chi per filosofiche speculazioni — aveano patito
tortura e morte. Sola via di salvezza il mentire alla propria
coscienza o cercare libertà nell'esilio. Ma i più preferirono
alla ipocrisia, di una fede non sentita l'abbandono delle cose
più caramente dilette. Ì)a talune città emigrarono congre-
gazioni intere. Innumerevole la schiera de'men noti. Donne
egregie per altezza di mente — come Olimpia Morata* — fu-
libertà fiorentina, in compenso dell'appoggio papale alla preponderanza
spagnuola. Instructio data Ccesari a reverend. Campeggio in dieta Augu-
stana, 1^0. — Banke, op. cit., lib. I, cap. III. — {Nota deW Autore.)
* Ravke, op. cit. — Mac Obib, Reformation in Ttaly.— {Nota deW Autore.)
* Gentildonna ferrarese, iniziata, alle nuove credenze sotto gli auspici
di Kenata d'Angiò — seguace, coni' è noto delle dottrine di Calvino. — Co-
256 SU ALBERIGO GENTILL
rono ne' travagli dell'esilio esempio di costanza e di fede ai
lor cari. Le furie dell'Inquisizione sterminavano dalla Patria
nostra le dovizie superstiti dell'ingegno e della virtù onde
l'aveano arricchita i forti secoli della civiltà de' suoi Comuni ;
mentre le scuole de' seguaci di Loiola corrompevano la natia
virilità deé:li animi nel rimanente. La vena non mai dissec-
cata della cristiana pietà nell'anime più mansuete ed amanti^
anche fra il clero, si espandeva, è vero, in opere di benefi-
cenza a sollievo della spaventevole miseria delle plebi, in
mezzo alle guerre, alle carestie, alle pestilenze che desola-
vano Ja nostra terra infelice. E sorgevano allora quegli Or-
dini religiosi d'origine e d'indole affine — da principio — alle
antiche tendenze riformatrici, che col nome di Teatini, di
Somaschi, di Barnabiti, pur ritraendo l'animo dalla indagine
pericolosa dell'intime sorgenti della religione, si consacra-
vano devoti alle sociali carità sotto l'imposta forma. Ma,
come accade, la fede prescritta dalla forza diveniva in molti
velame di segreta incredulità e d'opere malvagie; la schietta
moralità dell'antica vita italiana decadeva, in gran parte,
sotto la duplice schiavitù de' corpi «.dell'anime ; e a' più vol-
gari la religione non era che scampo esterno e miracoloso
ai rimproveri della mala coscienza. Onde, soppressa ogni
virtù propria di riparazione interiore, vedevansi ne' cattivi i
misfatti più turpi e crudeli andar compagni alle più bigotte
osservanze ; come oggi ancora vediamo — infima specie del
genere — il brigante che uccide e prega.
Per la fallita conciliazione fra cattolici e protestanti, l'opera
dell'umano progresso fu sottoposta a maggior prova, ma non
si arrestò nel suo corso; e, come vuole natura, trasse dagli
ostacoli nuovo impulso e vigore.
Nelle contrade che adottarono la Riforma, la ragione
— - sciolta dai legami della Chiesa di Roma — rimase in gran
parte avvinta all'autorità della Bibbia. La libertà di coscienza,
parzialmente rivendicata, era una libertà relativa, circoscritta
nei limiti ad essa segnati dalla tradizione ebraica e dalla
tradizione evangelica. E nelle diverse sètte l' interpretazione
de' Libri Sacri determinava, secondo le varie disposizioni de-
stretta ad esulare in Germania col marito e coi figli, lasciò in parecchie
lettere, da lei dettate dall' esilio, un nobile documento ai posteri di do-
mestiche virtù, d'ingegno colto e gentile e di fede serena in mezzo ai
dolori e agli stenti dell'errante sua vita. — {Noia dell'Autore.)
LETTURA TERZA. 257
gli animi, modalità speciali di dogmi e di riti, ch'erano fonte
d'intolleranze non meno feroci delle cattoliche. Nei paesi
invece che si mantennero in podestà di Roma papale, il moto
degli ingegni, escluso dalle cose della religione, si volse ai
quesiti della filosofia e dèlia scienza: la ragione vi spaziò
più indipendente dalle preoccupazioni della fede: la civiltà
laica vi prese forme meno teologiche, meno austere: e in
breve, i discepoli ribelli della Chiesa cattolica sorpassarono
i timorati eredi di Lutero e di Calvino nelle conquiste della
libertà del pensiero.
E questa tendenza si fece manifesta sin da principio, mas-
''sime fra gl'italiani: i più prestanti de' quali non rassegna-
rono mai tutta intera la signoria del loro intelletto ai dogmi
dei riformatori; né s'acconciarono alla solitaria e repulsiva
natura àeW individtmlismo protestante.^ Onde anche quelli
che la reazione papale fece uscire dai confini dell'unità cat-
tolica serbarono tuttavia, dinanzi alle straniere credenze,
grande libertà di giudizio: e nell'indole della lor mente ap-
parve pur sempre viva e operosa la civile virtù della natia
coltura.
Io vi chiedo venia di queste escursioni nella storia del
pensiero italiano all'età di Alberigo, le quali però ci servi-
ranno a definire più esattamente i caratteri della sua mente;
e ritorno alle vicende della sua vita.
Esisteva in Sanginesio una Confraternita denominata
de' Santi Tommaso e Barnaba, cattolica in apparenza, ad-
detta—in ispirito — alle nuove dottrine. Matteo n'era prin-
cipale ispiratore ; * caldo seguace della sua fede, il figlio Al-
berigo. Ma i tempi si facevano grossi; vigile dapertutto il
Sant'Ufficio; i sospetti religiosi inveleniti dalle fazioni civili.
Gregorio XIII, grande patrocinatore de' Gesuiti e di loro
scuole, cospirante con Filippo II di Spagna contro Inghil-
terra, contro gl'insorti Fiamminghi, contro gli Ugonotti; in-
teso ad apparecchiar difese contro i Turchi: profondeva in
questi molteplici intenti i tesori della Chiesa. A rifare l'esausto
erario ricorse ad un espediente tribunizio. Sottopose a revi-
sione legale i titoli di possesso de' feudi dello Stato : e quanti
Signori vennero giudicati possessori illegittimi espropriò dei
beni, da essi o dai loro maggiori indebitamente occupati od
* Speranza, op. eit., cap. IV. — {Nota dell'Autore,)
258 SU ALBERIGO GENTILI.
abusivamente ritenuti/ Da ciò, sollevazioni di feudatari spo-
destati, bande di paesani, conflitti di sètte ostili in ogm terra
sotto vieti e falsi nomi di guelfi e ghibellini, oltraggi a chiese
è a persone ecclesiastiche per fatto dei malcontenti; l'accusa
di eresia usata sovente dai partigiani del Governo, a sfogo
di private vendette. Del quale disordine le Marche erano tutte
piene, e Sanginesio non ne andò esente : di che accadde die
parecchi de' fratelli dell' Oratorio vennero, per odi partico-
lari, denunziati alla Inquisizione : onde, arresti e fughe. Mat-
teo potè, con r aiuto di fidati amici, provvedere in tempo al
proprio scampo ; e, in compagnia di Alberigo — traendo seco
anche il giovinetto Scipione, allora sedicenne — si condusse
a salvamento in Carniòla. Quivi fece dimora — con ufficio di
Archiatro presso que' Duchi — sino al 1581 ; e, mandati nel
frattempo il minore de' figli a studiar leggi in Germania, il
maggiore a procacciarsi stato in Inghilterra, colà si ridusse
anch' egli in sul cadere di quell'anno, per più sicuro rifugio.
Che l'Inghilterra era a que' giorni — come poi sempre — in-
violato ricetto d'onorati esili. E, sebbene sotto lo splendido
regno di Elisabetta — tutrice delle sorti del protestantesimo
e della indipendenza de' Popoli contro Roma e la Spagna —
la cura delle interne franchigie avesse ceduto il campo a
quelle grandi e generali preoccupazioni; i progressi del pen-
siero e il sollevamento degli animi alle minaccio di fuori ap-
parecchiavano non pertanto i germi di quella invitta gene-
razione, salvatrice della libertà, ch'ebbe nel seguente secolo
per interpreti e campioni della sua grande opera, Hamden,
Cromwell e Milton.
L' esule giureconsulto italiano, eh' era già in fama di dot-
trina e d'integrità, s' ebbe — ivi giunto — benevoli i più illu-
stri fra gli ottimati : e Binatamente il Conte di Leicester,
potente allora in Corte, e Filippo Sidney, insigne per colfeara,
per costumi cavallereschi e più per nobiltà d' animo, inteso
a proteggere gli studi e gì' ingegni, e devoto alla patria e
all'altrui libertà. Di che diede prova solenne promovendo la
difesa dell'insurrezione fiamminga contro il dispotismo spa-
gnuolo; e consacrando, in quella gran lotta, l'eroica virtù e
la vita alla Causa della comune sicurtà e civiltà delle genti.
Per tali aderenze, ottenne Alberigo — onesto premio al me-
* Vedi Ranke, op. cit., lib. IV, § III. — Maffei, Annali di Gregorio XHF^
e i Dispacci di Antonio Tiepolo, citati dal Ranke. — (^o^a deW Autore.)
LETTURA TERZA. 259
rito — onori ed uffici; posto di socio, e facoltà di professare
pubblicamente il Diritto, nel Collegio di San Giovanni in
Oxford, sin dal 1581 ; indi, nel 1587, cattedra di Diritto Ci-
vile in quella Università/ Ed ammogliatosi ad Ester de Peigny
francese, n'ebbe più figli; fra' quali, Roberto il maggiore, del
quale dirò più avanti.
A que' tempi, gli esuli per causa di religione trovavano
fraterne accoglienze e liberali compensi alle loro afflitte for-
tune fra i protestanti di Svizzera, di Germania, d' Inghil-
terra; segnatamente quelli — com'è naturale — che abbrac-
-ciavano gli articoli di fede delle chiese dominanti, fra le
riformate. I Gentili non dovettero — s' io ben giudico — sco-
starsi gran fatto dalle credenze alle quali accennai poc'anzi;
•ed usciti fuor della Patria e della Chiesa papale ad un tempo,
aderirono alla Chiesa anglicana, come a quella che meno si
allontanava dagli ordini antichi. Onde, né Matteo né i figli
«uoi sono da collocare fra i novatori de' dogmi del cristia-
nesimo, come Socino ed altrettali; né fra gli oppugnatori
della Teologia in nome della ragion filosofica, come Giordano
Bruno; ma più veramente fra que' nostri moralisti cristiani
■che, seguendo le tradizioni de' loro precursori -- da Arnaldo
a Savonarola — e le dottrine de' Riformatori or ora menzio-
nati, intendevano a spiritualizzare il culto, spogliandolo di
ciò eh' essi giudicavano falso ed intruso, e ad emancipare la
società civile dalla soggezione al primato papale. E invero
Alberigo non si preoccupò più che tanto di polemiche dogma-
tiche, né fu amico al razionalismo dell' età sua, in quanto si
facesse a scrutare ciò eh' era, al veder suo, di pertinenza
della fede; come appare da vari luoghi del Diritto di Guerra,
nonché dalle allusioni con che Giordano Bruno — parlando,
ne' suoi Dialoghi, delle dispute da lui sostenute in Oxford e
in Londra coi dottori del tempo — tocca evidentemente, fra
gli altri, il Gentili.* Non é quindi per tale rispetto che que-
* T. E. HoLLAKD, J>i8corao aopra Alberigo Gentili, letto aW Università di
Oa^ordf nel novembre 1874. — Speranza, Studi ec, cap. VII. — {Nota del-
l'Autore,)
* Il concetto di Alberigo, circa ai confini ne* quali parevagli doversi
circoscrivere la competenza della ragione, risulta chiaramente dal passo
che segue del cap. XX, lib. II del Diritto di Guerra : « Et non sunt ulla
aut Aristotelis aut cujusdam alterius documenta, quae non cedant reli-
gioni. Etiam sensus concedunt. Opinio verisimilitudini, inteUectua rationi,
fidea auetoritati innititur. Fides rationem non qucerit^aed ante rationem credit:
quia nec quidquid ait magia contra rationem quam per rationem illuc canari,
260 SU ALBERIGO GENTILI. '
sti ha lasciato traccia di sé nella storia dell'umano pensiero ;
sebbene, come propugnatore, nel suo Diritto di Guerra, della
quod 8upra omnem est rationem, Qu8b Bernard us. Et quae apta omni reli-
gioni, ac fidei. » — Il qual passo è così tradotto dal Fiorini: « Non trovi
precetto in Aristotile e in altri che non ceda al principio religioso ; anche
la ragione gli cede. L' opinione alla verosimiglianza, Y intelletto alla ra-
gione, la fede si appoggia all'autorità. Fede lion cura di ragione né do-
manda ad essa che cosa abbia da credere: che non v'ha nulla di più con-
trario a ragione che tentare quelle cose che a ragione sovrastano. Così ^
Bernardo: e così può dirsi dì eie che attiene a qualunque religione e fede. » *
Ma, stabilito questo confine, se Alberigo nega da una parte alla ragione
la facoltà di varcarlo, entrando nel dominio della teologia, egli esclude
dall'altra, non meno risolutamente, quest'ultima dal campo delle questioni
che sottostanno ai criteri civili ed umani, e che possono con questi risol-
versi conforme alla Legge di Natura, che è pur essa — egli dice — Legge
divina. E se accada di trovare ne' Libri Sacri qualche comando speciale
che contradica ai principi della naturale giustizia — come nel caso degli
ordini dati da Mosè, in nome di Dio, al Popolo Ebreo per lo sterminio
de' suoi nemici, non risparmiando donne e fanciulli — il credente non in-
dagherà la ragione di si fatto comando, la quale è mistero che spetta alla
fede e alla teologia ; ma dovrà considerare quel comando come eccezione
alla legge, e osservare la regola generale, non l'eccezione. Tale è l'argo-
mento di Alberigo in proposito, al cap. XXI del lib. II, De Jure Belli. Nè^
basta : ma più recisamente ancora egli respinge le pretese de* teologi,,
quante volte facciano contrasto alle ragioni della giustizia e dell'umanità,,
non per autorità di comandi divini nella Bibbia, ma per arbitrio di opi-
nioni lor proprie, come vo notando in vari luoghi più avanti: e vuole
libera e sciolta la competenza della ragione in tutto ciò che di sua natura
è soggetto al giudizio della medesima, nelle cose naturali come nelle civili.
Di che fa testimonianza, fra l'altre sue sentenze, quella con cui — com-
battendo, fra gli spedienti di guerra da non approvarsi, le arti magicbe
e le fattucchierie — si mostra evidentemente inclinato a non prestar fede
ai pregiudizi, che ancora prevalevano a' suoi giorni, sulle influenze demo-
niache (lib. II, cap. VI). Diresti ch'egli non fosse al tutto estraneo a quella
tendenza razionale che andava occupando il luogo del maraviglioso nella
spiegazione de' fenomeni della Natura, e di cui Pomponazzo, fra i primi,
uvea dato saggio nel suo libro De ine antat ione. E l'avere Matteo Gentili
studiato in Pisa sotto gli auspici di Porzio, e partecipato al movimento
intellettuale che apparecchiava la via al metodo sperimentale nelle scienze
fisiche, rende verosimile che Alberigo tenesse dal padre somiglianti dispo-
sizioni di mente. Che, anzi, la sua amicizia per Giordano Bruno e il pregio
in che lo aveva — comechè alieno dalle sue speculazioni *e dato a studi
di natura più positiva — sembrano confermare il supposto ; non essendo
probabile che, s'egli fosse stato — come taluni lo dipingono — uno stretto
e intollerante seguace dell'autorità in materia di religione e di filosofia,
si fosse poi, come fece, sì amorevolmente prestato in Vittenberga a pro-
cacciare al Nolano una cattedra,'perchè vi leggesse VOrganum di Aristo-
tile, mentr'egli conosceva in Bruno il più audace degli oppugnatori d'ogni
maniera d'autorità. Aggiungi che Alberigo, nell'opera De nascendi tempore
e in altri suoi scritti, si mostra peritissimo delle discipline mediche e na-
turali (Speranza, cap. X, pag. 145-46). Stimo pertanto che il più probabile
giudizio che, negli accennati aspetti, possa farsi di lui, sia di considerarlo
sinceramente addetto alle credenze cristiane riformate, per indole d'animo
religioso ; ma non bigotto, non fanatico, non avverso per esse al legittimo
esercìzio dell'umana ragione, vuoi nelle cose civili e politiche, vuoi nelle
metafisiche e nelle fisiche; rappresentando egli cosi in sé stesso il tem-
peramento del suo secolo, spartito — per così dire — fra il libero esame
e la fede. E se — come par certo — 1 Albertino, introdotto da Giordano
Bruno nel quinto Dialogo deir//i/ì«iVo universo e mondi, è il nostro giure-
LETTURA TERZA. 261
Ragion delle Genti, dica cose vere e notevoli sul principio
della libertà religiosa, di che discorrerò fra breve. Ma l'uf-
ficio eh' egli si assunse, nel suo esilio britannico, fu di resti-
tuire in onore lo studio delle Leggi civili fra genti che, per
Podio giustamente concepito contro la parte servile del Giure
imperiale, avevano ingiustamente in dispetto tutto ciò che
portava nome di antico e di romano. E Alberigo riuscì ap-
punto a ravvivarne la coltura presso gli ospiti suoi : * e fu
suo maggior merito l' avere, più che altri, contribuito, nel-
r aprirsi de' tempi moderni, ad estendere i lumi della ragion
naturale e della civile equità al giudizio delle liti che insor-
gono per causa pubblica fra Popoli e Stati diversi. Perocché,
nel magistero dell'insegnamento come nelle familiari con-
versazioni co' suoi patroni — e in particolare col Sidney,
eh' egli singolarmente amava ed ammirava — gli accadesse
sovente di conferire intorno alle grandi questioni di Diritto
Pubblico che, in quel vasto agitarsi delle nuove sorti de' Po-
poli in secolo riformatore e trasformatore, s' imponevano al
pensiero de' giureperiti e degli uomini di Stato. E de' suoi
pensamenti su tale soggetto, egli avea già abbozzato le prime
linee in una Prolusione che lesse in Oxford, presenti il Leice-
ster e il Sidney, nel 1585; svolgendoli poi, in quello stesso
anno, con maggiore ampiezza, nella sua opera De LegcUio-
nibuSy da lui dedicata al Sidney come a modello del perfetto
ambasciatore.* Or la dottrina di Alberigo in ogni ramo, non
solo dell'antica ma della comune e statutaria giurisprudenza,
davagli grande autorità, sì ne' cìrcoli degli studiosi come
consulto, il ritratto che 11 Nolano ce ne fa risponde appunto a questa no-
stra idea dell'autore del De Jure Belli, < Nel principio del quinto Dialogo
— dice Bruno nella Epistola Proemiale al Mauvissier, ambasciatore di
Francia a Londra — si presenta uno dotato di più felice ingegno ; il quale,
quantunque nodrito in contraria dottrina, per aver potenza di giudica r
sopra quello eh' have udito e visto, può far differenza tra una e un'altra
discipUna, e facilmente si rimette e corregge. » — Nel che vedi i segni,
nel nostro italiano, di una mente istrutta a civile coltura e aperta alla
ricerca del vero, in contrapposto all'accigliata e rustica presunzione dog-
matica che il Nolano attribuisce — segnatamente nel quarto Dialogo della
Cena delle Ceneri — ai teologi di Oxford e agli altri barbassori, a' quali fa
intendere le sue nuove dottrine. {Opere di Siobdano Bruno Nolano, rac-
colte e pubblicate da Adolfo Wagner. Voi. I, pag. 179 ; voi. II, pag. 11 « —
iNota delC Autore,)
* T. £..HoLLAND, Discorso cit. — {Nota delV Autore.)
' Vedi, intorno alle prime idee di Alberigo sul Diritto delle Genti e agli
scritti in cui le venne abbozzando, prima di dar mano, nella sua ultima a
più compiuta forma, all'opera De Jure Belli,g,ìi Studi dell'avv. Speranza,
cap. X. — {Nota dell'Autore,)
262 SU ALBERIGO GENTILI.
ne' consigli de' reggitori dello Stato : onde, venuta in campo
la grave questione della complicità del Legato di Spagna,
Mendoza, nella congiura ordita a liberare Maria Stuarda e
porla, spacciata Elisabetta, sul trono, i consiglieri della Co-
rona ricorsero — com' era ed è consuetudine del Governo in-
glese ne' casi di diritto intemazionale — al parere de' giure-
consulti, affidando il solenne incarico ad Alberigo Gentili e
a Giovanni Ottomanno, figlio del celebre Francesco ed esule
anch' egli per cagion religiosa. Ed avendo essi opinato: che
gli ambasciatori dovessero considerarsi inviolabili, anche se
colpevoli di tradimento contro lo Stato nel quale erano ac-
creditati, quando la cospirazione degli animi non avesse avuto
compimento ne' fatti ; e che unico rimedio legittimo fosse, in
tal caso, salva la vita, il cacciarli ~ il civile consulto de' due
amici e colleghi fu volentieri accolto e seguito. Esempio no-
tevole della osservanza in che le Nazioni che vivono in li-
bertà, o che non ne hanno perduto al tutto la memoria e il
costume, sogliono tenere la ragion deUe leggi e l'autorità
de' periti nelle medesime, a differenza di quelle i cui destini
sono governati dall'arbitrio di un solo o di pochi.
Intanto, le guerre devastatrici di quella età davano grave
materia di riflessione agli intelletti più umani. La prima
metà del secolo era stata occupata dalle contese dinastiche
tra Casa d'Austria e Casa di Valois ; il rimanente, dalle am-
bizioni di Spagna e dalle guerre di religione fra protestanti
e cattolici. La cupa politica di Filippo U, succeduto a Carlo V
ne' vasti domini spagnuoli, spandeva un'ombra funesta sa
mezza Europa. Erangli strumento di regno il fanatismo re-
ligioso, ministra di Stato l' Inquisizione, sussidio all' armi ì
roghi; e lo sterminio degli eretici mezzo alla soppressione
delle franchigie de' Popoli. Incontro al supremo pericolo della
indipendenza europea, stettero a que' giorni la virtù fiam-
minga e la liberalità inglese. Alle immanità del Duca d'Alba
tennero fronte, con Guglielmo d' Grange, gl'indomiti litorani
del Mare del Nord, i nipoti degli antichi Bàtavi;^ alle tene-
brose congiure de' gesuiti, i vigili consigli dei ministri d'Eli-
sabetta ; ai torreggianti vascelli della invincibile Armada, il
* Sull'insurrezione fiamminga e sullo stabilimento della Bepnbblica
de' Paesi Bassi, vedi la stupenda storia dell'americano Giovaiwi Lothboi»
MoTLET, The Rise of the Dutch Bepublic. London, Gr. RouUedge and Co., 1858.
— {Nota deir Autore,)
LETTURA TERZA. 263
patrìotismo del Popolo inglese e de' suoi marinai, con lor
navi piccole e snelle, con la loro destrezza e col loro corag-
gio. Il senno di Leicester e di Walsingham — segretario di
Stato dell'accorta regina — e la eroica mente di Sidney com-
presero che dalla indipendenza delle Fiandre dipendeva la
salvezza delle Nazioni : che ivi — come dice Alberigo nel suo
Diritto di Guerra — era l'antemurale della libertà dell' Eu-
ropa.* E quella magnanima politica — esempio non inutile
anche alla nostra età -— facendo propria la Causa degli op-
pressi, aiutando da un lato i Fiamminghi, dall'altro gli Ugo-
notti e la parte nazionale fra i cattolici di Francia a rintuz-
zare, con la mano e col senno di Enrico IV, le armi e le
insidie di Spagna, gettò le prime fondamenta di quel nuovo
ordine degli Stati europei che, mercè il contrasto delle forze,
apparecchiò il moto vitale delle moderne Nazioni.
Intanto, scaduti in que' secoli — come accennai nella pre-
cedente Lettura — i costumi del medio-evo, ai riti religiosi
e guerrieri delle milizie cittadine, pugnanti intorno al Car-
roccio con la Patria nel core, e alla virtù della nobiltà ca-
. stellana che, cinta da' suoi fedeli, contende di valore e di
cortesia col nemico, iva succedendo da per tutto una nuova
barbarie. I prodi cavalieri del buon tempo antico aveano
fatte — fra i nostri — le ultime prove all'Arbia e a Campal-
dino ; e di là dall'Alpi, a Crécy e ad Agincourt. La magna-
nimità- di Farinata che tempera nella vittoria l' ire de' suoi,
e < conserva — come dice Palmieri — la città al futuro Po-
polo >, non trova più luogo fra capitani di ventura che,
vendendo il braccio a Principi e borghesi imbelli, scorrono
con lor compagnie, predando e devastando, la Francia e
l' Italia. Ma, allorché ai parziali conflitti del secolo XV suc-
cessero le grandi contese del secolo XVI ; e Tedeschi lurchi,-
Spagnuoli avari e crudeli, mercenari svizzeri e avventurieri
* « Sic, sic Beigmin apparebatur, ut viri videre sapientea, et ut heros
magnus Lecestrius sapientissime defensionem Belgarum saluberrimam
reipublicsB, ac necessariam prsevidit, suscipiendamque suasit. Ne si illud
vaUum Europee..,, Hispani perrumperent, nihil amodo superesset objcis
violentias ipsorum. » Alberigo Gentili, De Jure Belli (Neapoli, ex Inip.
Joan. Gravier, 1780), lib. I, cap. XVI, pag. 67. — {Nota deW Autore,)
* . « E come là tra U Tedeschi lurchi »
Dante, Inf., canto XVII.
Lurchif divoratori immondi, lureones; parola che bene si appropriava a
mercenari stranieri, rotti ad ogni licenza. — {Nota delV Autore.)
264 SU ALBERIGO GENTILI.
francesi si vennero accozzando in selvaggia mescolanza sotto
le bandiere di sovrani mendichi, la guerra non ebbe più
legge. Agli armamenti, alle vettovaglie, ai premi della vit-
toria provvedevan le prede sulle popolazioni invase e i ri-
scatti dei prigionieri. Non più senso d'onore né di Patria né
di umanità anima o frena i combattenti. E quando il mer-
cenario, venuto a cercar fortuna sotto i Gigli di Francia o
l'Aquile d'Asburgo, perde col sangue l' ira e l'ebbrezza della
battaglia, e il senso della vanità del suo sacrificio gli tocca
l'anima stanca e tardi rivolta alla pietà del luogo natio, la
sua parola estrema finisce nella imprecazione che Shakespeare
pone in bocca del partigiano Mercuzio, nel dramma de' Ca-
puleti e Montecchi : < Maledizione alle vostre Case ! Esse
hanno fatto di me pasto da vermi. > ^
Lascio stare le nequizie che la tenacità delle tradizioni
guerresche ha perpetrato sino a' di» nostri : la violazione del
diritto di proprietà privata sui mari ; le navali ostilità contro
r industria e il commercio ; i bombardamenti e il divieto agli
abitanti pacifici di uscire dalle mura delle città assediate.
La civiltà e la scienza finiranno con l'abolire questi tristi ve-
stigi della vecchia massima : che la guerra non ha legge —
Jus Belli infinitum. ■— Ma, a' tempi di Alberigo, si fatte
usanze erano pallide forme di nequizia, al paragone delle
immanità che segnalavano le invasioni, gli assedi, i saccheg-
giamenti delle città e le vendette dei belligeranti. Gentili
stesso, toccando delle severità solite a usarsi contro coloro
che tentavano fare entrar vettovaglie nelle città assediate,
ricorda con orrore il fatto del Marignano nella guerra Sa-
nese — < il quale, per tal ragione, fece impiccare più di cin-
quemila contadini, intantochè fu detto che non rimase albero,
in quel contado, che scellerato non fosse dall'omicidio. >*
< Quando Enrico II di Francia — dice un illustre maestro
del Diritto delle Genti, che ebbe nobil parte nell'arbitrato
di Ginevra, Montagne Bernard — quando Enrico II di Fran-
cia — che si dava vantò di non lasciare dietro sé, dovunque
* « A plague o* both your houses !
They hav« made worm's ; meat of me. ^
Bomeo and JuUet, act. Ili, scene I.
{Nota delVÀutore.)
* « Nec ulla arbor homicidil nescia in eo agro superfuerit. > De Jure
Sem, lib. II, cap. XVIII. — {Nota dell'Autore,)
LETTURA TERZA. - 265
passasse con le armi, che fuoco, fiamme, fumo e desolazione
— feu, flammss, fumèe et toute calamite — entrò ne' Paesi
Bassi, ogni città che non gli si arrendeva, prima ch'egli
aprisse il fuoco, era data alla distruzione, i soldati del pre-
sidio impiccati, gli abitanti passati a fil di spada. Gli abili
generali che servirono l'imperatore Carlo V e il re Filippo II
erano uomini senza pietà; e sembra di nuotare nel sangue,
riandando gli orrori delle guerre del Duca d'Alba nelle Fian-
dre, della Lega in Francia e delle due religioni in Alema-
gna. > * Spuntarono più miti tendenze, verso la fine di quel
secolo, segnatamente fra gl'Inglesi, ospiti di Alberigo: e parve
atto di singolare umanità nel Conte di Essex — al quale ap-
punto il Gentili intitolò la sua opera De Jure Belli — il per-
mettere, in occasione della presa di Cadice nel 1596, a quei
cittadini di riscattarsi in solido e ridursi a salvamento su
vascelli inglesi, prima del sacco. Non altro portaron seco
que' miseri se non i panni ond' erano coperti ; sebbene la
eroica liberalità — come allora fu chiamata — di Essex conce-
desse ad alcune vecchie matrone d' indossare due o tre delle
loro vesti più care, per risparmiar loro la pena della scelta.*
Non è però da credere che, innanzi all'arbitrio feroce
delle guerre di quella età — mentre, di rincontro, la crescente
coltura ingentiliva le menti — il senso umano avesse abban-
donato del tutto il sociale consorzio ; che dal soperchio stesso
de' mali la civile natura dell'Uomo riceve impulso a cose
migliori. Onde apparivano di tanto in tanto, qua e là, segni
forieri di più miti costumi ; e la gentile pietà di Baiardo, fra
gli orrori del sacco di Brescia, verso la famiglia di cui era
ospite e, per diritto di guerra, signore ; la carità di Filippo
Sidney che, nell'assedio di Zutphen, fa porgere al soldato
che gli periva assetato d'accanto il bicchier d'acqua recatogli
per suo refrigerio dal servo ; ^ e la insigne umanità del Can-
* The Growth of Laws and Usages of War, by Montague Bebnabd, già
Professore di Diritto InternazioDale in Oxford : articolo pubblicato nel 1^6,
in una raccolta di saggi di vario argomento, di Professori e Dottori di
quella Università, col titolo di Oxford Esaays. Il Bernard traccia compen-
diosamente nel suo scritto, con molta dottrina, la storia e il progresso delle
leggi e delle usanze della guerra, dall' anticl\ità ai nostri giorni. — {Nota
delVAutore.)
' Marbeck, citato da Southey, Naval History of England, IV, 61. ~
MoifTAGUE Behnabd, Ioc. cit. — {Npta dell* Autoì-e.)
' Di questo martire della Causa della libertà nel secolo XVI, uno
•de* suoi biografi (Francis Espinasse, nelY Imperiai Dictionary of Universal
Biography). dioe: « Nella sua gioventù, Filippo Sidney visitò la Francia,
XIL ' 18
>'-3?^.^
266 SU ALBERIGO GENTILI.
celliere L'Hopital in mezzo alle immani lotte delle fazioni di
Francia; appaiono come raggi di sole fra la tempesta. Né
mancarono giureconsulti e teologi i quali all'abuso della forza
si studiavano di contrapporre avvertimenti di moderazione
e di giustizia, traendoli, secondo il vario istituto de' loro studi,
dalle norme del Diritto Romano o dalla autorità della Bibbia
e de' Padri della Chiesa. E fra quelli che più particolarmente
trattarono delle cose della guerra — lasciando stare Giovanni
da Lignano, che Alberico ricorda, non a torto, con poca sodi-
sfazione — l'Ayala, il Vittoria ed altri di minor conto ; ma,
sopra tutti, il nostro italiano Pierino Belli, non sono da pas-
sare sotto silenzio, come primi dirozzatori del campo ch'egli
poi venne spianando e arricchendo di più copiosa mèsse.
Ma le menti di que' primi artefici di una dottrina ancora
informe — avviluppate, come i tempi portavano, nelle fasce
della Teologia e della Giurisprudenza storica — guardano al
Diritto costituito più che al Diritto da costituire, al consenso
dei maggiori più che alla natura delle cose; e se di tratto
in tratto vanno rischiarando il terreno con qualche lume di
ragion propria, non procedono in ciò con ordine di principi
generali e di ben connesso discorso, ma per esempi e per
dettati istintivi di senso comune. E può ad essi pure appi^o-
priarsi ciò che il Gentili dice di Fabro e di Bodino : che,
cioè, < portarono innanzi il nudo racconto storico dal quale,
per la varietà e contradizione de' fatti, nonché per la debo-
lezza propria di questo modo di argomentare, che si fonda
in gran parte sugli esempi, non può costituirsi diritto al-
cuno. > * Da queste parole di Alberigo non segue però che
la Germania, Tltalia. Nudrì la mente di classici studi, vide e conobbe il
mondo, e vegliò attentissimo 1 casi e la politica del Continente. Le sue
osservazioni lo fecero accorto de' pericoli ond'era minacciata l'Europa, per
la potenza crescente della Spagna e per l'apatia de' suoi Principi; e ciò
lo condusse a pensare della gran parte che aver poteva l'Inghilterra nelle
cose europee, come protettrice della Riforma.... » Egli era a Parigi nella
notte di San Bartolomeo, e scampò dalla strage sotto U tetto dell' Ajnba-
sciatore inglese, Sir Francis Walsingham (che fu poi Segretario di Stato
di Elisabetta). «Quell'orribile spettacolo fortificò naturalmente nell' animo
suo il sentimento protestante.... Prode, avventuroso, di gran cuore, cor-
tese — poeta, erudito, patriota e soldato — Sir Filippo Sidney univa nella
sua persona tutte le più elette doti di cui era capace, al suo tempo, la
società della sua terra nativa ; e le circostanze della sua morte diedero
maggior rilievo alla nobiltà del suo carattere e della sua vita. > — {Nota
delV Autore,)
^ « Sane enim, si peccar unt antiquiores interpretes, quod solam, ssBpe
alienam, civilis juris disceptationem huc induxerunt; peccarunt et isti
recentiores, qui nudam historiarum i-ecitationem attulere: de q^uibus
LETTURA TERZA. 267
nei qui mentovati e segnatamente in Vittoria, in Pierino
Belli, in Fabro, in Bodino, non si trovino già concetti di
buona giustizia e risolvimenti di quesiti di cui V autore del
Diritto di Gicerra fece suo prò. Né vuoisi, per esse, scemar
merito a que' giureconsulti della scuola colta, poco accetti al
nostro ammiratore di Bartolo e di Baldo: a que' giurecon-
sulti, dico, i quali ravvivarono, dietro l'esempio d'Alciato, gli
studi della classica Giurisprudenza e, insieme con questa, lo
spirito dell'antica Filosofia civile. Perchè, se è vero ciò che
di essi sentenziò Alberigo, non è men vero che i medesimi,
rivocando lo studio delle Leggi alle schiette fonti dell'anti-
chità e purgandole dalle scorie del medio-evo, prepararono
con la storia la via alla ragion del Diritto. E in Alciato, in
Cuiacio, in Pietro Fabro, in Giovanni Bodino e somiglianti,
odi voci annunziatrici di più umana giustizia, che Alberigo
talora raccoglie e segue, talora contradice; e, in alcuni casi
— come nella questione se sia lecito far servi i prigionieri
di guerra — con sentenza men giusta di quelle de' suoi av-
versari.* E, rispetto a Bodino in particolare, non è da met-
tere in dimenticanza ch'egli, per la sua Repubblica, fece pel
Diritto interno dello Stato ciò che il Gentili pel Diritto delle
Genti, tentando di ridurre a principi generali la esperienza
de' secoli ; e ideando, a somiglianza di Machiavelli e di Do-
nato Giannotti, una forma di reggimento nella quale i vari
ordini della società, contemperandosi con ben distribuita giu-
stizia gli uni con gli altri — sotto 1' eguale governo di una
temperata e civile monarchia (dacché Bodino, come francese
del secolo XVI, vedeva nella monarchia l'usbergo della egua-
glianza) — contribuissero, mercè i benefici della reciproca
equità, all'armonia dell'insieme.
Ma Gentili, sebbene si smarrisca talora, per difetto di
ben definiti criteri, in argomentazioni sofistiche, ebbe pur
tuttavia, più ch'altri a' suoi giorni, vivo e distinto il senso
di un naturale diritto, superiore ad ogni regola di costume
propter varìetatem) et contrarietatem exemplorura, item et propter infir-
mitatem ejus argumenti, quae plurìinum ab exemplo esse videtur,jtion jus
aliud facile, non consti tues ullo modo istud, quod naturale, ac certum
censetur. » De Jure Belli, lib. I, cap. I, pag. 3.
Ne' passi del Diritto di Guerra da me riportati nella Lettura, mi sono
valso della eccellente traduzione di Antonio Fiorini; e verrò di mano in
mano riferendo, in nota, i testi latini, perchè il lettore vegga il pensiero
di Alberigo nella sua forma originale. — {Nota dell'Autore.)
* De Jure Belli, lib. Ili, cap. IV, De servis, — {Xota dell'Autore.)
268 SU ALBERIGO. GENTILI.
o legge scritta : e lo deduceva — con Cicerone — dalle intime
disposizioni dell'umana natura; servendosi poi, nel metodo
dell'argomentare, de'documenti della tradizione e della auto-
rità, quasi a sussidio delle proprie conclusioni. Cercando, nel
primo Capitolo dell'Opera, le origini di quel Diritto delle
Genti eh' egli invocava a rimedio de' mali della sua età, de-
plora che — perduti i libri degli antichi sopra il giure feciale,
e rimasta questa parte della universale giustizia sopraffatta
dalla malvagità degli uomini — torni assai difficile il ristau-
rarla. Pure < ingiustizia di molti — egli dice — non fa che il
diritto non sia.* Particella del divino diritto è il gius delle
Genti, la quale Iddio ci volle lasciata dopo il peccato: non-
dimeno, com' è detto di filosofi, noi lo scorgiamo tra mezzo
a molta tenebra, quando non ce la velino al tutto l'errore,
il vizio, la pertinacia od altra passione. > E si conforta pen-
sando che < vive la verità per quanto se ne stia nascosa; e^
ricercata con amore e con fede, può bene scoprirsi, e fu sco-
perta più volte. >•* — Vi hanno < leggi universali, non poste
dagli uomini, che né tutti poterono insieme raccogliersi né
parlare la stessa lingua; sì bene da Dio:... Queste leggi — ri-
pete con Cicerone — non sono scritte ma nate : non le impa-
rammo per ammaestramento o lettura; ma dalla natura
stessa — a dir così — le distaccammo, da essa le attingemmo
e deducemmo; e a conoscer le quali basta aver sortita na-
tura d'uomo.... > ' E leggi sì fatte, che ne' sentimenti intimi
e naturali dell'animo hanno radice, né anche i malvagi osano
contradire : < sono cose tanto manifeste — egli prosegue —
che volendo dimostrarle le oscuri. > Onde < abbastanza è pro-
vato che esiste un diritto di natura al quale contrastando
* « Quod centra jus fiat a multis, non propterea jus non «st. » De Jure
Belli, lib. I, cap. I, pag. 5. — {Nota dell'Autore,)
^ « Et quamquam jus gentium particula est divini juris, quam Deus
nobis post peccatum reliquam fecit ; eam tamen lucem conspicimus ìnter
tenebras multas; et errore itaque, prava consuetudine, pertinacia, alio
afifectu tenebrarum ssepe non valemus agnoscere.... Sed -non propterea
quod latet in profundo, veritas nulla est : aut quaesita diligenter et fide-
liter, non educi potest, et non educta ssepissime est. » Ibià., pag. 6. — {Nota
dell'Autore.)
' e At alia definitio juris gentium et elegantior est, et id significata
quod tradidit Xenophon, leges esse quasdam non scriptas uhivis locorum,
non ab hominibus l^tas, qui in unum convenire omnes non potuerint, nec
fuerint unius linguse omnes, sed datas a Deo.... Has leges non scriptas,
sed natas : quas non didicimus, accepimus, legimus : verum ex natura ipsa
arripuimus, hausimus, expressimus : ad quas non docti, sed facti : non insti-
tuti, sed imbuti sumus. » Ibid., pag. 8. — {Nota dell'Autore.)
LETTURA TERZA. 269
seguita vergogna e dolore; e chi fosse tanto impudente da
voler pure difendere un'azione a quel diritto contraria, si ac-
corgerebbe di avere a fare contro ad una di quelle sentenze
che si domandano assiomi. > ^ .
Questo il fondamento primo deil Diritto, secondo Albe-
rigo. Propone poi, quasi a sostegno di congetture probabili
ne' casi dubbi, le sentenze de' savi e < gli esempì di coloro
che meritarono fama di bontà; gli argomenti della ragione;
non poche cose del Diritto Giustinianeo; > infine, le cose
scritte ne'libri sacri, in ciò che in esse < consuona — com'egli
si esprime — con la natura vera, cioè innocente e giusta; > *
perchè, come vedremo, Alberigo non piegò sì la fronte al-
l'autorità della Bibbia da rinunziare ciecamente per essa ai
criteri della ragione, come facevano sovente i &uoi fratelli di
fede. E con questi aiuti il nostro giureconsulto, così equili-
brato fra la ragion delle cose e la scorta d'una vastissima
erudizione, entra nel grave arringo.
Comincia dal definire la guerra : < giusta contesa d'armi
pubbliche > — puhUcorum armorum justa contentio. E questa
definizione è come il germe dal quale si svolgono tutte lo
parti dell' Opera. Deggiono le armi esser pubbliche, perchè
indegne del nome di buona guerra sono le private nimistà
e le zuffe che di privato arbitrio s' imprendono. Giusta poi
dev' essere la guerra nelle cagioni, nel modo, e nel termine
o fine suo proprio, che è la pace.' E questa triplice relazione
della giustizia di guerra dà argomento ai tre libri di cui si
compone il Trattato. Non è mio assunto di darvi una parti-
colareggiata notizia delle materie in esso contenute; che il
tempo non lo consentirebbe, e il lavoro è già stato fatto da
altri — come dal Reiger fra gli stranieri, dal Fiorini fra i
nostri * — con assai buoni .compendi, che vi agevoleranno la
* « Satis probatum est, jus esse naturale, quod si quid faeias adversus
iUud, tu vel pudore correptus factum suppressum velis : aut si eo proces-
seris impudentìae, ut fatearis, defendasque, sentias tamen idem^ quod tra-
ditur de his senteutiis, quse axìomata nominantur, defendi factum non
posse. » Ibìd., pag. 8. — {Nota dell* Autore.)
' Qusa scripta sunt in libris sacris Dei, summam merito auctoritatem
obtinebunt : potftquam apparuerit, non Hébrceis tantum acvipta esse, sed
omnibus hominibus, ubique gentium et temporibus omnibus : hcec enim
esse verce naturce, id est, innocentis acjustoPf certissimum est. » Ibid., pag. 9.
~ {Nota deW Autore.)
' Gap. II, Belìi definitio. — {Nota dell' Autore.)
* Il Reiger, nella citata Dissertazione, il Fiorini nel Discorso che pre-
cede la sua traduzione, hanno fedelmente esposte col testo alla mano le
7^=5?-:
270 f^U ALBERIGO GENTILI.
via allo studio del libro. Basterà quindi eh' io qui vi additi
i tratti più notevoli del i)ensiero dell'autore, quasi ad abboz-
zarne la generale impronta.
Fine della guerra è la pace. L'uomo non è nemico al-
r uomo da natura, ma da perversità di costume. Insano er-
rore, oggi dimenticato, la partizione del mondo antico fra
( rreci e Barbari^ Giudei e Gentili. Né con questa falsa dot-
trina della naturale ostilità fra gli uomini, né col pretesto
religioso potersi legittimare l'uso della forza, sia pure con-
tro gente selvaggia, come gl'Indiani. Né anche tra Cristiani
e Turchi naturalmente esser guerra; e solo perché questi si
diportano da predoni e invasori essere necessario combatterli
e cacciarli. E rispondendo a que' teologi che dicevano la con-
quista ottomana essere un flagello inflitto dal volere di Dio
ai Popoli cristiani in pena de' loro peccati, gridava indegnato:
€ Teologi, in cose che non vi riguardano, fate silenzio. >
Sileie Theologi in munei^e alieno^
Ma se la guerra non è da natura, é da natura però il di-
fendersi dall' altrui violenza. Senonchè, essendo costretti ad
adoperare come estremo rimedio la forza, devesi avere sommo
riguardo alla giustizia delle cagioni che a ciò ne inducono;
le quali, secondo 1' obbietto loro, sono o divine o naturali ed
umane: quelle inerenti alle credenze de' Popoli, queste fon-
date sulle necessità della vita civile. E quanto alle prime,
giustificati Ebrei e Gentili per le guerre eh' essi imprende-
vano come convinti di obbedire ai comandi de' loro Iddii,
s' affretta a sciogliersi da ogni vincolo di autorità teologica,
rispetto alle guerre imprese, a' suoi giorni, sotto colore di
religione;* e appoggia i suoi argomenti sopra principi che
la moderna scienza accoglie e conferma per suoi.' — Ingiusta
dottrine del G(^tiiili^ méttendoti e in evidenza le parti buone, senza coprirne
-^ dove era giusto — i dìitìtti. E il Reiger, sebbene fiammingo, mostra con
lodevole* impflrzialitàj neH^ultimo capo del suo lavoro, di quanto n Grozio
^ja debitore ad Alberigo^ hi rispetto alla trattazione dottrinale delle ma-
terie^ come rispetto ai fatti^ «gli esempì, alle autorità che la erudizione
di quest'ultimo aveva accumulati, e di cui il giureconsulto olandese lar-
gamente sì vahe ; sino a l'ipetere in alcuni casi le citazioni del nostro,
sonzA iÌH contrarle coi testi a' quali erano riferite, e quindi con gli errori
in cui il suo predeccìfsorej in alcuni luoghi, era incorso.-^ [Nota dell'Autore,)
* I>€ Jttr^ Belìi: cap. XII, Vtrum sìnt causce naturalea belli faciendi. —
{Nota dàlVAutm'eJj
* Cap. Vili, De causi» dlvinia belli faciendi, — {Nota delV Autore.)
* Cftp» TX, jfw hdlum Jasium ait prò religione: cap. X, Si prineeps réli-
gionem hello apud suos Ju^U iuMur : cap. XI, An sttbditi béllent contra prin-
eipem ex cama rdigiùnU. — {Nota dell* Autore.)
LETTURA TERZA. 271
sempre — egli dice — la guerra per causa di religione ; che
la religione è di tale natura da non tollerare òh'altri le sia
aggregato con mezzi violenti. Udite parole d' oro, tolte da
Tertulliano e ripetute da questo nostro cittadino, tre se-
coli or sono : < Spogliare di libertà la fede, vietare che altri
pensi come vuole della divinità, di non essere più padroni di
adorare chi ci piace e, al contrario, essere costretti ad ado-
rare chi non vorremmo, questo è distruggere la religione, è
voler tornare ai costumi degli Egiziani, adoratori di uccelli
e d'altri animali; i quali chi avesse ucciso uno di così fatti
Iddii dannavano nel capo. > * Così, posto il principio, lo av-.
valorava di conformi sentenze de' Padri della Chiesa e de'savt
antichi e moderni, com' è suo stile nelle questioni che va
trattando, e come richiedeva la dialettica de' tempi suoi, su-
bordinata ancora in gran parte nella mente de' più al pre-
stigio dell' autorità ; indi rincalza l'argomento con le proprie
ragioni, e prosegue dicendo : < Ciò che è contrario alla na-
tura di una cosa, le sta piuttosto a carico che a vantaggio....
ciò che si sostiene per forza propria puntellare con giura-
menti accattati, è da stolti.... Per fermo la religione è dal-
l' animo e dalla volontà, la quale non va mai scompagnata
da libertà.... L'animo nostro e quanto all'animo attiene, non
è mosso da forza esteriore morale o tirannica.... La religione
dev'essere libera. Religione è un connubio di Dio con l'uomo;
e, come ogni altro, vuoisi anche questo, che si fa con lo spi-
rito, circondare dì libertà. > * Così Alberigo. Pur troppo.
^ « Et quidem si religio est naturse, ut compelU ad eam invitus nuUus
debeaty atque nova illa dicitur, et inaudita prsedicatio, quse verberibus
exigit fidem : sequitur, vim istam justam non esse. Hoc ad irréligioaitatia
elogium concurrit, adimere Uhertatem religioniSf et interdicere optionem divù
nitatis: ut non llceat mihi colere quem velim, sed cogar colere quem nolim,
atque adeo et JEgyptiis permissa est tam vance superstitionis potestas, avihua
et bestiis conaecrandis, et capite damnandi, qui aliquem hujusmodi Deum oc»
ciderU..» » Gap. IX, pag. 32. — {Nota dell' Autore.)
* « Quod contra naturam est rei, id non fieri prò re constituenda, sed
esse magis prò destruenda. Quod effici nequit per vim, id per vim aggredì,
fariosum. Quod est facultatis, id non trahi ad necessitatem. Quod suo stat
pendere, id sustentare adscititiis juramentis, ineptum. Quod regulam babet
suaiUy id non tractandum aliena.... Religio ab animo est, et voluntate :
qaae semper habet libertatem secum, ut est praeclare et a Philosopbis et
ab aliis, et a Bernardo explanatum in libro, De libero arbitrio, Animus-
que noster, et quicquid est animo a principio, aut principe non movetur,
externo.... Libertas religioni debetur. Oonjugium quoddam Dei et hominis
est religio : si igitur conjugio alteri carnis libertas defenditur obstinate,
etiam huic conjugio spiritus tribuatur libertas. » Ibid., pag. 38. — {Kota
dell'Autore,)
272 SU ALBERIGO GENTILI.
r umana nequizia disconosce questi eterni veri ; e le Storie
son piene di stragi per fanatismo o pretesto di religione.
< Ma — protesta il nostro — non può darsi religione tanto ne-
fanda la quale faccia precetto di assassinare la gente di fede
diversa....* A chi è fuori del vero, bisogna maestro non boia:
se vuoi far cosa che duri, raccomandati al consiglio, non alla
forza.... Tacciano que' politici i quali vanno dicendo i mezzi
violenti essere una necessità per torre via le divisioni nello
Stato, e per istorpidire la fede. Errore grossolano ! Queste
lotte, queste guerre io le vedo là dove non si dà luogo ad
alcuna religione (diversa dalla dominante) : non le vedo in
que* paesi ov* è fatto posto a più d* una. E lo dico — ed è
verissimo, e so che lo dice ancora il Cuiacio — che non è
religione quella che delle stragi cittadine e della volontà della
Patria ha bisogno per istorpidirsi. > *
*■ e Nec uUam esse religionem tam nefariam, qnse jubeat in homìnes
diversae religionis grassarì. > Ma qui prevede una obiezione, e la previene.
Che dovrà dirsi delle guerre di Giustiniano contro i Persani che, per
diversità di religione, maltrattavano i suoi sudditi; che delle guerre
de* Franchi e d' altri europei contro i Saraceni ed i Turchi ? Al che ri-
sponde : Qui il caso è d'altra natura. In codeste guerre è da considerare
un aspetto che le giustifica : quello, cioè, della difesa, di cui parleremo
a suo luogo. < La questione che ora ci occupa è questa : se, cioè, sia lecito
mover guerra per solo scopo religioso ? Dico che non è lecito, e ne assegno
le ragioni ; perchè le varie attinenze cui dà vita la religione non sono
propriamente fra uomo e uomo; dimodoché per diversità di fede non è
offeso il diritto di alcuno : quindi né pure la guerra per causa di fede può
essere ammessa. La religione è verso Dio : è ragion divina, non è ragione
umana, cioè legame dell'uomo con l'uomo : ninno adunque potrebbe sen-
tirsi offeso del seguitare che altri faccia religione diversa dalla sua. » Non
eatjua humanum, id est, inUr hominem et hominem ; nihil igitur quceritat homo
violatum 8ibi oh aliam religionem, Ibid., pag. 36. — {Nota deìV Autore,)
* Vedi lib. I, cap. X, pag. 38, 39, 40, dove disputa contro que* polìtici
che, secondando la intolleranza de' teologi per ragioni di Stato, afferma-
vano necessaria l'unità della fede per la sicurezza e stabilità de' Governi.
Addotte le loro sentenze, Alberigo imprende a confutale con esempi sto*
rici e con argomenti razionali, sostenendo con Bodino la tesi : « ut vi non
sit utendum centra subditos, qui aliam amplexentur religionem » (io però
sono col Bodino nel condannare i mezzi violenti contro a' sudditi che ab-
biano abbracciata un'altra religione), e non ammette eccezione alla mas-
sima, se non nel caso che la diversità delle credenze trascorra a parteg-
giamenti civili, e turbi la pace pubblica ; < sed semper sub hac exceptione,
ni8i quid detrimenti illinc respublica eapiat: > dottrina perfettamente con-
forme ai criteri civili dell'età nostra, in fatto di libertà religiosa. E, addn-
cendo la esperienza de' fatti storici in favore del suo argomento, contro
a* fautori della coazione per la uniformità del culto, cita esempi di Paesi
ne' quali coesistono religioni varie e molteplici senza danno della quiete
dello Stato; loda la tolleranza di parecchi imperatori, tanto pagani che
cristiani, indi soggiunge, quasi a suggello del suo assunto : < Sileat noster
Politicus, qui dixit necesse armis interdum decertare : dum suam religio-
nem singuli aliis anteferre conantur : aut religio non sit religio, quse sic
frigeret. Quid ais ? Ego prselia et bella audio illic, ubi religioni alieni non
'"TTS?^"
LETTURA TERZA. 273
Così, in una età nella quale cattolici e protestanti gareg-
giavano di barbarie; e ai roghi dell'Inquisizione facevano
riscontro i roghi di Ginevra e di Berna — e Calvino emulava
Torquemada^ e un Papa benediceva alla notturna carneficina
di S. Bartolomeo, come ad opera santa e grata al suo Dio —
un esule dell'Italia schiava, levandosi di tanto con l'animo
civile sul patricidio cristiano de' suoi giorni, di quanto T Uma-
nità si leva con la miglior parte della sua coscienza morale
sulle sètte intolleranti e bugiarde che, sotto colore di edifi-
carla, la straziano, predicava solo o con pochi — prevenendo
i tempi — il Verbo dell'avvenire. E correvano dopo lui cin-
quant'anni, prima che Milton propugnasse — nella sua fa-
mosa orazione Areopagitica — la inviolabilità della stampa;*
e il cattolico Lord Baltimore e il protestante Williams san-
cissero, in America, negli Statuti delle rispettive Colonie, la
libertà religiosa fra le diverse sètte cristiane;^ ed occor-
sero ben altri cento anni, avanti che i Deisti inglesi inizias-
sero la Francia di Voltaire al principio della piena libertà
del pensiero e della coscienza, e che Jefl'erson lo suggellasse
nella Costituzione degli Stati- Uniti ; e la Rivoluzione francese
se ne facesse da ultimo banditrice al Continente europeo, che
ancor tarda a comprenderlo e a riconoscerlo in tutta la sua
pienezza. Tanta fu la parte di umanità che si rivelò all'anima
del nostro giureconsulto, quando pochissimi ancora ne senti-
vano i naturali ammonimenti, fra gli odi teologici e le passioni
di parte. Chiedo scusa della digressione, e torno al soggetto.
Sempre ingiusta la guerra per causa di religione ; ma giu-
sta la resistenza contro chi tenti imporla con la forza. < II
perchè, non si vuole stare in questa parte al giure Canonico,
ov'è detto, con Agostino, — patto comune dell'umano con-
sorzio obbedire ai monarchi: — ma piuttosto ov'è insegnato,
datar locus ; illic non audio, ubi diversis est locus religionibus. Immo re-
ligio non est (quod scio Cujacium scribere, et est verissimum) quae calet
in cdBdes civiuni, et perniciem patrise. » Con tutto ciò, v'ha chi giudica
Alberigo intollerante e fautore d'unità religiosa , da imporsi con la forzai
— {Nota deir Autore.)
* Discorso al Parlamento inglese per la libertà della stampa (an. 1644).
— {Nota delV Autore,)
* Roger Williams, fondatore deUa Colonia di Rhode-Island ; Lord Bal-
timore, fondatore della Colonia di Maryland. Vedi Laboulate, Sisto ire
politique des États Unis, livre I-VIII et XII Le9ons. — Bawckoft, History
of the United States, — Éohùssi, Storia compendiata degli Stati Uniti d'Ame-
rica, pag. 24 : buon libro, e pieno d'utili insegnamenti, nella sua brevità.
— {Nota dell'Autore,)
274 SU ALBERIGO GENTILI.
con Gregorio, doversi avvertire i sudditi di non essere, oltre
il ragionevole, sottomessi, >* Legittimo il resistere, sopratutto
dove i sudditi hanno franchigie stabilite su mutui patti coi
loro sovrani, e questi faccian loro contro que' patti violenza.
E se, in virtù della sua definizione della guerra — < giusta
contesa d'armi pubbliche > — sembra ad Alberigo che a pri-
vati cittadini non sia lecito levarsi in armi, e loro non resti
che cercare libertà nell'esilio; egli non nega però neanche
a questi il diritto della . resistenza e la legalità della lotta,
allorché per numero e per forza diventino parte pubìMca,^
costituendosi, con propri magistrati, difensori della libertà
delle loro credenze contro l'arbitrio del Principe. Né solo per
cagion religiosa, ma eziandio per civile necessità può un Po-
polo provvedere di suo diritto al governo di sé medesimo e
alla propria conservazione, se chi esercita autorità sovr'esso
non lo difenda dai nemici o crudelmente lo tratti: < perchè
— così egli — termini correlativi sono Signore e vassallo,
Principe e sudditi; ed è scambievole obbligazione fra loro: >
ed < anche ai servi é lecito sottrarsi- da padroni crudeli. >'
E altrove ripete la vera sentenza — com'egli la chiama —
che vedemmo proclamata da Dante nella sua Monarchia^
< i regni non essere fatti pei re, sì questi pei regni. >*
E, allargando l' intento di questa dottrina, soggiunge che,
se la guerra non è da natura, da natura é il difendere e il
* « Et Oanonicum jus igitur non valet hic, quod de Augustino dicit.
Factum societatis humancB generale, regihua obedire : sed magìa quod affert
de Gregorio, admonendos subditos, ne plus quam expedit, sint subjedù » De
Jure Bèlli, lib. I, cap. XI, pag. 44. -— {Nota delV Autore.)
* € Et ita igitur censeo, ut qui subditus, privatusque non est, is se
defendere contra principem in ista causa religionis etiam per beUum
possit. Qui subditus simul et privntus non est, is ultimo loco, et prò re-
medio ultimo potest se et in aliis causis bello tueri : ut, quem non juvat
ratio propter potentiam domini, arma eum defendant.... Defeusio justa contra
omnes est, nec debet ullum patrono honorem. Privatus qui homo est, nihil
istorum potest.... Et tamen videndum hic quoque est, si ex privato in pu-
blicum itum sit : quod quando possit videri, erit alicubi adnotatum. > Ibid.,
pag. 45. E più avanti, al cap. XVI, pag. 64, spiega il suo concetto con queste
parole : < Publieam vero dico rem, quando subditorum tanta ac taUs mo*
vetur pars, ut jam bello opus contra eos sit, qui se tuentur bello. Quasi
venerint isti in partem principatus, et publici, et pares Principi sint, qui
tantum possunt.... ^ -— (Nota dell'Autore.)
' < Correlativa sunt dominus et vassallus ; princeps et subditi : ut sicut
isti sunt obligati bene obedire, ita dominus bene imperare.... Itaque domino
fìdem non servanti fidem juste non servatur.f.. Certe, fugere ssevientem do-
minum, servisque licet. » Lib. I, cap. XXIII, pag. 97, 98. — [Nota deW Autore,)
* Cap. XVI, De subditis alienis contra Dominum defendendis, pag. 66. —
{Nota dell'Autore,)
.-«4U^A£
LETTURA TERZA. 275
rivendicare ciò che ingiustamente altri ci toglie o nega: < Nel
qual caso — son sue parole — la violazione da noi patita
del diritto naturale fa che la guerra, che per questa cagione
si prende, sia naturale. >* Voi scorgerete di leggieri in que-
sto importante dettato tutta la ragion del diritto, oggi vir-
tualmente riconosciuto nelle Nazioni, di riscattare da mala
signoria o da conquista i loro titoli alla esistenza civile. < Di
tutti quanti i diritti — afferma Alberigo — questo della di-^
fesa è il più certo: e questa legge non è scritta, ma nata
con tutti. > Né è giusto solo il difendersi dal pericolo pre-
sente, ma assicurarsi eziandio dal pericolo futuro. E qui l'au-
tore del Diritto di Guerra inizia l'Europa, con l'esempio del
senno politico degl'Italiani, alla teorica dell'equilibrio degli
Stati, che fu poi guida alla Diplomazia, dalla pace di Vest-
falia in poi; e che, vero in sé stesso — dove si riferisca a
parti saldamente fondate sull'ordine della natura, in altri
termini, sulla base della nazionalità — riusciva fallace e so-
vente arbitrario, nelle sue applicazioni a un insieme di Stati
artificialmente costituiti, e quindi soggetti a- continue tl:a-
sformazioni. Ma Gentili parve presentir quasi la vera legge
di questo naturale equilibrio, ed annunciarla con la seguente
sentenza: — < Gli elementi in tanto sono fra loro stabilmente
concordi, in quanto sono equamente partiti, e l'uno non su-
pera né piglia vantaggio sull'altro. >*
E avverte i suoi coetanei del grande pericolo di que' tempi:
quello, cioè, della preponderanza spagnuola. < Badiamo ■—
egli insiste — che tutta quanta Europa non finisca col ve-
' « Quamquam autem dico, causam a natura nullam belli existere :
sunt causse tamen, propter quas natura duce bella suscipimus, ut est causa
defensionis : et quum bellum suscipitur, quia aliquid negatur dari, quod
ipsa tribuit natura ; et itaque, quia jus naturae violatur, bellum suscipi-
tur.... Hoc super omnia jura est probatissimum ; vim vi repellere, omnes
leges et omnia jura permittunt. Lex una et perpetua, salutem omni ra-
tione defendere..>. Et hcBc non scripta, sed nata lex, » Cap. XIII, pag. 49, 50.
— (Nota deW Autore,)
^ € Etìam perseverantia concordise Inter elementa sic ab sequa parti-
tlone est, et dum in nullo aliud ab alio vincitur. £t id illud est, quod
sapientissimus et pacis studiosissimus, ac pacis pater, Laurentius ille Me-
dices procuravit semper, ut res Italorum principum paribus libratsB pon-
derìbus forent, unde et ItalisB foret pax, quae et fùit eo vivo, et custode
hujusce temperationis. » Cap. XIV, pag. 66, 66.
Sugli erronei concetti della politica europea intorno airequilibrio degli
Stati, e sopra un assetto delle relazioni loro, fondato nella autonomia e
inviolabilità dell'essere proprio di ciascun popolo e nella costituzione
delle patrie nazionali, vedi l'eccellènte opera di Terenzio Mamiani, jyun
nuovo Diritto Europeo, cap. X. — {Nota dell'Autore,)
276 SU ALBERIGO GENTILI.
nire a mano di un solo ; e questo avverrà se non si levi qual-
cuno che possa contrastare allo gpagnuolo. > ^
Lecito quindi — e per questa cagione e per debito di umani-
tà, anche senza pericolo che a noi sovrasti — il pigliare la difesa
degli oppressi dall'altrui violenza. Perchè, egli dice, < gli uomini
essendo per natura fratelli, sono reciprocamente uniti in vincolo
di carità, e nella universale compagnia del genere umano è ri-
posta la ragion di natura, la quale pertanto è anche detta da
Cicerone, ragion civile.... > £, < questo mondo che noi vediamo,
nel quale tutto s'accoglie quanto è divino e umano, è una
grande unità; e di questo gran corpo, ch'è esso il mondo, noi
siamo le membra. £ siamo per natura parenti gli uni degli al-
tri, comune avendo il principio, comune la sede; quindi il reci-
proco affetto e l'indole nostra sociabile. >' Delle quali sentenze
voi potete facilmente rintracciare le fonti, dietro quello ch'io
ne toccai nella mia prima Lettura, del connubio fra la civile
sapienza degli antichi e la cristiana carità. Da tal vena attin-
geva il suo più. vitale alimento la coscienza di Alberigo, da sì
fatti ammaestramenti discendevano le sue migliori dottrine ;
come appare dai luoghi che va citando, de' Greci, de' Romani
e dei padri della Chiesa, a conforto de' suoi dettati.
* < Non hoc agit etiamnum, ne unus possit omnia, et Europa universa
in unius nutum deveniat ? Nìsi, ait, quod obstare Hispano possit, cadet
sane Europa. » Cap. XIV, pag. 66. — {Nota dell* Autore.)
' « Superest de honesta defensione, qu» citra metum ullum periculi
nostri, nulla indigentia nostra, nulla utilitate quaesita, tantum in gratiam
aliorum suscipitur : et fnndamento illi innititur, quod cognationem et
amórem atque benevolentiam, et benevolentisB vinctionem (ait M. Tullius)
inter homines natura constitnerit : et quod gentium jus situm est in ge-
neris humani societate : quod propterea etiam appellatur civile a Cice-
rone. Sic scilicet stoici voluere, civitatem totius mundi unam esse.... Omne
hoc, quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est, mem-
bra sumus corporis magni, et mundus unum est corpus scilicet. Natura
autem nos cognatos edidit: cum ex iisdem, et in eadem gigneret. Haec
nobis mutuum indidit amorem, et sociabiles fecit.... Societati Jiomo natus,
et ejus ofiicium juvare alios, non sibi soli vivere. » Cap. XV, pag. 67, 68. —
Così Gentili, con Cicerone, con Plutarco, con Seneca, con Filone, con Lat-
tanzio ed altri antichi di cui ripete i detti : e dal vincolo della umana so-
cialità e solidarietà — sul quale insiste sentitamente in questa e in altre
parti deir Opera — deduce il dovere della difesa de' deboli e degli oppressi,
allargandolo dalle private alle relazioni pubbliche e internazionali. « Jure
naturali tenemur (sic interpretes juris) ultro, citroque commodi esse : et
iidem tradunt, sequiparatam defensionem suorum et extraneorum, ma-
xime sociorum, a quibus propulsanda injuria est.... Plato puniendum
censet eum qui vim alteri illatam non propulsai. Quod autem Plato, et
illi interpretes in privatis civibus aiunt, id nos ad principes poptUosque
ducimus probe, quoniam quse ratio privati civis in privata civitate est,
eadem in publica, et universa hac orbis civitate publici civis, hoc est prin-
cipis, et populi principis est. » Ibid-, pag. 60. — {Nota dell'Autore.)
}
LETTURA TERZA. 277
Né solo, al veder suo, è onesto il difendere uno Stato
amico contro l'ingiusta aggressione di un altro Stato, e spe-
cialmente il debole contro il forte; ma ancora il soccorrere
i sudditi altrui contro il loro sovrano, quando da giusta causa
sieno mossi ad insorgere ; non dovendosi i sudditi di un altro
Stato < considerare come affatto stranieri a noi e come ta-
gliati fuori dell'umano consorzio, tolto il quale spezzerai
anche la unità del genere umano.... > * — < E . se i Principi
anch' essi hanno da obbedire alle leggi, né tolleriamo che
vivano senz' alcun freno né di leggi né di costumi, ragion
vuole che vi sia anche per loro un'autorità che li avverta e
li tenga a dovere.... >* '
Nel che giovi notare come il Gentili ponesse, sin da quei
giorni, sul suo legittimo fondamento l'azione di uno Stato,
nelle cose interne d'un altro Stato, riferendola a principi di
umana solidarietà e di giustizia internazionale, in difesa dei
deboli e degli oppressi : dottrina vera, ed aliena del pari dal-
l'arbitrio degl' interventi ostili alla libertà e dall'egoismo che
s'asconde sotto la formola — in apparenza liberale ma in
fondo sterile e negativa — del non-intervento, se tal regola
s'intenda in senso assoluto, senza temperamento di giuste
eccezioni.'
E Alberigo va tanto innanzi con questa sua concezione
della giusta difesa de' sudditi altrui, da stimarla lecita anche
se i sudditi sieno dalla parte del torto. E dice : < Posto che
nella guerra ciascuna delle parti vuole giudicare del fatto
proprio..., un Principe di fuori potrebbe da ciò prendere oc-
casione d'intervenire, a fin di comporre la differenza più
civilmente che con l'armi. Jl che è lecito ed onesto, come è
lecito ed onesto il difendere dallo infierire del padre i figliuoli,
ancorché ingiusti : e dall' infierire de' padroni i servi, senza
incorrere, per quest'atto di misericordia e d'umanità, nelle
pene stabilite dall' editto de servo corrupto.^ — Gnd' ebbero
diritta cagione gì' Inglesi di prendere la difesa del Belgio ;
* Cap. XVI, De subditis altenis cantra Dominum defendendis, in princì-
pio. — {Nota deW Autore.)
» € Atque si illeges nec facimus Principes, nullis legibus, nullis mo-
ribus devinctos : necesse est, ut sint quoque, qui eosdem moneant officii,
«t constrìctos retineant. ^ Ibid. — {Noia deW Autore,)
' Vedi, su questa materia del non-intervento, la citata opera del Ma-
xniani, cap. IX, XI, XII, XIII, dov*è trattata con liberali principi e assai
•consideratamente ne' suoi molteplici aspetti. — {Nota délV Autore.)
* De Jure BeUi, lib. I, cap. XVI, pag. 64, 65. — {Nota delV Autore.)
278 SU ALBERIGO GENTILI.
perchè congiunti per più rispetti con quel Popolo, e perchè
il trionfo di Spagna sarebbe stato un pericolo, non che pei
vicini, per tutta Europa. — < Vinti i Fiamminghi — egli dice
— non più libertà : piene le loro terre di soldatesche stra-
niere : costretti ad obbedire ai cènni del vincitore- Or questo
i vicini hanno ragione di non volere: imperocché a niuno
— dice la legge — dee farsi divieto di proteggere la libertà.
E che? Se il mio vicino metta in ordine in casa sua tor-
menti guerreschi, ed altri ne appunti verso la mia, potrò io
vivermene sicuro e starmene a bada? Così, così accadeva
delle Fiandre ; e se ne accorsero uomini di gran prudenza,
e primo di tutti il Leicester ; il quale sapientemente ebbe
dimostrato la difesa de' Belgi essere d' importanza suprema
e assolutamente necessaria alla repubblica. Perchè, se gli
Spagnuoli facevan tanto da' abbattere quello schermo d'Eu-
ropa (così tu pure, o giusto Lipsio, sapientemente), niun freno
più rimaneva alla loro violenza. >*
* De^Jure BeUiy lib. I, Gap. XVI, pag. 66, 67. In tutta questa parte del
Gius delle Genti, che concerne i limiti della potestà sovrana, il diritto di re-
sistenza de' sudditi, per difesa della loro libertà religiosa e delle loro franchi-
gie civili e, come vedremo più avanti, la inalienabilità de' territori di una
Nazione ad arbitrio del Principe, e la imprescrittibile validità de' diritti na-
tivi di un Popolo contro ogni ingiusta e violenta occupazione, Alberigo Gen-
tili, nel suo Difitto di Guerra, è — come bene osserva il Mancini (Discorso
cit.) — più liberale di Grozio. E la ragione parmi esser questa : che il giure-
consulto italiano, ispirandosi ai dettati della civile filosofia degli anticM e di
Cicerone in particolare, deduce le migliori sue teoriche dal principio della
umana socialità, come fondata sulle native e inviolabili facoltà della na-
tura stessa deiruomo, più che dalla opinione e dal consenso arbitrario
de* congregati ; mentre il giureconsulto olaQdese, dopo avere ottimamente
definito il diritto naturale: e dictatum rectse rationis, indicans actuialicui,
ex ejus convenientia aut disconvenientia cum ipsa natura rationali » {De
Jure Belli ae Pacis, lib. I, cap. I, § X), abbandona poi, nella maggior parte
delle questioni che tratta, questo buon principio, sostituendovi — come
nota il Mancini — « altro erroneo criterio, che fa ritenere al Grozio, come
prova unica e sufficiente della giustizia o ingiustizia delle azioni, le usanze
invalse tra i popoli, che egli suppone effetto di una causa generale, le sen-
tenze de' romani giureconsulti, e l'opinione de' filosofi, de' poeti e dei dotti.
Bel qual metodo sono palesi i difetti ; imperocché, per esso, il fatto si con-
fonde col diritto, la giustizia si scambia con V opinione, quando sin da' suoi
tempi Cicerone aveva avvertito : Non opinione sed natura constiiutum esse
jus, il dovere giuridico si fa riposare soltanto sopra un fondamento subiet-
tivo, e la legge naturale vien condannata ad inevitabili contradizioni ed
a perenne mutabilità. »
Presupponendo il Grozio « cosa reale la chimera di uno stato di na-
tura od extra sociale, ogni obbligazione, nel suo sistema, deriva ex con-
sensu, ed anche lo Stato ottiene la sua autorità dal contratto, > D'onde il
suo disconoscere — come la disconobbe più tardi Rousseau — e l'esistenza
di diritti essenziali inerenti alla personalità umana ed a quella delle Nazioni,
che le convenzioni ed il consenso non possono né creare né distruggere. >
« Da codesti erronei principi — continua il Mancini — si deducono
false ed illiberali conseguenze* È legittima la schiavitù, perchè riconosciuta
LETTURA TERZA. 279
Sia concesso a noi Italiani moderni, riconquistata la Pa-
tria, rammentare con giusto orgoglio la difesa assunta da un
nostro concittadino — tre secoli addietro — delia indipendenza
e della libertà delle Nazioni europee, contro quella sinistra
lega del pastorale e della spada, che le tenne per tanto tempo
disfatte.
Ma affrettiamoci al termine della via.
dagli usi e dal consenso de' Popoli. » (Alberigo sostiene la schiavitù per-
sonale de' prigionieri di guerra — dove ne esista ancora il costume —
come semplice fatto, sancito dal diritto delle genti storicamente inteso; e
come cosa meno inumana della strage dei prigionieri stessi, sottratti, per
tale temperamento, all'immane arbitrio di un preteso diritto illimitato
di guerra de' vincitori sui vinti) — ce Grozio trascorre fino a concedere il
diritto di vita e di morte sullo schiavo. Discorrendo della natura ed ori-
gine della sovranità, ammette ch'essa risieda nella Nazione, allorché esi-
stono leggi fondamentali che limitano la potestà del Principe: ma dove
tali garanzie non esistono — o il Popolo si è sottomesso senza condizioni,
o il Paese fu assoggettato dalla conquista, — il regno è patrimoniale, e
quindi il territorio e la Nazione stessa sono patrimonio del Sovrano..^. Il
Grozio non dubita, applicando il Diritto Romano, della legittimità della
Conquista de' territori de' Popoli vinti, pareggiandola ad una dedizione
senza patti. » Approva Valienazione e cessione volontaria di territori per
fatto del solo Principe, senza il consenso dei popoli; e nega alle Nazioni,
soggette a dominazione straniera p^r conquista o trattati, il diritto di far
guerra per rivendicarsi in libertà, e per ricuperare la nazionale indipen-
denza: — così — soggiunge Mancini — « i generosi sforzi delle Fiandre per
sottrarsi all'odiato giogo di Filippo II, ed 11 sorgere dei nuovi Stati del-
TAmerica del Nord, della Grecia, del Belgio, dell'Italia, sarebbero per lui
altrettante violazioni del Diritto delle Genti. » — In tutto ciò il Gentili
è indubitatamente — parlo del suo Diritto di Guerra, — quanto a larghezza
e razionalità di principi, superiore ad Tigone Grozio, le cui illiberali dot-
trine furono, con giuste censure, sindacate da Gronovio, da Puffendorfio
e da altri chiosatori e continuatori dell'opera sua; e sono notevoli e degni
di studio, come generosa protesta di libero sentire e come saggio di dotta
critica, i commenti del Gronovio in particolare, il quale confuta con grande
potenza di logica gli errori, di cui è fatto cenno di sopra; rivendicando
ai Popoli — fra gli altri diritti disconosciuti dall'autore del De Jure Belli
ac Pacis — quello di riscattarsi dall'assoluta potestà del Principe, quale
che ne sia l'origine; e quello d'insorgere contro la dominazione straniera:
diritto in virtù del quale la patria stessa di Grozio avea ricuperata la sua
indipendenza, ed era divenuta sicuro albergo della libertà di coscienza.
Intorno a che il Gronovio osserva giustamente: « Auctor quaestionem, an
liceat christianis prò religione adversus superiores in ultimo discrimine
bollare, ita tractet ut negantem partem probare, atque ita tot heroum,
quorum armis a Deo prosperatis libertatem conscientise in Belgio, Ger-
mania, Gallia, debemus causam damnare videatur. Cui sententiae subscri-
berb non pòssumus, nec quae prò ea proferuntur, tanti putamus, ut iis nos
induci patiemur. » £ prova il suo assunto, contrapponendo assai buone
ragioni di diritto naturale e di senso comune agli argomenti pescati da
Grozio ne' precetti del Vangelo ad uso delle autorità costituite. Io non so
se questa ortodossia politica del giuspubblicista olandese non poss^ —
salvo il giusto giudizio de' meriti incontestabili del suo Trattato — darci
in parte la spiegazione del favore grandissimo che questo trovò presso i
Principi e i diplomatici d'Europa, mentre i libri di Alberigo furono quasi
dimenticati. Vedi ad ogni modo — per quello che ho detto della poca li-
beralità di Grozio — le Note di Gronovio ai capi III e IV del lib. I, De
Jure Bèlli ac Pacis, — {Nota dell* Autore,)
280 SU ALBERIGO GENTILI.
Cagioni antiche di guerra non s' hanno da ripescare a
libito ; * la regola della prescrizione valere anche pel Diritto
delle Genti : che, se ciò non si ammettesse, non vi sarebbe
mai fine alle fazioni guerresche. Ed essere ovvio questo prin-
cipio, massime contro le pretese dell' Impero su quegli Stati
che, .soggetti un tempo alla sua autorità, se ne vennero di
mano in mano emancipando. < Nessuno vorrà andare a cer-
care, fra' Turchi o fra' SaTaceni^ il Romano Impero. Né vor-
remo cercarlo in Francia, ove da lungo tempo non sono
nemmen più imperatori, e Franchi vollero sempre chiamarsi
i Francesi, dal nome della loro Nazione : e neppure lo cer-
cheremo fra gli Spagnuoli e gl'Inglesi; i quali Popoli, ab-
bandonati dagl'imperatori romani o non stati mai soggetti
a Roma, rapiti all' Impero o ai rapitori di esso que' loro
regni, da molti secoli se li godono. > ' — Di tal modo ragio-
nava con pratico buon senso Alberigo, dissipando, alla soglia
de' tempi moderni, la larva del vecchio giure imperiale ; e
introducendo fra i Popoli il nuovo diritto degli Stati di
Europa.
Ma, se corre prescrizione contro titoli di dominio resi vani
dal tempo e dai nuovi elementi della vita delle Nazioni, non
corre mai prescrizione contro il vero e buon diritto, fondato
sulla natura : e < contra la prescrizione è soccorso a chi non
ebbe comodità di esercitare l'azione.... > — < Per lunghezza
di tempo ninno dee credersi di aversi acquistata ragione
sulle altrui cose, quante volte a' legittimi proprietari era fatto
impedimento di rivendicarle.... né ad impedire il possesso
vale il solo fatto materiale, non accompagnato dal diritto. > '
Né fatto 0 forza di prepotenti avversari può contendere al-
trui il diritto di riacquistare ciò che ci viene dalla natura, e che
dagli uomini ci è negato.* Giusto quindi, per naturali cagioni,
* Cap. XXII, De vetuatis cauais non «xcitandis, — {Nota deW Autore,)
* Vedi l'intero cap. XXIII De Jure Belli, nel quale l'autore, pure am-
mettendo la continuità della tradizione romana del titolo imperiale, ne
restringe in sostanza l'efficacia giuridica alle regioni effettivamente sog-
gette all'imperatore — e cio|, alla Germania e ad alcune Provincie d'Italia;
ed esclude qualsisia pretesa d'alto dominio Cesareo dalle contrade che se
ne resero indipendenti di fatto. — (Nota dell'Autore,)
' Gap. XIX, in principio. « Atque hic a natura bellum dìcetur, si propter
id suscipitur quod a natura tribuitur, et ab hominihua denegatur, ^ ec. —
{Nota dell'Autore,)
* Ibìd., pag. 76 e seg. dove pone in generale il principio deUa libertà
de' traffici, non ammettendo limitazioni alla regola, che in casi speciali ;
e ne deduce, come corollario, la libertà del mare e delle acque fluenti.
^.-.
LETTURA TERZA. 281
il ricorrere airarmi, dove altro rimedio non giovi, < se, per
esempio, altri e' impedisca il passo o l'entrata ne' porti o il
far provviste, o la mercatura e il commercio. > Questa, ri-
spetto alla libertà delle navigazioni, la teoria che Alberigo
— precorrendo anche in ciò il pubblicista olandese — fonda
sulla natura, ed annunzia alla sci^iza nascente. Né vale che
egli poi sottilizzi contr' essa come politico in altri luoghi ;
estendendo oltre il giusto la dottrina della giurisdizione degli
Stati marittimi sulle acque circostanti, e conceda agl'Inglesi,
per ragioni speciose di pubblica necessità, un indebito arbi-
trio sugli altrui commerci.*
Seguono per ultimo, fra le naturali ed umane, altre ca-
gioni di guerra, ch'egli chiama oneste, contro chi per im-
probità di selvaggio costume offenda natura ed umanità. Ma
soggiunge: < quello ch'io non approvo, sebbene lo approvino
altri, si è che gli spagnuoli facciano guerra agi' indiani, oltre
alle altre cagioni dette di sopra, per questa: che essi non
vogliano dare ascolto alla predicazione del Vangelo, essendo
che qui la religione è un mero pretesto. Che, sebbene sia
detto: andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura; non
ne seguita che la creatura che non voglia udirlo debba es-
servi costretta con l'armi. Stolidi sofismi son questi. Non In-
« Extra hos casus aut alìos singulares, si commercium impeditur, benum
suscipì«tur juste. Etiam Bononienses susceperunt con tra Venetos beUum
ex hac causa.... Nunc de mare. Hoc natura omnibus patet, et oommunis
ejus usus omnibus est, ut a6ris. Non igitur prohiberi a quoquam potest.
Litora item a natura omnibus yacant: item ripse, item flumina, hoc est,
dqusB fluentes. » — {Nota delF Autore,)
* Ciò nel cap. XXI, come vedremo più avanti. Qui dice : < Quamquam
vero usum horum omnium dicimus communem omnibus, tamen eaque
<licitur epinio adprobata, ut qussri illorum possit possessio, et possint pos-
fiidentes prohibere alios iUis uti : et ita Venetos posse prohibere alios in-
gredi mare illud : non quia facti sint Veneti domini maris, quod in dominio
esse nequit, sed quia sic sint possessores. Verum mihi opinio non placet :
qtice loeditper inanea logos jus naturce : ut sì marepatet per naturam omnibus f
id quidem Claudi nemini debeai»,. Est autem et in mari jurisdictio : aut nullus
ulciscetur magistratus admissa in mari. Sed est et magistratus in mari,
et magistratus juris gentium : itaque etiam jurisdictio : et itaque sint ista
ubique necesse est. » Pag. 78, 79. E, nello stesso capitolo, condanna — con-
foroie a natura e giustizia — il preteso diritto di appropriazione delle cose
de' naufraghi, di cui abusavano, a que'- tempi, inglesi, francesi ed altre
genti marittime. < Quod est, tutos hospites habere apud se naturali instin*
«tuy non lata lege, sed nata : ut sponte est, quod naturale est.... Sed officia
haBc humanitatis non statuo leges hostibus. De non hostibus nunc dico.
Noster legislator {Inst, de re, di, 2. 1) supradictas res omnes, et usum por-
tuum eadem defini tiene notat. De quibus intelligimus, quod illud jus sit,
«quo Galli, Angli, forte et alii utuntur circa nau&agia. Et enim Jus inj'U'
rtunt ; ut suis dominis eripiantur, quae ejecta in illorum portus aut litora
4sunt per naufragium. ^ Ibid., pag. 78. -— {Nota delV Autore,)
XIL 19
282 SII ALBERIGO GENTIU.
noc^izo posso io approvare, non Paolo dì Castro — seguace
d'Innocenzo, i quali dicono giusta cagione di guerra contro
agl'infedeli la carità. >*
E dopo avere deprecato ad una ad una le cagioni ingiu-
ste di guerra, stabiliti i prìncipi che rendono necessario, giu-
sto ed onesto — dove ogni umano rimedio sia tolto via — il
ricorrere alla forza, l'anima d'Alberigo aspira pur sempre
alla pace, alla buona ydontà, alla fraternità fra gli uomini:
e < Tu, o Dìo -- esclama pregando — Tu, padre dì giustizia,
rimovi da noi anche queste cagioni: rimovi ogni sorta di
guerra, o Signore; danne pace. Pace, anima e vita di tutto,
deh! vieni! >*
Nella parte sin qui discorsa, che dà materia al primo Li-
bro dell'Opera, io vi ho esposto per sommi capi le più im-
portanti fra le sue dottrine, riguardo alle cagioni del guer-
reggiare.
Nel secondo Libro egli tratta della giustizia della guerra,
rispetto ai modi dell'iniziarla e del condurla.
Toccai nelle precedenti Letture de' principi posti da Ci-
cerone e ripetuti da Matteo Palmieri, intomo a tale materia.
La seconda parte del Trattato di Alberigo può considerarsi
come uno svolgimento ed una applicazione pratica di quei
principi alle varie specie degli accidenti itUennedi della guerra,
conforme alla definizione della medesima: Crùerra è giusta
^ Lib. I, cap. XXV, pag. 105. Più ardito assunto di fronte ai pregiadizi
de' suoi tempi e de' suoi correligionari il dichiarare ingiusto motivo di
guerra l'ateismo. Però, pure ammettendo — dato il supposto — la giustizia
di tal guerra, egli dubita tuttavia deUa pos»bilità della causa ; e, cioè, che
possa esservi un popolo di atei, nel senso di gente afEatto spoglia d'ogni
umana qualità ; che « una qualunque religione è da natura ; laonde, am-
messo che vi abbiano atei, privi di ogni religione, buona o cattiva, la
guerra contr'essi potrebbe apparire giusta, non altrimenti che guerra a
fiere selvagge ; non meritando Acme di uomini coloro che non osservano
le leggi della natura umana, e sdegnano d'essere chiamati uomini. > Ibid.^
pag. 107. Ma nel cap. IX, pag. 35, aveva detto : « Senonchè, esiste vera-
mente una tal fatta ai gente che non crede a nulla, che non osserva nuUa ?
Io dico di no ; e chi dice il contrario, vorrei me l' indicasse. Non si creda
già che sia fuori del diritto chi per fragilità umana versa in errore; e con
tutto il desiderio che può avere del bene, segue una religione falsa. Co-
storo — come degli Alemanni idolatri ebbe a dire Agatìa — sono meritevoli
di compassione, e però voglionsi ammaestrare e tollerare, non costringere
e sterminare. Itaque docendi sunt, at ferendif non eogendi uut exterminandi. >
"Badino quelli che accusano d' intolleranza Alberigo Gentili, di non essere
ad osni tratto smentiti dai testi delle sue vere sentenze! — {Nota deW Autore.)
* Ibid., pag. 109. « Tu pater justiti». Deus, etiam has toUe causas
nobis, tolle bellum omne : da, Domine, pacem in diebus nostris, da paeem-
At nohis pax alma veni. » — {Nota d,ell* Autore.)
LETTURA TERZA. 283
contesa charmi pubbliche. E perchè sia tale, vuol essere inti-
mata nelle debite forme acciocché possa costituirsi in legit-
tima difesa: anzi < è necessario — dice— che* alla dichia-
razione di guerra vada innanzi un avvertimento — o vuoi
domanda — alla quale non sodisfacendosi, allora soltanto sia
guerra: > a cui, come a partito estremo s'ha da ricorrere,
dopo tentata ogni pratica di razionale composizione. Con che
Alberigo, qui e in altri passi, prelude alla moderna dottrina
degli arbitrati pacifici.* < Guerra non dichiarata — egli pro-
. * < Quid autem est, ut renuncies amìcitiae, denuncies inimicitìam et
beUum, nee tentes jus cequius primum ? Extrema nemo primo tentavU loco,
Atqui belli jus necessìtatis est ; itaque omnium postremum est.... Bellui-
uam est^ arma statim movere.... Omnia prius experiri verbis, quam armis,
sapientem decet. Qui scis an, quce jubeam, sine vi faciat? Sic Baldus, tentanda
prius civilia remedia omniOj quam repraesaliae concedantur : quse proìbitse
per suam naturam: et bellum tamen sit mìnus justum, et minus licitum,
quam repraesalise. » De Jure Belli, lib. II, cap. I, pag. 114. E più ampia-
mente nel lib. I, cap. III, dove, riferendo, con Cicerone, alla natura razio-
nale deiruomo il principio delle composizioni pacifiche, cita esempi antichi
e moderni di pacifici arbitrati, e tenta di rivestire di carattere giuridico
questa naturale aspirazione della coscienza umana, argomentando, dalle
norme del Diritto Civile ne' giudizi privati, alla istituzione di analoghi
procedimenti nelle questioni pubbliche degli Stati ; e invocando all'uopo
— dacché era venuta meno l'autorità morale che avea governato il mondo
nel medio-evo — l'autorità legale di una giurisprudenza di ragion comune,
i cui decreti venissero avvalorati dalla forza della pubblica opinione. Di-
resti che un senso presago dell'avvenire gì' ispirasse quella fiducia nell'ef-
, fìcacìa dell'azione giudiziaria sulle liti internazionali. < At cur memoro
adeo multa?... Scilicet ut intelligant qui defugiunt genus hoc decertandi
per disceptationem, et ad alterum, quod est per vim, currunt illieo, eos a
justitia, ab humanitate, a probis exemplis refugere: et ruere in arma ve-
lentes, qui subire judicium nuUius velint. I^am cur privatorum causse
majores ssepe his publicis, obscuriores certe plurimum, tenentur judiciis,
Prlncìpum non tenentur ? Melius et civilius est fait lex), non manu cogere.
Judices eligi peritiores incorruptiores, in causis Principum possunt: quce
teste quasi, ac spectatore orbe terrarum et audiantur^et definiantur. » pag. 14.
Non si dissimula Alberigo le difficoltà pratiche dell^ esecuzione di tali
giudìzi. < Quando gli arbitri avranno ben ben pronunziato, come potremo
essere sicuri che la loro sentenza verrà eseguita? » Ibid., pag. 17. — Ma non
desiste per questo dall' inculcare gli esperimenti pacifici, dicendo che la
incertezza della riuscita non è ragione per non tentarli, promoverli, farli
passare in costume. « Et hsec tamen causa non potens est sola, ut Intel-
liges de his, quae in tertio libro scribam de pace futura constituenda. »
Ibid.y pag» 17. — Ho detto dottrina moderna quella degli arbitrati. Il prin-
cipio, come abbiam visto, è antico quanto è antica la coscienza civile del-
l' Uomo, e non è certamente merito d'alcun moderno lo averlo inventato.
Pierino Belli e Gentili — e, prima di loro, Baldo ed altri giureconsulti —
seguirono in ciò i precetti di Cicerone e de' Padri della Chiesa, gli esempì
romani e gli esempì cristiani. Ma è tentativo della scienza moderna il cer-
care modi efficaci di sanzione giuridica al sistema degli arbitrati Inter-
naziontdi, mercè stabili istituti e legami di comune utilità e di reciproca
obbligazione fra ì Popoli; ed è problema che si connette col progresso
della universale civiltà. Alberigo ebbe il merito di avere scorta la neces-
sità, della incarnazione giuridica di tale principio in un magistrato che
ricevesse autorità dalla opinione e dal consenso delle Nazioni. — {Nota
dell'Autore.)
284 SU ALBERIGO GENTILI.
testa — è guerra proditoria, ingiusta, detestabile. >' Di che
(fra parentesi) diede a noi viventi nella piena luce di questo
secolo, sciagurato spettacolo il Governo retrivo che preparò
in Francia la via al secondo Impero col fratricidio della Ro-
mana Repubblica; invadendo — senza dichiarazione di guerra,
senza prenunzio alcuno — uno Stato che il popolare sufiFra-
gio avea costituito in forma ordinata e legale, su quegli stessi
principi che la Costituzione francese del '48 portava, men-
tendo, scritti in fronte per norma al Diritto comune delle
Nazioni.
E giusta dev'essere la guerra nef modi od atti suoi. Essa
non scioglie i combattenti da ogni vincolo umano, né dal
debito di servare la buona fede; peroc^chè sia contesa d'uo-
mini, non di belve; contesa aperta, contesa armata, ma d'armi
oneste e pubbliche. Onde vuol essere bandito da essa ogni
dolo malo, in fatti e in parole. Le soppiatto insidie alla vita
de' capitani nemici ; il corrompere con veleni le acque, l'aiz-
zare contro a' nemici animali feroci, < questi modi — esclama
Alberigo -— sono indegni degli uomini, strumenti vergognosi
di guerra son questi. Sono, in guerra, leggi da osservare
— per tacer d'altro — coi fanciulli, le donne, i supplicanti :
commetteremo noi ai bruti l'osservanza di queste leggi? >
Empia sentenza il dire che la necessità rende lecita ogni
scelleratezza. Conformi a buona guerra però gli stratagemmi,
le imboscate, lo spiare le forze e i movimenti del nemico,
dacché l'una parte e l'altra è parata a sì fatti espedienti.
Ma riprovevole, non meno che ne' fatti, il dolo nelle parole.
Onde convenzioni, tregue, salvacondotti, patti per iscambì di
prigionieri e promesse di riscatti, d'ostaggi e simiglianti,
s' hanno da osservare secondo la buona fede, non secondo i
cavilli de' legulei.*
Né meno onesti ed umani sono gli avvertimenti di Albe-
rigo rispetto alle persone e alle cose de' nemici. La guerra
é contesa armata, e però solo durante il conflitto sono per
essa sospese le leggi della scambievole umanità : comechè,
anche nella zuflfa, debbano i combattenti, conforme alla sen-
* < Sed si beUnm non indìcitur, cum indici oportet,. tum proditorie
agi dicitur ; et injustum, et detestabile, et internecinum bellum est : id est,
quod nulla lege belli, sed prò libidine geritur ; et in quo omnia jura belli
merito cessare videntur. » Lib. II, cap. II, pag. 120. — {Nota deWAutweJ^
* Lib. II, cap. Ili, De dòlo, et stratagematis ; cap. IV, De dolo verharutn. /
cap. V, De mendaciia ; cap. VI, De venefìciiSf ec. — {Nota deW Autore,)
LETTURA TERZA. 285
tenza di Cicerone, comportarsi da uomini, non da fiere. Ces-
sata la necessità della lotta, quelle leggi ripigliano la loro
virtù. Però, i^iqua la violenza contro i prigionieri, contro i
feriti, contro chi si arrende,* contro i supplicanti : iniquo l'in-
fierire con le donne, < coi fanciulli, con gì' inferrai e coi vec-
chi. Non si dee nuocere a chi non può nuocere: e donne e
fanciulli rende inviolabili la natura stessa, dalle cui leggi lo
stato di guerra non franca nessuno. >* Né vale in contrario
* Cap. XXI, D» captivis et non neeandis; cap. XVII, De his, qui se hoatl
dedunt, — Quanto ai resi e ai prigionieri di guerra, Alberigo, ne' due ca-
pitoli qui citati, mantiene con ogni studio d'umanità e di giustizia la
massima che debba loro perdonarsi la vita; e maledice all'empio costume
di uccidere chi più non può nuocerti, e si affida, deposte le armi, alla
tua discrezione. £ confutando, con retta e morale dottrina, il barbaro
concetto dell'assoluto arbitrio del vincitore, dice che, per quanto libero
e pieno yoglia intendersi l'arbitrio umano, esso non dee mai scompa-
gnarsi — appunto perchè arbitrio di creatura ragionevole — dalla equità. ■—
< Libero è detto l'arbitrio, perchè tale in effetto è quello dell'Uomo; il
quale, non per impulso di natura come le cose inanimate, non per istinto
come i fanciulli — la libertà de' quali, detta così, avrebbe piuttosto a
chiamarsi licenza; — ma per volontà propria si conduce a un'azione deter-
minata, e alcune cose vuole, altre no...: onde quanto più di lato può ima-
ginarsì nell'arbitrio deve ridursi nei confini per entro i quali si aggira
l'arbitrio della persona da bene. » (Cap. XVII, pag. 192, 198.) Così una ma-
teria della più grande importanza per la Umanità, e che — ai tempi del
Gentili — era ancora soggetta al feroce governo delle passioni e della
forza^ è da lui posta sotto gli auspici di un grande principio razionale;
né naònta ch'egli poi vada traviando qua e là — in questo e nel seguente
capitolo — dalle norme della naturale giustizia, rispetto ad alcune fatti-
specie, sottoponendole a criteri di diritto storico e di costume arbitrario
ne' giudizi guerreschi: non sì però che non appaia qua e là, nelle ecce-
zioni ch'egli enumera alla regola da lui posta, il dissenso della sua co-
scienza dall'impero de' fatti. E precisamente, nel capitolo in cui espone
sì fatte eccezioni (XVIII, In deditos et captos sceviri) insiste sull'aurea sen-
tenza: « Tu però non andar cercando — che non è bello — ciò che altri
fece, sì ciò che ottimamente sia stato fatto. Imperocché la sana ragione
vuoisi anteporre agli esempi. — At pulchrum est, non quaerere quid alii
agerint, sed qui optime actum sit. Sana enim ratio exemplis anteponitur. »
(Ivi, pag. 200.) Al quale proposito, vuoisi osservare che, per desumere dal
fascio — spesso intricato — delle dottrine di Alberigo, nel suo Diritto di
Guerra, il vero spirito della parte razionale delle medesime, non bisogna
confondere, come taluni fanno, ciò che ivi ha relazione al Diritto storico
o alla consuetudine, con ciò eh' è genuino e proprio dettato dalla ragione
e dalla coscienza dell'autore, il quale — colpa della imperfezione del suo
mètodo e di certa perplessità di criteri, da me altrove avvertita — non
distingue sempre chiaramente quella sana ragione, a cui pure si appella,
da altre norme di giudizio tratte da fonti fattizie e dalla medesima di-
scordi. — {Nota delV Autore.)
* « Digni, quibus semper parcatur, pueri, et dignse feminaB sunt. Fé-
mina nomen hostis non capit, inquit Seneca.... Arma hahemus (Inquìt Ca-
millus) non adversus eam cetatem cui, etiam captis urbibus, parcitur, sed
adversus armatos. Nota est historìa impii paedagogi Faleriorum puerorum....
Ij^sa porro videri poterant jura belli, si pueros illos accepisset Camillus :
quoniam ut nocere illa <etas non solet, nec potuit, ita neque noceri eidem
debet. Xiaesa et naturae societas foret, qu» omnino illi monet tetati, quse
in nullo eam violavit. £t sicut, ad jus publicum quod attinet, nihil est
28G SU ALBERIGO GENTILI.
autorità d'esempi tratti dalla Bibbia; perchè i comandamenti
dati da Dio a Mosè in alcuni casi speciali — argomenta l'au-
tore — sono da considerare come eccezione che non inferma
la legge di natura, che viene parimente da Dio. E qui, stretto
— come in altri luoghi consimili — fra la ragion teologica
e la ragion naturale, si scioglie, secondo suo stile, con sot-
tili argomenti, dall' impaccio, dandola vinta a quest'ultima;
e dice : < Quando chi pose una legge comandò cosa che da
quella si vieti, il comando sta per là legge, perchè move dal-
l'autor della legge,... > — < Di questi comandi straordinari di
Dìo, filosofi e teologi sanno la ragione ; la quale nondimeno
è tutta divina, e non ha che far nulla con i negozi umani. >
Così — continua a dire — < contrariamente a tutti gli empi,
i quali non ammettono se non ciò che la ragione umana può
approvare, adoreremo come giustissimi que' singolari decreti
di Dio; né però li proporremo ad esempio, come farebbero
i temerari e i leggieri. Ma, invece, fra le leggi di Dio, se-
guiteremo quelle che sono poste per tutti. E la legge da os-
servarsi al proposito di cui ragioniamo è che fanciulli e donne
vogliono risparmiarsi. >* Cito il passo come caratteristico del
modo di raziocinare dell'autore dinanzi all'autorità della Bib-
bia. Scrivendo egli fra gente che credeva nell'infallibilità
de' Libri Sacri, e alla quale il trascendere della critica ra-
zionale oltre certi limiti pareva empietà, s' intende come do-
vesse ingegnarsi di far passare per sì fatte filiere gli argo-
menti che gli erano suggeriti dal suo buon senso naturale
e civile.
E non solo la vita ma, più della vita, è da rispettare
nelle donne de' vinti — anche se fatte prigioniere e serve —
jus paternum: ita nec ad jus naturae filiis disperdendum, quod a patre
iiec est, faciat quidquam paternum jus, et factum paternum. Liberi, qwf
non a patre, aed a genere, a civitate, a rerum natura tribuerentur, ea manere
ineolumiaj non eripi propter crimen paternum, dicit Alphenus, dictat ratio.
Quo igìtur in facto naturalis ratio Iseditur admisso, id admittit nec debet.
Hostilitas cum nullo tollit obligationem naturalem, tanto minus cum his. >
(Oap. XXI, De pueris et feminis, pag. 215, 216). Così discorre Alberigo, ele-
vando il precetto alla ragion pura e immutabile de' principi. — (Noia del-
l'Autore.)
^ « Nos jus hominum tractamus, vias hominum hic insistimus. Immo
viam illam ostendimus, quam inire nos, et insistere nos voluit Deus. Ula
extraordinaria Moysis facta, Dei jussa, non sunt nobis rapienda in conse-
quentias.... Cum juhet iUe qui legem eonstituit, aliquid fieri quod in Uge
prohibuit, jussio illa prò lege habetur, quoniam auetoris est legis,,,, Sequemur
antem eiusdem leges, posita omnibus. Hcec lex hic est, ut pueris et feminis
parcamus, » Ibid., pag. 218, 219. -- {Nota dell* Autore,)
LETTURA TERZA. 287
la onestà : < che, se non è lecito dar morte a fanciulli e a
femmine, meno sarà lecito oltraggiarne il pudgre, però c^e
questo è danno più amaro che morte. > * E avvalora queste
sue nobiK parole con numerosi esempì di conformi virtù:
< perchè — soggiunge -— non sono troppi, no, gli esempì che
ho addotto, e ne occorrerebbero mille altri a frenare la li-
cenza della guerra, la libidine soldatesca ; la quale da certi
scrittori fomentasi, dicendola non contraria alle leggi mi-
litari. > *
E umana, e nuova quasi, rispetto alla pratica de' tempi
suoi — senonchè Pierino Belli nella pratica lo prevenne ' —
è la sua dottrina del trattamento degli agricoltori, dei mer-
canti, dei forestieri, dei religiosi e somiglianti, dove si dipor-
tino pacificamente; ì quali tutti egli vuole esenti da molestie,
da prede e da taglie di guerra, per ragion di natura e di
citile utilità fra le genti/ E se non si dee nuocere senza
necessità alle persone inermi in territorio nemico, tanto meno
è da recar danno ai neutrali. < Le cose di questi ultimi non
* « Honestatem porro mulierum attaminare, injustum faerit semper....
Et ubi jus est servitutis, veDutidari hostes jure belli una cum lìberis atque
qxoribus lioeat, Bon tamen infami contumelia quemquam captivorum
afficere jus est. Ineptus qui trahit ad justitiam bellicam hsec usurpata in
bellis injuste. Neque hic do talloni locum. » Ibid./ pag. 220, 221. — {Nota
delF Autore,)
* < Immo enim non sunt hsBe multa ad frenandum beUi licentiam, mi-
li tum libidinem: cui et scriptòres nonnulli favent, quasi nec existenti centra
jure armorum. » Ibid., pag. 222. — {Nota deW Autore,)
' Non Pierino Belli soltanto, ma ed altri parecchi prima di lui, e n' è
precetto ne' Canoni; perchè, infine, sì fatte regole sono suggerite dalla
natura, e non se ne aeve attribuir merito d'invenzione e di precedenza
ad alcuno in particolare. Che, se fra i trattatisti che precedettero di pochi
o di molti anni Alberigo, o che gli furono contemporanei, si riscontrano
pronunciati conformi ai suoi in certe materie, la ragione è che tutti attin-
gevano a fonti comuni e più antiche, come venni accennando in queste
letture. Se s' ha da far gara di precursori in sì fatti dettati di naturale giu-
stizia ed umanità, dovremo per esser giusti risalire a dirittura all'antichità
pagana e mosaiea, aUa Bibbia, al Deuteronomio stesso che, fra molte cose
crudeli, ne comanda eziandio di umane — come del chiamare a pace il
nemico prima di combatterlo; del risparmiare il popolo delle città che
si arrendono ; del perdonare la vita alle donne e ai lanciulli, anche nelle
città prese d'assalto ; del non guastare le messi e gli alberi fruttiferi ; del
rispettare l'onestà delle donne de' vinti, fatte prigioniere, e non farne traf-
fico ec. {Deut,, cap. XX e XXI). Il merito di Pierino Belli e di Gentili, e
d'altri del loro secolo, fu di revocare alla memoria e aUa coscienza degli
uomini precetti ed obblighi di umanità, che una nuova barbarie avea so-
praffatti e posti in oblio : e fu pregio di Alberigo in particolare — pregio
che Grozio stesso gli riconosce — il ridurre il nudo precetto alla ragion
de' principi, vestendo di una prima forma di dimostrazione scientifica la
materia del Diritto delle Genti. — {Nota delT Autore.)
* Cap. XXII, De agricolis, mereatoribus, peregrinis, aliia aimilibus, —
{Nota dell'Autore.)
288 gU ALBERIGO GENTILI.
sono ben prese in alcun caso o luogo. Chi non ci è nemico
non è lecito uccidere dove che sia. >' Di questa importan-
tissima parte della ragion di guerra, che concerne il diritto
de' neutri, Alberigo, a dir vero, tocca solo incidentalmente, e
non ne spiega i particolari e le relazioni molteplici;' ma i
principi generali da lui posti lasciano scorgere a sufficienza
a che egli intenda, anche in tale soggetto; ed è agevole il
dedurre dalle sue premesse le conseguenze che ne discendono.
£, continuando l'argomento delle persone e delle cose da
risparmiarsi in guerra, vuole esenti da cattura o sequestro
gli agricoltori, i domestici, gli animali addetti al lavoro
de' campi e gli strumenti aratori ; perchè la guerra è cozzo
d'armati, e guerra pertanto non è dove armati non siano.
Né vogliono devastarsi le terre, le città, le case, le biade, le
navi de' nemici. < Distruggere senza prò, e solo per fare
dispetto al nemico, è matto furore ; non essendo lecito al-
l'uomo dabbene combattere coi nemici fino a totale stermi-
nio, ma solo per punire i falli che abbiano commessi, e per
correggerli.... Questa specie di guerra che si fa alle pareti,
alle case, alle colonne, alle porte, orribile guerra è detta da
Cicerone, e scellerata e colma d'ogni tristizia. Anche i bar-
bari hanno per uso di riconoscere, come conseguenza della
vittoria, la preda : ma disertare le mèssi, dar fuoco alle case,
e commettere altri simili eccessi, è indizio anche per loro
di odio mortale ; è rabbia insana, più che vendetta. > '
Finalmente, sacra ai vincitori esser deve la religione dei
sepolcri. Cosa da barbari il negar sepoltura e fare ingiuria
ai defunti. Cessò d'essere nemico chi cessò d'esser uomo ; e
con la morte cessa la guerra. Or pace de' morti è la sepol-
tura. E rompe ogni legame d'umanità chi fa ad essi oltrag-
gio. Non è il morto che è offeso, ma offesa nel morto è la
città e la natura comune. < E anche contro i cadaveri degli
* « Res non hostium non bene capitur nljibi. Non hostis non bene
interficitur uUibi. » Ibid., pag. 229. — {Xota delt Autore.)
* Vedi la ragione che ne dà il Reiger, al cap. IV, pag. 53, 54, del suo
Saggio sopra Alberigo Gentili : e, cioè, che, ai tempi delrantore del Diritto
di Guerra, questa materia de' diritti de' neutri, de' peregrini, de'.forastieri,
avviluppata ancora dai pregiudizi e dagli usi di una lunga consuetudine,
prestava appena argomento di discussione ai giuristi, preoccupati da più
urgenti questioni. Nondimeno, Alberigo — nel citato capitolo — mette in
sodo i principi di umanità, di giustizia e di utilità sociale che devcHio
governarla ; ed è già un gran passo per l'età sua. — (NtOa délV Autore.)
^ Cap. XXIII, De vasi Hate et incendiis. — {Nota dell* Autore,)
I
LETTURA TERZA. 289
eretici, de' barbari, de' selvaggi, non vuoisi infierire, ma uma-
namente seppellirli ; come non esclusi, per differenza di reli-
gione e di razza, dal vincolo umano. E, morto l'uomo, so-
pravvive sulla sua salma la Umanità. > *
E di questo spirito d'umanità tutto pieno, così piamente
conchiude la seconda parte della sua fatica : < Tu, sommo
Iddio, rimovi da noi la barbarie, la ferità, la insaziabile ni-
micizia : tu buono. Il bove e il leone cibino ormai l'erba dei
campi, né mai il bove impari la ferità, bensì il leone ap-
prenda mansuetudine. Né mai imparino dai barbari i cri-
stiani tuoi i modi del guerreggiare ; ma bene dal popol tuo
imparino i barbari questi modi più umani. >*
Nel terzo Libro, l'autore compie il concetto dell'opera ri-
ferendola al suo fine civile, la pace:^ che egli definisce: com-
posisiione ordinata di guerra : * e può essere imposta dal vin-
citore, 0 conchiusa di comune accordo fra i belligeranti.
Nell'un caso e nell'altro, importa che le condizioni sian tali
da perpetuare la pace. Al che non si provvederà se non so-
disfacendo con equi temperamenti all'utile comune: trutinanda
omnia. Guerra è contesa giusta, in quanto é diretta a giusta
* « Res hostium an sunt cadavera caesorum. Hostes esse desierunt, qui
homìnes esse desierunt. In ea autem saevire^ aut illa prohibere sepultura,
sine dubio res est improba et impia. Nam defuncti non bella gerunt„„ Illud
tempus pacis : et morituòrum pax est sepultura.... Naturce communi dedecus
fit, dum fit mortuis,^. Et mortuus ipse non offendìtur vere: sed civitas
offenditur in mortuo, et natura communis.,.. Haeretici humaniter et pie
sepeliuntur.... Etiam quod Plato admittit fere cum barbaris ssevire mor-
tuis, non mihi placet. Non admitto aut cum barbarissimis feritatem hanc...
Aliud homini, aliud humanitati conventi; ut erat apud Yarronem. Hic de
humanitate^ res est, nam homo abiit.... Vincere bonum est : supervincere
odiosum. » Gap. XXIV, De ccesia sepeliendis. — {Nota dell'Autore.)
* Ibid., in fine. « Nequaquam discant a barbaris Ohristìani tui barba-
ras bellandi rationes, sed istas humaniores a tuis barbari doceantur. »
Pag. 246. -— {Nota dell'Autore.)
' « Et quidem belli finis pax est, ad quam contendere omnes oportet.
Ita beUum (ait Cicero) suscipiatur, ut nihil aliud quam pax quceaita videa-
tur, > Lib. III, cap. I, De Belli fine et pace, pag. 247. — {Nota dell'Autore.)
* «.Verum definitur ab Angustino pax generaliter, ut sit concordia
ordinata. Et ordo recta rerum distributio. Quse justitise natura est et aliis,
et jurisconsultis nostris. Nos igitur hic pacem definiemus compositionem
belli ordinatam, Baldus plenam sedationem discordiarum dixit: nam pacem
non posse fieri remanente bello: quod verum est, et postea late dicetur
a nobis. Sed et hoc habet definitio nostra : et hoc amplius explicat de
justitia, quam^ quserimus in ista hic sedatione, et ordinem et tributionem
cuique sui. » Cito tutto il luogo, perchè compendia il concetto fondamen-
tale^ dal quale discendono i consìgli e le regole che Alberigo va svolgendo
in quest'ultima parte del suo Diritto di Guerra, là quale può considerarsi,
ne' suoi migliori elementi, un trattato di equità civile, inteso a definire
J© basi della stabilità della pace fra i Popoli. — {Nota dell'Autore,)
'^r
290 SU ALBERIGO GENTILI.
difesa, e tende a ristabilire — secondo natura — il diritto.
La pace è composizione ordinata, in quanto restituisce e con-
ferma la giustizia fra le parti, per modo che l'una e l'altra
possano stabilmente acquetarvisi. Norma quindi, al tratta-
mento de' vinti e alle condizioni dell'accordo, questo supremo
intento. E però la punirione delle ingiurie che provocarono
la guerra non deve eccedere la giusta misura.* Lecito ripe-
tere la rìfazione delle spese e dei danni : potere il vincitore,
a rigor di diritto, imporre tributi ai vinti, spogliarli dei loro
ornamenti, smantellare le città prese d'assalto; ma più giova,
in tutto, servare equità e umanità.' E se accada di dovere
per loro .eccessi prender vendetta de' vinti, si puniscano i
capi, si risparmi la moltitudine.' Ammessa per diritto delle
genti — inteso qui dall'autore, non in relazione ai principi
della ragion naturale, ma al fatto storico — la servitù dei
prigionieri di guerra.* Potersi mutare dal vincitore il reggi-
mento, non la religione de' vinti.* Illecito il guastare i porti,
attraversare i commerci, chiudere ai naviganti i loro rifugi
nelle fortune di mare ; far cosa qualsiasi che tomi contraria
a natura e a civiltà; e nel conflitto dell'utile con l'onesto,
doversi sempre preferir questo a quello. Si tolgano ai nemici
i mezzi e le forze di nuocerti, si prevenga con opportune
cautele il ricorso a novelle ingiurie ; ma con razionale arbi-
trio, ne' limiti della necessaria tutela, e a fine di rendere la
pace salda e durevole contro ogni mal talento.^ E i giusti
* Misura alle ammende da imporre al nemico vinto, la necessità di assi-
curarsi da nuove ingiurie e aggressioni, contemperata a giustizia ed uma-
nità^ Trista la vittoria che, offendendo oltre il giusto i tuoi avversari, lascia
materia a nuova guerra. L'arbitrio del vincitore dev'essere moderato dalla
ragione dell'onesto e dell'utile. È ingiustizia vendicarsi degli ingiusti, imi-
tandoli. < Pertanto in questa parte si vuole considerare, non che possa
il vincitore né che desideri la vittoria, ma piti che cosa convenga aU'ona
e all'altra persona del vincitore e del vinto.... » guardando « al fine della
vittoria che ò l'utilità della pace. > La pena non deve eccedere la gravità
del misfatto, non deve colpire se non gli autori del maleficio ; non deve,
con la sua ferità, oltraggiare la natura. Empio quindi il costume della mu-
tilazione delle mani o dei piedi, dell'abbacinare ec; riprovevole la pena
del marchio e somiglianti. < Nihil quod crudele utile; et certe justum non
est quod crudele est. » Vedi cap. II, De uUione Victor is. — {Ifoia delTAuiore.)
' Gap. Ili, De sumptibue, et damnia belli : cap. IV, Tributis, et tigris
muletari victoa, — [Nota dell'Autore,)
* Cap. VIII, De dueibus hostium captis. — {Nota deW Autore.)
* Cap. IX, De servia, — {Nota deW Autore,)
^ Cap. X, De atatu mutando : cap. XI, De rèligionie, cUiarumque rerum
mutatione, — {Nota dell'Autore,)
* Cap. XII, Si utile cum honeato pugnet: cap. XIII, De pace futura con-
stituenda, — {Nota deW Autore,)
\*!WW,'¥^J '■
LETTUBA TERZA. 291
patti siano con fede servati/ Nelle paci stabilite per mutuo
consenso, non è in facoltà del principe lo smembrar parte
dello stato alla sua custodia commesso. < Non ha diritto un
re di alienare il popol suo, né di dargli altro re ; dacché il
popolo é libero, anco quando sotto regia potestà:... Tuomo
libero é inalienabile, perchè derrata che non entra in com-
mercio.... Non potest rex alienare populum^ nec illi alium
dare regem: quia popvHus est ìiher, licet sU sub rege:... libe-
rarum auteni nulla est cHienatio, quia nec est commercium. > —
~< Ciò del resto — prosegue — appartiene alla ragion natu-
rale : come' quasi tutte le cose che si attingono dai libri del
Digesto.... E in ciò troverai neppur discordare i filosofi. > *
*■ Gap. XIVy De Jure conveniendi, « Sed pax est non in armis posiiis, at
in ahjecto omni artnorum metu (Cic). Et igitur incumbendum est, ut pax
perpetua eerta constituatur. 'Nobis autem nunc videndum de hujus con-
ventione natura. Strìcti autem juris contractum ut transactìonis, dicit
Baldus. At ego contrarium docui, perque fundamenta de ipso Baldo ac--
«epta.... Nam quid si sit transactio ?' Est tamen nominatus contraotus, at
•quidem principum : quoriim contractus omnes sunt bonse fìdei. Est omnis
principalìs transactio ex bono ti ceguo : omnis consuetudinum et instituto-
rum gentium: ut recepta interpretum est sententia » (pag.310). E a questo
proposito, riprende severamente la mala fede de' principi di quell'epoca :
«li Ferdinando e Isabella di Spagna, in particolare : de' quali < si può dire
— egli nota — che avevano due penne e due lingue ; e — ciò oh' è men per-
<ionabile — avevano una penna con la quale scrivevano l' istruzione, e una
lingua per ingannare il nemico : Horum autem catholicorum duo calami,
duse linguse. Et, quod est intolerabilius, calamus ille instructionem, et
lingua illa hosti ignara » (pag. 311). — {Nota delV Autore,)
* Gap. XV, De quibus cavetur in fosderibus ec. Nel quale capitolo è no-
tevole, fra gli altri, il passo seguente, dove Gentili confuta la teorica del
potere assoluto, negandolo non solo ai re e principi minori ma anche al-
l' imperatore, contro la sentenza ch'egli poi sostenne più tardi nelle due
note Dissertazioni a Giacomo I. e Non regno legem imponit (princeps),
zìisi populus ei, et in eum dederit istam potestatem.... interest subditorum,
non mutare dominium : itaque requiretur in alienatone consensus eorum.
£t ut subditi ipsi nequeunt contrahere in prsejudicium superioris, ita nec
superior in praejudicium subditorum : in hoc videlicet sequiparantur, et
-vice sibi reddere tenentur.... Quamquam de Imperatore Romano diversum
<|^uis dixisset : cum lege regia, qu€e de ejua imperio lata est, populus ei et in
^um omnes imperium auum et potestatem concesserit (Inst.). Sed hoc tamen
ziìhil facit ad alienationem. Nam et si tribuerit principi populus illam
«tiam in populum, et in quemlibet de populo (quod centra libertatem et
oontra leges erat Portias) potestatem : non tamen et quamlibet tribuit,
ot istam alienandi. Omne dedit populus imperium et potestatem sane :
£^d ad regendum quasi homines, non ad alienandum quasi pecudes. Ut sic
ratio dictat, et sic verba sonant. Audi : Imperia, potestas, cum senatus ere'
t^erit, populusve jussit, ex urbe exeunto (Gic, De legJ). Imperia exercitum,
ftotestates urbem speetant. Hsbc duplex jurisdictio data, propria facta
mperatori. Aut num plus dederit populus quam ipse habuit? Ipsa populus
non id poterat. Hallucinantur theologi, adulantur jurisconsuUi qui persuadent
^mnia prineipibus licere, summamque eorum et liberam esse potestatem (Al-
oiAt. S de F. 8, 1. 25, C. de paet.). Ridiculum est affìrmare, Pontificibus abso-
lutam in subditos potestatem competere : quce nec ipsi Imperatori in Italos
competit : a quo isti c^usam habent. Ut hsec Alciatus scribit omnia. Finge
292 SU ALBERIGO GENTILI.
Non forse i filosofi, Alberigo nostro: ma ignorarono per lunga
età — e ignorano ancora in gran parte — la tua sana dot-
trina i diplomatici : e se tu fossi ritornato in vita in questo
secolo, avresti veduto nel Congresso di Vienna, e in altri
anche più recenti, numerarsi, spartirsi, barattarsi gli uomini
per teste, come bestiame, a grado di pochi dinasti. Tanta e
si lenta a riparare è la sproporzione che intercede fra l'in-
telletto del Giusto nella mente de' savi e la cieca opera del-
l'arbitrio volgare nel corso delle cose umane!
Basti l'aver toccato queste dottrine del terzo Libro del
Trattato di Guerra, a documento della liberalità di Alberigo.
E, come in queste, così nell'altre norme eh' egli propone ad
agevolare gli accordi, a mantener le amicizie, le federazioni,
le scambievoli utilità fra gli Stati, scorre tal vena d'equità,
di umanità, di onestà, e tale un desiderio di perenne armonia
fra le Nazioni, che a lui forse più che a Grozio stesso ben
si conviene il titolo d'iniziatore de' riti della giustizia e della
pace fra le genti europee.
E questo suo merito sta, quando anche voglia farsi severo
giudizio degli errori in cui talora si avvolge : .errori che ap-
partengono non a lui soltanto, ma all'età sua.
Certo non è da cercare, in questo primo saggio di scienza,
quella precisione ne' principi e nel metodo, alla quale lo
scrittore e i tempi non erano ancora maturi. Dinanzi all'iso-
lamento degli Stati e alla mancanza di un nesso giuridico
fra i medesimi, il quesito che si ofi'eriva naturalmente alle
menti de' giureconsulti, era questo : se, cioè, le regole del
Diritto Civile ne' giudizi di ragion privata e i dettati de' ro-
mani giureconsulti, sul diritto di natura e delle genti, non
potessero convenientemente applicarsi alle liti di ragion pub-
blica. E di quelle regole e di que' dettati s' erano valsi ap-
punto i giureperiti ne' casi emergenti, da Bartolo a Gentili;
il quale però, levandosi a un più vasto concetto di tale Di-
ritto, avanzò notevolmente l'opera da altri incominciata. Come
accade a chi è de' primi a sbrogliare una materia intricata,
igitur potestatem quantumvis liberam Imperatori ea est tamen non domina-
tioniSj sed administrationis. Et qui liberam adminìstrationem habet, ìs non
habet potestatem donandi » (pag. 319).
E, malgrado la dottrina qui esposta tanto razionalmente, il nostro
autore potè, pochi anni dopo, sostenere il contrario, sul falso fondamento
di quella stessa legge regia, della quale contesta e limita gli effetti nel
presente discorso. — {Nota del? Autore,)
.W\" • •'•
LETTURA TERZA. 293
la mente di Alberigo non seppe ognora sceverarne i vari e
confusi elementi : sì che, in più luoghi dell'opera, ti riesce
oscuro, quando per Diritto delle Genti egli intenda ciò che
da natura e ragione prende virtù giuridica, quando ciò che
fu introdotto da credenze e costumi. di popoli diversi,© dai
precetti della romana giurisprudenza. Onde vien meno tal-
volta, in questioni gravissime, all'eccellente principio, posto
da lui medesimo : che < non si debba guardare a quello che
è àtato fatto ; né dai fatti argomentare il Diritto ; bensì i
fatti giudicare secondo il Diritto, e secondo il Diritto dettar
norme. > E, pur mostrandosi alieno dal sottomettere la ra-
gione all'autorità, il giusto all'espediente, l'onesto all'utile,
gli avviene qua e là di non mantenere ben ferma questa
distinzione, applicando al risolvimento di taluni quesiti, an-
ziché i criteri della buona giustizia, i consigli dell'opportu-
nità e la ragion del più forte.*
Di che bastino a commento due o tre esempi. — Gl'In-
glesi invadono, per ragioni di guerra e ad incremento della
loro potenza navale, la libertà dei mari ; e vietano agli Olan-
desi il commercio con la Spagna e con le sue Colonie. Albe-
rigo traveste l'utile in equo, il fatto arbitrario in necessità
di natura; e con questa perversione di termini si fa strada
a sostenere la legittimità del divieto.* Per simil causa, Eli-
sabetta revoca i privilegi accordati alle città anseatiche, e
* Vedi, in proposito, le osservazioni del Reiger, Commentano de Albe-
rico Gentili ec. : caput II, Jua Gentium quid sii ; et caput IV, De modo, quo
GenUlis argumentum auum exposuerit, sive de ejus methodo. — {Nota del-
l'Autore,)
^ Un editto del Conte di Leicester, del 1586, proibiva agli Olandesi
il commercio con gli Spagnuoli, con gran danno de' primi. Un anno dopo,
il decreto fu revocato ; ma il Governo inglese mal sopportava la licenza
data ai traffici marittimi de' suoi federati e, malgrado la revoca, cercava
pur tuttavia d'impedirli con la forza. Ora ecco in proposito il ragiona-
mento di Alberigo: e ....petunt (foederati) ne rem istam rogentur: quas
centra jus gentium, et commercìorum libertatem est. Magna quaestio:
hinc jure stricto prò bis, illinc stante prò Anglis seguitate. Sed quis tamen
nescity in omnibus rebus prcBcipuam esse justitice cequUatisque, quam stridi
juris rationem ? legem sequitatis juri antestare stricto ? sententiam scrinto ?
bonum et sequum esse jus ? £sse autem sequo sequius, et favorabili lavo-
rabilius, et utili utiUus? Lucrum illi commercìorum sibi perire nolunt.
Angli nolunt quid fieri, quod contra salutem suam est. Jus commercio-
rum sequum est, at hoc sequius tuendse salutis : est illud gentium jus, hoc
naturae est: est illud privatorum, est hoc regnorum. Oedat igitur regno
mercatura, homo naturse, pecunia vitse. Istse sunt rationes solvendi legum
pugnas Ut digniori,utiliori, sequiori cede tur legi » (lib. I,cap. XXI, pag. 86, 87).
La dottrina era comoda per uno Stato marittimo, che aspirava al mono-
polio mercantile ; e fu, come tutti sanno, abusata. — {Nota dell* Autore,)
294 SU ALBERIGO GENTILI.
impone restrizioni a' lor traflSci. Alberigo, con un sofisma pe-
scato nel Diritto Civile sostiene la legittimità della revoca.'
Non dirò dell' argomento col quale pretende provare che
Carlo d'Angiò fece a buon diritto vittima di Corradino, mal-
grado il principio che par in parem non hcAet impèriumy -ger-
nhè la condizione di vinto scioglieva, al veder suo, il vinci-
tore da questa legge.* Né delle frequenti antinomie alle quali
è condotto dalla indebita estensione della Ragion privata a
casi di ragion pubblica non riducibili a tal norma, come nella
materia degli obblighi de' successori rispetto ai patti conve-
nuti fra gli Stati dai loro autori, contradicendo talora a' suoi
propri avvertimenti sulla violabilità della fede pubblica e
sulle cautele da osservarsi per non ridestare cagioni di guerra/^
Noterò, come riprovevole sopra tutte, la sua teorica del ta-
lione, con la quale giustifica la manomessione e il guasto
*■ Intorno a che il Reiger giustamente osserva : < Neque jnsto modo
Anglos privilegia nonnulla Hanseaticis concessa revocare posse defendit.
Postquam monuit privilegia, si causa aliqua adsit posse revocari et quod
concessum sit sub onere aliquo non proinde esse concessum titulo one-
rosO; intelligit Hanseaticos mox objecturos. Becte data non adimi, dictuin
vetus et in ore etiam puerorum. Sed Anglos respondere posse contendit,
privilegia Illa esse in successiva datione, et quamvis olim recto fuerint
data, negar! posse etiam nunc recto dari {De Jure BeUi, lib. Ili, cap. XVII).
Gujus generis argumenta non sunt ejus, qui rejicere solet cavillationes
et apices juris civilis. » Op. cit, pag. 69. — {Nota dell'Autore,)
* Lib. Ili, cap. Vili, pag. 277. Nel qual luogo, come in altri, esage-
rando il principio che : e Securitati pacis et suse habet Victor consulere,
et in eam totus incumbere, » dimentica la regola, professata sovente da
lui stesso, di voler parlare delle cose della guerra secondo le norme della
naturale equità, non secondo gli espediènti di una politica non curante
dell'onesto e del giusto; ed entra invece ad occhi bendati nella ragione
dell'utile e della forza. Di somigliante errore occorre un altro esempio
non meno grave al cap. X dello stesso libro De Statu mutando: dove, dopo
aver detto ottimamente da principio che « porro autem non modo vita
et incolumitas reliquenda victis est, sed aliquando ipsa quoque libertas, »
finisce con l'attribuire al vincitore il diritto di ridurre in soggezione i vinti,
di mutare la forma del loro governo, di spartire il loro territorio.; e final-
mente di annientarli, se non sappiano acquetarsi alla sorte loro e minac-
cino, impazienti di freno, la sicurezza dello Stato che li superò. Nel che,
seguendo da politico gli esempi della Storia, contradice senz' avvedersene
a que' principi di giustizia e di diritto naturale ch'egli riconosce altrove
come inviolabili, e eh' io venni citando in prova della liberalità deUe sue
dottrine. Le quali invero formano come il fermento di tutta l'opera del
Diritto di Guerra; ma non riescono a penetrarne l'intero organismo,
assimilandone armonicamente le parti in un tutto omogeneo. Restano qua
e là, sovraposti agli elementi della nuova creazione del pensiero giuridico
e civile, i frammenti delle vecchie forme del Diritto, e principalmente
del Diritto Romano: argomento importante di studio psicologico e storico,
per chi guardi al De Jure Belli sotto questo duplice aspetto, in relazione
al tempo in cui vide la luce. — {Nota dell'Autore.)
' Ibid., cap. XXII, Si successores fcederatorum tenentur. — {Nota del-
VAutore.)
- yf'T^rV. ■*^*;. . V
LETTURA TERZA. 295
delle cose de' nemici, per vendetta dì simili eccessi da questi
commessi, durante la guerra, a danno del vincitore ; * e, come
non meno degna di biasimo, la strana e vieta argomenta-
zione con cui s'ingegna di menar. buona, contro Bodino ed
altri — in ciò più liberali di lui — l'usanza di far servi i pri-
gionieri di guerra, disseppellendo le ragioni di un diritto sto-
rico già passato in desuetudine — com'egli stesso confessa —
fra le genti cristiane.'
Ma se, ne' Libri della Guerra, l'autore va, ne' casi dispu-
tati, oscillando nella scelta dei criteri e confondendo il di-
ritto còl fatto : rinega poi addirittura e contradice sé stesso
nelle due famigerate Dissertazioni: DéB/ assoluta potestà re-
gia e DélVuso della for^a, sempre ingiusto nei sitMiti, con-
tro il Principe. Sono due povere dicerie, infarcite di mal-
digesta erudizione, che il Gentili dettò, mancata ai vivi
Elisabetta, spenti i suoi grandi patròni — Sidney, Leic'ester
ed Essex — e salito al trono quel teologastro di Giacomo I
della funesta Casa degli Stuardi, tutto invasato di autorità
biblica e di pedanteria bisantina.' E permise che il figliuol
suo, Roberto -— letteratuzzo di poca levatura e di portamenti
spiacevoli al padre — le dedicasse al nuovo re con questa
ampollosa intestatura: Domino nostro Begi, Jacobo Begi Ma-
gnce Britanniee, Frc^ndcey Hibernice etc, Fidei Defensori^ Prin-
cipi Nohilissimct^ Sapientissimo, Fortissimo, Optimo, Augu-
stissimo,"
^ Lib. II, cap. XXIII. Non vuole estesa però la legge del tallone alla
^ita, e ne esclude, in particolar modo, le donne e i fanciulli. (Ibid.,
cap. XXI.) — {Nota dell'Autore,)
* Lib. Hi, cap. IX, De set-vis, — {Nota dell'Autore,)
' < Giacomo I, la cui educazione letteraria era stata diretta dal famoso
Oiorgio Buchanan, era fornito di considerevole dose di erudizione, ma,
nello stesso tempo, di una smisurata presunzione della propria sapienza.
JBgli coglieva volentieri quante occasioni gli si offerissero per far mostra
pedantesca delle sue doti, conversando o scrivendo ; perchè egli era autore,
e avea pubblicato, per uso del figliuol suo, un libro col titolo di Baailikon
I>oron (BaaiXixòv dcòpov), o Bono Segale, ed altre opere sulla demonologia,
e sopr'altri soggetti. Per queste qualità, il Buca di Sully soleva chiamarlo
il pazzo più erudito della Cristianità ; mentre i suoi cortigiani ed adula-
tori gli davano il nome di Salomone della Gran Bretagna. » (A History
of Engìand ec. : hctsed on the History of David Hume. London, John Mur-
ray ec, 1870, pag. 862-63.) — {Nota deW Autore,)
* Le due Dissertazioni furono scritte in principio del regno di Gia-
como I, tra il 1504 e il 1505, e pubblicate — nunc primum in lucem editw —
xn. questo secondo anno, in Londra, apud Thomam VautroUeriuntf insieme
s^éL una terza, sulla unione dei regni di Scozia e d'Inghilterra — De unione
Ji^egnorum Britannice — prima della nuova sessione del Parlamento — se-
oonda sotto Giacomo — la quale occorse nel novembre di detto anno. La
296 SU ALBEKIGO GENTILI.
Nella prima l'autore, prendendo le mosse dalla defini-
zione giustinianea: Quod principi placuit Legis habet vigorem,
predica intera, incondizionata, assoluta V autorità iuTestita
nel Pi'incipe dalla pretesa Legge JRegia del Romano Impero:
respinge dogmaticamente le eccezioni fatte a tal tradizione
da Alciato, Ottomanno, Cuiacio ed altri, contrapponendo ai
loro argomenti il senso letterale del testo, e ne estende l'ap-
plicazione dalla imperiale alla regia potestà, contro il con-
cetto giuridico, da lui stesso propugnato altrove, della mo-
narchia temperata.*
scoperta della congiura delle polveri, di cui nuUa era trapelato sino alla
vigilia della riunione delle Camere, non entrò Quindi fra i motivi che
indussero Alberigo a patrocinare la causa dell'assolutismo monarchico, e
a combattere la violenza de' sudditi contro il Principe. Oltredichè, quel-
l'efferato tentativo non essendo vòlto soltanto contro il monarca ma contro
il Parlamento — che già si preparava a difendere contro il primo le pro-
prie franchigie e le pubbliche libertà — non gli avrebbe dato plausibile
e speciale pretesto al suo assunto. £d era, in ogni caso, uno strano ed
illiberale sofisma lo argomentare dalle teoriche e dagU eccessi del fana-
tismo cattolico, esacerbato dalla persecuzione, contro il legittimo esercizio
de' diritti popolari, in un paese protestante tradizionalmente costituito a
monarchia temperata e civile. — (Nota dell'Autore.)
^ Ecco alcuni brani del suo discorso : Quod Principi placuit, legis ha-
buit vigorem. Ut potè cum lege regia etc, — « Inquit lex, Principi, et intellìgit
de Romano ; vel propter excellentiam, vel quia civitatis Romanae jura in
libris istis tractantur, etc... Sic igitur «t de Romano principe intelUgimus
illud nostrorum librorum, Frinceps legibus aolutus est, Cseterum interpretes
absque ulla aptant difficultate hsec principibus omnibus supremis : et nos
apta censemus sane. Sed hic quaestio incurrit statim, qui isti sint, et quales
supremi principes. Nam ridiculus mihi Baldus hic est, et alii alibi ridi-
culi, tradendo communiter duos tantum esse supremos, papam et impe-
ratorem.... Et illa disputatio est vanissima de imperatore domino totius
mundi, et de principibus reliquis, qui imperatori per Jua subsint;, etsl de
facto non subsint. » Questa indipendenza di fatto degli Stati che si affi-an-
careno dall'alto dominio del Papa e dell'Imperatore — da lui già sostenuta
nel Diritto di Guerra — scioglie adunque i loro Principi dalla, supreniazia
dell'uno e dell'altro, e sta bene. Ma, per ciò appunto, pretende l'autore,
essi rimangono investiti in proprio di quella pienezza di sovrano arbi-
trio, che costituisce l'essenza della sovranità, secondo la legge imperiale.
« nie est absolute supremus, qui nihil supra se, nisi Deum, agnoscit....
Et hoc igitur supremitatis est, ut nihil supra se unquam cernat princi-
patus, ncque hominem, ncque legem. Ergo et absoluta hsec potestas est,
et absque limitibus. Princeps legibus solutus est, ait lex, et eadem, quod
lex est, quodcumque placet Principi. Et hsec lex non barbara, sed Romana
est, id est prsBstantissima in legibus hominum. > V hanno bene, presso
talune genti, franchigie riservate per patto ai cittadini, e Governi con
magistrati elettivi e responsabili; ma ciò nulla toglie alla virtuale indi-
pendenza della sovrana potestà, dove e in quanto questa possa esercitarsi
sopra sudditi propriamente detti; e di questa potestà è parte, nella stessa
Inghilterra, ciò che quivi è significato col nome di regia prerogativa, < Est
arbitrii plenitudo, nulli vel necessitati, vel juris publici regulis subjecta....
est potestas extraordinaria et libera, est illa quam in Anglia signìficamus
nomine regice prerogativce,.., Princeps est Deus in terris ejus potestas major
est, quam quae olim fuit patris in filium, domini in servum.... » Posti
questi edificanti principi, il nostro panegirista del potere assoluto passa
.^nwr*:'..*^*
LETTURA TERZA. 297
Nella seconda, mettendo a confronto la potestà regia con
la paterna, e facendo la prima anche più inviolabile della
seconda — dottrina posta innanzi, a que' giorni, dai fautori
dell'assolutismo monarchico, e che diede più tardi argomento
alla vittoriosa polemica di Locke contro Filmer — sostiene
non esser lecito ai sudditi, in nessun caso, di opporre la forza
all'arbitrio sovrano; comechè possa parer lecito, secondo la
opinione di alcuni, che i figli usino violenza contro il padre,
se la salute della patria richieda questo estremo rimedio.
Nel che egli però non consente : e, ad ogni modo, nega che
una somigliante necessità possa mai occorrere in un Prin-
cipe ; dacché non può concepirsi tiranno che voglia la distru-
zione del proprio Stato — ubi enim i$ est princeps, qui ad
ddendam patriam venit? (pag. 102).* E va di questo tenore so-
a discutere le eccezioni di Cuiacio, di Ottomanno, di Alcìato e d'altri.
Bastino per saggio de' suoi argomenti i passi seguenti : « Cujacius tamen
bis omnibus, et Hotomanus respondent. Ad legem Justiniani, quod lo-
quatur in fìscalibus et patrimonialibus principis. Et hoc post videbimus.
Nunc, quod non bene respondent ad Senecan^ et Ambrosium. Senecse, de
jure civili dicenti, omnia regis esse, etiam quae sibi quisque privatus habet
et possidet^ respondent de eodem Seneca, itidem dicente, regem imperio
possidere omnia, singulos autem dominio. Atque addit Cujacius, itaque
regeoì non esse dominum : quia dominium esse in solidum non possit
duorum. Et responsioni ego respondeo, non posse idem dominium sane
esse apud duos in solidum, sed diversum posse : directum et utile, impe-
riale et privatum, universale et particulare.... ad i*eges pertinet universa
possessio eorum, quae in singulos dominos descripta sunt etc... » (pag. 18).
E a pag. 15: « Verum nunc tandem audiamus, quid nonnulli centra nostra
supradicta de vi potestatis principis absolutae ferant. Yasquius centra
disputat, et fatetur tamen illa recepta communiter. Alciatus maledicit :
et quod gesta per clausulam supremae potestatis, non per viam justitise,
sed quia sic placuit principi, et nemo potuit dicere illi : cur ita facis ?
Nihil sit aliud quam violentia, quae vocabulo honestiore a doctorìbus ap-
pellatur potestas suprema.... Yasquius, quod omnes omnino principatus
sint ob publicam civium utilitatem, non ipsorum regnantìum. De quo sibi
fundamento constituto construit plurima, destruit plurima, quaestiones
(quod gloriatur) conficit quam plurimas hispanus. Attamen fundamentum
falsum est in principatibus, qui sunt per vim parti, et neque verum in
totum est in aliis, qui per populos inducti sunt.... Et quid si tamen sola
subditorum utilitate sint omnes omnino ordinati principatus ? Ergo pie-
nitudo potestatis non est? Negatur haec negatio, quoniam ad utilitatem
subditorum etiam pertinet, ut ea potestas princìpi sit. » — Tale è la dia-
lettica del nostro autore in questo infelice omaggio da lui reso alle ten-
denze arbitrarie del nuovo regno. La parte più importante di queste dis-
sertazioni consiste, per mio avviso, ne' cenni in esse contenuti delle dottrine
liberali de' più celebri giureconsulti del tempo, suU' idea della sovranità :
dottrine che Alberigo cita per confutarle. — {ìHota delT Autore,)
* « .... imo Principi amplius debemus quam patri, ut exponit ante
omnes Bartolus : qui et de triplici fidelitatis specie docet ; et de secunda,
patri debita; de tertia eminentiore, debita Principi, in terris Deo.... Est
juris divini potestas Principis, non a solis hominibus constituta. » De vi
€ivluìn in Regem aemper injusta, pag. 101. — {Nota delV Autore,)
XII. 20
^
298 SU ALBERIGO GENTILI.
fistìcamente inculcando l'obbligo della soggezione passiva
alla sovrana autorità, anche se questa fosse esercitata coi
modi della più sfrenata licenza, come ne' casi di Nerone e
somiglianti, eh' egli cita a rincalzo della sua trista argomen-
tazione.* Strano pervertimento del civile ingegno ond'egli
avea dato egregio saggio nella miglior parte del suo Diritto
di Gruerra, e in altri suoi scritti! Pervertimento del quale
— suo primo castigo — appaiono i segni infelici nella forma
stessa di coteste lucubrazioni ad tisum Délphini, stentate,
goffe, pedestri, inconcludenti. Di che la critica imparziale
deve tanto più riprenderlo quanto più sincera e giusta è la
lode eh' essa tributa alle dottrine vere ed oneste da lui in-
segnate altrove.
Né lo scusano — come io stesso amai presumere, prima
che quei suoi parti mi capitassero alle mani — le condizioni
e le congiure de' tempi; dacché non si tratta mica, in quelle
diatribe cortigiane, di condannare soltanto gli attentati del-
l'arbitrio privato alla vita del Principe, e le teoriche onde
alcuni pubblicisti, tanto protestanti che cattolici,* li giustifi-
cavano; ma di affermare puramente e semplicemente il dogma
dell' assoluta signoria del monarca, e della obbedienza pas-
siva de' sudditi; posponendo ad esso le" natie libertà dei Po-
poli e la ragion naturale e giuridica de' limiti del potere so-
vrano : e ciò mentre fra' suoi stessi ospiti — pendendo il nuovo
* « Et sane, si Ecclesiastes non docet, non adversandum regi, qaia
ille potentior est, hoc docet, non adversandum, quia jus non sit. Quee a
verbo Dei ratio potentissima hic repetita Paulo in Epistola ad Romanos....
Huc addatur vir nobilissimus, qui tractat quasstionem hanc late, dominus-
De la Nouej et sic scribi t, obtempèrandum fuisse Pharaoni, qui Ebraecrum
bona rapiebat, qui corpora consumebat. Scribit, obtemperandum fuisse
Tiberio, Oaligulae, Neroni, tyrannis execrabilibus. Soribit, displicere quideni
Beo immensum, quod libido et furor hominum facit a Diabolis calefactus :
eseterum aboleri bine nibil de ea subjectione, quae superioritatibus debe-
tur » (ibid., pag. 130-81). £ vedi ivi i sofismi onde s' ingegna di conciliare,
con le assurde sentenze ch'egli va sciorinando in queste Dissertazioni, le
liberali dottrine da lui prima esposte nel Diritto di Guerra. {De vi ci-
vium ec, pagg. 112, 113, 114). — (Nota dell* Autore.)
* Buchanan, fra i primi; Mariana, fra i secondi. Il Trattato De *Ture
Regni apud Scotoa di Giorgio Buchanan, istitutore di Giaa<uno I — pub-
blicato nel 1579 in Edimburgo — è il contrapposto delle dottrine sostenute
a que' giorni dai fautori della regalità assoluta, e seguite poi da A.lbe-
rigo nelle due Dissertazioni. Il celebre latinista ed umanista scozzese del
secolo XVI precorre, in quel suo libro, alla moderna teoria della sovranità
popolare, svincolando con virile eloquenza i diritti comuni della Unciaiiìtà
dai legami dell'autorità biblica: segno notevole del progresso delle i<iee di
LETTURA TERZA. 299
regno ^ tirannide — apparivano già gV indizi di quella fiera
rivendicazione delle antiche franchigie britanniche che costò
la vita al successore di Giacomo I, e finì col cacciare gli
Stuardi dalla non violabile patria della moderna libertà.*
Vero è che, sino dal medio-evo, le nozioni dei giurecon-
sulti sul potere sovrano erravano incerte fra il concetto
atdocratico e il concetto politico del Principato. San Tom-
maso — 0 chi che si fosse V autore del libro De Begimine
Principum — attribuisce all'Imperatore l'assoluta potestà mo-
narchica; ai reggitori degli Stati particolari, delle città, delle
Eepubbliche, un' autorità ministeriale, definita per legge e
limitata nelle sue attribuzioni. La tradizione del potere im-
periale prevalse generalmente nelle scuole del Diritto roma-
no, anche fra gì' instauratori della Giurisprudenza eulta ; e
per Alciato stesso, l'Impero è la fonte suprema del Diritto
e della Legge; primeggia sulla potestà regia, e si estende
virtualmente anche dove gli Stati si resero indipendenti di
fatto dalla sua giurisdizione. Ma scendendo dal sommo della
scala ai gradi inferiori, il fondatore della scuola eulta e i
suoi continuatori spogliano di cotesto illimitato arbitrio il
potere sovrano, subordinandolo al concetto politico e misto
che s'inanella alla tradizione filosofica e civile dell'antichità.
Questi due aspetti del concetto della sovranità, che ricorrono
nelle dottrine di Diritto Pubblico dal XII al XVI secolo,
spiegano le contradizioni dei giureconsulti : assolutisti i più
quando parlano dell'Imperatore, sostenitori delle franchigie
* Le discrepanze fra il Parlamento e la Corona •— compresse sotto
Enrico Vili per la prevalenza del poter regio fra i casi dei teiìipi, sopite
sotto Elisabetta per le gesta nazionali del suo governo e pel favore onde
la parte protestante secondava la politica de' suoi ministri — ricomincia-
rono ad agitarsi sin dalla prima Sessione legislativa del nuovo regno, e
si fecero più vive nella seconda. (Vedi Hallam, The ConstUuHonal nistory
of England, voi. I, oap. VI e, per più originali impressioni dello spirito
de' tempi, la Storia d'Inghilterra di Bapin de Thoyras, tradotta dal francese
in inglese da N. Tindal, Londra 1733, voi. II, lib. XVIII). « Il malcontento
del re — ' dice Hallam — per la condotta di questa sessione — espresso, a
c^xiel che sembra, in un discorso alla Camera dei Coijauni, del quale non
fu inserito ricordo negli Atti di quest'ultima — diede motivo ad una no-
tevole protesta [vindication), composta da una Commissione parlamentare
per ordine della Camera stessa, e intitolata: Forma di Apologia e di Ri-
jyarazione {aatisf action) da leggersi a Sua Maestà, sebbene questo titolo non
pa^ia convenirsi alla sostanza dell'atto, il quale contiene una piena e pro-
pria giustificazione di tutti que* procedimenti che aveano fatto ombra a
GriAComo; ed afferma, con rispettosa franchezza e in modo esplicito, i di-
l'I^ti e le libertà costituzionali del Parlamento. » Loc. cit., pag. 305, ediz.
Jllilrray:, 1855. — (Nota deir Autore.)
300 SU ALBERIGO GENTILI.
e delle ragioni dei sudditi contro il poter regio, dove questo
trascenda a tirannide. Gentili, nel Diritto di Guerra, segue
— come abbiamo notato — questa seconda dottrina; e, quanto
al potere imperiale, lo riconosce investito delle sue piene pre-
rogative nelle contrade ancora soggette al suo dominio; ma
rifiuta r opinione di Alciato, che tale potere possieda ancora
i suoi titoli su que' regni o repubbliche che le vicende dei
tempi sottrassero alla sua signoria. Se nelle Dissertazioni,
delle quali è discorso, egli avesse distinto la sovranità impe-
riale dalla sovranità politica dei re e principi minori, la sua
teoria dell'assoluta potestà, rispetto alla prima, non sarebbe
stata singolare né aliena dalle nozioni giuridiche de' seguaci
della tradizione giustinianea, sebbene meno liberale per av-
ventura di quella di Dante e d'altri su questo stesso ter-
reno. Fu suo torto r estendere — contradicendo ad Alciato,
ad Ottomanno e ad altri pubblicisti dell'età sua — la defi-
nizione Imperiale alla regalità di ragion politica, soggetta al
mutuo legame degli obblighi convenuti fra Principe e sud-
diti. E fu sua colpa il farsi di tal modo fautore di quella
nefasta mutazione del poter regio in potere tirannico, che
s' era compiuta a' suoi tempi, sotto gli auspici della Inquisi-
zione, in Ispagna ; e che s' andava compiendo, dopò la morte
di Enrico IV, in Francia : e ciò dinanzi al pericolo di simile
iattura nella terra dov'egli aveva cercato, sotto l'ali della
libertà, rifugio alle fortune della sua vita.
Io so che, a que' giorni, l' aure degli antichi recìnti della
Università dov' egli era dottore spiravano poco propizie alle
libere istituzioni ; e che, fra Corte e Teologi della Chiesa An-
glicana, si veniva stringendo un patto di mutua difesa di lor
privilegi e prerogative contro i diritti della Nazione.* Obbedì
* Osservai in altra Nota che, spenti Sidney ed Essex, e morta Elìsa-
betta, Alberigo dovette sentire come una specie di vuoto intorno a sé.
L'atmosfera morale era mutata. Difficile per lui il mantenersi in baone
relazioni coi maggiorenti dell'Università, della Chiesa Anglicana e della
Corte, se — continuando a professare le sue idee di libertà religiosa, di
tolleranza, di legittima resistenza all' arbitrio de* Principi — si fosse messo
in opposizione alla corrente delle dottrine assolutiste, personalmente pro-
pugnate dal re; e avesse fatto parte coi puritani della Camera contro i
privilegi della Chiesa officiale, e contro gli abusi della regia prerogativa.
I libri del Diritto di Guerra rappresentano un periodo politico eh* era
tramontato con la morte de' più insigni e più liberali fra gli uomini di
Stato che aveano contribuito ad illustrarlo. La dedica del Trattato al
Conte di Essex ci dà la chiave dei liberi intendimenti dell'autore in pa-
recchie questioni che la mutata condizione de' t^mpT rendeva pericolose
otto la nuova dinastia: pericolose almeno per chi amasse tenerci in buòhi
LETTURA TERZA. 301
Alberigo, per amore di sé e de' suoi, più che del Vero, ai
tempi mutati, o fu condotto da onesto errore in quella ser-
vile dottrina ? Noi rispetteremo, dinanzi al silenzio della tom-
ba, il segreto della sua coscienza; limitandoci a condannare
il fatto in sé stesso, qual che ne fosse il movente.
Ma tutto ciò nulla toglie alla bontà dell'opera da lui data
all'incremento della internazionale giustizia, nel suo Diritto
di Guerra; avendo egli in ciò superato di lunga mano quelli
che lo precedettero nel generoso assunto, per quanto si vò-
glia esser larghi nel valutare il merito loro. Perché la con-
cordanza fra talune avvertenze di questi e le sue, si riferi-
sce principalmente a questioni che hanno attinenza con gli
accidenti intermedi della guerra; ed anche in sì fatta mate-
ria Alberigo esplica ed inalza sovente a norme più razionali
e comprensive gli sparsi dettati de' suoi precursori; men-
tre, rispetto alle origini e alla ragion del Diritto, ispirandosi
termini con la Corte e con gli Episcopali, potentissimi in Oxford. « li Conte -
di Essex — dice Hallam (voi. I, cap. Ili, pag. 167) — nobile spirito, dotato
di non comune altezza di mente, e così poco acconcio alle usanze di una
Corte servile e simulatrice — fu sincero e costante amico della libertà
religiosa, vuoi pei cattolici, vuoi pei puritani. » Egli apparteneva alla
schiera de' migliori fra que' protestanti che miravano, sotto Elisabetta, a
temperare il rigore delle leggi repressive, votate dal Parlamento per
reazione contro le cospirazioni papiste; mentr'era ad un tempo — come
Filippo Sidney — caldo fautore della indipendenza religiosa e civile de* paesi
che avevano adottato la riforma. E il De Juve Belli fa composto e pub-
blicato sotto i suoi auspici.
Con Giacomo I, le illiberali tendenze preponderarono ed ebbero se-
guito grande fra i teologi di Oxford, pei legami della Università con
la Chiesa. Il re stesso avea, nelle sue opere, sostenuto il principio che
Ja Monarchia è V impronta della Divinità sopra la terra, e inculcato il
dovere della obbedienza passiva. Non appena assunto al trono d' Inghil-
terra, egli fece lega col partito conservatore e coi vescovi contro i dissi-
denti e contro la parte costituzionale nel Parlamento. « I vescovi — dice
HaUam — gli avevano promesso un ossequio, che egli non aveva mai ot-
tenuto in Iscozia ; e s'erano impegnati ad inalzare il concetto della regia
potestà, con uno zelo del quale fecero poi larga mostra in ogni occasione....
Ne' racconti che si leggono della famosa Conferenza di Hampton Court
(fra i vescovi e Giacomo), mette maraviglia e disgusto il vedere da un
Iato i modi indecorosi e parziali del re, dall'altro l'abbiezione de' vescovi
congiunta — come accade nelle nature servili — alla più grande insolenza
verso i loro oppositori. » (Voi. cit., cap. VI, pag. 297). Tale la situazione in
cui Alberigo pensò e scrisse gli opuscoli politici de' quali il figlio Roberto
fece capitale, dedicandoli per conto proprio al nuovo monarca. E il ser-
vigio fu riconosciuto e premiato. In quello stesso anno, 1605, avendo il
Gentili fissata in Londra la sua dimora per l'ufficio al quale fu assunto
di Avvocato di Spagna, la Corte lo ebbe carissimo, si « che oramai — dice
lo Speranza — potea volgerne le chiavi tutte. > (Cap. XVII, pag. 247). E Ro-
berto fu dovuto accettare come socio nel Collegio d'Ognissanti in Oxford
{^All 8oul8 CoUege)j contro gli statuti dì quel Convitto, per ingerenza di-
retta della Corona. Vedi Holland, Discorso di, \ Speranza, cap. XVII. —
il^oia deW Autore,)
302 SU ALBERIGO GENTILI.
— come ho notato più volte — alla civile filosofia degli an-
tichi, trae dalle intime leggi dell'umana natura, più che dalle
mutabili forme de' fatti storici, i veri inizi della nuova Ra-
gion delle Genti : sanctos atisus recludere fontes.*
E restano — documento di scienza tentata, se non com-
piuta — i seguenti capi del suo lavoro : i criteri, cioè, della
ragione intorno al giusto e all' ingiusto, sciolti in gran parte
dalle pastoie della Teologia*: — la inviolabilità della coscienza,
dedotta dall' intima natura della libertà dell' animo e dalla
autonomia della persona umana : — il fatto della guerra, spo-
gliato del carattere fatale attribuitogli dai più, sino a quei
giorni,' e recato a perversità di costume, non a naturale di-
sposizione dell'uomo, misurandone la giustizia dalla stretta
necessità della legittima difesa : — le pratiche di composi-
zione pacifica, inculcate in forma che si accosta alla moderna
dottrina degli arbitrati: e ciò, non per mero voto d'indivi-
duale pietà, ma in virtù del grande principio della unità del-
l'umana famiglia e della colleganza delle Nazioni per essa: —
il diritto di resistenza e di rivendicazione, applicato non solo
a causa religiosa ma a causa civile e politica, per la ragione
* Il prof. Holland, presentando al mondo scientifico la nuova edizione
del De Jiire Belli — uscita alla luce in Oxford dalla tipografia Olarendo-
niana, e da lui curata con gran diligenza e fatica, sì per la correzione
del testo come pel riscontro degl'innumerevoli luoghi citati da Alberigo,
con gli originali a cui appartengono -> conchiude la sua Prefazione con
questo giusto giudizio sopra Gentili : « Opus habes non suis tantum, ut
ita dicam, virìbus pollens, verum ob hoc quoque insigne, quod ejus ratio-
nem sibi, sicut archetypum, in simili incepto proposuisse, ex eo, tamquam
ex fodine, multa in suum opus transtulisse, videtur clarissimus ille inter
Alberici imitatores, Hugo Grotius. Habes, igitur, Juris Gentium quod hodie
in U8U est vera incunahula; quse secundum illud e melius est potere fontes
quam sectari rivulos, » operae pretium erit accuratius investigare. >
A me duole grandemente che la edizione di Oxford — della quale il
signor Holland e gli amici suoi mi fecero cortese invio sin da quando fu
data fuori — non sia pervenuta alle mie mani che in questi ultimi giorni
soltanto, per involontario indugio di chi doveva recapitarmela: onde ho
dovuto invece valermi, pei testi da me riportati, della edizione Gravier.
Ma qui mi è grato rendere, con le mie grazie pel prezioso dono, pubblico
omaggio a un'opera della quale l'Italia deve saper grado agli ammiratori
inglesi della memoria di un illustre suo figlio, e che molto giova a divul-
gare lo studio e la conoscenza delle vere dottrine dell'Autore. — {Noia
dell* Autore.)
^ Da Pierino Belli, fra gli altri, il quale pronuncia questa desolante
sentenza: « Nihil est igitur, quod admiremur omnibus seculis ab ipso orbis
initio, populos, Reges, ac caeteros Principes bella usque in hanc nostrani
setatem produxisse, quod sacraB Bibliae, Graecorumque ac Latinorum an-
nalia testantur. Neque esse hoc tnalum desiturum^ donec orbis ipsa defidat,
monemur sacro eloquio, prout hahetur (Matt., XXIV, et Lue, XIII). » — (JToto
dell'Autore.)
I
LETTURA TERZA. 303
che le cose inalienabili da natura possono sempre legittima-
mente redimersi : — il concetto infine dell' equilibrio delle
forze e della osservanza de' rispettivi termini e diritti degli
Stati, riferito a' suoi naturali elementi, quasi a presagio della
moderna dottrina delle nazionalità; e, in ogni modo, a base
di queir assetto degli Stati europei eh' ebbe indi poi comin-
ciamento dalla pace di Vestfalia, e frenò 1' azione fortuita
della eredità e della conquista sui destini de' Popoli, se-
guendo norme più razionali di comune conservazione e utilità.
Questi, 0 Giovani, i principali elementi del patrimonio
lasciato da Gentili alla scienza. L'assunto e i limiti del pre-
sente discorso non mi consentono di paragonare, scendendo
ai particolari, l'opera sua a quella di chi lo precedette e di
chi lo seguì sulla stessa via. Oltre di che, v'ha già chi in-
tende, con forze più valide delle mie, a questo giudizio com-
parativo;* sì che sarebbe superfluo e prosuntuoso da parte
* Gli egregi Giuseppe Speranza e prof. De Giovannis-Gianquinto — se,
con grande utile di questi studi, terranno i propositi e le promesse loro.
La presente Lettura era già dettata in gran parte, quando ebbi notizia
del Saggio deU'avv. Efisio Mulas, Pierino Belli da Alba, precursore di Grozio,
del quale mi è grato rallegrarmi con l'Autore, sebbene io non possa con-
venire in vari suoi giudizi sopra Alberigo GentilL II lavoro del Mulas ha
il merito d'aver messo in rilievo le dottrine più importanti del Belli sulle
cose della guerra, riscontrandole con quelle di Alberigo, ed offerendo così
materia ad uno studio comparativo fra i due scrittori, e alla misura
de' progressi di questa parte della Eagion delle Genti, nel mezzo del se-
colo XVI, specialmente in Italia. Fu non ultimo pregio del Belli l'aver
promosso, non solo nel suo libro De re militarif ma con l'opera sua, il
principio degli arbitrati civili; facendosi procuratore di pacifiche compo-
sizioni fra italiani e italiani in lotta gli uni con gli altri; e condannato
— egli auditore negli eserciti di Carlo V, indi Consigliere di guerra sotto
Filippo II — la insania dei Principi del suo tempo, involti per ingiuste
o lievi ragioni in continue contese, con inaudito scempio de'Popoli. « Uti-
nam secum bene cogitarent — egli esclama — Reges suas curas, populorum
^rumnas et strages, eventus bellorum varios, cum saepius, quse facilia vi-
debantur initio, difficillimos exitus inveniant.... Lentius profecto, si sape-
rent, festinarent. Ego quidem, prò tenuitate mei ingenii, cum hsec meoum
reputo, cernoque, quam facile, quam levi ex causa, sit verbo venia, quam
inconsulto ssepe renoventur bella his nostris infelicibus diebus; facile
adducor ut credam ^ populorum simul, et Principum reatus, mentem, di-
vina accedente justitia, eripere Principibus ipsis, ut snse atque alienae
quietis immemores, in tam vastum et patens pelagus se demittant, unde
vix nisi divina ope possint eripi et reduci. » (Secunda Pars Operis.
Tit. Vili, De Belli Denunciatione). E certo, dove si guardi alla condizione
dei tempi, all' ufficio che il Belli rivestiva e alla sua devozione al Papato
e all'Impero — mentre cresce all'occhio di una critica imparziale il -merito
de' suoi concetti civili — non è da fargli carico se non esiste traccia nelle
sue pagine di quelle dottrine intoi*no alla libertà religiosa, alla ingiustizia
delle guerre di religione, al diritto di resistenza de'Popoli e al fondamento
civile della sovranità, che costituiscono il maggior pregio di Alberigo Gen-
tili, quale precursore della moderna scienza del Diritto Pubblico, come
io venni mostrando nella presente Lettura. E per la stessa ragione s'in-
304 SU ALBERIGO GENTILI.
mia l'occuparmene. Ben voi potete con me, dopo le cose dette,
misurare il valore attuale delle sue dottrine, paragonandole
tende com'egli da buon cattolico, seguendo le nozioni giuridiche della
sua parte a que' giorni, dovesse pel contrario considerare ed affermare
esclusi da ogni diritto di buona guerra quelli che il Papa e l' Imperatore
avessero dichiarati pubblici nemici. Tenuto conto di ciò, è mirabile dal-
l'altro lato la civile liberalità mercè la quale Pierino Belli s'inalza sovente
nel suo Trattato, sopra la volgare misura delle idee e delle usanze belliche
del suo tempo, prevenendo in parecchie materie — come in quella degli
arbitrati — il Gentili ; e mostrandosi in altre — come nella questione della
servitù e del trattamento de' prigionieri di guerra — più liberale ed umano
che poi non fosse, dopo lui, l'autore del De Jure Belli. Ma il Saggio del Mulas
— pur facendo, in molti rispetti, giustizia a quest'ultimo — tende però,
se io- non m'inganno, nel parallelo che fa tra le dottrine dell'uno e del-
l'altro, ad inclinare indebitamente la bilancia in favore del primo, in al-
cuni punti fondamentali; disconoscendo o scemando in essi la importanza
de' principi propugnati da Alberigo nel Diritto di Guerra, e da me esposti
in queste pagine, con le sue proprie parole. L' argomento del Mulas è que-
sto: i capi della Riforma — Lutero, Calvino ec. — erano fautori d'un dogma-
tismo altrettanto inflessibile e feroce quanto quello dei cattolici. Questa
tendenza dominava tutto il campo protestante; era il vizio generale del
secolo: dunque i loro seguaci non potevano andarne esenti; dunque Gen-
tili non poteva intendere libertà di coscienza; e non l'intese di fatto,
dacché egli plaudì ad Elisabetta persecutrice de'cattolìci, ed inculcò ne'suoi
libri la unità della religione. [Saggio, pag. 67, 68, 69 e 74). In primo luogo,
mi conceda il Mulas di notare, che la storia della Riforma, sino da' suoi
primi inizi, non risponde a queste proposizioni troppo assolute e generali.
Sorgevano naturalmente con essa, malgrado il dogmatismo de' capi, dal
GOZZO delle nuove credenze con l'antica fede, e dalla conseguente neces-
sità della discussione, germi e tentamenti di libertà di giudizio che, dal
terreno della teologia, ivano allargandosi di mano in mano a tutte le spe-
culazioni del pensiero ; e che, già coltivati sotto ,altra forma dal Rinasci-
mento, riceveano nuovo impulso dalla Riforma. E quindi una verità, sug-
gellata dalla Filosofìa della Storia, che la protesta religiosa contro la
Chiesa di Roma fu il prodromo della protesta razionale e scientifica contro
l'autorità delle scuole; o, per dir meglio, che l'una e l'altra furono due
modi di una stessa disposizione dello spirito umano, in quel periodo del
suo processo verso la conoscenza e la libertà. Basta seguire ~ con Buckle.
con Leckye, con altri storici della civiltà europea — il moto delle idee e
delle polemiche del secolo XVI; basta gettar l'occhio sul quadro che il
nostro Francesco Forti — con mano maestra come suole — fa di tal moto
nel priipo volume delle sue Istituzioni Civili, per intendere come, dall' in-
dividuarsi del pensiero religioso nella coscienza de' singoli, prendesse forma
e vigore il senso della inviolabilità della coscienza stessa, e come tal senso
facesse strada — prima ne' migliori e più elevati animi, indi nell'univer-
sale — al bisogno di tolleranza reciproca fra le molteplici e discrepanti
credenze. In secondo luogo, la conseguenza non s'applica, nonché alla
vita, alle dottrine esplicite del Gentili; che, quanto alla vita, non vi è
segno che lo dimostri propugnatore delle severe leggi promulgate dal
Parlamento, per ragion politica, contro i cattolici, durante il regno di
Elisabetta; comechè, per altri rispetti, ammirasse l'opera di lei e della
Nazione inglese in quel tempo: anzi, i suoi legami col Conte di Essex lo
additerebbero amico di moderazione e di tolleranza anche verso i segnaci
della Chiesa Papale, se contenti all'innocuo esercizio del loro culto; e
quanto alle dottrine, i testi parlano chiaro, né hanno d'uopo di com-
mento. Ricorderò solamente, come la sentenza imputata al Gentili deli^
unità religiosa, non é sua ma di que' politici ai quali egli la pone in bocca,
per confutarli con argomenti direttamente contrari, come ho notato al
debito luogo. (Vedi nota 2 a pag. 272). E qui vuoisi aggiungere, che il Oen-
I
j
LETTURA TERZA. 305
agli ultimi risultamenti dello spirito civile dell'età nostra
nelle Convenzioni di Ginevra e di Brusselle, e ne' Congressi
delle Leghe per la Pace.
tili non appartiene a quella parte del secolo XVI sulla quale si adden-
savano le cupe ombre del dogmtitismo di Lutero e di Calvino, ma a quel-
l'estremo perìodo dello stesso, sul quale già splendeva la luce degl' intelletti
di Bacone e di Galileo, e che ormai s'informava, col Cancelliere De l'Hopital
e con altri insigni interpreti della risorgente civiltà, al pensiero dei tempi
moderni. L'accusa — recata innanzi da altri, prima del Mulas — non regge
quindi per nessun verso. Né sono io il primo a contradirla, ma la con-
tradissero, prima di me, giudici assai più competenti ch'io non mi sia,
come il Mancini ed altri; e la dimostrò, or non ha molto, al tutto insus-
sistente il Fiorini; al quale, come a traduttore diligentissimo del Diritto
di Guerra, non può di certo apporsi il mancamento di giudicarne il con-
tenuto senza conoscerlo.
Né sembra più fondata l'opinione che Alberigo Gentili fosse indotto
da qualche gran concetto di profonda ragion politica a sostenere l'asso-
luta potestà de' monarchi, e a combattere il diritto di resistenza de* sud-
diti,'dopo avere, pochi anni innanzi, seguito contraria sentenza. Le dis-
sertazioni che di ciò trattano, e gli altri scritti dello stesso genere, non
furono dettati vivente Elisabetta, a difendere la sua vita- o ad addottri-
narla nell'arte del reggimento assoluto; sì bene subito dopo l' assunzione
dì Giacomo I al trono d'Inghilterra; e, secondo ogni apparenza, più che
per ragion pubblica, per meno alti e meno giustificabili intendimenti. La
politica di Elisabetta e de' suoi Parlamenti e Ministri — severa contro i
cattolici per necessità di difesa, dinanzi alla cospirazione interna ed esterna
e spesso ingiusta e crudele, com'era natura delle passioni di quella età —
fu, nello stesso tempo, fautrice d'indipendenza e di relativa libertà reli-
giosa nella sua azione sul Continente, come ho accennato nella Lettura :
e Gentili, nel suo Diritto di Guerra, fu aperto fautore di tale politica e
dichiarato nemico d'ogni tirannide. Non può quindi attribuirsi alle due
Dissertazioni, delle quali è discorso, il valore d'un sistema coscienziosa-
mente escogitato, per ragioni di universale politica, a tutela della società
e del poter secolare, in compenso della scaduta autorità della Chiesa e
dell' Impero. La vera, spontanea, genuina mente di Alberigo, rispetto alle
necessità del suo tempo, non è riposta in queste sue misere e quasi direi
postume produzioni, figlie dell' opportunità; ma nella parte scientifica del
suo pensiero, cioè ne' libri del Diritto di Guerra: i quali sono non solo
un Trattato di Diritto Pubblico, ma una critica morale e civile de' fatti
del suo tempo; una specie di etica antimachiavellica contro l'arte di Stato
del suo secolo.
Ciò posto, e distinti i tempi, quelli che lodano il suo liberalismo e
quelli che biasimano la sua servilità hanno egualmente ragione : ma pren-
dono errore que' critici che, confondendo le due correnti del suo pensiero,
lo vogliono tutto liberale o tutto servile. Quanto a Pierino Belli, egli ha
un merito incontestabile sopra il Gentili : quello, cioè, di averlo preceduto
dì trent'anni nel concetto generale di sottoporre ad esame giuridico la
materia della guerra, trattandone alcune parti con ai'gomenti razionali
ed umani, ripresi e svolti — salvo pochi casi in contrario — con criteri
più comprensivi e più vicini a forma di vera scienza, dall' autore del De
tTure Belli, Ma il paragone del valore scientifico non va fondato, in questi
casi, sopra tale o tal altra particolare dottrina od avvertenza, sì bene sul-
l'insieme della trattazione, sul metodo più o meno razionale dell'argo-
mentare, sui principi di ragion naturale e di civile filosofia, a' quali le
dottrine stesse sono riferite e congiunte. Nelle quali cose tutte non può
neg^afsi al Gentili — e non gliela nega neanche il signor Mulas ~ una
evidente superiorità sui trattatisti che lo precedettero. Egli tentò — ri-
peto— non -compì vera scienza; ma si vede attraverso tutta l'opera una
tiendenza^ nuova per quei giorni nelle discipline giuridiche, a ridurre a
?'»^V^*
306 SU ALBERIGO GENTILI.
Non v'ha nelle prime, o Signori, proposta di umani prov-
vedimenti intorno alla cura dei feriti, al seppellimento dei
morti, al trattamento de' prigionieri, alla onestà delle armi
e degli espedienti di guerra, ai limiti dell'offesa contro le
città, le persone e le cose de' nemici, al governo de' territori
occupati dal vincitore, al riconoscimento dei militi irregolari,
ai tributi e alle indennità di guerra, al rispetto degl'inermi,
de' neutri e delle loro proprietà, che non abbia riscontro
ne' precetti o rie' presentimenti del nostro giureconsulto.* E,
quanto all'opera delle Leghe — onore ^dell'età nostra — de-
vote alla causa della Pace e intese a diffondere i principi
della internazionale giustizia, io ho avuto occasione di am-
mirare, quest'oggi stesso con voi, l'affetto e i voti ond'egli
precorse, in tempi infelici, alla umanità del pensiero moderno.
Ed ora, o Giovani, dacché delle cose passate e delle loro
attinenze con le presenti abbiamo assai discorso, ci giovi,
terminando, interrogar brevemente gl'intendimenti di queste
ultime rispetto a ciò che nel futuro esser deve — e sarà —
se all'umano ingegno e volere sia guida e ministra — non la
ignava e, per fortuna d'Italia, non nostra sentenza, che ci fa
schiavi di cieche forze fatali — ma la coscienza della libertà
e del dovere. Io venni cercando con voi i progressi della Ra-
gion delle Genti nel corso de' secoli, e mi studiai di mostrarvi
quale legato di civile sapienza e virtù sia stato trasmesso
alla vostra custodia dagli Avi: spetta ora a voi il coltivare
ed accrescere il retaggio del patrio senno, associandolo ai
nuovi elementi del pensiero europeo e mondiale. Voi, Gio-
vani, avete in mano la fiaccola della vita. Fate ch'essa non
impallidisca fra crassi vapori di abbiette passioni e di fal-
laci dottrine ; ma splenda incontaminata sul fecondo connu-
bio dell'intelletto italiano con l'intelletto delle Nazioni che
procedono, insieme con noi, per le vie della civiltà. L'opi-
nione — dominata ormai dalla scienza e dalla voce de' Po-
poli che, in nome della comune umanità e del comune di-
principi generali di ragion naturale e di civile equità le questioni che
gli si affacciano: e in ciò appunto — come mostrò imparzialmente il Reiger
— egli aperse la via a Ugone Grozio, e in alcune dottrine — come notò il
Mancini — fu più liberale del giureconsulto olandese. — {Nota deir Autore,)
* Il prof. Holland lesse, due anni or sono, sugli Atti del Congresso
di Brusselle^ un importante discorso in Oxford, nel quale sono riportati
i documenti relativi alle due Convenzioni. A Lecture on the Brusaéls Coti"
ference of 1874, and other diplomai ic attempts eie, Oxford, 1876. — {Nota del-
l'Autore),
TìT:^
LETTURA TERZA. 307
ritto, chiedono giustizia e pace — s' impone, dove più dove
meno, all'arbitrio guerresco de' Governi : e alla guerra stessa,
quando non le è dato impedirla, va recando umani tempe-
ramenti. Non mai, come a' dì nostri, apparve così manifesto
e generale il bisogno di circoscriverne l'azione, di moderarne
la barbarie, di promovere per mezzo di civili arbitrati le
soluzioni pacifiche fra i contendenti. Sotto un immane e ro-
vinoso apparato di forze distruttive, l'Europa intera va gri-
dando con insistenza crescente: Pace, Pace, Pace. Questo
contrasto tra il fatto esteriore e V intimo voto della vita ci-
vile che si solleva contr'esso, non può durare, e cesserà: ma
ad una condizione, nella quale è riposto il più alto obbietto
e il maggior compito della Ragion delle Genti, nell'epoca
che ci sorge dinanzi; e cioè, che alle ambizioni d'impero e
agi' incentivi di lotta sia chiusa per sempre la via, mercè la
emancipazione e l'ordinamento progressivo di quelle Nazioni
sulle quali pesa ancora l'arbitrio della conquista ; sì che, di
materia inerte e soggetta all'altrui prepotenza, diventino vivo
elemento di sociale operosità, nel coro delle genti europee.*
Ricordai, nel mio secondo discorso, le secolari rivalità
delle vecchie monarchie, gareggianti del primato sui piccoli
e discordi Stati della media Europa, la impotenza dei quali
dava libero campo alle lotte e alle intromessioni degli Stati
maggiori. La costituzione dell'Italia e della Germania a grandi
unità nazionali riempì quella lacuna e pose fine alle contese
che avevano funestati, per tre secoli, le più belle regioni del
Continente, indugiandone il civile progresso.- Gran fondamento
e malleveria di stabilità, di pace e d'opere civili è, per le
contrade medie e occidentali d'Europa, l'alleanza della stirpe
latina con la teutonica — un dì, per legge di lor momenti
storici, disgiunte e lottanti fra loro, oggi collegate dai vin-
coli del pensiero e dalla reciprocità degli utili e degli uffici.
E dobbiamo far voto che la provvida mente de' tempi, sot-
tomettendo le passioni alla ragione ne' liberi consigli de' Po-
poli, ripari con giuste reintegrazioni le ingiurie delle recenti
g-uerre; e sopprima i resti dell'antico arbitrio, sì che i con-
fini delle tre grandi Nazioni che hanno virtualmente in mano
* Vedi, in proposito, una importante lettera scritta da Mazzini, nel 1867,
«,i promotori del Congresso per la Lega internazionale della Face, e ripro-
<ìotta nel n. 21 di quest'anno del giornale anconitano // Lucifero (2 giu-
gno 1878). — {Nota dell'Autore,)
-* -^'^T*!??
308 SU ALBERIGO GENTILI.
le sorti dell'ordinamento continentale — Francia, Italia, Ale-
magna — diventino termine sacro di lor naturali consorzi, e
fraterna catena di scambievoli commerci ed amistà, non se-
gno di ostili impedimenti e di guerra. Ma, se le antiche ri-
valità interiori del Continente europeo sono venute meno in
gran parte, e possono per nostra virtù dileguarsi del tutto,
s'agitano però intorno ad esse — per lo estendersi ed ordi-
narsi di poderose forze di Popoli, ignorati dai nostri o non
ancora costituiti al loro tempo — nuove ed assai più vaste
rivalità, gravide di pericoli per la indipendenza comune. Sorge
da un lato e si protende, dall'Oriente d'Europa agli estremi
confini dell'Asia, il mondo Slavo-Ruteno ; cresce rapidamente
dall'altro, di là dall'ambito marittimo della potenza britan-
nica, il mondo Americano. Che avverrebbe della intermedia
Europa, in questo processo della vita storica della Umanità,
ne' grandi suoi gruppi continentali, se alle nostre fortune di-
vise, sparse, cozzanti, non sia apprestato opportuno rimedio?
E come? E quale? L'istinto de' Popoli, il consiglio de' savi,
la scienza dell' internazionale Diritto, annunziano ormai con-
cordi il riparo. E perchè in voi, o Giovani, si confermi il
senso di ciò che la Patria nostra deve all'alto proposito, mi
sia qui dato di rendere a un Grande — il cui pensiero du-
rerà quanto il tempo lontano — il merito di avere a' dì no-
stri mostrato il cammino della giustizia e della salvezza co-
mune, quando a nessuno o a pochi il vitale quesito toccava
ancora la mente. Quarantacinque anni or sono, Giuseppe Maz-
zini, raccogliendo dalle tradizioni del passato e dalla coscienza
del genere umano la parola fatidica dell'avvenire, alzò primo
di fronte alla Santa Alleanisa dei Despoti il grido della Santa
Alleanza dei Popoli; e fece del suo operoso esilio, fra
genti diverse, scuola e apparecchio al compito della età nuova;
precorrendo con la Lega degli animi la Lega delle Patrie
indipendenti e libere in un patto di scambievole giustizia e
di fraterno lavoro. E dopo lui un altro illustre italiano, Carlo
Cattaneo, concretò la idea nella formola degli Stati-Uniti di
Europa; che Vittore Hugo bandì poi dalla tribuna francese
alle Nazioni plaudenti, e che la Lega della Pa^e e della Li-
bertà iscrisse, in questi ultimi anni, sulla propria bandiera.'
I Vedi sugli Atti della Lega .internazionale della Pace e della Libertà —
presieduta da Carlo Lemonnier con la fede e con la operosità d'un apo-
i
ì
-«anr^"**:*^ '
LETTURA TERZA. 309
E il Mancini, introducendo dalla cattedra il principio delle
nazionalità nelle categorie della scienza — come base all'or-
dinamento degli Stati moderni — ne fece soggetto di pub-
blico insegnamento, alla vigilia del nostro riscatto.* Da que-
sta iniziazione di una grande idea uscirono — come atto che
scoppia dal pensiero — e preser posto nel campo de' fatti,
che hanno per sé il suggello della natura, due incrollabili
realità: la Patria italica e la Patria tedesca; e ne usciranno
quando che sia, a compimento del concerto Europeo, le Pa-
trie Slave dal Baltico ai Balcani, distinte e confederate fra
loro, come le preannunziò l' Esule Genovese,* a schermo della
rimanente Europa, e senza nocumento alle congeneri stirpi
della Grande Russia:^ e n'uscirà intera quella Patria elle-
nica che fu luce all'intelletto civile di cento generazioni.
Possa l'Italia nostra apprestarsi a bene adempiere l'uf-
ficio che i ricordi della sua storia e le condizioni dell'età
stolo, e con ardore d'animo giovane malgrado la sua grave età — il Buh
letin Officiel des Conférences et Assemhléea de la Ligue. Genève, 1878. —
i^Nota deW Autore,)
* È debito ricordare, fra i primi che fecero soggetto d'insegnamento
pubblico in Italia il principio delle nazionalità, come base di Diritto in-
ternazionale, l'egregio prof. Domenico Mantovani-Orsetti, che regge di
presente la cattedra di Diritto delle Genti nell'Ateneo Bolognese e che,
sino dal 1859 — trattando in Pavia, in due dotte Prolusioni, della Storia
del Diritto Pubblico — disse eloquenti parole sull'argomento, mostrandone
le attinenze con la ragion politica de' tempi. {Introd, allo studio del Di-
ritto Internazionale moderno, lezioni due ec. Pavia, 186Òj. Trattò pure scien-
tificamente di questo soggetto, nella Universìtàdi Bologna, il prof. Cesare
Albicini, in una sua Prelezione al Corso del 1870-71. — {Nota delV Autore,)
* Veggasi lo scritto di Mazzini, La Questione d'Oriente, inserito, sino
dal 1867, nel giornale genovese L'Italia del Popolo, ristampato lo scorso
anno in opuscolo a Roma, e tradotto per cura dell'onor. Giacomo Stan-
sfeld, con alcune sue parole di commento, nella Fortnightly Beview, al-
lorché si agitava in Inghilterra, sotto gli auspici di Guglielmo Gladstone,
la questione del riordinamento nazionale delle razze slave soggette alla
Turchia. Merita attento esame — a riscontro delle idee di Mazzini — un
altro scritto sullo stesso tema, uscito recentemente alla luce in Parigi, col ti-
tolo : La Béorganisation politique de VOrient sur la base de Véquilihre des races,
par un indigène de la Péninsule. Paris, E. Dentu, 1878. — {Nota dell* Autore,)
' Ricordo che Alessandro Herzen — la cui memoria rimarrà congiunta
nella Storia della Russia con l'evento della emancipazione de' servi, la
quale egli promosse dall'esilio con indomita costanza, sin da quando era
ancora in vita Iticelo — solea dirmi che la vocazione vera della Nazione
russa, come propagatrioe di pacifiche e civili operosità, è in Asia non in
Europa ; in quelle vaste regioni, cioè, che si stendono al Sud della Siberia
sino ai mari del Giappone, sotto mite temperatura di cielo e che la in-
•dustria deU'uomo potrà elevare, quando che sia, a condizioni non meno
prospere di quelle degli Stati Uniti d'America, compiendo lungh'esse il
giro della civiltà attorno al globo. Dinanzi a tal compito, che ottima-
mente risponde alle attitudini agricole e commerciali della razza slava,
la tendenza a Costantinopoli non è che una vana ed effìmera ambizione
<deUa autocrazia religiosa degli Tzar. ~ {Nota deir Autore.)
310 SU ALBERIGO GENTILI.
presente le assegnano nella palestra dell' incivilimento eu-
ropeo: che i più alti postulati della scienza odierna del Giure
delle Genti sono -— come ho tentato mostrarvi — corollari'
del pensiero civile de' nostri padri, e questo nobile retaggio
impone obblighi eccelsi agli eredi. Noi dobbiamo a noi me-
desimi e alle Nazioni sorelle tal parte di lavoro che degna-
mente prosegua la tradizione ideale della mente italiana.
Memori del genio della nostra stirpe — il quale, speculativo
e pratico insieme, pensò per operare, cercò il Vero per tra-
durlo in fatto e fece, con Vico, del vero e del folto, dell' tdéoZe
e del reale, due termini di uno stesso principio che 3i vanno
adeguando nel tempo — noi dobbiamo integrare con Vasdone
il pensiero; con l'azione civile, con l'azione che edifica, non
con la violenza che dissolve e non crea; aiutare infine, per
la parte nostra, le applicazioni effettive della scienza alla
vita dei Popoli; perchè scienza che specula e non produce
frutto non è sapienza, e i nostri antichi la dispregiavano.
E compito umano e nostro conoscere per volere e per fare.
Chi sa e non fa, dimezza e tradisce, con la inoperosa super-
bia dell' intelletto, il suo ufficio d'uomo e di cittadino.
L' Italia — istitutrice prima della umanità dell' Europa
con gli ordini civili e col magistero dell'arte e della parola;
centro armonico nella triade delle Penisole che si specchiano
nel Mediterraneo; sorella alla Francia nelle origini, nelle
vicende, nelle vocazioni della civile Democrazia ; sorella alla
Germania nella profondità dell' intelletto scientifico ed este-
tico, e nella custodia del giure nazionale, surto con le due
Patrie contro le ostili tradizioni del Papato e dell' Impero —
ha dinanzi a sé un insigne arringo da proseguire.
Roma antica congregò gli sparsi imperi e diede leggi e
umanità di eulta favella alle genti ancor rozze, con lo stru-
mento della conquista.
Roma cristiana riconquistò all'umano consorzio i Popoli
erranti nella barbarie, con la virtù dello spirito.
La terza Roma deve comporre i dissidi che dividono le
Nazioni già cresciute a civiltà, e promovere i riti della loro
colleganza civile, con gli argomenti della ragione e dell'amore:
Roma - Amor.
L'Italia è, pel suo passato e per la situazione presente,
naturale mediatrice e paciera tra Francia e Germania ; e
Francia, Italia e Germania insieme sono mediatrici nate
^TOI^
LETTURA TERZA. 311
della gran lite che romoreggia a' confini del Continente eu-
ropeo, fra la razza Anglo-Sassone e la potenza Kutena.
E tale mediazione dee compiersi e suggellarsi con l'assetto
nazionale de' Popoli non ancora redenti.
Questo Tobbietto ideale e pratico ad un tempo di una
politica non indegna de' vanti civili dell'età nostra: e questo
il voto de' nostri Grandi defunti, proseguito dalle odierne
Leghe pacifiche e dai più generosi intelletti del tempo, da
Vittore Hugo a Guglielmo Gladstone.
Ma tale non fu e non è l' intento della senile Diplomazia
che ancora regge, per comune sventura, le sorti d' Europa.
Se gli uomini di Stato dell'età nostra avessero, pur solo
in parte, mirato a tal fine, le due ultime guerre d'Oriente
o non sarebbero surte o avrebbero definita la questione, ces-
sando il servaggio di una nobij parte della famiglia europea.
Grande mancamento di previdenza e virtù, che lasciò con-
tristare con orrori senza nome e senza frutto le speranze ci-
vili del secolo; e che ha radice ne' difetti interni e nelle mutue
diflBdenze, figlie delle mutue ingiurie, degli Stati Europei.
E invero, perchè i singoli Popoli abbiano facoltà di gio-
vare con efficace concorso alla Causa comune, bisogna che
sian prima bene ordinati e vòlti ad alti e generosi intendi-
menti in sé stessi. .
A carità di fuori occorre armonia dentro casa.
Or, quale è in generale la condizione della vita interna
delle Nazioni a' dì nostri, e in particolare della nostra ?
Guardiamoci in seno.
Discordiamo in noi medesimi, nell'intimo foco delle no-
stre facoltà, scindendo la scienza dalla coscienza, l'uomo ra-
zionale dall'uomo morale.
Discordano, per conseguente, ne' loro esterni religione e
Patria, famiglia e società, economia e umanità, diritto e do-
vere, ordine politico e ragion comune.
E legge storica della civiltà l'ir componendo, di grado
in grado, le sproporzioni nate dagli egoismi che, serpeggiando
intorno ai vari elementi dell'umano consorzio, li torcono dalla
loro natura sociale.
Ma, a secondare e promovere fruttuosamente, o Giovani,
l'opera del vero progresso, uopo è guardarsi da illusioni e
teorie vane senza soggetto, non d'altro capaci che di annul-
larne 0 pervertirne l'azione.
312 SU ALBERIGO GENTILI.
Uno sterile fanatismo da un lato, una cieca tendenza dal-
Taltro a troncare la catena de^ tempi e la continuità de' civili
incrementi, a distruggere tutto ciò che è, dietro erranti con-
cetti di ciò che dev' essere, rendono a' dì nostri perplesso e
dubitoso il procedere delle genti verso la mèta dei loro
destini.
Ricordiamoci, di fronte al primo errore, che noi discen-
diamo dalle stirpi la cui storia s'inizia col mito di Prome-
teo. La fatalità delle forze organiche e delle determinazioni
passive dell'essere finisce dove cominciano il pensiero e la
volontà. Noi siamo liberi e responsabili, perchè da noi move
la virtù che e' inalza all' intelletto del Vero e alla coscienza
del Dovere ; e ci determina a seguirne le norme con l'animo
die vince ogni battaglia.
Non rassegnamo alle presuntuose negazioni di una scienza
in difetto la sacra, immortale, animatrice fiamma della li-
bertà : vietiamo i classici lidi, benedetti dall'Orfica armonia
delle antiche iniziazioni civili, al materialismo di una intel-
ligenza che non sente la vita.
E, in faccia al secondo errore, ci sovvenga che noi siamo
agricoltori e figli di agricoltori.
Ora, il buon cultore sterpa dalla pianta le crittogame che
ne intristiscono la vegetazione, e i rami secchi che non met-
ton più fiore; ma ne custodisce e cura le parti vive, e nutre
di sostanze fecondatrici il terreno nel quale ha radice.
Tal arte richiedesi alla coltura sociale. Pretendere di de-
molire i fondamenti che natura pose al vivere civile, perchè
sovr' essi crebbero ed invecchiarono istituzioni men giuste ;
ribellarsi alle leggi intrinseche del sociale convitto, perchè il
pregiudizio e l'egoismo ne deformarono i naturali accordi, è
cosa da stolti. Personalità dell'uomo individuo, proprietà,
famiglia. Comune, Patria, religione, sono altrettanti anelli
d'una catena della quale è artefice la vita stessa delle umane
generazioni ; né v' ha forza al mondo che possa fare contra-
sto alla natura e alla vita. È ufiìcio della scienza vera rime-
vere dalla vitale compagine dell'ordine sociale il privilegio
che la inceppa e l'arbitrio che la infrange ; esplicarne le re-
lazioni, contemperandole sempre più largamente alla comnne
equità; fare che la proprietà si trasformi — mercè gl'influssi
di una più elevata moralità e di una più giusta economia —
da strumento di privato egoismo in vincolo socievole di mutue
LETTURA TERZA. 313
utilità; che la famiglia diventi, inalzandosi, scuola di virtù
cittadine; la libertà, mezzo ai doveri dell'equa e buona as-
sociazione; e che scienza, religione e Patria, armonizzando
tra loro, diffondano, come raggi insieme contemperati di uno
stesso Vero, una medesima luce sopra la terra.
È vocazione e compito dell' Italia — oggi rinata alle spon-
tanee manifestazioni del suo genio nativo — riprendere e
continuare i procedimenti dell' antica ragione e dell' antico
amor patrio, esplicando con virile temperanza le parti buone
della sua vita civile, rimovendo senza rovine dagli ordini
suoi ciò che è guasto, arbitrario, discorde dall' esser suo;
trasformando il fatto ingiusto o incompiuto in fatto ognor
più conforme agli archetipi dell'eterna giustizia e verità. E
a voi, 0 Giovani, a voi araldi della storia futura, siano di
conforto all' impresa gli esempi dei padri e il culto dei prin-
cipi onde si fa- nobile e bella questa vita mortale. E, come
le Università italiane del medio-evo restituirono — precedente
Bologna — la coltura del Civile Diritto alla ragion privata,
possano quelle del secol nostro, ricongiunte a questa antica
lor madre, contribuire degnamente, coi loro studi e con la
loro virtù, a quella universale coltura del nuovo Diritto delle
Genti che dee dar legge di vita alla ragion pubblica delle
Nazioni, confederate nell'opera della libertà e della pace.
XII. 21
314
SULLA STORIA DEL DIRITTO.
PRELEZIONE LETTA NELL'ATENEO BOLOGNESE
IL 19 NOVEMBRE 1879.
Per corrispondere in qualche modo, nella misura delle
mie forze, alla benevola fiducia della Facoltà di Giurispru-
denza in questo illustre Ateneo, la quale volle farmene cor-
tese ed onorevole invito ; e dietro accordi presi in proposito
con l'egregio Professore che v'insegna Storia del Diritto,
assumo il compito di trattare, o Giovani, dinanzi a voi quelle
parti di tale disciplina che spettano più specialmente alla
Storia del Diritto Pubblico : jus quod ad statum reipuUic<e
— e per Roma in particolare — ad statum rei Romance spectat
Cominciando dal toccare le origini de' relativi istituti Del-
l'antichità italica, perchè l'Italia— ancor più che la Grecia —
fu istitutrice efficace degli ordini dello Stato, e maestra delia
ragion del Diritto alle genti, indagherò le forme elementari
de' primitivi consorzi delle tribù che iniziarono il moto della
vita civile nella patria nostra, e il successivo incorporarsi e
svolgersi di quelle forme nella costituzione interna delle città.
Accennerò alle norme regolatrici di loro esterne relazioni;
ai riti della guerra e della pace; ai patti, alle federazioni,
ai lumi di naturale giustizia ed umanità, di che gì' Itali an-
tichi illustrarono le consuetudini del loro jus gentium, e i
loro costumi. Mi studierò di mostrarvi come, surta Roma, il
connubio del suo valore con la virtù delle tradizioni indi-
gene — latine, etrusche, sabine — originasse il più grande e
maraviglioso evento che la Storia ricordi : quello di una città
la quale, ispiratasi sino dai primi inizi della sua fortuna a
un magnanimo presentimento delle sue sorti future, racco-
glie di mano in mano in sé medesima, a traverso le lotte e
i contatti a cui si avviene con le circostanti stirpi italiche,
le forze, il senno e la coltura di tutta la Penisola, assimilan-
dola al tipo del suo Diritto ; e fa della conquista strumento
alla difesa della natia civiltà contro i barbari; per indi espan-
dere la sua potenza sulla maggior parte del mondo cono-
«ijpBM.ij^ r
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 315
sciuto dagli antichi, congiungendo le sparse genti nella unità
delle leggi, dell' idioma e del nome romano : numine Beum
electa, qwe.,.. sparsa congregaret imperia, ritusque moUiret, et
tot populorum discordes ferasque linguas, sermonis commercio
contraheret: colloquia et humanitatem homini daret: hreviter-
que, una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret.^
Descrivendovi gli ordinamenti politici e amministrativi
dello Stato presso i nostri antichi, e riandando le vicende
della loro grandezza e della loro decadenza, richiamerò so-
vente la vostra attenzione alle condizioni intrinseche della
loro vita sociale, ai rapporti della proprietà della terra, de'co-
stumi domestici e delle credenze, con le forme e con le mu-
tazioni estrinseche del Diritto: perchè la natura delle isti-
tuzioni che regolano la cosa pubblica, e il fiorire e lo scadere
delle medesime, hanno stretta attenenza con lo stato della
famiglia e della società, coi sentimenti e con le idee a cui
s'informa la vita interiore di un Popolo. Cercherò nel .dis-
solversi dell' organamento economico e dell' ordine morale
della Komana Repubblica la ragione dell' avvenimento del-
l' Impero : nel progresso di tale dissoluzione, sotto il governo
de' Cesari, la sorgente del graduato tramutarsi di questo, da
monarchia temperata — quanto alle parvenze giuridiche della
delegazione popolare, e della partecipazione del Senato al po-
tere legislativo e amministrativo ^ — in autocrazia asiatica,
sciolta da ogni freno di leggi, legibus soluta : e, nelle corrut-
tele di moltitudini prive d'ideali e intorpidite dall'ozio, nella
piaga della schiavitù e del lavoro servile, nell' anarchia mi-
litare e nellp, enorme fiscalità del regime bisantino, le cause
di quella irreparabile miseria ed abbiezione onde una società,
smunta d' ogni succo vitale, soggiacque passivamente, come
cosa esanime, alla violenza dei barbari. Dirò a che fossero
ridotti^ alla vigilia della gran caduta, gì' istituti dell' antico
giure municipale e politico de' Romani; quali germi di rior-
dinamento sociale rimanessero deposti sotto le rovine della
vecchia civiltà a dare inizio alla nuova; quali fossero le con-
dizioni de' proprietari e de' lavoratori della terra da un lato,
de' collegi delle arti, dell'industria manifatturiera e del com-
mercio dall'altro, allorché gl'invasori occuparono di mano in
* PuN., Hiat. Nat., I, III, cap. 6. — {Nota deW Autore,)
* RoMAGNosij Fattori delV Incivilimento, Parte II, cap. I e seg. — (Nota
{Bell'Autore.)
316 SULLA. STORIA DEL DIRITTO,
mano le Provincie dell'Impero d'Occidente e l'Italia; quali
infine le relazioni fra lo Stato e la Chiesa, da poi che il
Cristianesimo fu levato agli onori di religione officiale.
Passando dall' epoca romana al periodo delle invasioni e
dello stabilimento de' barbari nelle contrade già soggette al-
l'Impero, procurerò di dedurre dai documenti noti e dagli
studi della critica moderna sovr' essi le conclusioni più pro-
babili intorno alle schiatte e allo stato de' vinti, intorno alle
origini e ai costumi delle diverse stirpi degl'invasori, po-
nendo mente, insieme con voi, alle tradizioni superstiti della
civiltà de' primi, alle consuetudini native de' secondi, e al
vario intrecciarsi d' entrambe, con prevalenza or di quelle or
di queste, secondo i luoghi, nelle capitanerie e ne' regni fon-
dati dalla cornista. Né ometterò di notare qual parte ab-
biano avuta, nel rinnovamento civile che succedette alla
barbarie, gl'influssi del Cristianesimo e l'azione sociale della
Chiesa latina, erede e continuatrice — sotto certi aspetti —
delle leggi e della coltura di Roma antica : quali i ricordi e
i vestigi delle istituzioni municipali e giudiziarie, delle let-
tere e delle arti della romana civiltà.
Nella Chiesa e nel Comune si risvegliò primamente, so-
pratutto in Italia, la virtù dell' umano intelletto incontro al
cieco arbitrio della forza; e dai penetrali de' chiostri — mal-
grado le insanie ascetiche del monachismo — e dalle corpo-
razioni artigiane delle nostre città — malgrado la duplice
dominazione della feudalità ecclesiastica e della feudalità
imperiale — lo spirito della vita, del pensiero e del lavoro
si diffuse su tutta la compagine della società, suscitando e
maturando in essa, sótto la forma teocratica del medio-evo,
gli elementi dell'incivilimento moderno.
È mio proposito, nel!' arringo di queste lezioni, seguire
— per quanto io mi sappia e possa — un metodo di esposi-
zione il quale risponda al procedimento della natura e della
mente umana nella Storia. Esaminerò quindi, ne' successivi
periodi delle vicende del Diritto, prima i fatti naturali, ele-
mentari, spontanei che determinarono, sin dall'origine, le
relazioni del vivere sociale presso le genti il cui Giure for-
merà il soggetto de' nostri studi ; poi lo svolgersi e il trasfor-
marsi di tali relazioni nel tempo, e le sanzioni giuridiche a
cui le medesime diedero argomento ; finalmente i dettati della
riflessione de' savi che, istrutti dalla esperienza e dalla co-
/
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 317
scienza, si fecero interpreti, d'epoca in epoca, de'progressivi
archetipi dipana ideale giustizia eterna: divino lume della
ragione nellsi^selva selvaggia dell'arbitrio umano, e guida al
moto delle cose civili verso la mèta a cui tende la loro na-
tura nell'ordine dell'Universo.
Il vario atteggiarsi, secondo i gradi dell'umana socialità,
dei rapporti fra l'azione dell'uomo-individuo e l'autorità dello
Stato, fra la libertà de' singoli associate e il potere collettivo
che li governa; e la influenza che le idee religiose esercita-
rono, nei diversi tempi e Popoli, sulle forme del vincolo so-
ciale — costituiscono l'assunto primo della storia del Diritto.
L'esame di tali rapporti e delle disposizioni che li creano
ci dà, per così dire, la chiave del destino delle Nazioni; ci
apre il segreto dei diversi momenti e modi del loro concorso
nell' opera della civiltà, del loro procedere o indietreggiare.
Noi dovremo pertanto, negli studi che avrò l' onore di fare
con voi, tener ferma la mira a questo punto di massima im-
portanza, anche per la sua connessione coi più gravi pro-
blemi dell' età nostra. Infatti, tutte le grandi questioni che
agitano il secolo — la questione politica e' giudiziaria, la que-
stione economica e sociale, la questione religiosa e morale —
si riferiscono in fondo a questo precipuo tema de' rapporti
fra la vita individuale e il nesso che la stringe alla vita del-
l' universale, fra i diritti della persona umana e gli obblighi
che le sono imposti dalla società e dallo Stato. Secondo che,
in questa o in quella contrada, l' uno o V altro dei due ter-
mini necessari della colleganza civile tende a predominare,
le condizioni dell' equilibrio sociale ne rimangono alterate e
scomposte; allo svolgimento armonico e fecondo delle umane
facoltà e alla confacenza con esse delle istituzioni che ser-
vono di mezzo ai loro uffici nel comune consorzio, sottentra
una od altra forma di arbitrio; alle soluzioni della libertà
— che è, nella sua essenza, armonia ed ordine -— succedono
quelle della anarchia o del dispotismo; al progresso, la de-
cadenza.
Il sentimento della personalità umana e di un diritto ine-
rente alla medesima, fondato — fuori delle forme convenzio-
nali delle leggi positive — sulla natura razionale e sociale
dell'Uomo in sé stesso, fu appena compreso dall'Antichità;
se non forse in parte, ma pur sempre ne' limiti della fran-
chigia civica — del jus civitatis — da quella nobilissima Plebe
318 SULLA STORIA DEL DIRITTO.
romana che lottò civilmente, per l' ingenito senso della sua
dignità, con longanime costanza — come vedremo — contro i
privilegi del Patriziato e degli Ottimati; reclamando, in nome
della comune umanità, la promiscuità dei connubi fra Y un
ceto e r altro, e la parità de' diritti politici e della compe-
tenza agli uffici e agli onori della comune cittadinanza; e,
per natia virtù del pensiero italiano, da taluni filosofi e giu-
reconsulti nostrani, fra' quali primo Marco Tullio Cicerone.
Sentimento sì fatto emerse invece vivissimo e distinto, co-r
mechè in forma rozza e incomposta, fra le genti che ripiglia-
rono l'opera della Storia, dopo la caduta delPImpero Romano;
e fu, sin da que' tempi, il motore principale degP incrementi
della civiltà Europea, si nell' ordine del pensiero e della co-
noscenza, come in quello della vita pratica e delle istituzioni
del mondo sociale. Si che, fra quelle Nazioni stesse del Con-
tinente presso le quali questa sorgente di vita e di energia
operativa fu attraversata da tradizioni e da forme di reggi-
mento che ne soprafecero o ne resero meno agevole l' espli-
cazione, la gravezza della servitù non valse a spegnere il
vigore della cosciènza individuale : e questa fonte di vitalità
le salvò dalla morte.
Ma in Roma, del pari che in Grecia, la capitale civile
délV uomo libero era inseparabile dalla sua qualità di citta-
dino. La libertà, il diritto, non vi esistevano — io vi diceva
poc'anzi — come principi connaturati, nell'intelletto dei tempi,
all'essenza stessa delle umane facoltà, come retaggio di ra-
gion comune delle genti — (biìih-right of the peopk, direb-
bero gì' Inglesi) — ma come privilegio di città e di classe.
Sfasciatosi quell' insieme di tradizioni e di forme rituali e
politiche che rivestivano di un particolare carattere morale
e giuridico la persona del civis romanus, la coscienza del
Diritto parve dileguarsi con esse. Deposta la veste del cit-
tadino e spogliato delle funzioni che lo legavano alla cosa
pubblica, l'uomo antico non trovò in sé virtù di reggersi
sulla propria natura, né — venuti meno gl'istituti e i costumi
della città sovrana — titolo e vigore a virili resistenze. Sog-
giacque non renitente all'arbitrio, come a necessità di destino;
e su queir immenso annullamento degli animi potè adagiarsi
a sug. posta la forma immane del dispotismo imperiale. Né
la nuova religione uscita dallo spirito dei diseredati, degli
schiavi, dei tapini di un mondo senza legge, avea in sé ten-
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 319
denza o possibilità di ristaurare le forze civili di una società
incadaverita. L'apostolato cristiano sprigionò il vincolo della
comunanza umana dalla stretta cerchia della città antica e
dai particolari consorzi di schiatte divise e in guerra perpe-
tua fra loro, sotto gli auspici d' Iddii locali e discordi, allar-
gandolo a Gentili e a Barbari, a liberi e a servi, nella unità
della fede in un solo Iddio, Padre di tutti i mortali. Ma la
nuova credenza, disperando della ferra contaminata dal sen-
sualismo pagano e ritraendo l'uomo al cielo, fece dogma della
separazione delle cose divine dalle cose umane ; ridestò le
facoltà morali dell'anima alla luce del suo Ideale; ma le alienò
dai loro uffici nella patria terrena diètro ai premi aspettati
nella patria celeste: d'onde i martiri dello spirito, e il sa-
crificio delle cure e degli affetti sociali ai destini d'oltre
tomba; della vita operativa alla vita contemplativa; del tempo
alla eternità: e la conseguente inefficacia civile del Cristia-
nesimo, se le naturali disposizioni e le virili energie de' Po-
poli nuovi — che, abbracciandolo, ne esplicarono la parte
umana e pratica — non lo avessero riaccostato alla terra.
Invero, perchè l'Umanità potesse ritemprarsi alle attitu-
dini del suo lavoro nel mondo, era necessario lo stimolo di
un senso vivo e operoso della signoria dell'uomo sopra sé
stesso e sopra le cose eh' egli può far proprie col suo valore
e con la sua industria. E questo senso recarono con sé da
un lato i barbari invasori, e crebbe prepotente in essi fra le
gesta della conquista ; si risvegliò spontaneo dall'altro negli
sparsi avanzi dei vinti, e li risospinse all'azione quando, di-
sfatta la struttura dell'antica società, e sottentrata alla inerte
unità dell' Impero l'agitatricaf vicenda delle invasioni e delle
anarchie barbariche, ogni gruppo d'uomini insieme conviventi,
ogni consorteria di famiglie, e quasi ogni individuo dovette
sforzarsi di provvedere da sé al proprio sostentamento e alla
propria difesa.
Hanno gran voga, nel campo degli studi storici, talune
generalità, le quali poi, riscontrate coi fatti, non si confanilo
a questi ; ed é ufficio di giusta critica il ridurle a più esatta
proporzione, per rispetto non solo della verità storica ma
della natura umana, di cui disconoscono sovente o travisano
le comuni proprietà e tendènze, e i procedimenti effettivi.
Una di tali generalità è quella che reca esclusivamente al-
l' indole e al costume dei barbari — e in particolare dei Ger-
320 SULLA STORIA DEL DIRITTO.
mani, col sentimento della libertà individuale — il rifiorire
delle attività della vita fra le rovine del mondo antico. Ora,
se il gagliardo senso della propria individualità, e la forza
del volere e dell'imprendere, e gli eroici ardimenti fossero
stati privilegio speciale de' barbari, il risorgere, sin dai primi
secoli del medio-evo, di quelle cittadinanze nostrane nelle
quali non s' infuse sangue di Longobardi, di Franchi o di
Tedeschi, sarebbe inesplicabile. Vuoisi quindi cercare in altro
la ragione del fatto : e prima nella ingenita e universale di-
sposizione della natura dei Popoli alla libertà e alle utili
operosità della vita, sciolti che siano dai vincoli di un ma-
gistero servile e di una violenta oppressione, e moralmente
riabilitati a sentire il proprio valore ; indi nelle condizioni e
circostanze esteriori, che contribuiscono a rendere la libertà
attiva e fruttuosa.
Il vero è che il sentimento della libertà, dell'autonomia
dell' uomo-individuo, della sua padronanza suU' opera e sul
frutto delle proprie facoltà, sul governo del proprio destino —
compresso dalla onnipotenza dello Stato ne' secoli della de-
cadenza pagana — ripullulò dal fondo stesso degli animi at-
traverso i casi della barbarie : né fu un dono particolare del
cielo o della natura agli uomini di stirpe germanica, ma si
manifestò altrettanto gagliardo ed operoso nei nostri antichi
padri di discendenza latina, quanto ne' barbari conquistatori,
non appena la condizione del viver loro ne suscitò e secondò
lo sviluppo. Prime a dar mano al lavoro, quasi foriere degli
albori del nuovo giorno, furono le città marinare d' Italia —-
Amalfi, Gaeta, Napoli, Venezia, Genova, Pisa — quelle, cioè,
dove si raccolsero a rifugio la disperse reliquie delle stirpi
italiche, e dove queste rimasero esenti appunto o appena
tocche da mescolanza straniera. I latini, che non erano ca-
duti sotto il giogo degl' invasori, < mano mano che vennero
pigliando la libertà — dice un acuto osservatore de' fatti della
nostra storia, mancato per morte, due anni or sono, agli
studi ' — mano mano che ritornarono ad essere marinai e
soldati, si rinfrancarono.... Nel mare si ribattezzò la nostra
virtù, e veleggiammo a commerci insino allora intentati, e
penetrammo in terre dove non aveva messo piede il legio-
* Filippo Perfetti, Spirito della Storia d'Italia^ Discorso II. — {Nota
delVAutore.)
SUIxLA STORIA DEL DIRITTO. 321
nano. Il tipo del mercante, nelle fitte tenebre della barbarie,
non fu tra noi il povero israelita taglieggiato e schernito, ma
il Veneziano e l'Amalfitano col suo berretto rosso, la sua
spada aguzza, il suo indomito coraggio e il suo pronto inge-
gno.... Per l'Adriatico e il Mediterraneo navigavano, combat-
tendo Saraceni e pirati; nel mare ri rinfrancavano, si rige-
neravano, si rinnovavano, vera prole pelasgica. La più gloriosa
epoca di Napoli, di Gaeta, di Amalfi, è in que' tempi, pur
troppo coperti di oscurità : ma l' oscurità della Storia non
può nasconderci che que' cittadini ebbero il vanto di un
eroico coraggio e di una imperterrita fortezza. L'oscurità
della Storia non può nasconderci che quella terra molle, lieta
e deliziosa, può educare ed ha educato animi fieri ed invitti....
Mai Venezia, dall'altro canto, non fu più grande che in quella
sua primitiva epoca democratica che coronò il conquisto di
Bisanzio e della Romania ; in quella sua epoca in cui i se-
natori diventavano pescatori e mercatanti di sale. >
Posto adunque, come fatto incontestabilmente provato
dalla testimonianza della Storia, che le energie della libertà
e dell' attività individuale apparvero, dopo il disfacimento
della vecchia società, non meno vigorose ne' scompigliati
avanzi delle cittadinanze nostrane che nelle tribù di razza
teutonica, stanziatesi con la conquista nelle Provincie impe-
riali ; e che i primi segni delle nuove operosità, i primi co-
nati del riforgimento spuntarono in quelle parti d' Italia se-
gnatamente ch'erano rimaste romane; ci sia lecito attribuire,
il rinnovarsi di cotesta attuosa e forte coscienza di sé negli
uomini del medio-evo, anziché a privilegio di razza, ad una
comune virtualità dello spirito umano, maturatasi anzi tratto,
se vuoisi, in quelle stirpi ariane che, discese da una stessa
origine, vennero ab antico per diversi rivi in diverse età pro-
pagando dall'Asia in Europa e trasferendo, negli ultimi quat-
tro secoli, di là dall'Atlantico il moto e l'opera della vita
civile. Or tale virtualità non è da ritenere che nelle genti
greche e latine autrici dell'antico incivilimento fosse, ne' tempi
della loro decadenza, al tutto spenta ma semplicemente so-
pita, né d'altro bisognosa, per risorgere ed operare, che di
una profonda e violenta perturbazione, la quale riscuotesse
dall'alto sonno gli animi ottenebrati e giacenti. E questo fece,
in quanto all' Italia, l' invasione de' barbari, tramutando le
condizioni esteriori de' nativi, più che innovandone la vita
322 SULLA STORIA DEL DIRITTO.
interiore ; alla quale furono alito e guida — com' io spero
mostrarvi a suo luogo — tradizioni ed influssi che a lei non
vennero dalle foreste della Germania.*
Del resto, questo progressivo disvilupparsi della persona
umana dai legami patriarcali e ieratici — che nelle prime forme
indistinte de' sociali consorzi la fasciavano e tenevano soggetta,
siccome inconscia ed inesperta delle proprie facoltà — e dai
privilegi ed imperi imposti dalla religione e dalla forza alla
fanciullezza dei Popoli, è la legge della psicologia nella Sto-
ria; legge la quale si estrinseca, d'età in età e di luogo in
luogo, sotto il duplice aspetto dello svolgimento interiore
delle facoltà stesse e delle circostanze esteriori, che ne de-
terminano e secondano l'attività e le manifestazioni. Nelle
vastità continentali dell'Asia, nelle valli dell'Indo e del Gange,
dinanzi allo spettacolo di una natura grandiosa e molle ad
un tempo, la quale provvede prodigamente, con poco sforzo
della mano dell'uomo, ai bisogni dell'esistenza, l'individuo
— quasi assorbito, come osserva Max Miiller,* dalla immen-
sità delle cose che lo circondano, e senza assidui stimoli alla
necessità del lavoro — si abbandona passivamente alla iner-
zia di una vita uniforme e contemplativa, vinto dal senso
della sua debolezza nel < gran mare dell'Essere; > e rasse-
gnato alla immutabilità del suo destino: d'onde le religioni
panteistiche, le caste e l'arte confusamente simbolica del-
l'antico Oriente. Nella Persia, nella Palestina, in Egitto, nella
Fenicia, attraverso le vicende delle migrazioni, delle guerre,
delle conquiste e de' traffici, s'inizia il moto della Storia.
L'uomo acquista a poco a poco coscienza di sé, com'ente di-
stinto dal mondo esteriore e da Dio; come forza che possiede
sé stessa, e intende, vuole e può; onde s'iniziano nel suo
spirito i primi moti di una attività che lotta con le cieche
potenze della natura e coU'assoluto impero dei Numi. La
tenzone fra il Bene e il Male nel Manicheismo de' Persi; il
concetto della creazione per atto di un Dio — supremo in-
telletto e volontà — separato dalla sua fattura, e non più
informatore fatale degli umani destini, ma istitutore del-
l' Uomo, creato ad immagine sua — - cioè, intelligente e do-
tato di libero arbitrio ; e quindi l' idea ispiratrice del Popolo
* Vedi P. Ellero, Riforma Civile, cap. LXVII. — {Nota deir Autore.)
* Nel suo saggio sul Veda e sul Zend-Avesta, e in altri luoghi de* suoi
scritti di Filologia comparata. — (Nota dell* Autore.)
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 323
Ebreo di un ministerio da compiere, di una Legge da pro-
pagare per comando di leova, del solo Iddio vero pe' figli
d'Israele: questi e somiglianti atteggiamenti dello spirito
umano dinanzi al duplice mistero del mondo fisico e della
Divinità sono i prodromi del sentimento della libertà e della
responsabilità umana, della Legge Morale e del Diritto. —
Senonchò nel Mosaismo, la vita de' singoli non ha carattere
indipendente e proprio ; i suoi atti sono prestabiliti nelle Ta-
vole della Legge, legati alla missione comune del Popolo
eletto, nell'ambito sacro, esclusivo, intangibile delle sue tra-
dizioni, de' suoi riti, della sua vocazione. In quell'ambito non
poteva allignare la libertà, individuarsi la ragione e la co-
scienza dell'Uomo, costituirsi la sua persona civile. Per rag-
giungere questi frutti delle umane facoltà, ci convien proce-
dere col corso del sole verso le prode deU^Iediterraneo, verso
i lidi della Fenicia e dell'Asia Minore, seguire nelle plaghe
d'Occidente gli avventurosi navigli de' coloni Punici e Pe-
lasgici sulle acque dell'Egeo, dell'Ionio e del Tirreno, lungo
le spiaggie della Grecia, dell'Africa e delle due Esperie. Quivi,
nel vario agitarsi delle operosità di una vita mobile e for-
tunosa, tra le piraterie, le peregrinazioni, gli scontri ostili e
i consorzi spontanei de' vetusti emigranti, l'umana individua-
lità—sciolta dai legami delle Teocrazie e degl'Imperi asia-
tici — sente sé stessa. L'intelletto e la volontà de' mortali si
ribellano all'autorità delle caste ; scrutano con audace inda-
gine i vietati misteri : Atidax omnia perpeti gens humana
ruit per vetitum nefas. L' Uomo, nel mito di Prometeo, ra-
pisce al Cielo il fuoco animatore delle arti, e sfida imper-
turbato l'ira e i castighi di Giove. I padri peregrini delle
tribù greco-italiche, e i primi coloni del mondo pelasgico di-
ventano fabbri della propria fortuna ; popolano di leggiadre
fantasie le loro dimore ; creano, idealizzando la forma umana,
a propria similitudine i loro Iddii. Il politeismo è la prima
protesta dello spirito della individualità, della libertà e della
Bellezza, ne' campi della immaginazione religiosa e dell'arte,
contro le unità gerarchiche e i mostri simbolici dell'antico
Oriente. La fiamma giapetica — la lampada del pensiero e
della vita— passa, confortatrice e guida perenne del cammino
dell'Umanità verso la mèta dei suoi destini, dalle mani di
una generazione in quelle della generazione che le succede.
L'uomo-singolo si emancipa — in Atene, in Roma, nelle re-
324 SULLA STORIA DEL DIRITTO.
pubbliche del mondo antico — dai patriarcati, dai patriziati,
dalle oligarchie timocratiche, che occupavano coi loro privi-
legi parziali il pubblico reggimento; e veste persona civile
e politica fra liberi ed eguali, nel privilegio comune della
città pareggiata; creando, sopratutto ne' romani istituti, l'equo
Giure privato e pubblico. La sua ragione dissolve, coi primi
tentamenti della filosofia e della scienza, i veli delle vecchie
Teogonie; riflette ne' suoi Numi il proprio ideale, e disegna
l'Olimpo degli Dei ad immagine della città terrena. L'antica
giustizia e libertà soggiacciono, per interna perversione, alla
forzata tutela dell'Impero; l'Impero cade sotto il ferro dei
Barbari: ma l'opera emancipatrice continua. L'individuo,
spoglio della veste pagana, abbandonato senza schermi di
cittadine difese alla violenza invadente, sottrae moralmente
la sua vita interiore alla pristina servitù e all'arbitrio dei
nuovi dominatori, mercè la virtù del Verbo cristiano. Spento
il cittadino, risorge, fra iniziazioni nuove e nuovi stimoli,
l'uomo ; il quale cerca ed interroga — prima nella comunione
della Chiesa guardando al Cielo, indi nelle fraterne corpo-
razioni delle arti e nei restaurati Comuni guardando a' suoi
uffici sopra la terra — l'arcano del suo avvenire. Sodalizi ar-
tigiani, città e contadi si affrancano dalle Signorie feudali ;
conquistano a Legnano e suggellano a Costanza il patto delle
loro franchigie. 11 pensiero si umanizza, s'incivilisce, s'-in-
forma a vita propria ne' linguaggi nazionali. La filosofia e
l'arte escono dai Conventi e apparecchiano, inurbandosi, le
primizie del Rinascimento e della Riforma. L'opera emanci-
patrice procede. La individualità umana consegue grado a
grado le guarentigie legali e i presidi politici delle sue fran-
chigie — da prima in Inghilterra con la Magna Charta * nel
secolo XIII, è con la triplice conferma dei Diritti, Petition
ofBight* Declaration of Righi, Bill of Righi,* nel secolo XVII;
' Primo patto fondamentale delle natie libertà del Popolo inglese,
imposto dai Baroni al re Giovanni senza terra, nei campi di Runnymede
(17 giugno 1215). - {Nota delV Autore.)
'^ Seconda rivendicazione d'esse libertà, dovuta sancire dal re Carlo I,
in pieno parlamiento, con la formula d'obbligo: « soit droit fait comme est
désiré » (anno 1628), e integrata à.9\VHahea8 Corpus Ad, sotto Carlo II
(anno 1679). — {Nota dell* Autore.)
^ Atti confermativi dei diritti e delle libertà della Nazione Britan-
nica, votati con autorità sovrana dalla Convenzione Nazionale che destituì
Giacomo II e chiamò al trono Guglielmo d' Grange (anno 1689). — (^o<a
dell'Autore.)
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 325
poi in America e in Francia, con la proclamazione dell' in-
dipendenza e dei Diritti dell' Uomo, nel secolo XVIII; coro-
nando il ristauro del Diritto comune contro i privilegi della
Madre-Patria da un lato, della civiltà contro gli abusi in-
veterati del feudalismo e della monarchia di diritto divino
dall'altro; e compiendo nelle regioni dello, spirito, con l'af-
fermazione della libertà del pensiero e della coscienza, l'opera
lasciata a mezzo dai seguaci di Calvino e di Lutero.
Così r Umanità, nel corso solenne della sua Storia, venne
scoprendo e svincolando dalle forme sociali del passato uno
dei termini dell'esser suo, una delle incognite del problema
della sua vita: l'autonomia, cioè, dtlla persona umana, e i
titoli fondamentali, inviolabili della sua libertà. Ma l'Uomo,
sciogliendosi d'epoca in epoca dai vincoli dei passati orga-
namenti religiosi e politici della società, e individuando sem-
pre più la sua azione nel seno della medesima, attuò in parte
— non in tutto — il suo destino ; affermò sé stesso, ma ri-
mase solo e infelice in mezzo alla opulenza da un lato, in
mezzo alla miseria dall'altro, dinanzi ad un'altra incognita,
adombrata nell'antica e nella moderna età dalla immagina-
zione e dalla utopia, scòrta appena da lunge a' dì nostri nelle
sue linee generali della Scienza. Caddero, infranti dall'indi-
vidualismo ellenico, i sacri riti anfizionici e i patti federali
delle leghe greche ; caddero le prische federazioni italiche e
i santi istituti del Gius Feciale, connessi con quelle; e Roma
perdette, perla privata cupidità de' suoi maggiorenti, il nerbo
dell'antica virtù e il rispetto delle sue libere leggi: onde la
civile associazione dei Popoli intorno alla Città-Madre della
loro coltura fu sacrificata alle rapine della conquista, e la
interna libertà alla forzata unità dell' Impero. E, dal medio-
evo in poi, la progressiva emancipazione della persona umana
dagli ordini della Teocrazia e della Feudalità, e il correlativo
sottrarsi degli Stati dal Giure imperiale e canonico, che ne
informava le mutue relazioni e li subordinava a un comun
centro di autorità, demolì l'artifiziata compagine della vec-
chia società, ma allentò il freno, ad un tempo, all'anarchia
delle tendenze individuali ed egoiste, e al vario errore delle
negazioni e delle infermità fra le quali l'età presente non sa
trovar posa ed assetto.
* Detto da Cicerone: Sanctiseimum Jus, — {Nota dell* Autore.)
326 SULLA STORIA DEL DIRITTO.
Or, che resta?
L'autonomia dell' aomo-ìndividno e i titoli fondamentali
inviolabili della sua libertà, l'autonomia delle Nazioni e i
loro titoli alla indipendenza e al governo di sé medesime,
sono acquisti della Ragione e del Diritto, connaturati oggi-
mai alla vita stessa dell'incivilimento moderno, e staranno,
come vuole natura: né la necessità di tali principi cesserà,
d'essere riconosciuta per fallacia di sistemi o per arbitrio di
autorità che faccia ad essi contrasto dai recinti dello Stato
o del Tempio. — Ma l' individuo è impotente per sé a rag-
giungere il fine della civiltà; a recare in atto, isolandosi,
tutta la potenza possibile delle umane facoltà : totam poten-
tiam intelledus possìbilis — secondo la felice espressione di
Dante.* L'uomo, chiuso ne' confini delle sue utilità e de' suoi
godimenti privati, è una forza che dissolve il nesso sociale,
un egoismo che consuma sé stesso. Il Diritto non approda
a buona socialità senza il Dovere; ed è giusto e santo sol
quando si eserciti, non come fine a sé medesimo, ma con[ìe
meiszo al fine comune della umana compagnia, al bene e al
progresso de' singoli sulle vie del bene e del progresso di tutti.
\j uomo-individuo dee compiersi pertanto nell'uomo sociale.
L'anarchia é fenomeno che non dura nel processo delle cose
umane, come non durano la negazione dell'Essere e della
Libertà, della Legge Morale e del Dovere. L'Umanità ha sco-
perto e definito, a traverso le lotte e il dolore di trenta se-
coli, una delle condizioni della sua vita. L'inquietezza che
oggi la travaglia è una aspirazione a definire, ad attuare
l'altra condizione indispensabile al suo ufficio sopra la terra,
ed accordare insieme i due elementi dell'esser suo, indiriz-
zandoli al pieno sviluppo delle sue facoltà. La tendenza ge-
nerale dell'intelletto de' tempi si risolve infatti in un gran
moto del pensiero e dell'azione dell'-Uomo dal particolare al-
l'universale, dal concentramento solitario della vita indivi-
duale alla partecipazione della medesima nella vita collettiva
del genere umano. Il pensiero moderno abbraccia, nel tempo
e nello spazio, tutta la serie delle vicende storiche dell'Uma-
nità, ne comprende le relazioni, gli svolgimenti, le fornae,
* Monarchia, I. — G. Mazzini svolse e illustrò in più luoghi de' suoi scritti
politici e letterari il concetto sociale di Dante e la teoria dell' umano
progresso, da me toccata in queste pagine. Vedi i Doveri delVUomo,e gli
altri suoi scritti, passini. — {Nota deir Autore,)
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 327
come attenenze di un tutto vivente e progrediente per intima
solidarietà di natura, sotto il governo di una legge comune.
Le Lettere, l'Arte, la Scienza, vanno ognor più riflettendo in
sé stesse l'intelletto di queste attenenze, il senso di tale so-
lidarietà; e, allargando il loro intento, armonizzano i tipi
nazionali ■— senza svestirli de' caratteri indigeni e propri —
nel eomun tipo umano. L'azione segue di conserva la legge
del pensiero ; abbraccia con le sue operosità, con le sue co-
municazioni, co' suoi scambi, tutte 1q contrade del globo;
congiunge le varie genti, senza cancellarne le natie disposi-
zioni e le particolari attitudini, nella colleganza dei mutui
interessi ed uffici, nella coscienza de' destini comuni. E que-
sto procedere delle sparse membra dell'umana famiglia dal
molteplice all'uno, dal discorde al concorde operare, dalla
repulsione selvaggia e dallo stato di guerra alla buona com-
pagnia civile, ha riscontro nelle odierne rivoluzioni e vicis-
situdini dei Popoli e nella vocazione del secolo alla giustizia
internazionale e alla pace.
I tentativi di organizzazione religiosa sociale e politica
delle età trascorse fallirono, perchè costringevano la indivi-
dualità dell'uomo e la individualità dei Popoli a forme im-
poste loro aà arbitrio, soggiogando natura, libertà e diritto.
La ragione dell'età che sorge dinanzi a noi, intende ad in-
tegrare la vita autonoma de' singoli individui, delle partico-
lari comunità e delle Nazioni nell'ordinamento elettivo delle
loro funzioni sociali, secondo l'obbietto e la competenza pro-
pria de' graduati uffici di queste: in altri termini, all'armonia
della libertà con l'associazione, del Diritto col Dovere, delle
parti col tutto, nell'ordine della famiglia e della proprietà,
della città e dello Stato, e delle scambievoli relazioni degli
Stati fra loro. Donde gl'inizi della nuova scienza giuridica
de' tempi nostri.
II compito ch'io mi propongo di proseguire con voi in
queste mie lezioni nel presente anno scolastico, tentando con
forze inferiori l'arduo e faticoso tema, è di riandare ne' suoi
capi principali la Storia del Pubblico Diritto nell'antichità ita-
lica e ne' successivi periodi della ragion romana, dalle origini
sino alla caduta dell'Impero d'Occidente; per farmi strada da
queste fonti a trattare in altro corso ed anno — se le scarse
forze e la vita non mi abbandoneranno per via — delle vicende
del Diritto delle Genti, nel medio-evo e nella età moderna.
328 SULLA STORIA DEL DIRITTO.
Ai difetti, alle lacune, alla pochezza dell'opera, apparec-
chino venia il mio buon volere, la vostra indulgenza, e il de-
siderio che voi, o Giovani, indirizziate i generosi studi ad
opere generose per la Patria italiana ; alla quale un' insigne
tradizione di civile sapienza e virtù, i sacrifici de' suoi Mar-
tiri e i voti de' suoi migliori non consentono di venir meno
alla nobiltà del suo ufficio nel mondo delle Nazioni.
L' alternarsi, il confondersi, il combattersi delle pretese
emergenti dalle tre forme di cui a vicenda tentò vestirsi il
principio di autorità e sovranità nel medio-evo costituiscono
r intreccio del dramma della Storia ne' primi tre secoli
dopo il mille. La tradizione popolare romana suscita le in-
terne contestazioni della Città coi Papi per la libertà del
Comune; ispira, sovente, altere comechè impotenti proteste
a' suoi magistrati, dinanzi ai re stranieri che scendevano in.
armi in Italia ad usurpare la corona imperiale; splende nella
figura di Crescenzio e nella protesta di Arnaldo ; esalta il
nobile orgoglio di Dante; illude Petrarca, e svanisce come
l'ombra di un sogno con Cola di Rienzo; ma per isvilupparsi
dal suo involucro storico, dalle pastoie della forma antica,
dal privilegio della egemonia ideale di un Popolo Sovrano,
e salire a principio universale, fondato sulla eguale natura
dei Popoli, nel pensiero di uno dei grandi precursori italiani
della ragion moderna — Marsiglio da Padova.
La tradizione imperiale autocratica e antipapale s'aflFerma,
dinanzi alla decadenza della Chiesa, con gì' Imperatori della
Casa Salica, prima del pontificato di Gregorio VII ; è rias-
sunta vigorosamente dagli Imperatori della Casa Sveva;
grandeggia in Federigo Barbarossa e in Federigo II; e si
dilegua, con la morte di quest'ultimo, dal suolo italiano, per
non lasciarvi che il simulacro di una forma d'autorità senza
contenuto reale, sino a che la fortuna di Carlo V non la ri-
chiami in vita.
La tradizione teocratica infine, forte del consenso dei Po-
poli sinché prevalse in essa l'elemento morale dandole il ca-
rattere di un alto arbitrato di giustizia in difesa dei deboli
contro i potenti, di un freno alle passioni e all'arbitrio dei
dominatori di una Autorità che rappresentava un Dovere^
scadde allorquando questi alti intendimenti dell' Ideale reli-
gioso de' grandi secoli della Chiesa furono sacrificati alla sete
di ricchezze e di potere, all'ambizione del principato, all'or-
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 329
goglio di una assoluta dominazione, non solo in ordine alle
cose spirituali, ma eziandio alle cose civili, invadendo le ra-
gioni degli Stati e adulterando la religione con la politica.
La tradizione teocratica potente in Nicolò I, in Gregorio VII,
in Innocenzo III, perchè ministra in essi, secondo la coscienza
dei tempi, degl'imperativi della Legge Morale, finì, profanata
nel fango de' materiali interessi, in Bonifazio Vili e negli
altri Papi, che condussero la Chiesa alla servitù d'Avignone,
e che Dante — il gran Giudice — fa piombare capovolti nelle
fiamme del suo Inferno.
Allora — secolo XIV, — - venuta meno o ridotta a mera
forma la giurisdizione delle due somme potestà, sotto le quali
s' era venuta formando e svolgendo, ne' secoli anteriori, la
vita de' sociali organismi dai quali doveva emergere la mo-
derna civiltà ; allora, dico, se da un Iato vediamo disinte-
grarsi ciò che prima era, in certo modo, tenuto insieme da
una comune autorità — e i Comuni affermare viepiù sempre
la loro autonomia, sopratutto in Italia, e le Signorie feudali
tramutarsi in Principati patrimoniali indipendenti — va, dal-
l'altro lato, operandosi un processo di assimilazione j)rogres-
siva degli elementi affini, ch« determina la costituzione dei
grandi Stati, e prepara il terreno al sistema delle relazioni
politiche e diplomatiche dell' Europa moderna.
La gran disputa fra civilisti e canonisti sui limiti della
giurisdizione ecclesiastica e della giurisdizione politica ne' loro
mutui rapporti, precorre alle ragioni dell'odierno diritto ri-
spetto alle relazioni fra Stato e Chiesa. La discussione in-
torno ai confini dell'Autorità Papale dinanzi all'Autorità col-
lettiva dei Concili, gli scismi del secolo XV, e i progressi
simultanei della critica storica, apersero la via alla Riforma
religiosa e al libero esame della ragion moderna.
La Lega delle Città Lombarde, vincitrice a Legnano, avea
ottenuto, coi Patti della Pace di Costanza, la Carta delle
libertà dei Comuni nelle loro relazioni con l'Impero. La Lega
dei Baroni coi Comuni d'Inghilterra avea rivendicato, coi
patti imposti al re Giovanni, la Carta delle libertà dell'uomo-
individuo ne' suoi rapporti con lo Stato.
Ivi spuntava il principio dell'autonomia dei corpi collet-
tivi nella cerchia de' loro particolari interessi ; quivi sorgeva
il principio dell'autonomia della persona umana nel legittimo
esercizio delle sue facoltà di pensiero e d'azione. E da questi
XII. 22
330 SULLA STORIA DEL DIRITTO.
due ordini di franchigie, iniziati da quegli antichi ai primi
albori della rinascente coscienza del Diritto nel medio-evo,
discendono le norme fondamentali delle libere costituzioni
de' giorni nostri.
Seguono, con la libertà dei Comuni, con la emancipazione
delle Corporazioni delle Arti dal giogo delle Signorie feudali,
e con le Leghe Anseatiche, gli incrementi delle industrie e
dei commerci, il risveglio del pensiero, l'espandersi delle re-
lazioni e delle forze economiche e intellettuali del ter^o stato
da Nazione a Nazione ; e, nelle città italiane da prima, in
Francia e altrove dipoi, la trasformazione delle condizioni
sociali e la progressiva parificazione delle cittadinanze gene-
rano una generale tendenza alla parità del Diritto. D'onde
il ritorno allo studio della Ragion Romana nelle scuole di
Giurisprudenza istituite dai nostri Comuni, e l' immensa im-
portanza acquistata dai commentatori delle antiche leggi
civili in una società che, uscendo dagl'istituti della barbarie,
trovava in quelle leggi criteri di eguale giustizia e d'equità
rispondenti all'esplicarsi della sua vita e ai bisogni del suo
nuovo stato.
Da indi in poi la Storia della coscienza e della scienza
del Diritto corre parallela alla Storia dei progressi della
civiltà. Per legge inerente alla natura stessa dell'Uomo nelle
sue manifestazioni sociali, un duplice processo di disintegra-
zione degli elementi fondamentali della società di mano in
mano che l' individuo va acquistando il senso della propria
personalità, e di coordinamento elettivo degli elementi* disin-
tegrati nelle relazioni del consorzio civile, si svolge di grado
in grado, con forme e proporzioni varie secondo i luoglii,
nella vita delle Nazioni.
La scienza del Diritto, seguace da un lato, guida dall'al-
tro, della coscienza dei Popoli, definisce i titoli dell'autono-
mia dell' individuo, ne' suoi rapporti con le persone e con le
cose, sancisce e perfeziona l'ordine delle guarentigie che ne
tutelano la libertà e la sicurezza contro le ingiurie private
e gli arbitri dei pubblici poteri ; determina i confini delle
autonomie parziali nel seno delle nazionali associazioni ; pre-
correndo, dietro il lume di ideali che hanno il loro fonda-
mento nella legge stessa di evoluzione degli umani consorzi
a tipi sempre più vasti ed armonici di universale associa-
zione.
W?i>i<'
SULLA STORIA DEL DIRITTO. 331
Lungo la via de' suoi progressi, che rispondono ai progressi
dell' intelletto universale, essa studia il significato delle forme
storiche del Diritto nelle età passate ; ne scopre i sensi ri-
posti e il fondo comune sotto la varietà delle parvenze este-
riori ; sottrae i propri criteri ai fantasmi delle teologie e
delle metafisiche che dominano gì' istituti della fanciullezza
delle Genti; e s'inalza, illuminata dalla esperienza e dalla
coscienza ad un tempo, all'intelletto della legge intrinseca
delle cose, alla ragion pura de' rapporti dell' Uomo sociale
con la Natura e con la Famiglia Umana di cui è parte.
Con l'occhio vòlto alla accennata legge di svolgimento e
di progresso della Civiltà — e conseguentemente del Diritto
— verso archetipi di associazione sempre più razionali, il che
vai quanto dire più conformi alla naturale equità ; io mi
propongo di studiare con voi, in quest'anno scolastico — al-
meno ne' loro tratti più importanti, in ordine alla Storia del
Diritto — le origini del risorgimento civile nel medio-evo.
E da che il fatto della risorta Civiltà fu, in gran parte,
un risveglio delle tradizioni romane nel pensiero italico, ed un
ravvivamento de' germi di vita e di azione contenuti nell'or-
ditura della Società antica — segnatamente negli ordini mu-
nicipali, nei Collegi delle Arti e nei rapporti stabilitisi, negli
ultimi secoli dell'Impero, fra la proprietà e il lavoro agra-
rio, mercè l'enfiteusi e il colonato — così io comincierò, in
questa prima parte del Corso, da una rapida rassegna delle
forme imperiali dello Stato, delle loro vicende e della loro
influenza sulla barbarie; de' rapporti della Chiesa con l'Im-
pero e con la Società dopo la conversione di Costantino;
delle tradizioni dei Municipi e delle Corporazioni artigiane
antiche, come addentellato alla ristaurazione del Comune e
delle Compagnie delle Arti ne' secoli di mezzo ; dei contratti
di enfiteusi e di colonia parziaria; dell'influenza esercitata da
Roma, sui barbari con le tentate colonizzazioni oltre il Reno
e il Danubio, proseguite dalla Chiesa dopo la caduta dell'Im-
pero; cx)n l'ammissione di coloni germanici e traci nelle terre
provinciali; coi vincoli infine di patronato e di clientela stretti
fra. gV Imperatori e le Federazioni barbare — ultimo riflesso
dell'antica tradizione romana di Diritto Pubblico esterno,
non infeconda di conseguenze ne' tempi che seguirono.
E — perchè la prima e più alta potenza, animatrice delle
/acoltà dell'Uomo nell'opera del suo destino, è quella delle
332 SULLA STORTA DEL DIRITTO.
idee, le quali, riflettendo ed elevando a dignità di principi
normali, mercè la speculazione filosofica, gì' intimi sensi del
Bello, del Buono e del Giusto, deposti dalla Natura nell'essér
suo, portano luce agi' intelletti, che desta e scalda la volontà
all'azione — - così io vi discorrerò dei progressi che la Filo-
sofia civile degli antichi, passando dai Greci ai Romani, avea
raggiunti intorno alle idee di Giustizia e d'Umanità, quando
il Cristianesimo venne a recare alle genti il Verbo della
Eguaglianza e della Fraternità umana. Vedremo come quelle
idee, per sé stesse da prima, indi per la nuova virtù in esse
infusa dalla miglior parte della Morale cristiana, influissero
sui progressi del Diritto ne' rapporti delle persone e delle cose,
nonché in quelli dell'umana Associazione in generale; conte-
nendo in sé le prime linee luminose degl' Ideali che la sciènza
e la coscienza delle età che successero, vennero proseguendo
ed esplicando, per lunga e faticosa via, sino ai di nostri.
Nella decadenza dell' Impero e dopo la sua caduta, la
favilla immortale dei Veri intraveduti dagli antichi rimase
come sepolta sotto le ceneri per secoli d' ignoranza e d'oblio ;
ma giunse tempo nel quale, scoperta novellamente, doveva rav-
vivarsi ne' più alti intelletti, e diventar luce e guida al cam-
mino della risorgente, civiltà. È gloria della Patria nostra —
custode domestica delle memorie antiche — l'essere stata la
prima a rialzare, fra le tenebre della barbarie, la face del pen-
siero, iniziando i padri delle Nazioni europee, al moto ideale,
che risospinse l' Umanità sulle vie della Vita e del Progresso.
Ma quella gloria sarebbe, per noi, vanto d' inetta vanità.,
se non destasse negli animi nostri il senso delle alte respon-
sabilità che la nobiltà degli avi impone anche ai tardi ni-
poti : se, indegni del < latin sangue gentile > e inconsci della
dignità dell'umana natura e delle grandi vocazioni della no-
stra stirpe, preferissimo all'alto intendere e al forte operare
r ignavia di un ozio servile, alle virtù di una Libertà mini-
stra del Dovere il giogo delle più basse passioni, alla realtà
della vita, illuminata dal sapere e dalla coscienza del Bene,
l'ombra del nulla.
Spetta a voi. Giovani, il fare onore, con generosi studi
ed opere, ai grandi ricordi del passato, e assicurare all' Ita-
lia nostra un avvenire degno della nobiltà del suo nonae.
333
L'ITALIA E IL DIRITTO PUBBLICO NEL MEDIO-EYO.
PRELEZIONE LETTA NELL'ATENEO BOLOGNESE
IL 16 NOVEMBRE 1884.»
Quando, or ha un anno, assunsi per soggetto delle mie
letture il tema eh' io definii col titolo di : < Studi sulla sto-
ria del risorgimento civile d'Italia nel medio-evo, in rela-
zione alle vicende del Diritto Pubblico >, era mio proposito
di passare in rassegna, da un lato gli elementi di organa-
mento sociale, politico e religioso, lasciati in retaggio dalla
civiltà romana cristianizzata alle nuove generazioni; dall'al-
tro i costumi introdotti dagl'invasori; studiarne i mutui in-
flussi e seguirne gli svolgimenti, segnatamente in Italia, sino
alla soglia dell' età moderna.
Impedimenti vari mi arrestarono per via. Ora riprendo
il cammino riassumendo il filo delle cose discorse nelle mie
prime lezioni sull'argomento.
La storia della civiltà dall' evo medio in poi, in tutte le
contrade d' Europa, ma più che altrove nella patria nostra, si
differenzia dall'antica per la natura varia e complessa degli
elementi che si contesero in essa il dominio della Società. ,
La storia di Roma antica è un tutto mirabilmente infor-
mato'ad una grande unità e continuità d' esplicazione spon-
tanea, dai germi primitivi della costituzione privata e pub-
blica della città alle sue ultime forme.
Le successive trasformazioni del Diritto, sì negli ordini
della sovranità e dello Stato come in quelli della società do-
mestica, sono altrettanti allargamenti dell'associazione civile
dal particolare all' universale, dal privilegio patrizio alla co-
munione civica, dai rapporti dell' antica gentilità a quelli
della natura negl' istituti della famiglia. Anche quando, pei
sinistri effetti del disequilibrio economico e delle conquiste
esterne, la Repubblica cede all' Impero, la base della sovra-
nità rimane nominalmente la stessa : il principio della'dele-
* Dal Diritto dell' 8 e 9 dicembre *84.
334 L'ITALIA E IL DIRITTO PUBBLICO
gazione popolare del potere è riconosciuto, con finzione legale,
dagli stessi imperatori, come fonte della loro autorità; e la
civile Giurisprudenza continua, malgrado la spenta libertà,
a svolgere dai precedenti dell'equità pretoria le norme di
quella eguale Giustizia ne' rapporti del Diritto privato che
la coscienza giuridica di Roma antica, coadiuvata più tardi
dalla Filosofìa degli stoici, tramandò all'ammirazione dei
posteri.*
Nel medio-evo il dramma della Storia si complica, si di-
versifica in una moltitudine d' aspetti vari. Infranta l' unità
romana, i particolari organismi già in essa contenuti — mu-
nicipi, colonie, collegi delle arti, federazioni* agricole di Iceti
— abbandonati a sé stessi fra gì' impeti della barbarie, con-
centrano il senso e l'opera della vita sociale ne' confini delle
loro circoscrizioni locali. GÌ' istituti degl' invasori si contrap-
pongono in Italia, fissata la conquista longobarda, agl'isti-
tuti de' vinti. Al Comune romano s' inframmettono le fare
germaniche; le Corti regie e ducali signoreggiano le città; le
centurie armate de' conquistatori si stanziano ne' pagi e nei
fóri della gente latina; le consuetudini barbariche bandiscono
le antiche leggi, le quali rimangono materia di volontaria
giurisdizione nelle transazioni private de' nativi fra loro. Gli
enfiteuti e i coloni degli ultimi secoli dell'impero, i collegi
degli artefici e dei commercianti, diventano tributari de' nuovi
Signori; la nobiltà decurionale è soprafifatta dalla nobiltà
della spada.
Più tardi la Feudalità avvolgerà nelle sue spire, con certo
ordine di mutue obbligazioni, le diverse, sciolte, erranti forze
del sociale consorzio ; e sarà un progresso pe' tempi. La Chiesa
e l'Impero tenteranno a vicenda di mettere ordine nel 'caos,
di ridurre quelle forze sotto il sindacato di una comune au-
torità, di un regime comune. Ma né la Regalità feudale, né
la Chiesa, né l'Impero riescono nella prova. L'antagonismo
degli elementi eterogenei, discordi, individualizzati, della so-
cietà medioevale perdura e si comunica ai Poteri che si eraxio
assunta la missione di ordinarli e governarli. La Chiesa,
mercé le investiture delle terre imperiali nelle mani de'siioi
* Della evoluzione storica delle forme del Diritto, a seconda de' pro-
gressi della Ragion naturale presso i Romani, ha trattato splendidamente
il prof. G. Ceneri nella Prolusione ai corso delle sue lezioni pel presozite
anno scolastico. — {Nota dell' Autore.)
NEL MEDIO -EVO. 335
ministri — vescovi, abati, ec. — è invasa dalla feudalità, dalla
simonia, dai corrotti costumi del tempo, e si scinde in sé
stessa. Di fronte alla gerarchia de' signori ecclesiastici, infeu-
dati per le loro temporalità all'Impero, sorge il partito della
riforma morale e della libertà delle elezioni spirituali, spal-
leggiato dai monaci e dal popolo.
Esce dal seno delle moltitudini il grido contro i prelati
simoniaci e concubinari, e lo raccoglie Ildebrando; il quale,
assunta la tiara, volge l' alto ingegno e la ferrea volontà ad
attuare l' ideale cristiano dell' età sua : la supremazia, cioè,
della potestà spirituale sulla temporale, mediante l'emanci-
pazione della Chiesa dai vincoli del vassallaggio feudale e la
puriiScazione dei costumi nel sacerdozio — interprete supremo
della Legge Morale e giudice delle dififerenze fra principi e
principi, fra gente e gente, fra sovrani e sudditi, il Pontefice
romano. La grande feudalità ecclesiastica pesava sulle città e
sui contadi, sulle plebi urbane, sui minori vassalli e sui servi
della gleba, con le sue esazioni, con le sue sevizie e con le
sue corruttele. Laonde la sfida di Gregorio VII contro En-
rico IV e i grandi vassalli ecclesiastici, in nome della libertà
della Chiesa, fu ad un tempo sfida di Popolo contro i suoi
oppressori, e sfida nazionale contro la forza straniera a cui
si appoggiavano. Dal cozzo delle due podestà uscirono quindi
le prime faville delle franchigie dei nostri Comuni. Vediamo,
infatti, sin da quel tempo — seconda metà del secolo unde-
cimo — formarsi in Milano e altrove le motte o leghe di ar-
tefici, di arimanni e di valvassori o vassi minori, che ven-
nero poi incorporandosi nelle cittadinanze de' nuovi Comuni.
Senonchè quelle franchigie non erano che il fatto uscito
dalle vicende della guerra tra la Chiesa e l'Impero; ma non
avevano, agli occhi di quelli stessi che ne fruivano, sanzione
di diritto per ragion propria. L' idea di un diritto nativo
della università degli associati all' esercizio indipendente di
certe libertà fondamentali e alle prerogative della sovranità
nelle elezioni e nel sindacato dei pubblici poteri, non era
nella coscienza dei Comuni del medio-evo. Essa dovea risor-
gere più tardi, nell'ordine del pensiero, con Marsilio da Pa-
dova e con altri, come teoria dedotta dalle tradizioni della
ragion politica dei Greci e de' Romani, ed esplicarsi pratica-
mente^ nell'ordine delle istituzioni, dai semi delle consuetu-
dini germaniche, in quelle contrade d' Europa che si sottras-
336 ' L'ITALIA E IL DIRITTO PUBBLICO
sero per tempo alla giurisdizione papale e imperiale, come
la Svizzera e l'Inghilterra. Ma, nell'ambito di tale giurisdi-
zione, le due supreme facoltà del mondo cristiano apparivano
air intelletto de' popoli, piegati al giogo di una lunga tutela,
come la fonte della Sovranità, della Giustizia e del Diritto.
Da tal fonte scendeva, come privilegio concesso da Signore
a sudditi, la liberfas de' nuovi Comuni. Aveano conquistato
certe immunità contro i loro padroni immediati, vassalli del
Papa o dell'Imperatore; e il Papa o l'Imperatore confermava
con apposite carte nelle loro mani le immunità acquistate,
salvo l'omaggio all'alta sovranità del concedente e i servizi
inerenti alla loro condizione di città dell'Impero o della
Chiesa. Onde il Comune del medio-evo godeva di una senai-
libertà, che lo costituiva, verso il Potere sovrano da cui gli
era concessa, in quella stessa relazione di dipendenza feu-
dale che legava al medesimo i propri vassalli. Ed era tanto
radicata nei costumi questa forma di giurisdizione scendente
dall' alto, che le stesse città libere, estendendo i loro contadi
e aggregando al loro dominio città minori e castella per forza
d'armi o per compra o xver dedizione spontanea, l'adotta-
vano ne' loro rapporti di governo con esse, mandandovi po-
testà e giudici di loro elezione, ed obbligandole ad omaggi,
a tributi, a servigi analoghi a quelli del vassallaggio feudale.
Il che fu non ultima cagione del prolungarsi delle discordie
e delle guerre intestine che travagliarono gran parte d'Italia,
e segnatamente la Toscana, l'Emilia e la Romagna, anche
dopo la gran lite fra Guelfi e Ghibellini. Devo notare però
che r allargamento de' contadi comunali a danno della no-
biltà rurale indusse una considerevole miglioria nello stato
civile de' lavoratori della terra, mutandoli di servi della gleba
in liberi fittaiuoli, coloni o mezzadri; di che esistono, come
vedremo, insigni documenti nelle Memorie del medio-evo.
Le carte di aflFrancazione degli agricoltori per fatto de' no-
stri Comuni, di mano in mano che questi estendevano la loro
giurisdizione sui contadi da prima soggetti ai Signori feu-
dali, costituiscono uno de' più nobili titoli della risorgente
civiltà italica alle celebrazioni della Storia. Per esse la tra-
dizione civile del popolo de' vinti rivendicava, alla base della
Società, i diritti della personalità umana contro gli avanzi
della conquista barbarica, e preparava, nella eguaglianza del
Comune, gli elementi della Nazione futura.
NEL MEBIO-EVO. 337
Ma, come ho detto, questo svolgimento di fatto delle po-
polari franchigie, nella cerchia delle precarie autonomie dei
Comuni, pendeva da un Diritto che, secondo le idee dei
tempi, non era in loro, ma al disopra di loro; nelle ragioni
cioè del Papato e dell'Impero. La importanza sociale delle
città, maggiore in Italia che altrove, e gli incrementi di ric-
chezza, di forza e d' intelletto da queste raggiunti, mercè la
espansione delle loro operosità industriali e commerciali, le
resero esenti per ben tre secoli dalla diretta ingerenza delle
due Potestà, scadute, in quel periodo, d'autorità e di potere.
Ma doveva venir tempo nel quale i titoli di un diritto sto-
rico, che pareva ridotto a un semplice nome, avrebbero ri-
preso attualità e forza, torcendo l'armi spirituali e le tem-
porali insieme congiunte a sopprimere tutte le libertà sorte,
in quei secoli, dalla vita civile de' Municipi italici, e inizian-
do, con r alleanza segnata in Bologna tra Clemente VII e
Carlo V, una reazione politica e religiosa che doveva avvol-
gere nelle sue strette tutta l'Europa cattolica.
Vollero le sorti dell'umano progresso che il connubio dei
due poteri si effettuasse quando le energie e i frutti della
civiltà erano ormai pervenuti a tal grado di maturità e di
estensione, da non poter essere onninamente disfatti; — quando
le principali nazioni d'Europa s'erano già costituite a Stati
indipendenti — e quando la Protesta religiosa stava per sot-
trarre metà della Germania e della Svizzera, la Gran Bre-
tagna, le Fiandre, alla giurisdizione spirituale della Curia
Romana. Che se l'Impero e il Papato avessero fatto causa
comune, sino dai primi tempi, nella Cristianità d'Occidente,
é il principio teocratico fosse riuscito ad assimilarsi il prin-
cipio imperiale, o questo quello, mentre la mente e le forze
de' popoli erano ancora nell' infanzia, è da presumersi che i
progressi dell'incivilimento europeo sarebbero stati arrestati
per lunga stagione, sotto l'incubo di una universale passi-
vità bisantina.
La lotta fra le due Potestà sprigionò le latenti energie
dell'Europa occidentale, e aperse il varco ai destini della fu-
tura civiltà delle genti.
Quella lotta era nella natura delle cose.
In Oriente la Chiesa cristiana, data alla speculazione tae-
tafisica e alla sofistica teologica, più che all'azione, fu adot-
tata da Costantino come Chiesa dello Stato. Il concetto an-
338 L'ITALIA E IL DIRITTO PUBBLICO
tico della supremazia del potere politico sul potere sacerdotale
prevalse sul concetto cristiano della superiorità delle cose
spirituali sulle temporali; e la Chiesa Greca divenne stru-
mento dell'autocrazia imperiale.
In Occidente, la Chiesa — allorché la sede dell'Impero fu
trasferita da Roma a Bisanzio, e più ancora dopo la caduta
dell' Impero stesso — assunse un' autonomia morale che i Pa-
triarchi di Costantinopoli e d'Alessandria non conobbero mai.
I Concili della Cristianità occidentale emanavano i loro de-
creti in virtù di un'autorità che non dipendeva dai poteri di
questa terra, estendendo sovente le loro disposizioni legisla-
tive anche alle cose civili, come ne abbiamo testimonianza
in molte sentenze dei Canoni informati alle norme dell'an-
tica sapienza ed equità romana.
Roma, per l'assenza degl' Imperatori abbandonata quasi
a sé stessa, potè serbare, malgrado lo scadimento dello spi-
rito pubblico e dei costumi, i vestigi delle antiche forme della
cosa pubblica e come un'ombra della sua sovranità nel nome
stesso, che vediamo risorgere, caduto l'Impero, di Bespublica
Bomanorum. La tradizione del jus suffraga^ spettante al Po-
polo, e deW audoritas, spettante al Senato nella elezione e
nel riconoscimento del Magistrato imperiale, non si spense
per volger di tempo e di vicende, e parve di tratto in tratto
rianimare nei più illustri fra gli ultimi Romani la coscienza
dell' antica dignità. Il contegno del Senato, che mosse Dio-
cleziano a dispetto, nella sua visita a Roma in mezzo alla
pompa dell'ultimo trionfo imperiale, non era contegno d'animi
servili; e più tardi, i nomi di Simmaco e di Boezio addi-
tano, in mezzo alla rovina dell'Impero, una virtù d'intelletto
e d' alto sentire che ricorda quella dei loro maggiori. E forse,
mercé più accurati studi sulla facile rinunzia della Città so-
vrana al privilegio di custodire nelle proprie mura le inse-
gne della lontana maestà imperiale, riconoscendo sufficiente
al governo d' Italia 1' opera di Odoacre, insignito del titolo
di patrizio, ciò che parve al Gibbon, al Gregorovius e ai più
degli storici, 1' ultima delle abbiezioni, potrebbe apparire il
segno di una vita che si spoglia dei vani simboli di una forma
morta per risorgere a nuovi destini. Ora, la tradizione popo-
lare e il prestigio della sovranità di Roma, come madre della
giustizia e del diritto, perdurarono anche sotto la vicenda
delle conquiste barbariche; e i Papi accrebbero agli occhi
NEL MEDIO -EVO. 339
degli invasori, convertiti alla fede cristiana, V efficacia di
quella tradizione consacrandola con l'autorità della Chiesa,
come gli antichi Pontefici sancivano coi divini auspici l'azione
dello Stato. SiflFatta relazione fra il concetto romano della
sovranità, delegata al supremo imperante per voto e man-
dato della universalità dei cittadini, e l'intervento del mini-
stero sacerdotale per la sanzione divina del rito civile, riap-
parve adombrata nelle formolo e nei procedimenti usati per
la restaurazione della potestà imperiale in Carlo Magno. Il
giorno di Natale dell' anno 800, il clero e il popolo conven-
gono nella Basilica Vaticana, come a grande Comizio, e con-
cordemente intonano le solenni acclamazioni che si usavano
. nella creazione degli Imperatori; indi il Pontefice Leone III
corona l' eletto : < e in tal maniera, dice il Muratori, si vide
costituito da tutti il buon Ee Carlo Imperador de' Romani :
— e aggiunge: -— dopo le quali acclamazioni, il Papa fu il
primo a far riverenza a Carlo, come si costumava con gli an-
tichi Imperadori. >
Vediamo adunque, in Roma come a Costantinopoli, la po-
testà civile, Vimperium, aifermarsi — comechè su base di-
versa, popolare da un lato, autocratica dall'altro — indipen-
dente dal potere sacerdotale nel governo delle cose temporali,
quantunque spettasse alla Chiesa l' ufficio di perfezionare
con la consacrazione divina l'autorità dei reggitori dei popoli,
e di sindacarne gli atti come interprete della Legge morale
e giudice delle umane responsabilità verso Dio. Con questa
differenza però, già da me accennata, fra la Chiesa Greca e
la Chiesa Latina; che, in quella, 'i Patriarchi e i Vescovi
erano più direttamente soggetti all'arbitrio imperiale, sovente
anche in materia di dogmi; in questa, erano, nello spirito e
nella possibilità dell'azione, moralmente più liberi e indipen-.
denti. E, sebbene anche i primi esercitassero non di rado,
per mezzo delle intercessiones, una influenza benefica a prò
dei miseri e degli oppressi, i secondi assunsero, in condizioni
assai più gravi — tra l' imperversare delle invasioni barbare
e di fronte a dominatori rozzi e violenti — il grado di veri
tribuni e tutori dei deboli contro i potenti, della gente vinta
e serva contro padroni sciolti da ogni freno di legge. Donde
il titolo di defensores urbium aggiunto ai Vescovi sin dagli
ultimi tempi dell' Impero d' Occidente e, in seguito, sino al
risorgere della libertà dei Comuni. E tale appunto sembra
340 L'ITALIA E IL DIRITTO PUBBLICO NEL MEDIO-EVO.
essere stata la relazione d' autorità meramente morale del
Vescovo di Roma verso il governo della città, sotto l'Im-
pero Greco e sotto i re barbari; 5Ìno a che le donazioni di
Pipino e Carlomagno non gli attribuirono, entro certi limiti
di dipendenza dalla Potestà imperiale, V alto dominio sulle
terre concesse come in feudo alla Chiesa.
Senonchè, l'autorità papale, fatta forte dalla grandezza
del nome di Roma nell'Occidente d'Europa, dal bisogno della
unità della fede nel seno della Chiesa e dalla virtù di pa-
recchi Pontefici, apostoli di carità, di giustizia e di costume
civile in età barbara, prese in breve ad affermarsi suprema
su tutt' altri poteri. E ne emerse, accanto alla teoria bisan-
tina e alla teoria romana della Sovranità, la teoria teocra-
tica, avvalorata dal prevalere della tradizione giudaica sullo
spirito evangelico negli ordini del sacerdozio cristiano, dalla
presunta autorità delle false Decretali, e dal bisogno univer-
salmente sentito, neir epoca di Gregorio VII, dal basso clero
e dai popoli, di una grande tutela centrale che, diffonden-
dosi dalla Città Sacra per tutte le parti della Cristianità, li
proteggesse dai soprusi de' Signori locali, tanto laici che ec-
clesiastici.
341
FRAMMENTI DI STUDÌ
SULLA STORIA DELL'INCIVILIMENTO.^
{Da un corso anteriore alVanno 1884-85,)
Il passaggio della vita civile de' popoli europei dagl'isti-
tuti del inondo antico a quelli del mondo moderno fra le
perturbazioni della Barbarie, sul terreno preparato da Roma
alla nuova coltura delle genti, è la più grande delle crisi
attraversate dalla Umanità, nel corso de' secoli; la più pro-
fonda manifestazione della perenne rinascenza del pensiero
fuor de' caduchi involucri delle sue forme.
Si dissolve logorato dalle interne corruttele l'Impero, ma
lascia fra le sue rovine residui di organizzazione sociale che
un giorno ritorneranno fecondi. Gl'invasori sembrano im-
piantare nelle occupate regioni il regno di una forza cieca,
ma essi portano seco elementi di vigor virile che ritempre-
ranno le virtù dei vinti, e consuetudini di libertà che, intrec-
ciandosi agl'istituti superstiti della società romana, contri-
buiranno a ridestare ne' volghi oppressi la coscienza del natio
diritto. Ne' recinti delle nuove franchigie l' uomo-individuo
acquisterà il senso della propria personalità e del proprio
valore, e le leghe dei produttori della ricchezza contrappor-
ranno alla nobiltà della terra e della spada la nobiltà del
lavoro.
I giudizi de' posteri eccedettero sovente la giusta misura
sì del biasimo che della lode rispetto all'azione di Roma sulle
sorti delle Nazioni ch'essa sottopose all'impronta delle sue
leggi. I censori più acerbi, parafrasando la fiera invettiva
che Tacito pone in bocca di un capo britanno contro i Ro-
mani,* considerano al tutto esiziale la loro dominazione sui
* Dal Diritto del 24 febbraio '84.
* « .... raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrse, et
mare serutantur.... auferre, trucidare, rapere falsis nominibus, imperium;
atque ubi solitudineDi faciunt, pacem appellant. » {Agricola, § XXX). —
(Nota deW Autore.)
342 FRAMMENTI DI STUDi
popoli soggetti. Gli encomiatori, ampliando l'omaggio di Pli-
nio air Italia/ fanno di Roma la Madre provvidenziale della
Umanità.
Herder, fra i primi, raccogliendo dalla polve di Arminio
l'ira della barbarie avita contro il genio latino, dopo aver
posto in rilievo, fra l'ombre del qnadro, i monumenti della
virtù, della magnanimità, della sapienza del Popolo Romano,
non guarda che al lato sinistro e crudele delle sue gesto e
conclude maledicendo alla sua memoria. Quanto il mondo
ammira ne' suoi fasti e segue tuttora come norma di sapienza
civile, non trova grazia appo lui. La grande città divenne,
per suo avviso, il sepolcro d'Italia. Bisognarono sciami di
barbari per rifornirla di una nuova vita. Del pari, fuor dei
confini della Penisola, Roma non intese che a distruggere.
Le sue leggi, che non convenivano che a lei, spensero o sna-
turarono il carattere de' popoli a' quali furono imposte, sì che
da ultimo, cancellata ogni fattezza nazionale, l'aquila romana
non coperse delle sue ali infiacchite se non il cadavere delle
soggiogate provincie.-
II grido ostile di Herder fu reiterato dalla scuola filoso-
fica, la quale, vòlta a giudicare il passato coi criteri ideali
del presente, mal poteva levarsi ad imparziale sentenza sul
merito delle cose romane. Anche il Laurent, che pure si stu-
dia di pesare con equa lance il giusto e l'ingiusto de' fatti
dei nostri antichi, cede non di rado alla corrente avversa
abbassando da una parte i titoli della ragion romana ed
esagerando dall'altra i benefici dell' influenza germanica nel-
l'arringo della nuova civiltà.''
Fra gli encomiatori, lasciando stare i più antichi e ve-
nendo ai meno lontani, il Gravina, ne' suoi libri De Origine
Juris civilis et de Romano Imperio, argomentando dalla su-
periorità di Roma sulla Barbarie, attribuisce alla prima il
diritto d' imporsi alla seconda in virtù del suo intelletto ci-
vile. La natura stessa, avevano detto Aristotele e Cicerone,
* € .... omnium terraruQì alumna^ eadem et parens; numine Deum
electa quae coelum ìpsum clarius faceret, sparsa congregaret imperia, rì-
tusque molliret; et tot populorum discordes ferasque linguas, sermonis
commercio contraheret: colloquia et humanitatem homini daret: brevi-
terque, una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret. > {Hist. 2>^at.,
lib. Ili, cap. 6). — {Nota dell' Autore,)
* Idées sur la Philosophie de VHiatoire. Vedi la bella tradazione di
Edgardo Quinet, tomo III, lib. XIV. — {Nota delV Autore.)
» Étudea sur VHistoiré de Vhumanité, voi. III e IV. — {Nota déW Autore.)
SULLA STORIA DELL'INCIVILIMENTO. 343
dà alla Ragione l'impero sulla Barbarie. La conquista ro-
mana fu quindi, in sentenza dell'illustre giureconsulto, un
fatto di naturale giustizia necessario alla civiltà del mondo.
€ Di tutte le dominazioni, egli afferma, quella di Roma fu
la sola giusta, perchè avea capo nella Ragione stessa — - in
vertice rationis humance. > L' Impero rappresentava la società
di tutte le genti collegate fra loro dall'equa comunione del
diritto e della cittadinanza — societas omnium gentium cequa
juris oc dvitatis communione contrada.
Questa idea della missione civile di Roma fu svolta con
particolare studio ed amore, a' giorni nostri, da Amedeo
Thierry nella sua Opera Tableau de V Empire Romain. L'au-
tore segue il processo della società romana dalle origini sino
alla caduta dell' Impero d'Occidente, studiandone la progres-
siva esplicazione unitaria, prima in Italia, indi fuori, nelle
forme politiche e amministrative, nel moto delle idee sociali,
ne' rapporti del diritto privato e del diritto pubblico, nel suo-
connubio infine col Cristianesimo. Diresti il suo libro un com-
mento storico dell'Ideale antico intorno alla missione uni-
versale di Roma, una illustrazione della sentenza di Plinio,
da me poc'anzi citata. Egli vede nell'Impero, prima della
sua perversione in regime autocratico, l'organo delle ten-
denze de' tempi verso quell'Ideale. La Repubblica, simbolo
del privilegio della città, caduta in mano degli oligarchi, lace-
rata dalle guerre civili, e fatta esosa ai sudditi per la vena-
lità de' suoi magistrati e la rapacità de' suoi proconsoli; non
era più atta a reggere i destini del mondo romano. Bisognava
un potere che, concentrando in sé gli sparsi e mal sindacati
uffici del governo della cosa pubblica, e sopratutto la tutela
tribunizia, volgesse questa e quelli a guarentire ai popoli i
beni della giustizia e della pace sotto gli auspici della co-
mune egualità. L'Impero, osserva il Thierry, fu il risulta-
mento necessario del disfarsi dell'antica costituzione civica,
divenuta incompatibile con la vastità dello Stato. Esso appa-
riva come segno di salvezza, segnatamente alle provincie, le
quali, romanizzate più o meno dalla conquista e inabili a
scuotere il giogo, cercavano schermo contro le angherie dei
potenti nel Jus ceguum honum personificato nel Principe.
D'onde il culto del Cesarismo, proseguito per lunga età
dalla evirata coscienza de' popoli e vòlto a coprire con so-
fismi di salute pubblica l'arbitrio della forza che si fa legge.
344 * FRAMMENTI DI STUDÌ
Queste due tendenze del pensiero moderno nella valuta-
zione delle cose antiche, sono entrambe fallaci. L'una, infor-
mandosi al lato soggettivo della questione, al dramma delle
passioni che agitano il corso delle vicende umane, non tien
conto o fa poca stima dell'aspetto civile e degl'insegnamenti
non perituri della storia di Roma. L'altra, inalzando il (aito
determinato dalle condizioni de' tempi alla dignità del diritto,
finisce col glorificare il dispotismo e accettare come forma
legittima del governo delle nazioni l'autorità di un uomo-
capo, imperante, col consiglio di pochi prudenti, su moltitu-
dini destinate a obbedire e tacere.
La reazione della scuola storica contro il filosofismo spe-
culativo che impone ai fatti idee preconcette e finalità im-
maginarie, giovò alla scienza vera della storia : a quella scienza
0 interpretazione della storia, di cui fu primo fondatore Gio-
vanni Battista Vico, e il cui assunto pratico mira a scoprire
e verificare gli elementi primitivi, i caratteri spontanei e le
successive forme convenzionali degli umani consorzi, per in-
durne le leggi che ne governano il sorgere, il crescere e il pro-
gredire.* Per tal metodo la storia ideale eterna delle Nazioni
non pende a priori da una metafisica arbitraria aleggiante
dall'alto sull'ordine di fatto delle umane società, ma esce
come portato sperimentale dalla catena stessa de' fenomeni
sociali, che rivestono di tal guisa il carattere di linguaggio
vivente, per così dire, de' modi e de' progressi della natura
e della mente dell'Uomo nelle vicissitudini della storia.
La scuola storica, di cui il Savigny fu in Germania il più.
insigne rappresentante,^ s'arrestò in generale all'indagine
critica de* fatti; e in questo campo non v'è particella, per
quanto minuta, degl'istituti dell'Antichità o incidente, per
quanto fuggevole, delle rivoluzioni della medesima, ch'essa
non abbia esplorato o non vada esplorando. Ma al procedi-
mento scientifico e alle conclusioni pratiche dello studio dei
fatti umani, occorrono* due funzioni che s' integrano mutual-
^ Di questo metodo di studiare la Storia delle istituzioni sociali paionmi
egregi saggi, fra gli altri, il libro del Laveleye sulle Forme primitive della
proprietà, e quello del Sumner Maine: Uancien Droit, consideri dans ses
rapporta avec Vhistoire de la société primitive et avec lea idéss modernes, tra-
dotto dal Courcelle Seneuil. — {Nota delV Autore.)
^^ Rendendo il debito onore alle fatiche degli stranieri, io non dimen-
tico il Padre delle discipline storiche moderne, Lodovico Antonio Mura-
tori, e quelli, fra i nostri, che, come Carlo Troya, le arricchirono, dietro
le sue orme, di nuovi materiali e di preziose ricerche. — {Nota deW Autore.)
J
SULLA STORIA DELL' INCIVILIMENTO^ 345
mente: l'osservazione cioè e l'induzione, l'esame del fenomeno
e la definizione de' rapporti che, in date circostanze di luogo
e di tempo, connettono le sue modalità con la legge di evo-
luzione dell'ordine sociale. E di questo indirizzo degli studi
storici, in relazione al significato- razionale delle cose civili
ci fu maestro, in Italia, sino da cinquant' anni addietro, il
Romagnosi nel suo prezioso libro : DélV Indole e dei Fattori
dell* incivilimento.
Gli scrittori, parlo de' nostri, che lo seguirono sulla stessa
via, e, fra i meno recenti. Federico Sclopis ed Emerìgo Amari,
fra i recentissimi il compianto Padelletti, aggiunsero impor-
tanti materiali e luminose considerazioni al tema della genesi
storica e razionale delle forme della vita civile e de' prin-
cipi del Diritto. E, in quanto al Diritto Bomano in partico-
lare, quest'ultimo, la cui morte immatura fu grave danno
alla scienza, riassumendo con vasta erudizione e giudizio in-
dipendente i risultati delle investigazioni contemporanee su
tale soggetto, contribuiva efficacemente al progresso di studi
si fatti anche tra noi: studi che l'Italia, diretta erede e cu-
stode naturale delle tradizioni dell'antica civiltà, ha il debito
di coltivare come patrimonio domestico e come parte nobi-
lissima del tributo del suo pensiero all'intelletto delle Na-
zioni moderne.
Il fatto, dell' incivilimento non è, come osservava il Ro-
magnosi, l'opera della sola natura lasciata a' suoi rozzi istinti,
ma della natura e dell'arte che la informa a particolari ar-
chetipi di convivenza sociale secondo i tempi: arte che la
tradizione conserva e tramanda d'una in altra età, e che il
sentire e l'intendere delle progredienti generazioni anima,
accresce e perfeziona. Qual fosse l'origine prima dello atteg-
giarsi della natura selvaggia dell' Uomo a forme e riti civili,
è problema riposto ne' penetrali delle età preistoriche e forse
insolubile. Ma la storia nota ci attesta che l'inoltrare della
civiltà è dovuto ad una iniziazione tradizionale di funzioni,
predeterminate invero dalle prime necessità e dalle attitu-
dini della natura sociale della specie, ma regolate da modelli
ideali di creazione riflessa, operanti sulle disposizioni della
natura come l' idea e la mano dell'artefice operano sulla ma-
teria grezza conformandola al disegno della mente ordina-
trice. Non v' è esempio di selvaggi che si siano levati da sé
medesimi, oltre un certo grado, sulla misura della primitiva
XII. 23
346 FRAMMENTI DI STUDI
rozzezza, pur possedendo, come dote comune dell'essere umano,
la virtuale capacità di ricevere in sé gl'influssi dell'azione
educatrice che può inalzarli sopra il loro stato.
*Ed è forte da dubitare se quelle stesse stirpi che, durante
l'epoca della coltura ellenica e latina, aveano oltrepassato
in Europa la condizione della vita nomade, come i Celti e
i Germani, avrebbero mai o così presto raggiunto — malgrado
gli elementi d'iniziale civiltà recati dalle loro originarie sedi
nell'Asia — quel grado di sviluppo intellettuale e morale che
in breve toccarono dopo il loro contatto col mondo romano.
Il fatto è che, posta la legge storica dell'incivilimento
dativo e della necessità di un'arte tradizionale, istitutrice
delle rozze e incomposte forze delle genti a stabile e eulta
socialità, Roma fu, nell'ambito del mondo antico, la più
grande, la più razionale, la più sapiente maestra di quel-
l'arte.
Certo le parti ree della sua storia — l'avarizia crudele del
suo patriziato; lo spirito di conquista che invase di mano
in mano tutte le classi della sua cittadinanza e fece, in più
incontri, perfida ed iniqua la sua politica; l'ozio venale in-
dotto ne' suoi proletari da una falsa economia che teneva in
dispregio il lavoro; il concentramento della proprietà della
terra nelle mani di pochi oligarchi; il sacco delle provincie;
i vizi di che la inquinarono i costumi in essa introdotti dalla
colluvie dei vinti, facendole pagare la pena della conquista con
la perdita della libertà e con la ignominia di una decadenza
brutale — offrono uno spettacolo desolante agli occhi del filan-
tropo e un argomento apparentemente grave a chi dispera
del Bene nella tragedia umana. Ma io mi domando se Tegoi-
smo, l'errore, il male tennero soli il campo senza contrap-
posto d'eque tendenze e consuetudini, e senza contrasto di
magnanime proteste, e se dalla lotta non sursero lumi im-
mortali di giustizia e di ragione per guida delle generazioni
future: e trovo che, di fronte sA jm bdliinfinitum de' popoli
dell'Antichità, i riti del Jus feciale, gli cequa fonderà e il jus
hospitii de' nostri antichi segnano un memorabile incesso sulle
vie della Umanità ; che al confronto dell' isolamento politico
delle comunità elleniche, chiuse in sé stesse e rifuggenti dal
far partecipi de' loro diritti gli estranei, il concetto e l'esem-
pio romano di una città che si costituisce sin dall'origine
asilo dei forestieri, che conchiude molte delle sue guerre fa-
SULLA STORIA DELL'INCIVILIMENTO. 347
cendo suoi cittadini i vinti, e finisce con l'estendere la sua
cittadinanza all'universale e stringer patti di federazione e
d'ospizio coi barbari limitrofi al suo impero, attribuiscono
air Italia e a Roma il titolo incontestabile di prime inizia-
trici della comunanza civile delle genti europee. Né basta:
ma se dalle relazioni esterne volgiamo la mente agl'interni
moti e istituti della società romana e ricordiamo la gloriosa
contesa del comune plebeo contro il privilegio patrizio per
la parità politica de' ceti e per le guarentigie della sicurezza
e libertà del civts romanus; le norme ^di ragion .naturale
svolte di mano in mano dall'equità pretoria e perfezionate
dai giureconsulti filosofi dei due prinù secoli dell'Impero;
la restaurata industria delle campagne mercè i patti del co-
lonato e della enfiteusi sostituiti al lavoro servile; il mara-
viglioso organismo delle colonie e de' municipi, e la salda
orditura amministrativa dello Stato armonizzata, nella vasta
unità dell' insieme, alla libertà delle parti, sino a che la fisca-
lità bisantina non la corruppe — se, dico, poniam mente a
tutto ciò, dovremo riconoscere che la rinata civiltà va de-
bitrice alla tradizione di Roma della maggior suppellettile
degli elementi, dai quali trasse inizio nel medio-evo e suc-
cessivi incrementi nel suo corso mondiale.
Or quale insegnamento discende dagli accennati contra-
sti e dal fatto della riedificazione civile deHa società fram-
mezzo agli abbattimenti della Barbarie ? •— Questo : che do-
minatrice suprema delle cose umane non è la Forza ma la
Ragione, scaldata dalla virtù degli affetti, trionfatrice della
schiavitù de' sensi, dell'arbitrio, del caso, interprete delle leggi
della natura ed artefice delPordine sociale. Come nelle fa-
coltà dell'uomo-individuo esiste una virtuale capacità di rea-
zione intelligente, provvidente e conservatrice, che il magi-
stero della educazione va per diversi gradi e modi attuando
secondo i tempi, così nella yita degli umani consorzi, che è
la somma di quelle facoltà arricchite dal retaggio de' secoli
e levate a potenza collettiva dai mutui influssi del comune
sentire, è riposta una virtù operosa che va esplicando le con-
dizioni della conservazione sociale e reagisce contro le forze
ostili che la minacciano. La luce delle idee, rettificate d'età
in età dalla scienza al saggio della realtà delle cose e tra-
dotte in norme degli atti umani dalla coscienza del vincolo
che lega il mondo morale con l'ordine dell'Universo, illumina
348 FRAMMENTI DI STUDÌ SULLA STORIA EC.
il cammino, infiamma i cuori, e conforta il lavoro e la mar-
cia della progrediente civiltà. E ad ogni passo sulla immensa
via del Progresso, l'Uomo scopre nuove mète all'esercizio
delle sue facoltà, nuovi ostacoli da superare, nuovi veri da
incarnare ne' successivi adempimenti della sua natura, allar-
gando, proporzionalmente allo sviluppo delle sue attitudini
e alla espansione armonica delle sue energie, l'ambito della
libertà e l'impero della ragione. E in questo è il senso e la
realtà della vita.*
La figura del destino dell'Uomo non è quella del seguace
di Buddha, che spegne la sua attività aspirando all'annulla-
mento dell'essere; ma il mito di Prometeo che, inchiodato
alla rupe, sfida la potenza di Giove, e presente nella invin-
cibile virtù del Pensiero il trionfo della sua missione sopra
la terra.
* Vedi Trezza, Pessimisnto storico, — [Nota deir Autore.)
349
PROLUSIONE
AL CORSO DELL'ANNO SCOLASTICO 1885-86.
Signore e Signori, Giovani egregi,
Imprendo a trattare, dinanzi a voi, un tema che ha di-
retta attenenza col supremo quesito dell'umano destino nel-
r ordine delle cose civili. Perocché gl'istituti coi quali, nelle
varie età, si stabilirono fra le genti i modi delle loro esterne
relazioni rappresentino — come osservava l'illustre uomo che
inaugurò primo, in questo Ateneo, l' insegnametito del quale
io oggi riassumo l' arringo — i gradi dello estendersi ed af-
fermarsi dell' < umana Alleanza. >
La Storia ci mostra come, attraverso gli ostacoli frappo-
sti al cammino della Civiltà dalla selvatichezza delle età pri-
mitive e dagli errori, dai pregiudizi e dalle passioni dell'Uomo
in ogni età, una costante tendenza, inerente alle sue attitu-
dini sociali e coadiuvata dalla necessità de' mutui contatti
fra i Popoli per le scambievoli utilità, sopprimesse di mano
in mano i confini entro cui si rinchiudevano, ostili le une
alle altre, stirpi, caste e classi diverse; e come, allargandosi
i termini dell'umana associazione, gl'istintivi sensi del Buono
e del Giusto si traducessero in regole pratiche di comune
equità; le quali poi, avvalorate dagl'insegnamenti della espe-
rienza ed esplicate dai criteri della progredita ragione, ven-
nero acquistando sempre maggiore impero contro gli atten-
tati dell'egoismo e dell'arbitrio nel governo delle relazioni
interne ed esterne degli Stati ; sì che, a' dì nostri, malgrado
le rivalità dei Poteri che rappresentano ancora le vecchie
tradizioni della Forza che s'impone al Diritto, generando
la necessità di un vasto apparato di permanenti difese con
grave detrimento dei Popoli affaticati ed oppressi, una virtù
operosa, a cui è lume la progrediente Umanità delle Nazioni
e sprone la gravezza stessa del comune male, fa crescente
contrasto alle trame invasive e alle bellicose tracotanze.
Dal dì che i padri delle schiatte meglio atteggiate a com-
pagnevole costume, passando dalla vita nomade alla vita agri-
350 PROLUSIONE
cola, fondarono il santuario della famiglia intorno alla pietra
del focolare domestico — restia, la pietra che sta ; donde la
magnifica idealizzazione della Vesta romana, custode della
sacra fiamma alimentatrice della vita civile sull'altare della
Patria — fu posto il primo anello della catena sociale che
dovea svolgersi ed abbracciare, di cerchia in cerchia, di con-
trada in contrada, le genti, le tribù, le Nazioni, la univer-
sità del genere umano. Primi istitutori delle condizioni del
vivere civile gli EUeni e gl'Itali antichi; che nel vecchio
Oriente, sebbene dall'Asia ripetessero l'origine loro e gl'inizi
della loro coltura le tribù migratrici che incivilirono l'Eu-
ropa, i riti di un vero jus gèntium non poterono allignare,
vuoi per difficoltà materiali, vuoi per predominio di caste e
violenza d'Imperi barbari su moltitudini inerti.
Nelle amfizionie greche e nelle federazioni umbre, etru-
sche, sabelle, sannite e latine, spuntano i primi germi de-
gl' istituti onde si venne informando, nella vicenda de' tempi,
la ragion delle Genti, in pace e in guerra. I vincoli paren-
tali delle tribù primitive, posti sotto gli auspici dei dome-
stici Numi, furono lanradice dalla quale ebbero principio, al
passaggio della vita patriarcale alla vita cittadina, i mutui
legami e i convegni di comunità affini per le celebrazioni del
comun culto alle Divinità indigene, immagini ideali delle con-
sorti fortune fra stirpi congiunte.
Nelle quali adunanze, dai riti della fraternità religiosa
riceveano iniziazione gli scambievoli uffici della colleganza
civile ; e ne traspaiono gì' indizi ne' ricordi serbati dalle Gre-
che storie dei patti, delle leghe amfizioniche e negli cequa
(cederà degl' Itali primitivi, di cui Roma tradusse le formole
nel suo Pubblico Diritto. Notevoli, ad esempio, fra i Grreci,
le reciproche guarentigie per mantenere inviolato il diritto
d'asilo; e i trattati pe' quali, fra due o più città, conveni-
vasi che i cittadini dell' una avessero a godere nell'altra gli
stessi diritti religiosi e civili; e che, composta la pace fra
città nemiche, se nuovi dissidi insorgessero, questi dovessero
sottoporsi, anziché alla prova dell'armi, all'arbitrato di' qual-
che città neutrale.
Senonchè, coteste forme primordiali di temperanza anaa-
na, non solo non estesero i loro effetti oltre la cerchia della
vita ellenica; ma non riuscirono, nel seno stesso di quella
vita, a congiungerne con fermo nodo le sparse membra e ri-
DELL'ANNO SCOLASTICO 1885-86. 351
durle all'osservanza di un comune Diritto. D'onde la deca-
denza della Grecia antica. E quel tanto di sapienza civile che
illuminò r intelletto delle sue Assemblee, de' suoi uomini di
Stato, de' suoi oratori e de' suoi filosofi, rimase dottrina edu-
catrice del pensiero della posterità a beneficio dell'opera pro-
gressiva dell'incivilimento nel corso dei tempi.
Il magistero propagatore della civile coltura oltre i con-
fini della Città antica, era serbato all'Italia e a Roma; ed
ebbe il suo primo fondamento — s' io non erro — nella nar
tura stessa delle consuetudini della Città-Madre, sin dalle
origini, per la parentela delle genti che ne formarono il primo
Popolo; e di' quelle che vi si vennero accogliendo dappoi,
quasi in asilo o fóro e mercato comune, con le comunità cir-
costanti, sabine, etrusche e latine. D'onde, malgrado l'ordi-
namento aristocratico delle Curie privilegiate de' Padri, le
frequenti ammissioni di genti forestiere nel loro seno {coopta-
tiones in patricios); il jus commercii concesso ai peregrini, agli
ospiti, ai vicini; e il costume di non far servi i vinti, ora
lasciandoli con parte delle loro terre nelle sedi native, ora
incorporandoli nel Comune romano con gradi diversi di cit-
tadinanza secondo lor condizione anteriore. Del quale costu-
me Tito Livio raccolse la tradizione nella formula del trasfe-
rimento del popolo Albano in Roma.
L'azione espansiva ed unificatrice di Roma, manifesta-
tasi neir epoca regia per via di aggregazioni di persone e
annessioni di territori, mutò indirizzo coU'estendersi de' suoi
contatti coi Popoli italici. La superiorità del suo ordinamento
militare e politico e le sue vittorie, le conferirono sin da
principio la presidenza e il protettorato della Confederazione
latina. La difesa dell'indipendenza italica contro i Galli, con-
tro Pirro, contro Annibale, l'inalzarono al grado di città so-
vrana, chiamata da una vocazione storica, che la religione
de' tempi recava a consiglio degli Dei, al supremo ufficio di
custode della sacra terra Saturnia contro la barbarie da un
lato, contro esterni Imperi dall' altro. Dinanzi alla necessità
della difesa nazionale, le disgregate federazioni dell' Etruria,
del Sannio, della Lucania, e le inferme Repubbliche della
Magna Grecia doveano cedere il campo alla poderosa unità
del Fascio Romano. La Città-Madre assumeva la dignità di
patrona della gente togata. La sua costituzione interiore di-
veniva specchio e modello agli ordinamenti amministrativi e
352 PROLUSIONE
giuridici delle sue colonie e dei Municipi italici — quasi ef-
figies parvce simulacraque qtuedam ~ come dice Gelilo, par-
lando delle prime.
Il jus civitcUis — uscendo da.i termini del pomerio, idealiz-
zandosi, elevandosi da privilegio locale a principio di ragion
comune — si diffuse, graduato per concessioni più o meno
late {civitas sine suffragio, civitas cum suffragio et jure ho-
norum)^ ai soci latini da prima, a tale o tal altro Comune
d' altre regioni della Penisola di poi ; e divenne, dopo la
guerra sociale, patrimonio dell'intera Nazione; passò con Ce-
sare nella Gallia cisalpina; valicò le Alpi; e fu esteso da ul-
timo, con la universalità dell'Impero, a tutti i Popoli compresi
entro la cerchia delle sue frontiere.
Non è qui luogo di riandare le virtù che illustrarono i
fasti di Roma ne' suoi tempi migliori ; e le colpe che ne
macchiarono i progressi lungo il corso delle sue conquiste.
A noi basti guardare alla sua azione nel mondo in quanto
la medesima conservò le reliquie dell' antica coltura ; intro-
dusse fra genti sciolte ed inculte la ragion del Diritto; e fa
apportatrice di civiltà alla barbarie. Dietro la marcia trion-
fale delle sue legioni, i suoi magistrati, i suoi maestri, archi-
tetti, agrimensori, coloni, propagando in gran parte d'Europa
— con le leggi civili, con la lingua, con le scuole, con le arti,
con l'agricoltura — le forme di una eulta socialità, apparec-
chiarono il terreno agli avanzamenti dell'incivilimento mon-
diale. Senza Roma, senza i lumi della sua equità nella Ragion
privata; senza le traccio da essa lasciate dell'organamento
•de' suoi Municipi; e senza lo spirito di universalità da essa
impresso alla coscienza del Diritto, non solo nell' ordine
de' rapporti privati, ma in quello eziandio delle relazioni di
ragion pubblica fra i Popoli soggetti alla sua giurisdizione,
0 ad essa congiunti per vari gradi di colleganza sociale, le
Nazioni che su que' fondamenti vennero restaurando, dal me-
dio-evo in poi, gl'istituti della vita civile, sottraendoli al do-
minio della violenza eslege, non sarebbero giunte al punto
in cui oggi si trovano, sulla via dell'umano progresso.
Naturalmente, dacché Roma, per le accennate cagioni, as-
sunse il primato dell'armi e delle leggi del mondo antico,
disparve ogni orma di giusta reciprocità fra le genti. La dot-
trina predicata dai filosofi greci — e segnatamente da Ari-
stotele — che ai più prestanti per capacità civile e guerriera
DELL'ANNO SCOLASTICO 1885-86. 353
spetta da natura il dominio sugi' inferiori e men culti, co-
mechè temperata da un più largo concetto della comunanza
umana in Cicerone, divenne nondimeno il fondamento del
Diritto Pubblico dei Romani rispetto ai vinti o provinciali
(provicti) e agli stranieri. Il Tu regere imperio populos, Bo-
mane, memento del Poeta delle tradizioni latine rappresenta
tutto lo spirito della conquista legislatrice di Roma. E que-
sto spirito si estendeva, sotto forma di patrocinio, alle sue
relazioni coi Popoli liberi e coi re alleati : — civitates liberce,
fcdderatce; Reges amici, sodi: — relazioni analoghe a quelle che
intervenivano fra patroni e clienti nella domesticità romana ;
libertà soggetta ad uffici e servigi di dipendenza; invasa
spesso dall'arbitrio del più forte, ma rivestita pur tuttavia
di forme legali; e la cui figura giuridica ritraeva appunto il
concetto della clientela ne' rapporti privati : — quemadmodum
clientes nostros intelligimus liberos esse, etiam si ncque audo-
ritate, neque dignitate, neque viribus nobis pares^nt; sic eos
qui majestatem nostram comiter conservare débent liberos esse
intelligendum est. (ProcijLO, Big, 1. 7, De Capt, et Fostlim.) —
E nondimeno, cotesti legami d'imperfetta società fra la città
regina e le genti subordinate alla sua autorità, estesi dal-
l'Impero anche ai Barbari, segnalarono un grande progresso
nel cammino della Civiltà dal mondo greco al mondo romano.
Tra Greci e Barbari nessun vincolo di comune giustizia ; con-
cessa appena da un debole senso d' umanità agli estrani la
religione dell'ospitalità; non osservato il rito antichissimo
della inviolabilità dei pubblici nunzi o legati: la guerra cac-
cia selvaggia, devastatrice; i vinti preda del vincitore. Roma
invece chiama ospiti gli stranieri che prendono stanza entro
le mura della città o nel suo territorio; e concede loro l'abi-
tazione, il domicilio; non isdegna avere i vinti per suoi cit-
tadini; e Vadversus hostes ^eterna auctoritas riceve tempera-
menti civili dal jus feciale e dallo estendimento, negli ultimi
tempi dell'Impero, delle predette relazioni, amidtia, foedus
amicitice causa, hospitium, ai Popoli barbari stanziati di là
dalle sue frontiere. Liberali segnatamente le condizioni deì-
V hospitium, quasi di naturalizzazione; ond'era soppressa pei
Romani, recatisi a dimora in terre di barbari ammessi a tale
diritto, la necessità del postliminio : Quid (enim) inter nos
atque eos postliminii opus est, quum et UH apud nos et liber-
tatem suam et dominium rerum suarum ceque atque apud se
354 PROLUSIONE
retineant et eadem nobis contingent? (Proculo, Big. 1. 7, Be
Capi, et Pòstlim.)
Mercè la quale estensione della ragion del Diritto a in-
tere genti, stanziate oltre i limiti dell'Impero o accolte a
stabile dimora nelle Provincie romane, si vennero costituendo
sotto r egida della sua maestà e con obbligo di lealmente
conservarla — majestatem Imperii comiter conservare -r- quelle
, grandi federazioni di Barbari romanizzati che, con Ataulfo
ed altrettali capi o re, decorarono di veste latina i fieri
costumi nativi; che, nelle Gallie, concorsero con le legioni
di Ezio a rompere la possa della nuova Barbarie condotta
da Attila; e eh' ivi e altrove doveano, al dissolversi della
griin mole romana, fondare — sotto nome di Franchi, Bur-
gundi, Ostrogoti, Visigoti, Alamanni — le prime basi de' nuovi
Stati europei. Entrati di mano in mano nell'ambito della
Fraternità cristiana, congiunti ai provinciali, già sudditi del-
l'Impero, dalla religione dei medesimi altari, de' mùtui con-
nubi, degli stessi cimiteri; traendo riti e forme ai loro malli
o assemblee nazionali dall'esempio dei Concili della Chiesa;
e influssi di tradizioni e leggi romane sulle loro consuetudini
avite; essi furono a poco a poco iniziati alla scuola dell'an-
tico intelletto; e dall'intreccio dei vecchi coi nuovi elementi
del vivere sociale si venne formando, invigorita di giovani
forze, la compagine della nuova civiltà.
Cessato il turbine delle invasioni, i nuovi Regni fondati
dalla conquista nel seno della Cristianità d' Occidente portano
sin da principio la duplice impronta delle consuetudini dei vin-
citori e delle tradizioni dei vinti. L'organizzazione domestica e
militare degl'invasori si fi^sa sull'occupazione territoriale; e
riflette, nei rapporti della famiglia, nelle consorterie parentali,
negli ordini della milizia, nella forma dei giudizi e nella par-
tecipazione dei nobili o principali e dei liberi proprietari ai
comuni consigli, i costumi di tipo germanico. La libertà, la cit-
tadinanza attiva, sono privilegio degli occupatori della terra ;
ma la necessità della coltivazione agraria e de' mestieri urbani
li obbliga a rispettare più o meno le relazioni preesistenti
fra padroni e coloni e a conservare i collegi degli artefici; e
n' escono i liberi livellari, gli afiittaiuoli, i mezzadri nelle cam-
pagne, le borghesie artigiane e commerciali nelle città.
Al sommo della scala sociale, la regalità barbara, roma-
nizzandosi, riveste nelle parvenze esteriori le forme e le pompe
DELL'ANNO SCOLASTICO 1885-86. 355
della sovranità bisantina; tende a trasformarsi di elettiva e
ministeriale in ereditaria ed assoluta; ma, dipendendo pei
tributi e per V armi dal concorso volontario dei nobili, del
popolo degli nomini liberi e del clero, è costretta a trattare
de' maggiori affari dello Stato nei Placiti nazionali; e neri-
sultano le monarchie temperate del medio-evo. Le quali, col
prestigio dell' autorità, anche senza la forz^,, giovarono a ce-
mentare il lento processo assimilativo da cui sorsero le di-
stinte personalità dei Popoli europei. Tale processo non fu
uniforme dapertutto. La varietà degli elementi costitutivi del
fondo sociale nelle diverse contrade d'Europa ne modificò
gli effetti in ordine alla costituzione politica degli Stati.
Così mentre in Francia, in Inghilterra, in Danimarca, in
Isvezia, in Polonia, in Ungheria — e più tardi in Ispagna —
si costituirono, per diverse combinazioni d' interni elementi,
monarchie commijsurate all'ambito delle rispettive nazionalità
— in Italia la preponderanza dei grandi feudatari sul poter
regio, investito in principi stranieri, e delle città sui minori
vassalli ; la lotta fra l' Impero e la Chiesa e l' antagonismo
perenne fra i ricordi dell'antica coltura e il diritto barbaro
della conquista, impedirono la fondazione di una monarchia
nazionale. In Germania similmente, per altre cagioni, ma so-
pratutto per la tenacità delle particolari autonomie, la rega-
lità, soggetta ai suffragi dei grandi Elettori e all'adesione
dei Principi e delle Città imperiali per le sue imprese, non
serbò per lungo tempo, anche se congiunta alla Corona Ce-
sarea, che un precario potere; e non riuscì a fondare l'unità
politica dello Stato. Ma crebbero, per converso, nell' uno e
neir altro paese, di ricchezza, di capacità civile e di potenza,
prestanti cittadinanze industriali e commerciali, che fonda-
rono la libertà e la nobiltà sul lavoro ; e aprirono la via, con le
loro operosità, ai progressi dell' intelletto scientifico, civile
ed economico dei tempi moderni. Destituite dei presidi del-
l'unità politica dello Stato, l'Italia e la Germania attinsero
rispettivamente, in mezzo alle traversie a cui furono esposte
per tale mancamento, i caratteri della loro individualità na-
zionale dalla comunione dei ricordi aviti, della lingua e del
pensiero; dalla influenza, cioè, di quelle forze intime e mo-
rali che sono più potenti d'ogni forza esterna sul destino
delle Nazioni.
356 PROLUSIONE
Il diflFerenziarsi degli Stati europei nel medio-evo deter-
minò tutto un nuovo ordine di rapporti di Diritto Pubblico
fra le Genti, ignorato dall' Antichità se non nella forma em-
brionica alla quale accennai da principio rispetto alle comu-
nità autonome della Grecia e dell' Italia antica, prima che
r Unità Romana in sé le assorbisse. Ma Boma non cessò dal-
l' esercitare sulle nuove relazioni, generate dalle nascenti au-
tonomie nazionali ne' secoli di mezzo, una efl&cace azione
coordinatrice ; sposando alla tradizione imperiale il magistero
della iniziazione cristiana e convertendo il patronato del po-
tere sui Popoli soggetti in arbitrato morale sui liberi. Indi
l'avvenimento della restaurazione dell'Impero d'Occidente
sotto Carlo Magno e la tentata armonia delle due Potestà,
diretta idealmente a ridurre sotto una suprema norma di
comune giustizia ed umanità le incomposte forze sociali uscite
appena dalla barbarie. — Ne emersero i vincoli della Feuda-
lità e i primi conati di una suprema tutela della giustizia
per mezzo dei missi dominici: grande progresso sull'assoluto
arbitrio dei vincitori sui vinti, dei padroni s^i servi, d'una
contr' altra gente; dacché una moderatrice rispondenza di di-
ritti e d' obblighi componesse indi innanzi fra loro, per gradi
ascendenti, uomini ligi e signori, valvassori e vassalli imme-
diati della corona, sudditi e re. Ne emersero i riti della Ca-
valleria; la quale associò sensi d'onore e di pietà alla forza;
insegnò lealtà e veracità, abnegazione e cortesia a' suoi se-
guaci ; e li strinse, anche quando scendevano in campo come
nemici, a regole e doveri umani. E pei congiunti iniiussi della
religione e de' ricordi delle antiche leggi, furono all'arbitrio
delle guerre private imposte le tregue di Dio; fu assicurata
la inviolabilità degli araldi; dato ordine alla formalità delle
sfide, alle capitolazioni, al riscatto dei prigionieri; fu procla-
mato, ne' Concili, il principio che i rustici attendenti all'agri-
coltura, i pii peregrini, i chierici inermi dovessero andare
immuni da offese guerresche; temperato il diritto barbaro
delle rappresaglie; vietata la immanità di far preda delle
cose e delle persone dei naufraghi: e le città marinare delle
prode del Mediterraneo precorsero, colle regole ,del Conso-
lato del Mare, alla ragion de' moderni nell' ordine de' loro
rapporti commerciali.
Un benefico spirito di rinascente umanità, di mutua. fede,
di generose emulazioni in semplici costumi, anima, fra le
DELL'ANNO SCOLASTICO 1885-86. 357
guerre domestiche e pubbliche del primo periodo del risor-
gimento civile dopo il mille, città e castella. È il periodo a
cui allude Dante, ricordando:
Le donne e'i cnvalier; gli affanni e gli agi.
Che ne invogliava .amore e cortesia.
E le memorie del tempo registrano esempi di trattati fra
città amiche, di composizioni fra città ostili e di giudizi d'ar-
bitri e pacieri, che rivelano la influenza dell'antica equità
civile sulla mente di quella età mercè il risorto studiò del
Diritto romano. Intorno a che sono da vedere i documenti
citati dal Muratori nelle sue Dissertazioni sulle Antichità ita-
liche — - segnatamente nella XLVIII e nella XLIX — - e gli altri
ricordi dell'epoca.
Senonchè, l'idea di universale Giustizia personificata, in
que' secoli, — com'è natura dell'umano intelletto nella fanciul-
lezza delle Nazioni — in un Capo visibile considerato qual
sovrano legislatore e giudice ; e quella di una Legge morale
d'istituzione divina in un unico interprete e vicario delle sue
applicazioni, doveano di necessità sottostare alle vicissitudini
dell'elemento personale nell'esercizio d'entrambi gli uffici.
D'onde lo scadere della Potestà imperiale e della papale da
ihinisterio d'alta custodia delle ragioni dell'Onesto e del Giu-
sto nell'ordine delle cose morali e delle civili a strumento di
passioni individuali e di prepotenti ambizioni. Né solo ; ma
la tendenza dell'una e dell'altra a creare uniforme ed asso-
luta unità dovea produrre naturalmente contrario effetto, su-
scitando a protesta la coscienza dell' uomo-individuo e quella
delle Nazioni. Indi l' insorgere delle sètte cristiane dissidenti
e le resistenze del potere civile contro le pretese della Teocra-
zia romana; il sottrarsi degli Stati, de' grandi signori e delle
città al dominio imperiale; e la gran lite fra l'Impero stesso
e la Chiesa. In mezzo alle quali tempeste di una società agi-
tata da tanti e sì vari e sì inconditi elementi, tre capisaldi
appaiono sino dal secolo XII a fondare tre grandi relazioni
di cose umane: il Compromesso tra Pasquale II e Arrigo V
sulle Investiture ; il Trattato di Costanza ; e la Magna Gharta,
Il primo de' quali atti determinava, precorrendo ai moderni
Concordati, i rapporti fra la libertà della Chiesa e i diritti
dello Stato; il secondo poneva un limite all'assolutismo im-
periale fondato sulla tradizione bisantina ; e rivendicava l'au-
358 PROLUSIONE
tonomia de' Comuni fondata sulla tradizione civile romana: il
terzo stabiliva le guarentigie legali della libertà individuale
contro l'arbitrio del potere, sottoponeva le imposte al voto
dei Parlamenti e preveniva con la libertà data ai traffici, an-
che in favore degli stranieri, le dottrine più liberali della
moderna economia. — Semi fecondi dei futuri istituti e pro-
gressi delle genti europee, apparecchiati sino da quella rozza
età dal genio delle due razze propagatrici per eccellenza di
civiltà ■— l'italica e l'anglo-sassone.
Ma nel periodo d'anarchia civile, che dal cadere del se-
colo XIII si stende sino ai primi esperimenti di uno stabile
assetto degli Stati europei nel secolo XVI, ogni vincolo di
giustizia e di fede nelle relazioni de' pubblici poteri cede al-
l'impero del più sfrenato egoismo. Al concetto ministeriale
nel possesso dei feudi sottentra il concetto della proprietà
patrimoniale ereditaria. Le grandi città impongono ad arbi-
trio la loro balìa alle città minori. Travagliate da^ fazioni do-
mestiche, ricorrono, per aver pace, alle dittature; e le dit-
tature si convertono in tirannidi. La slealtà, là frode, il
tradimento, diventano consuetudine ed arte di Stato. Il Prin-
cipe di Machiavelli è il manuale della politica dei tempi. Di
conserva col dissolvimento dell'organizzazione feudale e con la
decadenza della libertà dei Comuni, la guerra perde i suoi
freni e si tramuta in rapina. Agli ordini antichi della Caval-
leria e delle milizie cittadine succedono le Compagnie di ven-
tura e le bande mercenarie, i cui Capi, presti a mutar parte
ad ogni offerta di maggior lucro, divenuti ricchi e potenti,
occupano città, fondano principati, ottengono da Papi e Im-
peratori titoli di signoria sulle terre usurpate. Indi, soprav-
venuta col crescere dei grandi Stati la necessità di raccogliere
ad esercito soldatesche d'ogni contrada e di mantenerle, per
la precarietà delle finanze, a spese de' paesi percorsi o occu-
pati, la licenza militare, incrudelita dalle lunghe guerre, non
conobbe più limite o legge; segnando la sua via in Italia,
nelle Fiandre, in Germania col saccheggio e l'incendio, con la
strage e la devastazione.
Nella ragion politica di questo periodo, le viete preroga-
tive dell'alta sovranità imperiale e della papale su Regni e
Feudi, i titoli patrimoniali dei dinasti, le pretese ereditarie aDe
successioni regie, ducali, signorili, s'intralciano, si confondono,
servono a vicenda a private cupidigie e ambizioni ; determi-
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DELL'ANNO SCOLASTICO 1885-86. 359
nano le guerre e le paci, decidono del destino dei Popoli.
L'Italia e la Germania segnatamente, per difetto di forza
collettiva nazionalmente costituita, son fatte teatro alla mol-
tiforrae gara. In mezzo alla gran lite suscitata dalla vanità
di Carlo Vili e dalla perfidia di Lodovico il Moro tra la Casa
di Valois, erede delle ragioni degli Angioini, e la Casa d'Ara-
gona per la successione alla Corona di Napoli, e nella sus-
seguente rivalità tra Carlo V e Francesco l pel primato euro-
peo, la politica dei Papi, mentre. l'Italia rovina, è governata
dalla sete di procacciar principati ai loro congiunti. E Cle-
mente VII sacrifica a tal brama la libertà di Firenze, spe-
gnendo in essa, per mano di un osceno tiranno, il focolare
dell'arti e del pensiero italiano ; e abbandonando le sorti della
Patria alla restaurazione imperiale. L'alleanza della Chiesa e
dell'Impero minaccia, con l'armi del Cesarismo risorto e coi
roghi dell'Inquisizione, universale servitù.
Ma tre secoli di feconda, comechè turbolenta, libertà aveano
assicurato i progressi dell'incivilimento mondiale. Lo espan-
dersi delle opA^osità e delle gare mercantili, mercè la sco-
perta dell'America e delle nuove vie di comunicazione alle
Indie orientali, la fondazione delle colonie transoceaniche e
le emulazioni fra gli Stati marittimi dell'Europa occidentale,
generano conflitti d'interessi e discussioni che giovano allo svi-
luppo della ragion giuridica ne' rapporti internazionali. Albe-
rigo Gentili lascia un documento importante della giurispru-
denza dei tempi sulle questioni emergenti da que' conflitti-
nelle sue: Advocationes Hispanicce. Grozio propugna, in un
libro memorabile, la libertà del mare. Regole più eque, de-
terminate dalla necessità della sicurezza de'traflici, s'intro-
ducono a poco a poco nei trattati di navigazione e di com-
mercio. S'iniziano, ne' rapporti commerciali fra gli Stati,
transazioni di reciproca utilità, indipendenti da diflferenze di
governo o di religione. Nello stesso tempo, le nuove dottrine
intorno alle guarentigie della libertà privata e pubblica, ai
diritti dei Popoli, alla inviolabilità delle credenze, svoltesi in
mezzo alle lotte delle Fiandre, della Rivoluzione inglese e
della Riforma; e propugnate da valenti scrittori nella Gran
Bretagna, ne' Paesi Bassi e in Germania, si propagano dalle
contrade protestanti alle cattoliche; e preludono nel se-
colo XVII al moto intellettuale e politico del secolo XVIII.
Concorrono al medesimo effetto le scoperte delle scienze fisi-
360 PROLUSIONE
che da Galileo in poi, sciogliendo il pensiero scientifico dalle
pastoie della Teologia e la coscienza della parte colta delle
Nazioni dai terrori della superstizione. E tutte queste in-
fluenze, insieme cooperanti, ingeriscono nella mente civile
d'Europa quelle disposizioni che, stimolate a sensi d'umanità
dagli orrori della guerra dei 30 anni, spianano la via alla
Pace e ai Trattati di Vestfalia.
Que' Trattati — preceduti, nel campo della speculazione,
dai libri del Gentili, che nel suo De Jure Belli esclude dalle
giuste cause di guerra le differenze di religione, sentenzia che
la fede non s'impone col carnefice e applaude all'intervento
dell'Inghilterra in favore degl'insorti Fiamminghi: e conclusi
da uomini addottrinati dagl'insegnamenti di Grozio — se-
gnano, nel campo della pratica, le prime orme del passaggio
della politica europea dal dominio dell'autorità abusata dalle
passioni ai consigli della ragione ammaestrata dalla espe-
rienza.
La Pace di Vestfalia inaugurò il principio della tolleranza
religiosa nei rapporti dei (i over ni fra loro, stabilendo l'egua-
glianza giuridica per la professione delle diverse credenze fra
gli Stati cattolici e gli Stati protestanti della Germania : —
ricostituì la Confederazione germanica, restringendo la giu-
risdizione dell'Impero so vr' essa :— decretò che nelle con-
testazioni fra i membri della medesima dovessero seguirsi le
vie dell'ordinaria gistizia, senza ricorrere alle armi se non
decorso un triennio ed esaurito ogni tentativo di composi-
zione pacifica: soppresse i legami di dipendenza feudale che
assoggettavano i Cantoni della Svizzera e le Provincie Unite
dei Paesi Bassi all'Impero; e riconobbe le due Repubbliche
come Stati sovrani, riconoscendo implicitamente con ciò il
diritto nei Popoli d'insorgere per la loro indipendenza e li-
bertà: — pose infine, come fondamento di Diritto Pubblico
europeo, il principio dell'equilibrio dei Poteri e della legitti-
mità dell'intervento contr'ogni impresa tendente ad alterarne
le proporzioni: principio che produsse, secondo le circostanze
e gì' intenti dell'applicazione, or bene or male ; ricevette, dopo
la guerra della successione di Spagna, ne' primi anni del pas-
sato secolo, conferma formale dal Trattato di Utrecht; e
rimase guida indi innanzi alle pratiche della Diplomazia eu-
ropea. — L'idea dell'equilibrio dei Poteri ebbe i suoi esordi,
nel secolo XV in Italia, dalla influenza moderatrice esarci-
dell'anno scolastico 1885-86. 361
tata da Lorenzo de' Medici sugli Stati della Penisola; ed è
concetto che sorge naturalmente dal bisogno di mutua sicurtà
fra le genti.
Senonchè il sistema che a quel concetto informavasi, non
avendo per base stabile l'ordine naturale delle colleganze na-
zionali sotto gli auspici di una eguale giustizia per tutte, ma
una combinazione artificiale di Poteri, creata dalle vicende
della Storia, dovea necessariamente soggiacere alla mutabi-
lità dell'elemento esteriore e arbitrario di questa; e prose-
guire una politica di espedienti, presta sovente a posporre
le ragioni della natura e del Diritto e il voto dei Popoli alle
esigenze di un macchinismo, fattizio di forze in perpetua lotta,
or aperta or latente, fra loro. Così, passati non molti anni
dalla Pace di Utrecht, gl'ingrandimenti della Prussia, la ri-
valità dell'Austria contr'essa e il sorgere della potenza mo-
scovita paurosa a tutti, scompongono i disegni anteriori, por-
tano nuove guerre, nuove insidie dei forti sui deboli; indi, a
breve andare, per concorrenti brame e mutui sospetti fra
Berlino, Pietroburgo e Vienna, l'empia partizione della Po-
lonia, spettatrici inerti del grande misfatto le altre Potenze ;
la cuijgnavia rassegnò all'equilibrio della rapina fra predoni
senza legge la vita di un Popolo al quale la civiltà europea
doveva, oltre le dovizie di un'eletta coltura e gli esempì di
una generosa ospitalità in tempi di persecuzioni religiose, la
sua salvezza dalla scimitarra ottomana.
Ma sugli antiquati privilegi e sulle colpe della, vecchia
Europa già sovrastava, preparata di lunga mano dalle soffe-
renze degli oppressi e dagl'incrementi del pensiero, una grande
sentenza. La Rivoluzione francese traduce sul terreno politico
l'opera innovatrice iniziata dalla Riforma sul terreno religioso
e dalla Filosofia nel campo delle idee. La Proclamazione dei
Diritti dell'Uomo annunzia il sorgere della nuova Ragion
delle Genti sulle rovine di un organamento politico e sociale
disceso dalla Barbarie e governato dall'arbitrio. Sventurata-
mente, la Rivoluzione, sospinta dalle insidie dei nemici dome-
stici al regime del terrore, e dagli assalti dei nemici stranieri
a trascendere i limiti dell'interna difesa, perde in casa e
fuori le virtù che ne illustrarono i cominciamenti. Di mini-
stra di libertà alle Nazioni si tramuta in arbitra dei loro
destini e fa strada all'Impero: prima cagione del male il
principio dell'intervento, funestamente applicato dalla coali-
XIL 24
362 PROLUSIONE
zione delle monarchie europee, antesignana l'Inghilterra, a
contendere ad un Popolo il diritto di disporre a sua posta
dei propri affari. E quando il genio e la fortuna